Angelo Guglielmi, Necessità di mutamento - Un secolo di ideologie europee nel saggio di Giancarlo Majorino

 

Alla fine di luglio due volumetti da una nuova cooperativa editrice che -come testimonia la denominazione che ha assunto: Punti di mutamento- dichiara l'intenzione "di contribuire a uno spostamento del campo letterario vigente". Ora rinunciando a ogni valutazione sulla nascita della nuova cooperativa (ne abbiamo viste sorgere tante e abbiamo imparato a giudicarle per la tenuta di cui sono capaci) come sull'importanza dei propositi dichiarati (ai quali è tanto facile dare voce quanto difficile dare attuazione) ci limiteremo a prendere in esame il primo dei due volumetti usciti per l'evidente interesse del tema che sviluppa. Si tratta di Passaggi critici di Giancarlo Majorino, un poeta milanese noto negli anni '60 per sapere coniugare, alla maniera di Pagliarani, impegno e ricerca.

In Passaggi critici Majorino affronta un argomento che evidentemente gli sta a cuore e cioè il rapporto tra letteratura e realtà (extraletteraria); gli ostacoli che rendono difficile l'incontro; la rigidità dell'attuale situazione che, in quanto dominata da interessi centralizzati sulla distinzione e separatezza delle parti rende impossibile ogni forma di scambio (se non dentro esiti già dati); l'eccesso di segnali e di messaggi che avvolgono la realtà in una zanzariera impenetrabile; il ruolo mistificante dei mezzi di comunicazione di massa che, interponendosi tra i fatti che accadono e il destinatario, sollevano quest'ultimo da ogni impegno di conoscenza; il rifugio dell'individuo nella propria solitudine e nella sicurezza della propria interiorità; i condizionamenti che ciascuno non solo subisce ma erige a propria difesa e la menzogna con cui preferisce scambiare l'impossibile verità.

Intorno a questa situazione, nella varietà dei suoi aspetti, Majorino discorre a lungo con considerazioni e analisi che, pur se qualche volta scontate, appaiono sempre appassionate ed intelligenti. Noi qui non intendiamo ripercorrere il giro delle sue riflessioni per dichiarare i punti con cui consentire e gli altri da cui dissentire (giacché un'intenzione del genere avrebbe bisogno di ben altro spazio e un'altra sede): ci limiteremo a considerare alcuni spunti della maxiriflessione di Majorino, di cui peraltro ci pare di poter condividere la premessa di base e cioè che le difficoltà che abbiamo sopra elencate (e di cui soffriamo) sono legate alla natura dello sviluppo che ha marcato a cominciare dalla seconda metà dell'800 la situazione culturale in Europa, la quale appunto ha dovuto fare i conti con le violente contraddizioni proprie di ogni processo di sviluppo a carattere imperialistico, portatore sì di incremento produttivo ma anche di asservimento, sì di progresso tecnico ma anche di sfruttamento, sì di ampliamento informativo ma anche di condizionamento della coscienza.

Dunque messo da parte il discorso più generale -anche per la difficoltà, ripeto, di svilupparlo in una recensione e la certezza che a darne i termini essenziali ripeteremmo verità arcinote- intendiamo addentare due o tre temi specifici particolarmente stuzzicanti.

Majorino, riferendosi al grande fervore culturale che ha caratterizzato l'Europa degli ultimi cento anni, ne denuncia (di quel fervore) la gestione pesantemente ideologica. L'accusa di Majorino, che non possiamo non condividere, è che le ideologie, in quanto sistemi filosofici -vedi positivismo, marxismo, idealismo, ecc.- anziché essere considerati, come avrebbero dovuto, strumento d'indagine e di ricerca, sono stati e sono tuttora trattati come sistemi di verità, organizzazioni veritiere della realtà, che allora finisce imprigionata in una rigida regolamentazione. "Il materialismo, il razionalismo scientifico, lo storicismo non idealistico, il realismo in genere non sono riusciti integralmente a resistere alle interferenze ideologiche, al compromesso con gli orientamenti prevalenti, all'autocostituirsi in Verità o Bene contro l'Errore o il Male degli avversari". La conseguenza, che è sotto gli occhi di tutti, è stata una distanziazione sempre maggiore dei comportamenti culturali dal reale comune, l'affermarsi di un conformismo diffuso, il blocco delle insofferenze, il trionfo del consumismo, la subordinazione delle coscienze. Ne è conseguita cioè una perfetta chiusura del sistema culturale e sociale e, più in genere, di vita, ancorandolo agli interessi della classe dominante decisa a ottenere protezione in cambio di una relativa liberalità.

Si è posto allora per tutto il secolo e si pone tuttora il problema di riaprire la situazione, inserendo elementi antisistematizzanti che le consentissero (e consentano) di svilupparsi oltre l'attesa di esiti previsti e le restituissero (e restituiscano) una certa creatività progettuale e di risultati. Problema di difficile soluzione che, sul piano collettivo (della storia), ha trovato una unica (se pur di breve durata) apertura nel primo dopoguerra in relazione all'emergere di alcuni fattori legati alla situazione contingente e, soprattutto, alla rottura operata dalla rivoluzione russa. In coincidenza con quei fattori e quella rottura si sviluppò "una breve ma ricchissima fase di nuove opere, di attività, di progettazione". Fase che non prolungò i suoi effetti positivi oltre i primi anni '20 quando quella rottura si rimarginò con la pesante normalizzazione staliniana (e poi mussoliniana e hitleriana). Più numerose sono state invece le soluzioni che quel problema ha trovato sul piano individuale, nel rapporto del singolo artista con la sua opera, dello scienziato con le sue scoperte, del filosofo con la costruzione del pensiero. Anche qui la soluzione è stata (per chiunque avvertisse il problema e volesse riaprire le fonti della creatività) l'inserimento di elementi antisistematizzanti nella gestione della immaginazione, dell'invenzione e della meditazione al fine di acquisire quella forza di proiezione indispensabile per affacciarsi sul e sperimentare l'ignoto. Nascono così la teoria della relatività di Einstein e le opere di Kafka, le epifanie di Joyce e i romanzi di Svevo, le innovazioni surrealiste e la violenza di Céline, il pensiero critico di Adorno e Benjamin e la passione ragionata di Gramsci, la catastrofe della ragione in Musil e la contrazione dell'esistenza di Beckett, ecc.

Anche oggi il problema si pone negli stessi termini e le soluzioni incontrano difficoltà, se è possibile, ancora maggiori e sul piano collettivo e sul piano individuale. Comunque qualsivoglia soluzione che il nostro tempo ricerchi è legata alla possibilità che riesca a emanciparsi dal dominio asfissiante della ideologia.

Majorino ricorda che oggi esistono "due grandi maniere pratico-teoriche d'interpretare, di agire, di sentire": l'una, ancora maggioritaria, che "evidenzia la complessità del reale, la varietà e la tolleranza delle posizioni, la ricchezza delle possibilità"; l'altra, richiamantesi in esclusiva o in preminenza al marxismo, che "evidenzia la dipendenza di tutto dal dominio borghese e dal mondo capitalistico e la conseguente necessità di una lotta politica di mutamento". Fino a quando questi due grandi sistemi di conoscenza tenteranno d'imporsi, "ciascuno autoaffermandosi unico e negando l'esistenza dell'altro", si prolungherà lo stato di confusione, d'imprigionamento della creatività, di sterilizzazione degli spunti vitali. La liberazione della storia, la ripresa dell'attività progettuale e di costruzione del futuro è legata alla possibilità che gli uomini si convincano che queste due formazioni sistematrici non sono due sistemi di verità ma due metodi di conoscenza e dunque vengano usati non l'uno contro l'altro ma l'uno insieme all'altro giacché entrambi "hanno senso, incidono, moltiplicano effetti e produzione di effetti nel circuito mastodontico e ancora seminascosto delle mediazioni.

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SEZIONE: critica   STATUS: completo   TEMPI DI LAVORAZIONE: 11/2002 - 4/2003

 

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