Di Marco Mastino

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Storia di Orune

tratta da un manoscritto anonimo del 1956

 

Nel 1300 Orune dipendeva dall'antica diocesi di Castro, soppressa nel 1500 ed aggregata ad Alghero, per cui Orune nel 1878, anno in cui fu reintegrata la diocesi di Galtellì (Nuoro), passò a questa sede.  Quindi Orune è una parrocchia antica e può rimontare al 700, periodo in cui le parrocchie si sistemarono. La popolazione di una parrocchia antica presso Orune chiamata "Montanna", di cui la chiesa parrocchiale era dedicata a Santa Lulla: S. Giulia, si trasferì ad Orune. Montanna era stata decimata dalla peste, così detta" Pesta nighedda" così si formò la Parrocchia di Orune, dedicandola a Santa Maria, cioè natività della Madonna, poi in seguito, venne dedicata a Santa Maria Maggiore. Lo scrittore Padula, nella sua opera "Europa preistorica" dice che i paesi che cominciano in or, come Orune, sorgono in luoghi montuosi. La chiesa Parrocchiale venne distrutta da un incendio nel 1848 circa. Venne poi riedificata come è al presente. Nei singoli altari non vi erano statue ma  quadri gia preparati da un pittore di Cagliari detto Caboni. Dello stesso Caboni sono le diverse pitture e decorazioni che si notano in essa, benchè deteriorate di molto, a causa  dell' umidità penetrata dalla volta. l' antica statua di Santa Lulla si trova a casa di zia Peppa Rosa Pintore; Ormai non è che un tronco, ma sono chiare le pieghe dell' abito e la sagoma. Si suppone che gli uomini che si trasferirono da Santa Lulla dove, accanto al nuraghe omonimo, sussistono alcuni ruderi dell' antica chiesa, non siano venuti direttamente qui, dove noi viviamo, ma nelle località dette: Ispidinai, Nurallai ed a Nunnale. Gli abitanti soppravvissuti alla peste vennero a ispidinai , nurallai e  nunnale. Da Santa Lulla e specialmente dalla località detta Oros una vecchietta non volle fuggire, passarono i pirati e la trasportarono a Pisa dentro una culla. Un giorno la videro due delle nostre parti e disse loro che se l'avessero portata in Sardegna avrebbe mostrato loro il tesoro comune, che si trovava nascosto sotto il nuraghe di Santa lulla, disse pure che vi era una sala piena di pelle e suola. Gli abitanti di Ispidinai e Nurallai per sfuggire alla malaria si spostarono ancora fino alla località situata tra "su Monte de su tronu" ( Monte Ladu) e Monte Santu. Invece quelli che erano a Nunnale si fermarono a Urvile, dove stava un capraio, detto Urone, da qui si dice abbia preso il nome Orune. Altri abitanti si fermarono a Lorana.A poco a poco le case si estesero sotto Sant'Andrea e sotto Monte Marche. La prima casa fu quella di Grazia Luego e di sua cognata Maria Tola e corrisponde alla località ove oggi è costruita la casa di Bardeglinu Grazia Moglie di Pasquale Contena. Cadone era una piazzettae da li partivano le strade che vanno a San Bernardo, a Parraghine e a Santa Maria fino a Monte Santu.Le case erano fatte di fango e a pian terreno. Gli abitanti passavano il tempo "pastoricanne". Si nutrivano di carne di maiali e di farina d'orzo chiamata "arre". Mangiavano pure le ghiande dalle piante di sughero e le raccoglievano quando erano mature e precisamente durante i mesi di novembre e dicembre. L'orzo veniva pestato tra due pietre e più tardi veniva macinato con le mole, che venivano fatte girare da un asinello mascherato affinchè non si mangiasse la farina. Per macinare due quintali di orzo impiegava due settimane, e che girasse intorno alla mola di giorno e di notte. A guidare l'asino mettevano: i vecchi che non potevano lavorare, le donne che contemporaneamente  filavano per non perdere tempo, oppure  i bambini che si mettevano in groppa all'asino, ma subito dovevano scendere perchè veniva loro il capogiro. Questo servizio era l'occupazione dei bambini che non andavano a scuola. Un gruppo di pastori ribelli al buon vivere detti discolos si ritirò nella zona di Sa Matta che andava dalla Consolata  (Cuccusolotto), fino a su poju de Ghilisuri, a Niniana, a Sa conca de Lugulene e a Nunnale e così fino a Sa badde de su loristeri, a Nunnale c'era la prigione e s'impiccu.Un altro impicco detto " Sas urcas apparadas", perchè erano sempre pronte, erano collocate vicino a Cuccuruetetti, dove i boia "buzzinu" andavano a lavarsi le mani dopo l'esecuzione della condanna, tale fontana e detta anche oggi "sa untanedda de sos buzzinos".A quei tempi i carabinieri non c'erano e perciò i ribelli ammazzavano le persone che odiavano e poi si ritiravano a Sa matta.Quando ammazzavano qualche d'uno le donne dei ribelli e quelle dell'ucciso si riunivano nella stessa casa ad "attitare". Il latte lo mettevano in recipienti di sughero "sos malunes" oppure di tronchi d'albero detti "sos tueddos" e per cuocerlo riscaldavano sul fuoco sas predas de ribu e quando erano roventi le buttavano prima nell'acqua e poi rapidamente in mezzo al latte, che così cuoceva.

I cucchiai erano fatti di corna di bue "sos coros" o di legno "sos turuzones e  turuzonedos" per  i bambini. i cibi li mettevano "supra de sos vrusticos" che erano piani e concavi "sos concheddos" fatti di sughero. Ma non mancava mai lo spiedo "s'ispidu" fatto pure di legno "de ozzastru" più tardi usarono "sos tazzeris"e li portavano da Desulo e Tonara. Le chiese più importanti erano; oltre Santa Lulla e quella di "badde creja e di lorana", che erano le più antiche: Sant'Andrea, dove ancora esistono le fondamenta; "Sos Anzelos" afianco della casa di Giulietta Monne; "de Santu Predu" che era situata nell'orto di Costantinu Dobbe;"de Santu luca" nel deposito eppure ivi vicino "santu miale (michele) la cui festa era presa come data per l'inizio e la scadenza dei contratti dei contadini e dei pastori; "de Santu Sirine"vicino al lavatoio; "de Santa Ruche"dove ora sorgono il mulino Murgia e le scuole elementari. In questa chiesa si festeggiavano "Santu Gromme"(San Gervasio e Protasio;medici).A questa chiesa venivano anche dei forestieri. Ivi c'era anche una specie di pietra circolare forata dove i penitenti si sospendevano legandosi con una fune alle gambe."de Santu Agostinu"vicino alla casa di Tommasa Pala, "de Santu Franziscu" nella casa Gaddeo;De sas disamparadas ( Madonna degli afflitti ) nel mercato, la statua si trova ancora in chiesa.Più recenti sono le chiese de su Cossolu, de Santa Caderina, de Bonaera, de Santu Bernardu, de Santa Maria tuttora esistenti. I cimiteri sorgevano vicino alle chiese; scavando si trovavano scheletri vicino a s'ortu de Pintore e nello stesso orto e in su Campusantu Vezzu, vicino alla Chiesa Parrocchiale. Durante i lavori della fognatura si è trovato un cranio intatto sul quale era scritto: "poeta" e il lavoro sembrava fatto da un tarlo. Il nostro parroco dopo averli benedetti li fece trasportare al Cimitero. Altre due Chiese erano:quella "de Sant'Itria" nella decina di Giovanni Antonio Pala, Ossia tra:Sa untana de su zardinu e il  vicino nuraghe; e di "Sant'Efisi" della quale è rimasta la pietra dell'altare, che venne collocata vicino a una bella pianta detta: S'eliche chi nana Miscia. A queste feste si dice che intervenissero su cavalli bianchi "Sar damas de manteddu" dette cosi perché erano delle famiglie più distinte ed avevano un copricapo rettangolare di scarlato rosso cadente sulle spalle. L'acqua la portavano dalla campagna e precisamente dalle fontane di Roseddu, dae s'ortu de Donna Zizza, dae Gurteddos, untanas e melos, dae Narcolis, dae s'aba meica e dae sae Antoni Buscente, quest'ultima serviva per i maiali e ritarda la cottura dei legumi. Un'altra sorgente era detta:"de su Cumisciaru",vicino alla caciara di Siotto. L'acqua veniva trasportata in recipienti di sughero detti "sos mogios: vasi cilindrici con una sola base, e sas bariles egualmente circolari ma tutti chiusi, con due soli fori tappati con spilli di legno (sos pirottos). Più tardi usarono "sas tinas", fatte di legno di Desulo. Per bicchiere prima (sas vegioneddas), fatte di sughero naturalmente cave, e più tardi "sos guppos" finemente lavorati e col manico. L'acqua si conservava fresca e saporita. Infatti i nostri anziani detestano i recipienti di alluminio che si usano ora e rimpiangono questi mezzi rudimentali, ma più sani. Le case erano ornate modestamente. Il letto prima era fatto sulla nuda terra, per lo più vicino al focolare, fatto da quattro cantoni disposti al centro della casa, a forma quadrata. Ivi ardeva il fuoco, il fumo si spandeva per tutta la stanza e cercava una via di uscita attraverso i buchi del tetto, fatto di canne o di sughero, oppure attraverso la porta che era la sola apertura. Il fumo rendeva un grande servizio affumicava i muri che prendevano un colore bruno rossastro, i pezzi di lardo e i fasci di salsicce che venivano appesi come quadri. Sul focolare detto "S'uchile" pendeva "Su cannivu" una rette di canne legate con "restes" funi di giunco al trave centrale. Ivi si disponevano le forme di formaggio. Più tardi il letto era fatto a forma di baldacchino cioè da quattro rami rozi. Il fondo era pure fatto di rami più sottili di legno e il materasso era riempito di feno d'orzo meglio di grano. Era tanto alto che per salirvi usavano una scala. Per le feste lo coprivano "chi sas burras puddichitadas" tappetti meravigliosi fatti di lana grezza, tinti a vari colori con le erbe naturali, per esempio rosso, dalla radice dei rovi, giallo dae su truviscu, marron dalle foglie di noci ecc..... tessuti in casa. Di questi se ne trovano ancora, ed hanno un grande valore. Per sedile usavano "sos istrunpeddos" fatti di sughero o di legno. La biancheria la mettevano in "sa cascias" mobile a forma di parallelepipedo, apribile nella parte superiore. Nella stanza c'era pure posto per la mola, per l'asino e per il maiale e per la salamoia. Sotto il letto era il magazzeno dove mettevano (sos brocos de su mele, i legumi, e altre provviste). Vicino al capezzale c'era il posto per mettere "su molinzoneddu de sos marengoso" cioè delle monete d'oro. E le coprivano di fave per non vederle i ribelli.  Le feste famigliari più importanti erano: lo sposalizio, per il quale si preparavano pietanza di carne di tutte le qualità "di maiale, di pecore, capre ecc...." si sposavano molto giovani, spesso quando il marito tornava da campagna trovava la moglie che giocava senza preoccupazioni famigliari. Ma sapevano pure cucire "sos coros" e fare "sos randos" per ornare "sas linzas" cioè la camicia. Il giorno delle nozze la sposa doveva togliere allo sposo "sas mesas carzas" ed in cambio aveva dallo sposo un marengo. Alla sposa veniva pure regalata "sa pudda bianca vioccada" cioè con gli anelli di scarlatto rosso alle zampe e gli orecchini dello stesso panno. Quando nasceva un bambino grandi feste. La mamma preparava il pane, il miele, le noci, i fichi secchi ecc.... e poi il giorno Natalizio veniva il tutto distribuito ai bambini del paese. I parenti venivano invitati a mangiare su tavole improvvisate sul pavimento coperto " dae sos pannos de ispica o de canestri". La carne arrostita "sos gurguzzonese" arrostiti, il vino e tutte le cose nominate prima erano il contenuto del pranzo.

Il buio della notte lo vincevano col fuoco " arumelladu" o con lucerne alimentate con olio di sego "ozzu seu", oppure con olio di lentischio " ozzu lestingu". Se mancava la luna, e dovevano uscire, usavano portare dei tizzoni accesi che facevano oscillare. Quando il lutto era forte non lavavano la biancheria. Se la toglievano, l' esponevano al fumo o i "sos culumberisi" poi la tiravano fuori e l' indossavano senza lavarla. La moglie dell' ucciso non usciva più. Stava seduta per terra vicino al fuoco "attitanne" contro l' uccisore e lodando il marito morto. Parlava di vendetta specialmente ai figli che dovevano crescere. Il fuoco l'accendeva sfregando la pietra focaia "Sa preda arva" e facendo cadere le scintille sulla ferula oppure "supra de sa preda morta" che è pure utile a rimarginare la ferite. Il computo del tempo veniva fatto col canto del gallo e con le dita della mano che venivano sollevate verso il sole e proiettavano  l'ombra.

Gli aratri erano di legno, il carro aveva le ruote di pezzi di albero che chiamavano  "sas lasinasa",quando facevano molta strada si incendiavano , l'uomo che le costruiva si chiamava ziu Basileddu. La vita che vivevano anticamente i nostri avi era piena di sacrifici, in una stanza facevano vita comune due o tre famiglie. L'unico mobile oltre il letto, che gia conosciamo era una cassa grande fatta con legno di castagno e con decorazioni di uccellini e grappoli d'uva. Chi li faceva si chiamava l'Innarroi. Prendeva il nome dal suo stare attorno a "su uchile" sedevano su sgabelli, oppure per terra con le gambe incrociate, "a pedes a ruche, a coscias ladas, oppure a pedes a fogu, cioè con le piante rivolte verso la fiamma. Sedevano tutti scalzi davanti a "su uchile" dodici o quindici persone per dire tutti insieme "su Rojaru cantadu e su Perdonu. Al gloria la persona più anziana batteva per terra "su chicaju" che serviva per attirare il fuoco e anche per fare stare fermi i bambini. Qualche volta si sentiva ridere perchè entrava qualche cane o qualche gatto per leccare la candela.

La fontana più bella dell'antichità e "su lidone" fatta di pietre rosse. Il municipio era dove ora si trova la casa di Maria Manca, la posta era in casa di Albergoni Sebastiana, la fontana del paese vicino al cancello della casa parrocchiale, il pozzo davanti alla casa della maestra Bidoni. Quando piove forte si forma un fosso circolare. In casa di Porcu Mariangela c'era il monte di pietà da dove prestavano il grano che poi restituivano, in più c'era la chiesa della piedade. Esisteva una piccola caserma che faceva di prigione.