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LA RIVOLUZIONE LIBERALE SPAGNOLA NEL RECENTE DIBATTITO STORIOGRAFICO*

Irene Castells Olivan

La storiografia sulla rivoluzione liberale spagnola è stata particolarmente coinvolta nei condizionamenti politici che hanno caratterizzato l'agitato e convulso periodo della storia contemporanea di Spagna nel corso dei secoli XIX e XX.

In effetti, furono i protagonisti stessi dei mutamenti politici e sociali realizzatisi negli anni Trenta dell'Ottocento, ben consapevoli della natura rivoluzionaria di quei mutamenti, ad avviare un dibattito che è giunto fino ai nostri giorni. Lo incominciarono i liberali scontenti dell'impronta che il liberalismo oligarchico trionfante andava dando alla nuova società. La loro critica al regime liberale appena nato aveva l'obiettivo di ampliare le ristrette basi sociali sulle quali si consolidò lo Stato monarchico isabellino tra il 1844 e il 1868. Essi cercarono quindi di integrare le correnti democratiche e repubblicane, che riuscirono a diventare protagoniste del cambiamento politico realizzatosi tra il 1868 e il 1875. Ma il suo fallimento determinò la loro emarginazione dal potere fino alla Seconda Repubblica spagnola (1931-1936/39).

Fu ad opera di questa sinistra liberale che nei dibattiti storiografici e politici si affermò l'idea che la rivoluzione liberale non era terminata e che bisognava ancora realizzarne appieno i compiti di democrazia rimasti in sospeso. Obiettivo che apparve tanto piú urgente di fronte all'involuzione autoritaria e al soffocamento del regime parlamentare da parte della Restaurazione borbonica (1875-1923), durante la quale la Spagna si andò allontanando dalle tendenze democratiche che caratterizzarono il periodo nell'Europa occidentale.

La crisi del sistema portò alla dittatura militare di Primo de Rivera (1923-1930), che a sua volta provocò, con la sua caduta, quella della stessa monarchia borbonica. Né la Seconda Repubblica poté ristabilire il sistema politico, spezzata come fu dal pronunciamento militare che portò alla guerra civile (1936-1939) e al lungo periodo della dittatura franchista (1939-1975). Nell'ambito dell'opposizione politica al regime franchista, la sinistra accolse nella sua strategia di lotta il vecchio progetto di terminare la rivoluzione interrotta, coniando il termine di « rivoluzione democratico-borghese» , inalberata come obiettivo politico immediato. La storiografia spagnola, dal canto suo, nello sforzo di rinnovamento compiuto a partire dagli anni Cinquanta del XX secolo, poneva le basi per uno studio scientifico del XIX secolo, condannato all'ostracismo dall'ideologia del regime di Franco1.

Di qui l'ampio dibattito, che caratterizzò in maniera centrale la storiografia degli anni Sessanta e Settanta del nostro secolo2, sulla « rivoluzione borghese» spagnola, qualificata come una rivoluzione « abortita» , « frustrata» , « deviata» o semplicemente « inesistente» . Il concetto stesso di « rivoluzione borghese» fu oggetto di vivaci polemiche, soprattutto nell'ambito della storiografia marxista3.

Nel frattempo, a partire dagli anni Sessanta, la Spagna stava realizzando la sua industrializzazione: fatto decisivo, che non poteva non avere conseguenze nello sviluppo del dibattito e nel suo approfondimento. I settori piú prestigiosi della storiografia arrivarono cosí ad un accordo per quanto riguardava la periodizzazione della rivoluzione liberale, mentre la sua valutazione restava controversa. L'ambito cronologico della rivoluzione liberale venne definito con una certa chiarezza: fu un processo discontinuo, realizzatosi tra il 1808 e il 1840, ma che, prima del trionfo definitivo, nel 1837, dové subire due restaurazioni assolutistiche (1814-1820 e 1823-1833). Se quasi tutti gli storici convenivano su questa sequenza cronologica, per quanto riguardava, invece, la caratterizzazione e la valutazione di questo lungo processo continuarono a sussistere divergenze su alcuni aspetti fondamentali, quali la natura stessa del processo politico e del « patto tra proprietari» prodotto dall'erosione del vecchio sistema; i gruppi e le forze sociali che furono protagonisti del cambiamento; le trasformazioni che fecero della monarchia assoluta uno Stato borghese; i limiti della riforma agraria liberale e le loro conseguenze sullo sviluppo del capitalismo spagnolo. Questi temi rimasero in sospeso, in quanto il dibattito fu interrotto, tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta, dagli eventi politici della fine del franchismo e del passaggio alla democrazia.

I cambiamenti intervenuti nella congiuntura politica mondiale degli anni Ottanta (il crollo dei paesi del socialismo reale, il revisionismo critico dei processi rivoluzionari) hanno a loro volta contribuito a un relativo accantonamento del dibattito. Non solo, ma la crisi storiografica che ha portato a mettere in discussione le spiegazioni globali della storia (come quella marxista o quella strutturalista) ha investito, sia pure in misura minore, anche la Spagna e concetti come « rivoluzione borghese» o « transizione» sono stati respinti da alcuni storici come ormai « sorpassati» . 4La stessa storiografia marxista è andata rivedendo alcune sue posizioni di carattere dogmatico e meccanicistico sulla crisi dell'antico regime e sull'avvento del nuovo regime liberale, posizioni che certamente soffrivano della mancanza di studi empirici che avevano, invece, accompagnato il dibattito nella fase precedente.

Gli anni Ottanta sono stati, perciò, caratterizzati nel nostro paese dalla priorità assegnata alla ricerca. Di qui il notevole sviluppo degli studi sul campo, nell'ambito tanto della storia politica quanto della storia sociale o economica: una tappa i cui risultati hanno portato ad una migliore conoscenza della rivoluzione liberale come fenomeno politico (strategie di lotta, protagonisti, divisioni interne al liberalismo, ruolo dell'intervento popolare, ecc.) e ad un approfondimento, in ambito regionale, del duplice processo di crisi dell'antico regime e rivoluzione liberale, con esempi concreti e chiarificatori del processo di presa di coscienza della borghesia e delle sue diverse scelte politiche5.

Si è andato cosí precisando che cosa significassero in concreto e nei diversi territori della penisola termini come « borghesia» , « tardo feudalesimo» , « liberalismo» , oppure « società tradizionale» e « società capitalistica» . Certo, la parcellizzazione della ricerca in ambiti tematici diversi ha fatto sí che mancasse una discussione d'insieme, in prosecuzione del dibattito precedente. Il dibattito, tuttavia, sia pure in maniera implicita, c'è stato, anche se i mutamenti del contesto storico e delle diverse valutazioni politiche degli storici ne hanno modificato i termini. Si potrebbe dire, a rischio di semplificare, che la discussione ha preso a gravitare intorno al tema della « modernizzazione» della Spagna.

In questo dibattito, si contrappongono due linee interpretative: l'una insiste sugli aspetti piú negativi del XIX secolo, e lo caratterizza in termini di « immobilismo» o « fallimento» ; l'altra critica questa visione, rimproverandole di continuare a ricorrere alla classica dicotomia « tradizionale» e « moderno» , e di incorrere in una concezione lineare dello sviluppo storico che la porta a sopravvalutare il processo di cambiamento degli anni Ottanta del nostro secolo. Nel dibattito attuale, insomma, non è chiaro fino a che punto la modernizzazione della Spagna sia stata fondamentalmente una conquista della nostra storia piú recente — tenendo conto del ritardo di venti anni determinato dal regime franchista — o se invece si debbano riconoscere nel nostro XIX secolo degli elementi innovativi, che porterebbero a ridiscutere la « peculiarità» del caso spagnolo nell'Europa occidentale.

In coincidenza, agli inizi, con il bicentenario della rivoluzione francese6, negli anni Novanta il dibattito ha incominciato a porsi su nuove basi, grazie ad una serie di studi che hanno inteso rinnovare profondamente l'approccio storiografico dominante. Su questa linea, sono in corso di revisione tanto la caratterizzazione in senso estremamente conservatore del processo politico liberale, quanto la tesi della continuità sociale che lo seguí e dei suoi presunti effetti negativi sullo sviluppo del capitalismo e sulla modernizzazione della società7.

In questo nuovo approccio vi è certamente stato un calo di interesse (nello sforzo di evitare il « nominalismo» ) per la vecchia discussione sui concetti di « rivoluzione liberale» o « borghese» , con la conseguenza che non sempre è chiaro in che senso vengano usati, anche se prevalentemente è il concetto di « rivoluzione liberale» ad essere considerato piú idoneo8.

In questo lavoro ho scelto di conservare entrambi i termini, che rinviano, a mio giudizio, a due realtà distinte: il concetto di « rivoluzione borghese» è piú ampio di quello di « rivoluzione liberale» . Il primo abbraccia un periodo piú ampio e prolungato nel tempo e include tutte le componenti della trasformazione economico-sociale e del consolidamento del nuovo Stato collegate al fenomeno rivoluzionario, mentre quello di « rivoluzione liberale» potrebbe identificarsi con il liberalismo, cioè con gli aspetti piú propriamente politici e ideologici della contrapposizione all'assolutismo e ai valori dell'antico regime, senza naturalmente trascurare le forze sociali che lo sostennero, ma che richiedono un'analisi specifica tanto nei contenuti quanto nel metodo. La rivoluzione liberale sarebbe, insomma, il momento culminante della rivoluzione borghese, nel disgregarsi dell'apparato istituzionale del vecchio sistema.

Ho ordinato su questa base le questioni sollevate dalla storiografia sul tema. Sicché, considerando la rivoluzione liberale come un processo fondamentalmente politico che investe lo Stato, affronto la questione sotto i vari aspetti relativi alla natura del processo rivoluzionario liberale e alla struttura del nuovo Stato, che occupano la parte piú ampia del lavoro (paragrafi 1-5), limitandomi ad accennare in due paragrafi piú brevi (6 e 7) alle questioni relative agli esiti sociali ed economici della « rivoluzione borghese» , anch'essi oggetto di numerosi studi e discussioni, i cui dettagli esulano tuttavia dall'ambito di questo lavoro. Senza alcuna intenzione di esaustività, si darà conto dei principali contributi al dibattito su un tema che continua ad essere centrale nella storiografia spagnola contemporanea.

1. La rivoluzione liberale: liberalismo e borghesia. Una delle difficoltà in cui generalmente si imbatte la storiografia sulla rivoluzione liberale deriva dalla mancata distinzione tra liberalismo politico ed economico o tra liberalismo e borghesia, riproducendo i problemi, cui si è accennato, derivanti dall'uso indistinto dei termini « rivoluzione liberale» e « rivoluzione borghese» . Alcuni hanno affrontato la questione prendendo a confronto le ricerche su altri casi europei, come quello della Germania, che hanno a loro volta dovuto chiarire l'uso di questi termini per spiegare il processo di modernizzazione di quel paese9.

Nel caso spagnolo, si tratta di un problema cruciale: la presenza di un liberalismo precoce, che trovò espressione nell'avanzata Costituzione di Cadice del 181210, continua a sollevare problemi tra gli storici, che si chiedono come fu possibile che in un paese caratterizzato come prevalentemente feudale sorgesse un movimento liberale, che si fece tramite della diffusione delle idee della rivoluzione francese. Ma contro la tesi, cara alla storiografia conservatrice, che il primo liberalismo spagnolo fosse una mera imitazione dell'esempio francese, si fa sempre piú strada l'idea che la Spagna, sia pure in maniera minoritaria, partecipò pienamente del clima ideologico europeo proprio del riformismo e del periodo prerivoluzionario, in cui emerse la consapevolezza — a sua volta limitata alle &eacutelites — della incompatibilità tra progresso economico e norme di funzionamento della società di ordini.

In questo senso, vari lavori hanno sottolineato la presenza di gruppi liberali, nati dalla radicalizzazione degli ambienti illuministici a partire dal 1790, la cui esistenza spiegherebbe l'esplosione liberale del 1808, favorita dall'invasione napoleonica, e il suo sbocco nell'opera riformatrice delle Cortes di Cadice11. La prima generazione liberale si formò, insomma, nell'ultimo trentennio del secolo XVIII, in una evidente continuità tra Illuminismo e liberalismo, come ha ripetutamente segnalato A. Gil Novales12.

Malgrado i progressi delle conoscenze sui rapporti tra liberalismo e ambienti borghesi, tuttavia, mancano ancora studi concreti sul tipo di connessioni che potrebbero esservi tra l'azione dei deputati di Cadice e le loro eventuali basi sociali. Disponiamo di vari studi sulla composizione socio-professionale e sulle posizioni dottrinarie e politiche dei deputati, ma molto ancora resta da fare, a partire da un'analisi sistematica del Diario de Sesiones de Cortes, che consentirebbe di andare al di là di citazioni isolate e di condurre un esame globale, linguistico e tematico, dei dibattiti parlamentari13.

Il paradosso di questo liberalismo radicale, del suo prolungamento nel secondo periodo rivoluzionario del 1820-1823 e del suo sbocco moderato al momento della vittoria, negli anni Trenta, resta irrisolto nella storiografia, che continua generalmente a ripetere alcuni luoghi comuni che hanno contrassegnato in maniera negativa la valutazione del processo rivoluzionario, come vedremo meglio nel paragrafo successivo. Di qui l'importanza di alcuni lavori recenti che insistono sull'idea che il liberalismo non può essere ridotto all'ideologia della borghesia e che, anzi, mettono in rilievo il carattere polisemico del linguaggio politico liberale e l'esistenza di postulati diversi al suo interno14.

D'altra parte, la migliore conoscenza della società di antico regime, dell'estrema diversità di varianti dell'economia signorile e della complessità delle strutture agrarie alla fine del XVIII secolo, nonché delle differenze di sviluppo tra il centro della penisola e una periferia piú avanzata, ha permesso di dare maggiore concretezza a termini generici come « borghesia» o « classi medie» .15

Benché manchi ancora uno studio complessivo della borghesia spagnola prima, durante e dopo la rivoluzione liberale, le ricerche locali e regionali hanno messo in rilievo l'eterogeneità dei vari gruppi borghesi alla fine dell'antico regime. Si è cosí potuto delineare il loro maggiore o minore coinvolgimento nella lotta contro l'assolutismo, non appena la crisi del capitale commerciale e la crisi finanziaria della monarchia, alla fine del Settecento, spezzarono i rapporti di convivenza tra ceti privilegiati e ceti borghesi. L'ampliamento degli studi su questi ultimi ha permesso di superare la visione che limitava la loro importanza alla borghesia mercantile andalusa e alla borghesia industriale catalana16, che ancora fino a ieri sembravano le uniche protagoniste dell'opposizione alla società tradizionale.

Certo è che le differenze tra le varie comunità storiche che costituivano la monarchia spagnola rendono estremamente difficile caratterizzare i diversi comportamenti economici e politici di gruppi sociali che erano a loro volta in trasformazione, sotto i colpi dei cambiamenti provocati dallo sviluppo dell'economia mercantile e dalle trasformazioni demografiche e agricole della seconda metà del Settecento. Il conflitto con i privilegi della società di ordini non si manifestò in maniera omogenea né con la stessa intensità, ma vi furono situazioni diverse a seconda delle varianti economiche regionali e locali17.

Ne deriva anche, come segnalato da vari storici, che non è piú possibile parlare di « mondo contadino» senza vederne concretamente i diversi aspetti nell'economia agraria del tempo. Altrettanto improprio sarebbe affermare che obiettivo della « borghesia» era quello di realizzarsi attraverso la proprietà della terra, ora che varie monografie regionali hanno dimostrato che alcuni erano già ricchi proprietari e grandi redditieri, mentre altri non erano in condizione di accedere alla proprietà, né lo sarebbero stati dopo la rivoluzione liberale. In altri termini, almeno per alcune aree si è potuto accertare che il cambiamento sociale precedette la rivoluzione politica18, che a sua volta lo portò a termine, costituendo un punto di partenza fondamentale — ma non l'unico — per la comprensione del processo rivoluzionario liberale.

Del resto, anche l'influenza della recente storiografia europea sul tema ha contribuito a chiarire la confusione che contrassegnò il dibattito degli anni Settanta, quando si identificava la « borghesia» con la « borghesia industriale» e con la « democrazia» , mentre la borghesia dell'Ottocento era straordinariamente eterogenea nelle sue origini sociali: da un lato, quindi, bisogna includervi i gruppi professionali; dall'altro, non vanno esagerate le propensioni rivoluzionarie di una borghesia il cui mimetismo aristocratico e la cui fusione con le &eacutelites nobiliari caratterizzarono l'intera Europa occidentale, dominata alla metà dell'Ottocento da gruppi di notabili19.


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Irene Castells Olivan, La rivoluzione liberale spagnola nel recente dibattito storiografico


* Questo lavoro rientra nell'ambito del progetto di ricerca PB90-0715, finanziato dal 1991 su fondi della Dgicyt del Ministerio de Educación y Ciencia de Espa&ntildea.

1 Fu lo storico catalano J. Vicens Vives a compiere i maggiori sforzi per far uscire la storiografia spagnola dal ristagno in cui giaceva sotto il regime di Franco, per il quale la storia di Spagna si riduceva al regno dei re cattolici e all'epoca imperiale. Sugli aspetti della produzione scientifica e letteraria sotto il primo franchismo, si veda M. Tu&ntildeon De Lara, Aspectos de la creación cient&iacutefica y literaria, in El primer franquismo, Madrid, Siglo XXI, 1989, cap. III, pp. 211-278.

2 Ne fa una dettagliata esposizione J. S. Perez Garzon, La Revolución burguesa en Espa&ntildea: los inicios de un debate cient&iacutefico, 1966-1979, in M. Tu&ntildeon De Lara, dir., Historiograf&iacutea espa&ntildeola contemporánea, X Coloquio del Centro de Investigaciones Hispánicas de la Universidad de Pau, Balance y Resumen, Madrid, Siglo XXI, pp. 91-146.

3 Protagonisti del dibattito furono soprattutto J. Fontana e B. Clavero. Quest'ultimo, partendo dall'ambito della storia del diritto, difendeva ad oltranza il concetto di « rivoluzione borghese» , che riteneva necessario per superare l'empirismo e il positivismo della storiografia liberale. Fontana, invece, contestando a Clavero un'impostazione eccessivamente giuridica e ancorata al marxismo strutturalista, non riteneva molto utile impiegare quel concetto (B. Clavero, Para un concepto de revolución burguesa, in « Sistema» , 13, 1976, pp. 35-54, e Pol&iacutetica de un problema: la revolución burguesa, in Clavero, Ruiz Torres y Hernandez Montalban, Estudios sobre la Revolución burguesa en Espa&ntildea, Madrid, Siglo XXI, 1979, pp. 1-48; J. Fontana Lazaro, Sobre Revoluciones burguesas y Autos de Fe, in « Mientras tanto» , 1, 1979, pp. 25-32).

4 Rappresentativi di questa corrente critica J. Alvarez Junco, A vueltas con la Revolución burguesa, in « Zona Abierta» , n. 36/37, Madrid, 1987, pp. 81-106, e S. Julia, En torno al Problema de la Transición, in Cambios sociales y Modernización, « Revista de Historia Contemporánea» , vol. 4, 1990, pp. 123-132.

5 Nell'ambito della storia politica vanno segnalati i lavori di I. Burdiel, La pol&iacutetica de los notables. Moderados y avanzados durante el R&eacutegimen del Estatuto Real (1834-1836), Valencia, Institució de Alfons el Magn&agravenim, 1987; I. Castells, La utop&iacutea insurreccional del liberalismo. Torrijos y las conspiraciones liberales de la d&eacutecada ominosa (1823-1831), Barcelona, Cr&iacutetica, 1989; A. M. Garc&iacutea Rovira, La revolució liberal a Espanya i les classes populars (1832-1835), Vic, Eumo, 1989; A. Gil Novales, Del Antiguo al Nuevo R&eacutegimen en Espa&ntildea, Caracas, Biblioteca de la Academia Nacional de la Historia, 1986. Tra le numerose monografie sulla crisi dell'antico regime, valgano da esempio quelle di A. M. Bernal, La lucha por la tierra en la crisis del Antiguo R&eacutegimen, Madrid, Taurus, 1979; J. R. Diez Espinosa, Revolución liberal en Castilla, Madrid, Universidad de Valladolid, 1987; J. M. Donezar, Riqueza y propiedad en la Castilla del Antiguo R&eacutegimen, Madrid, Instituto de Estudios Agrarios, 1984; J. Millán, Rentistas y campesinos, Alicante, Instituto de Cultura Juan Gil-Albert, 1984; M. T. Perez Picazo y G. Lemeunier, El proceso de modernización de la región murciana (ss. XVI-XIX), Murcia, Ed. Regional de Murcia, 1984; P. Ruiz Torres, Se&ntildeores y propietarios, Valencia, Institució Alfons el Magn&agravenim, 1981; R. Villares, La propiedad de la tierra en Galicia, 1500-1936, Madrid, Siglo XXI, 1982.

6 Ne sono esempio i saggi raccolti negli atti dei convegni su El Jacobinisme. Reacció i Revolució a Catalunya i a Espanya, 1789-1837, Barcelona, Universitat Autónoma de Barcelona, 1990, e La Revolució Francesa i el Proc&eacutes revolucionari a Catalunya i al Pa&iacutes Valencià, Barcelona, Universitat Autónoma de Barcelona, 1990; nonché i lavori innovativi di M. C. Romeo, Entre el orden y la Revolución, Alicante, Instituto de Cultura Juan Gil-Albert, 1993 e, della stessa autrice, Liberalismo y Revolución en Espa&ntildea: a propósito del Trienio liberal, in El liberalismo en Espa&ntildea, 1808-1823, « Bulletin d'Histoire Contemporaine de l'Espagne» , giugno 1992, pp. 71-88.

7 Va particolarmente segnalato in tal senso P. Ruiz Torres, Del Antiguo al Nuevo R&eacutegimen: carácter de la transformación, in Antiguo R&eacutegimen y liberalismo. Homenaje a Miguel Artola, I, Visiones generales, Madrid, Alianza Editoriale, 1994, pp. 159-192, al quale deve molto il presente lavoro.

8 È la conclusione, tra gli altri, di A. Shubert, Historia social de Espa&ntildea (1800-1990), Madrid, Nerea, 1991, p. 18.

9 Mi riferisco a D. Blackbourn and G. Eley, The Peculiarities of German History. Bourgeois Society and Politics in Nineteenth-Century Germany,Oxford-New York, Oxford University Press, 1984.

10 Nella vasta bibliografia sul primo liberalismo e sulle Cortes di Cadice si segnalano i lavori di J. Varela Suanzes Carpegna, La teor&iacutea del Estado en los or&iacutegenes del constitucionalismo hispan&iacuteco (Las Cortes de Cádiz), Madrid, Centro de Estudios Constitucionales, 1983, e La Constitución de Cádiz y el liberalismo espa&ntildeol del siglo XIX, in « Revista de las Cortes Generales» , 10, 1987, pp. 27-109. Inoltre: X. Arbos, La idea de Nació en el primer constitucionalismo espanyol, Barcelona, Curial, 1986; Las Cortes de Cádiz, ed. por M. Artola, « Ayer» , 1, 1991; A. Derozier, Quintana y el nacimiento del liberalismo espa&ntildeol, Madrid, Turner, 1978; A. Elorza, La ideolog&iacutea liberal en la Ilustración espa&ntildeola, Madrid, Tecnos, 1970; il numero straordinario di « Gades» per il CLXXV anniversario della Costituzione del 1812, Cádiz, Diputación de Cádiz, 1987; E. La Parra, El primer liberalismo y la Iglesia, Alicante, Instituto de Cultura Juan Gil-Albert, 1985; M. Martinez Sospedra, La Constitución de 1812 y el primer liberalismo espa&ntildeol, Valencia, Cátedra Fadrique Furio Cerol, 1978; R. Solis, El Cádiz de las Cortes, Madrid, Instituto de Estudios Pol&iacuteticos, 1958; F. Suarez Verdeguer, La Cortes de Cádiz, Madrid, Rialp, 1982.

11 E. Martinez Quinteiro, Los grupos liberales antes de las Cortes de Cádiz, Madrid, Narcea, 1977; A. Elorza, La ideolog&iacutea liberal en la Ilustración espa&ntildeola,cit.; G. Dufour, De la Ilustración al liberalismo, in La Ilustración espa&ntildeola, Alicante, Instituto de Cultura Juan Gil-Albert, 1986.

12 A. Gil Novales, Ilustración y liberalismo en Espa&ntildea, in Del Antiguo al Nuevo R&eacutegimen, cit., pp. 53-71.

13 Fondamentali al riguardo i lavori di P. Vilar, Patria i Nació en el vocabulari de la Guerra contra Napoleó, in Assaigs sobre la Catalunya del segle XIX, Barcelona, Curial, 1973, e M. C. Seoane, El primer lenguaje constitucional espa&ntildeol, Madrid, Moneda y Cr&eacutedito, 1968. Si veda anche l'interessante saggio sul primo liberalismo spagnolo di P. Vilar, Lib&eacuteralisme politique et lib&eacuteralisme &eacuteconomique dans l'Espagne du XIXe si&egravecle, in O liberalismo na Pen&iacutensula Ib&eacuterica na primeira metade do s&eacuteculo XIX, Lisboa, Sá da Costa Editora, 1982, vol. II, pp. 1-22.

14 Si veda M. Martí, La Revolució liberal en perspectiva, in « Re&ccedilerques» , n. 28, Hist&ograveria de la burgesia: revisió y noves visions, pp. 97-103, e il già citato articolo di M. C. Romeo, Liberalismo y Revolución en Espa&ntildea, pp. 77-78, che insiste sulla questione in una prospettiva comparativa europea. Si veda in tal senso anche il già citato volume dello stesso autore, Entre el orden y la Revolución.

15 Sui termini generici di « borghesia» e « classi medie» si vedano soprattutto gli Atti del Convegno internazionale organizzato dall'Instituto de Estudios Ib&eacutericos di Bordeaux, La question de la « bourgeoisie» dans le monde hispanique au XIX&egraveme si&egravecle, Bordeaux, Bi&egravere, 1973, e J. F. Fuentes, Clase media y burgues&iacutea en la Espa&ntildea liberal (1803-1874): ensayo de conceptualización, in « Historia Social» , 1993, n. 17, pp. 47-61.

16 Sulla borghesia catalana studi pionieristici sono stati quelli di J. Vicens Vives e Josep Fontana. Quest'ultimo, nel suo Quiebra de la Monarqu&iacutea Absoluta, Barcelona, Ariel, 1978, elaborò un modello spagnolo di crisi dell'antico regime, fondato sulla crisi finanziaria dell'assolutismo e sulle ripercussioni della perdita delle colonie sulla « presa di coscienza» della borghesia catalana, spinta a riconvertirsi verso la creazione di un mercato interno. Lavori successivi hanno portato a sfumare questo schema, ridimensionando (come in seguito ha fatto lo stesso Fontana) le conseguenze negative della perdita delle colonie sul medio e sul lungo periodo: L. Prados de la Escosura, De imperio a nación. Crecimiento y atraso económico en Espa&ntildea, 1780-1930, Madrid, Alianza, 1988, e J. M. Fradera, Industria i mercat (1814-1845), Barcelona, Cr&iacutetica, 1987. Un recente numero monografico della rivista « Afers» , n. 16, vol. VIII, 1993, è dedicato al tema La burgesia dels Pa&iumlsos Catalans al segle XIX: da segnalare il bilancio sulla borghesia catalana nel XIX secolo di A. Sola, pp. 419-438. Sulla borghesia mercantile andalusa si vedano A. Garc&iacutea-Baquero, Comercio colonial, acumulación capitalista y desindustrialización en la Baja Andaluc&iacutea: el caso de Cádiz en el siglo XVIII, in Actas del I Congreso de Historia de Andaluc&iacutea (Edad Moderna), Córdoba, 1978; La burgues&iacutea mercantil gaditana (1650-1868), Cádiz, Diputación de Cádiz, 1976 e, per un periodo successivo, A. Ramos Santana, La burgues&iacutea gaditana en la &eacutepoca isabelina, Jerez, Catedra Adolfo de Castro, Fundación Municipal de Cultura, 1988.

17 P. Ruiz Torres ha insistito in numerosi lavori sulla varietà di situazioni esistenti tra i gruppi privilegiati e borghesi a ridosso della rivoluzione liberale: si veda il piú recente Del Antiguo al Nuevo R&eacutegimen,cit., pp. 187-191. Sulla complessità delle strutture agrarie, offrono un contributo innovativo i saggi raccolti a cura di P. Saavedra e R. Villares, Se&ntildeores y campesinos en la Pen&iacutensula Ib&eacuterica, siglos XVIII-XX, 2 voll., Barcelona, Consello da Cultura Galega y Editorial Cr&iacutetica, 1991.

18 È la tesi che già sostenne anche M. Artola nel suo classico lavoro Antiguo R&eacutegimen y revolución liberal, Barcelona, Ariel-Fundación Juan March, 1978, riedito nel 1983.

19 Sono le conclusioni di J. Kocka e A. M. Banti nei saggi pubblicati nel già citato numero monografico di « Re&ccedilerques» , pp. 9-41.