next essay previous article indice volumeStudi Storici 1, gennaio-marzo 1995 anno 36


LA RIVOLUZIONE FRANCESE E LA SCOPERTA DELLA POLITICA*

Anna Maria Rao

1. Stato, nazione, rivoluzione.
La storiografia italiana sull'età moderna ha sempre dovuto fare i conti con una storia d'Italia disunita e frammentata, costantemente esposta al rischio di un ribaltamento anacronistico sull'antico regime di un'idea di unità molto piú recente sul piano politico e istituzionale che per altri paesi. La questione ha lungamente assillato i nostri studi fin dal tempo di Croce1, per poi sonnecchiare, a partire dagli anni Settanta, dietro un'esplosione di studi regionali che, recependo la giusta preoccupazione di evitare l'anacronismo, hanno poi finito anche per rinchiudersi eccessivamente all'interno dei confini del proprio territorio e dell'« antico Stato italiano» prescelto: con la conseguenza, troppo spesso, di una quasi totale mancanza di comunicazioni tra un territorio e l'altro, tra una tradizione storiografica e l'altra e, soprattutto, tra i rispettivi linguaggi, istituzionali, economici, sociali. Sicché, manchiamo ancora totalmente, ad esempio, di un lessico istituzionale comparato, che ci faccia cogliere meglio di quanto non sia ora possibile le peculiarità ma anche i tratti comuni negli sviluppi delle strutture statuali e delle dinamiche politiche tra il Piemonte e Napoli, o Venezia e la Toscana. E ci impediamo di cogliere — perfino per la fase settecentesca, quando questi fenomeni diventano piú immediatamente percepibili e indissociabili dalla storia dei singoli Stati — un aspetto essenziale della loro storia moderna: i rapporti di continua circolazione e di scambio non solo sui terreni, apparentemente piú evidenti, della cultura o dell'economia, ma anche su quello dei progetti politici e degli interventi amministrativi2. Anche su questo piano, « l'Italia prima d'Italia» era forse meno disunita di quanto non si creda.

Viceversa, l'unitarietà di altre esperienze storiche appare quasi naturale, ancorata ad una dimensione territoriale assunta come dato originario e naturale piuttosto che come, a sua volta, oggetto di costruzione e di elaborazione materiale e culturale. Può apparire perciò sorprendente che si possa parlare di « disunità di Francia» : non è certo la « diversità» la chiave prevalente di lettura di una storia di Francia che, soprattutto — ma non solo — nei manuali, viene anzi presentata come il prototipo dello Stato nazionale moderno, tra i primi, se non il primo, a formarsi sulla base di un processo di unificazione territoriale piuttosto precoce, relativamente rapido, e quasi indolore, malgrado « parentesi» sanguinose come guerre di religione e Fronde, considerate pertinenti alla sfera del conflitto religioso, politico, sociale piuttosto che territoriale. L'immagine unitaria dello spazio francese è appena incrinata dalle variabili della sua periodizzazione: unificazione e centralizzazione realizzate appieno dall'assolutismo colbertiano, rispetto alle quali l'« episodio» rivoluzionario non avrebbe fatto che da conferma, o da ulteriore temporanea parentesi, ancora una volta segnata da conflitti attinenti alla politica o alla società piuttosto che alle divisioni territoriali; oppure, unificazione e centralizzazione tendenziali, imperfette, che soltanto la rivoluzione avrebbe portato a pieno compimento, agendo da momento fondatore della nazione francese grazie al centralismo giacobino prima, e poi, soprattutto, a quello napoleonico.

Manualistica e modellistica storica stentano a far proprie le indicazioni di segno diverso che nell'ultimo cinquantennio si sono andate accumulando nella storiografia francese e in quella anglosassone. Stentano a modificare le immagini delle singole storie nazionali — ancora per larga parte, magari inconsapevolmente, costruite sul modello ottocentesco di Stato nazionale unitario e sulle gerarchie che quel modello implicava sul piano europeo tra paesi primi ed ultimi arrivati — alla luce degli studi piú recenti, che tendono a mettere in rilievo piuttosto le vischiosità dei processi di formazione dello Stato, e la lunga durata di tradizioni, autonomie, conflitti, resistenze e condizionamenti, all'interno dei singoli Stati3. Segno dei tempi, certo, che queste tradizioni e autonomie spingono a metterle in rilievo per esaltarle o per condannarle4: ma questo è altro problema.

Eppure l'accumularsi delle monografie su scala provinciale o piú generalmente « locale» — in riferimento alle diverse circoscrizioni storiche, province, « paesi» , dipartimenti, regioni — che ha cosí profondamente caratterizzato la storiografia francese del nostro secoloe5, soprattutto, la piú recente applicazione di questa scala anche alla storia di istituzioni e realtà amministrative piú frequentemente, in passato, trattate in una prospettiva nazionale e fortemente centralistica6, hanno portato ormai ad una ricostruzione della storia di Francia molto piú sfumata e articolata nei suoi diversi livelli territoriali, e nel complesso intreccio di relazioni tra « centro» e « periferia» . Le stesse categorie di « centro» e « periferia» si sono andate a loro volta rivelando sempre piú inadeguate di fronte a un gioco di equilibri, tensioni, compromessi, rapporti di potere non riconducibili certo a quella semplice dicotomia, né ad una frontale contrapposizione tra Stato e società7: è il caso, per richiamare solo alcuni ambiti di ricerca, dell'amministrazione della giustizia, da tempo riveduto e corretto dagli studi di Yves e Nicole Castan8, delle città e dei governi cittadini9, delle aristocrazie provincialie10, soprattutto, degli intendenti, la cui immagine di agenti regi calati dall'alto sulle realtà locali, sí da realizzare un rigoroso accentramento, è stata profondamente rivista, e ricondotta in maniera convincente ad una dimensione per larga parte mitica11. E proprio la Francia è stata nell'ultimo decennio investita da studi e ipotesi interpretative che tendono quasi a dissolvere la categoria stessa di Stato, privilegiando una lettura dei rapporti di potere e delle dinamiche sociali quasi interamente ricondotti a lotte di fazione e reti di relazioni fondate su legami di parentela e di clientela12.

Che la Francia fosse disunita, lo dissero ripetutamente gli uomini del tempo della rivoluzione, invitando a superare le tante differenze che, a detta di Mirabeau, ne facevano un « aggregato informe di popoli disuniti» . 13E che la Francia « si chiamasse diversità» , una diversità non solo geografica, come quella evidenziata da Vidal de la Blache nel suo Tableau del 190314, la storiografia francese lo è andata mettendo in rilievo da molto tempo. Lo ribadí nel 1946 Lucien Febvre15, e l'ultimo Braudel di quella diversità ha fornito una suggestiva ricostruzione nello spazio e nella storia, alla ricerca di una identità fatta tutta di differenze16.

Braudel, con sofferta consapevolezza degli aspetti anche drammatici della vicenda della formazione dello Stato, una consapevolezza analoga a quella, tutt'altro che giustificatoria, del permanere delle disuguaglianze e delle gerarchie sociali17, del processo di unificazione territoriale dello Stato francese metteva in rilievo un elemento fondamentale, non ancora pienamente recepito sul terreno comparativo nel dibattito sulla formazione dello Stato: la conquista da parte di un centro18. Una conquista « dall'alto» di territori e poteri, intendiamoci, non realizzata una volta per tutte, segnata anzi da tappe, ritorni, mediazioni, « compromessi storici» e forme di integrazione di poteri cetuali o territoriali, tali da configurarla, a seconda dei luoghi e dei momenti, anche come processo inverso di « conquista dal basso» .19

Anche nella storiografia anglosassone, del resto, le indagini sulle differenze territoriali e sui rapporti tra poteri centrali e poteri locali hanno spinto a dare risalto sempre maggiore alle diversità e ai compromessi piuttosto che all'unità e all'accentramento nel processo di formazione dello Stato, spingendosi a considerarlo, anche nel caso inglese, come un processo di conquista interna, avviato e realizzato a partire da un « centro» . 20Fenomeni che sono solitamente apparsi e continuano ad apparire piú evidenti per realtà come la Spagna — e l'Italia spagnola — che non per la Francia e l'Inghilterra; e che la storiografia italiana ha tutt'altro che ignorato21, ma per lo piú facendone piuttosto il tratto distintivo della formazione soprattutto degli Stati italiani22.

Gli studi recenti sulla Francia e sull'Inghilterra e gli sforzi di comparazione su scala europea stanno apportando elementi di forte revisione delle tipologie che sembravano ormai acquisite nel dibattito sulla formazione degli Stati nell'Europa moderna. È il caso, ancora, della Gran Bretagna, tradizionalmente considerata come esempio di Stato « debole» rispetto ai partner continentali, debolmente burocratizzato, scarsamente militarizzato, caratterizzato da un sostanziale decentramento delle funzioni amministrative, ben diverso dunque dal modello corrente dell'assolutismo francese. Ma ora anche questa immagine viene profondamente rinnovata, se non ribaltata, dallo studio dell'impegno militare e fiscale dello Stato inglese nel XVIII secolo: un impegno che portò alla formazione di un apparato finanziario altrettanto rilevante sul piano quantitativo di quello di paesi come la Spagna, la Francia o la Prussia, pur all'interno di un sistema politico parlamentare fondato sulla difesa della libertà personale e della proprietà, smentendo in tal modo la presunta necessità del nesso tra impegno militare e assolutismo23. Anche per lo Stato inglese, accanto alla ricerca degli elementi e dei momenti di formazione di una identità nazionale24, si sottolineano sempre di piú le differenze territoriali interne, il suo carattere, nel XVIII secolo, di « unità politica federale precaria e di recente formazione» , 25fondata su un complesso intreccio di competenze fra livello centrale e locale26, di insieme di province che all'interno della compagine statuale non avevano uno statuto molto diverso tra di loro, che si trattasse della vicina Scozia o delle piú lontane colonie d'America27.

Col mutare dei termini dell'indagine storica e politologica sullo Stato, e con la ripresa di interesse per il rapporto tra Stato e nazione28, le tipologie acquisite sulla formazione degli Stati europei nell'età moderna appaiono dunque anch'esse in corso di revisione. Non è un caso che il cambiamento di prospettive, nel tempo e nello spazio, porti a vedere lo Stato inglese meno « debole» e quello francese meno « forte» , ed entrambi meno « unitari» , di quanto non fossero tradizionalmente considerati in passato.

In un testo risalente al 1967, ma solo recentemente pubblicato, Denis Richet, come piú tardi avrebbe fatto Braudel, progettando una storia di Francia e riflettendo sul concetto di frontiera, riandava al trattato di Verdun come momento fondatore di confini che sarebbero rimasti immutati fino al 1461, e che dopo di allora avrebbero conosciuto vicende alterne, ampliamenti e annessioni, restando tuttavia mobili e permeabili29. Di questo Royaume de France, costruitosi dalla metà del Quattrocento attraverso non tanto un conflitto tra re e feudalità, ma una vera e propria guerra tra Stati diversi30, anche Richet sottolineava le irriducibili diversità, il peso di quelli che vedeva in termini di particolarismi, di differenze regionali tutt'altro che riconducibili a mero folclore31, tali, anzi, da indurlo vent'anni dopo, sulla scorta dello stesso Braudel, a non riconoscere che un solo fattore essenziale di coesione nella storia della monarchia francese: il potere del re, un potere che proprio nella pluralità delle France, sul piano economico, demografico, linguistico, giuridico, istituzionale, aveva forse trovato il principale fattore del proprio rafforzamento32.

In Richet, come in Braudel, sulle tracce della diversità francese, ma anche della sua identità, il momento rivoluzionario appariva solo di sfuggita: momento di una unificazione piú celebrata che realizzata, unificazione illusoria, per Braudel, all'interno di un plurisecolare cammino verso l'unità che solo le ferrovie e la scuola elementare avrebbero realmente consentito di realizzare, e non del tutto33; tappa mistificatrice, per Richet, né distruttrice né creatrice, poiché i rivoluzionari non avevano piú nessun antico regime da rovesciare, e dell'antico regime non furono che gli esecutori testamentari34. Repubblica « una e divisibile» , quella creata dalla rivoluzione, secondo l'espressione di Yves Florenne piaciuta tanto a Braudel quanto a Richet35.

E allora, l'unità di Francia, un'unità tutta statuale sovrapposta ad una molteplicità di differenze geografiche, culturali, religiose, fu già totalmente realizzata dalla monarchia assoluta e solo confermata dalla rivoluzione, come inclinava a credere, non senza qualche contraddizione, Denis Richet, e con lui Fran&ccedilois Furet, sulla scorta di un modello interpretativo attinto a Tocqueville? 36 Oppure unità mai realmente conseguita, né dalla monarchia né dalla rivoluzione? Non è il caso di insistere sull'interesse cruciale di una questione che investe nodi fondamentali del dibattito storiografico del nostro secolo in tema tanto di Stato quanto di rivoluzione. Ma è proprio questa a fare da sfondo al lavoro di Michel Vovelle di cui si dà conto: lavoro sulla rivoluzione certo, ma una rivoluzione immersa nei processi di lunga durata di formazione e dello Stato e della nazione.

Anche la riflessione sulla nazione, cui Vovelle si richiama fin dall'apertura del suo volume37, non costituisce certo una novità nella storiografia francese. Al cuore della storiografia ottocentesca, ancora agli inizi del nostro secolo essa costituiva il principio ispiratore della monumentale Histoire de France progettata e diretta da Ernest Lavisse. Nei volumi da lui dedicati nel 1905-1906 alla Francia di Luigi XIV, i temi dell'unità e dell'identità nazionali figuravano come motivo principale di lettura della monarchia assoluta in una prospettiva di lunghissima durata e la rivoluzione occupava un posto fondamentale nel passaggio da una unità che risiedeva soltanto nella regalità, fino a quando la Francia aveva avuto un re degno di questo nome, ad una vera unità nazionale, fondata su una volontà unanime, sancita dalla festa della Federazione del 14 luglio 179038.

La « nuova storia» 39 sembrava invece aver quasi definitivamente espunto dai propri interessi la questione nazionale. Tra i motivi del suo rigetto per la storia della rivoluzione francese figurava, appunto, il rimprovero di essere troppo legata a preoccupazioni di tipo nazionale40, cosí come negli anni Settanta si rimproverava alla storiografia italiana di essere stata eccessivamente assillata dalle questioni del Risorgimento e dell'unità nazionale. Rimprovero precipitoso, visto il risveglio di interesse per la questione nazionale che dalla metà degli anni Ottanta ha investito in misura crescente gli stessi ambiti storiografici che in passato la respingevano come obsoleta o fuorviante o troppo legata ad una visione politica ed &eacutev&eacutenementielle della storia. Ne sono esempio non solo l'ultima, già ricordata, produzione di Fernand Braudel41, ma anche e soprattutto i poderosi volumi dedicati a La Nation nella collana diretta da Pierre Nora sui Lieux de m&eacutemoire. La ricerca dell'identità nazionale, in questo caso, non insiste tanto sulla « diversità» , come elemento caratterizzante in maniera particolare la storia e la geografia della Francia, ma piuttosto, in esplicita contrapposizione con il metodo seguito da Braudel, sulla individuazione di elementi piú specifici del farsi di una nazione, ricercati soprattutto sul terreno delle rappresentazioni simboliche e della memoria, in particolare quelle ancorate alla nozione di frontiera, individuata tra gli elementi piú precocemente e piú a lungo caratterizzanti la storia di Francia rispetto alla storia di altri paesi europei42. Ma non è tanto nel metodo l'interesse dei volumi curati da Pierre Nora, quanto nella esplicita rivendicazione del contributo fornito dalla storiografia delle « Annales» al rinnovamento della « memoria nazionale» : 43che la cinquantennale battaglia condotta dalla rivista contro la storia degli eventi abbia indotto un « discredito del nazionale» è in realtà, si afferma ora, soltanto un'illusione ottica44. Da Vidal de la Blache a Lucien Febvre a Marc Bloch, anche la nuova storia, dunque, sarebbe stata percorsa da uno stesso interrogativo di fondo: capire come e perché si fosse formata la Francia. « Che cos'è la Francia?» , e « che cosa è una nazione?» erano le questioni che si poneva nel 1903 Vidal de la Blache45, riprendendone la formulazione resa celebre da Ernest Renan46. Le poneva di nuovo Lucien Febvre nel 1933, parafrasando Vidal de la Blache, e quasi formulando il programma di ricerca che Braudel avrebbe a sua volta raccolto cinquant'anni piú tardi: « cercare come e perché dei territori eterogenei, che nessun decreto della Provvidenza destinava ad unirsi in un certo insieme, hanno finito col formare questo insieme» .47

Processo plurisecolare, dunque, quello della realizzazione di uno Stato e di uno spazio nazionale francesi: è quel che ci ricorda Michel Vovelle proprio in apertura di un lavoro che è un lungo viaggio attraverso la diversità, e in un momento, quello rivoluzionario, di cui tanto controverso è il ruolo occupato nella lunga durata. Un ruolo considerato marginale o trascurabile, se non inesplicabile, sia nell'interpretazione della via francese allo Stato « moderno» come già interamente percorsa dalla monarchia assoluta; sia nella ricerca dei modi di realizzazione di un'unità nazionale a sua volta risolta o nell'unità monarchica o nel plurisecolare retaggio di esperienze comuni, tra le quali quella rivoluzionaria fu solo una fra le tante48.

La scelta di Vovelle è invece proprio quella di fermare sul tempo breve del decennio rivoluzionario la sua indagine su come si sia andato formando lo spazio nazionale francese, ma ancorandola rigorosamente ai problemi e ai processi di lunga durata. È, al tempo stesso, la scelta di vedere quale ruolo assuma la politica nella creazione di questo spazio nazionale, e come lo assuma: scelta quasi obbligata, se è vero, come è andata ripetutamente osservando la storiografia degli ultimi anni, che fu la politica la grande « scoperta» del tempo della rivoluzione


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Anna Maria Rao , La rivoluzione francese e la scoperta della politica


* Le considerazioni qui svolte riprendono parzialmente, in forma notevolmente ampliata e integrata nell'apparato bibliografico, la mia Prefazione all'ed. it. di M. Vovelle, La d&eacutecouverte de la politique. G&eacuteopolitique de la r&eacutevolution fran&ccedilaise, Paris, La D&eacutecouverte, 1993, trad. it. La scoperta della politica. Geopolitica della Rivoluzione francese, Bari, Edipuglia, 1995. Per questo studio ho utilizzato contributi per la ricerca scientifica del ministero dell'Università della ricerca scientifica e tecnologica (40%).

1 Si veda per tutti il bilancio tracciato da G. Galasso, L'Italia come problema storiografico, Torino, Utet, 1981.

2 Un tentativo coraggioso è quello di A. Spagnoletti, Stato, aristocrazie e ordine di Malta nell'Italia moderna, Roma, « Collection de l'Ecole fran&ccedilaise de Rome» , 111, 1988, che ricostruisce la circolazione di modelli nobiliari e la formazione di reti di relazioni nobiliari interstatuali o « sopranazionali» . Ed è ancora in tema di nobiltà che troviamo nello stesso anno una considerazione complessiva degli Stati italiani: C. Donati, L'idea di nobiltà in Italia. Secoli XIV-XVIII, Roma-Bari, Laterza, 1988.

3 Sulla accentuazione delle diversità regionali e culturali rispetto alla considerazione quasi metafisica dello Stato ottocentesco si veda il bilancio di W. Blockmans, Les origines des États modernes en Europe, XIIIe-XVIIIe si&egravecles: &eacutetat de la question et perspectives, in Visions sur le d&eacuteveloppement des États europ&eacuteens. Th&eacuteories et historiographies de l'Etat moderne, Actes du Colloque organisé par la Fondation europ&eacuteenne de la science et l'Ecole fran&ccedilaise de Rome, Rome, 18-31 mars 1990, &eacuted. par W. Blockmans et J.-Ph. Genet, Roma, « Collection de l'Ecole fran&ccedilaise de Rome» , 171, 1993, pp. 1-14. Sul ruolo paradigmatico generalmente attribuito al caso francese cfr. H. Daalder, Centres, bureaucraties et le d&eacuteveloppement des gouvernements d&eacutemocratiques stables, ivi, pp. 71-93.

4 Si veda, ad esempio, l'esaltazione delle « piccole patrie» e delle loro « autentiche libertà» , conculcate tanto dalla « aggressione acculturatrice della grande Rivoluzione dei manuali» quanto da una storiografia colpita da « volontaria amnesia» , compiuta da P. Chaunu, Pr&eacuteface a Y. Durand, Vivre au pays au XVIIIe si&egravecle. Essai sur la notion de pays dans l'ouest de la France, Paris, Puf, 1984, pp. 9-14, forzando peraltro, almeno in parte, le conclusioni dell'autore e il senso della sua ricerca.

5 Sul significato e sul ruolo assunto dalla « storia regionale» in Francia, da Lucien Febvre in poi, si vedano le recenti approfondite considerazioni di B. M&uumlller, Lucien Febvre et l'histoire r&eacutegionale, in « Rivista di storia della storiografia moderna» , XIV, 1993, pp. 23-41. Si vedano anche K. Pomian, L'heure des Annales. La terre-les hommes-le monde, in Les lieux de m&eacutemoire, sous la direction de P. Nora, II, La Nation, 1, Paris, Gallimard, 1986, in particolare pp. 390-399 e, per un confronto con la storiografia italiana, M. A. Visceglia, Regioni e storia regionale nel Mezzogiorno d'Italia: Note per un profilo storiografico, in Dimenticare Croce? Studi e orientamenti di storia del Mezzogiorno, a cura di A. Musi, Napoli, Esi, 1991, pp. 13-41.

6 Sui limiti di una storia dello Stato concepito come blocco e identificato con la categoria dell'accentramento, cfr. ora P. Rosanvallon, L'Etat en France de 1789 à nos jours, Paris, Seuil, 1990, in particolare pp. 11-16: ma tutto il volume costituisce un'importante messa a punto critica del problema.

7 Il tema dei rapporti tra Stato e società, visti in termini di distinzione o di « interazione» o di separazione soltanto illusoria, continua ad occupare un posto nodale nel dibattito storiografico e sociologico sullo Stato e sulla sua definizione concettuale: per una recente discussione tra scienziati politici, con un ampio apparato bibliografico, si vedano gli interventi di John Bendix, Bartholomew Sparrow, Bertell Ollman e la replica di Timothy Mitchell sotto il titolo Going beyond the State?, in « American Political Science Review» , 86, 1992, pp. 1007-1021, a proposito dell'articolo dello stesso T. Mitchell, The Limits of the State: Beyond Statist Approaches and Their Critics, pubblicato ivi, 85, 1991, pp. 77-96; per un sintetico bilancio della questione, R. Bonney, L'absolutisme, Paris, Puf (« Que sais-je?» ), 1989, in particolare pp. 95-118; un'ampia rassegna delle teorie storiche e sociologiche sul tema della formazione dello Stato in Europa offre ora anche T. Ertman, « The Sinews of Power» and European-State Building Theory, in An Imperial State at War. Britain from 1689 to 1815, ed. by L. Stone, London-New York, Routledge, 1994, pp. 33-51.

8 Y. Castan, Honnêteté et relations sociales en Languedoc 1715-1780, Paris, 1974; N. Castan, Justice et repression en Languedoc à l'&eacutepoque des Lumi&egraveres, Paris, 1980.

9 J. C. Perrot, Gen&egravese d'une ville moderne. Caen au XVIIIe si&egravecle, Paris-La Haye, 1975; R. Descimon, L'&eacutechevinage parisien sous Henri IV (1594-1609). Autonomie urbaine, conflits politiques et exclusives sociales, in La ville, la bourgeoisie et la gen&egravese de l'Etat moderne (XIIe-XVIIIe si&egravecles), Actes du colloque de Bielefeld (29 novembre-1er d&eacutecembre 1985), &eacuted. par N. Bulst et J.-Ph. Genet, Paris, Ed. du Cnrs, 1988, pp. 113-150; B. Lepetit, Les villes dans la France moderne. 1740-1840, Paris, Albin Michel, 1988; P. Guignet, Le pouvoir dans la ville au XVIIIe si&egravecle. Pratiques politiques, notabilité et &eacutethique sociale de part et d'autre de la fronti&egravere franco-belge, Paris, Ed. de l'Ehess, 1990; P. Benedict, ed., Cities and Social Change in Early Modern France, London, Unwin Hyman, 1990.

10 W. Beik, Absolutism and Society in Seventeenth-century France. State Power and Provincial Aristocracy in Languedoc, Cambridge, Cambridge University Press, 1985.

11 F.-X. Emmanuelli, Un mythe de l'absolutisme bourbonien. L'intendance du milieu du XVIIe si&egravecle à la fin du XVIIIe si&egravecle (France, Espagne, Am&eacuterique), Aix-en-Provence, 1981; F.-X. Emmanuelli, M. Lapied, C. Bonnet, La vie politique en Provence et en Comtat Venaissin, du XVIIe au d&eacutebut du XIXe si&egravecle, in « Revue historique» , CCLXXI, 1984, pp. 63-82; F.-X. Emmanuelli, Etat et pouvoirs dans la France des XVIe-XVIIe si&egravecles. La m&eacutetamorphose inachev&eacutee, Paris, Nathan, 1992.

12 Soprattutto negli studi di S. Kettering: Patrons, brokers and clients in seventeenth-century France, New York, Oxford University Press, 1986; Patronage and Politics during the Fronde, in « French historical studies» , XIV, 1986, pp. 409-446; The historical development of political clientelism, in « Journal of Interdisciplinary History» , 18, 1988, pp. 419-447; Gift-giving and patronage in Early Modern France, in « French History» , 2, 1988, pp. 131-151; The Decline of great noble clientage during the Reign of Louis XIV, in « Canadian Journal of History» , XXIV, 1989, pp. 157-177; Clientage During the French Wars of Religion, in « Sixteenth Century Journal» , XX, 1989, pp. 221-239; The patronage power of Early modern French Noblewomen, in « The Historical Journal» , 32, 1989, pp. 817-841. Cfr. inoltre J. Russell Major, The Revolt of 1620: A Study of Ties of Fidelity, in « French historical studies» , XIV, 1986, pp. 392-408, e E. Schalk, Clientage, Elites, and Absolutism in Seventeenth-Century France, ivi, pp. 442-446. Ma si vedano già J. Dent, The role of client&egraveles in the financial &eacutelite of France under Cardinal Mazarin, in French Governement and Society 1500-1850. Essays in Memory of Alfred Cobban, ed. by J. F. Bosher, London, Athlone Press of the University of London, 1973, pp. 41-69; K. M. Dunkley, Patronage and Power in Seventeenth-Century France: Richelieu's Clients and the Estates of Brittany, in « Parliaments, Estates and Representation» , 1, 1981, pp. 1-12. Sui legami di patronato come una delle vie possibili di integrazione delle province e di unificazione territoriale nello Stato francese, cfr. W. Beik, op. cit., particolarmente pp. 223 sgg.; R. Bonney, op. cit., pp. 105-109; il tema è invece assente nella recente sintesi di F. Bluche, L'Ancien R&eacutegime. Institutions et soci&eacuteté, Paris, Fallois, 1993. Piú in generale si vedano il numero di « Cheiron» , III, 1986, fasc. 3, dedicato a Padrini e clienti nell'Europa moderna, e l'ampia rassegna critica di F. Benigno, L'ombra del re. Ministri e lotta politica nella Spagna del Seicento, Venezia, 1992, pp. IX-XXXIV. Per una equilibrata posizione di riserva nei confronti della « tendenza oggi diffusa a risolvere interamente in termini di networks, parentele, clientele, processi di mobilità sociale che hanno anche ragioni politiche ed istituzionali» , cfr. E. Fasano Guarini, Per una prosopografia dei giudici di rota. Linee di una ricerca collettiva, in Grandi tribunali e rote nell'Italia di antico regime, a cura di M. Sbriccoli e A. Bettoni, Milano, Giuffré, 1993, p. 413 e nota 75. Il tema delle forme di « rappresentanza» territoriale che nello Stato di antico regime possono trovar posto sia per via istituzionale e nella forma della delega feudale, sia attraverso forme di patronato e clientele manca tuttavia di una adeguata specifica indagine sul lungo periodo. Per il caso italiano, indicazioni in tal senso si trovano nei saggi qui citati di E. Fasano Guarini; sulle forme di integrazione delle province nella monarchia napoletana, cfr. A. M. Rao, La Calabria nel Settecento, in Storia della Calabria moderna e contemporanea. Il lungo periodo, a cura di A. Placanica, Roma, Gangemi, 1992, pp. 303-410.

13 Cfr. M. Vovelle, La scoperta della politica, cit., pp. 2 e 27. Cfr. anche M. Ozouf, La R&eacutevolution fran&ccedilaise et l'id&eacutee de fraternité, nel suo L'homme r&eacuteg&eacuten&eacuteré. Essais sur la R&eacutevolution fran&ccedilaise, Paris, Gallimard, 1989, p. 168.

14 Cfr. J. Y. Guiomar, Le Tableau de la g&eacuteographie de la France de Vidal de la Blache, in La Nation, 1, cit., pp. 569-597.

15 L. Febvre, Que la France se nomme diversité. A propos de quelques &eacutetudes jurassiens, in « Annales Esc» , 1946, pp. 271-274.

16 F. Braudel, L'identità della Francia. Spazio e storia, trad. di G. Ferrara degli Uberti, Milano, Il Saggiatore, 1986; L'identità della Francia. Gli uomini e le cose, 2 tomi, ivi, 1988 (ed. or., L'identité de la France, Paris, Arthaud, 1986-1987, 3 voll.).

17 Si vedano in proposito le osservazioni di J. Boutier, Fernand Braudel et les structures du social, in Fernand Braudel: il mestiere di uno storico, a cura di B. Arcangeli e G. Muto, Napoli, Esi, 1988, pp. 91-109.

18 F. Braudel, L'identità della Francia. Spazio e storia, cit., pp. 104 e 288 sgg. « Ogni unità nazionale — concludeva Braudel — è sovrastruttura, ossia una rete gettata su regioni tra loro differenti. La rete fa capo alla mano che la tiene, ad un centro privilegiato. La diseguaglianza s'insedia dunque da sé. Io mi domando se c'è mai stata nel mondo una sola nazione che non sia dissimmetrica» (p. 293). Piú generalmente, sul tema, si vedano i saggi raccolti in L'Etat moderne: le droit, l'espace et les formes de l'Etat, Actes du colloque tenu à la Baume Les Aix, 11-12 ottobre 1984, &eacuted. par N. Coulet et J.-Ph. Genet, Paris, Ed. du Cnrs, 1990.

19 Si veda ancora la ricostruzione che ne fa F. Braudel, op. cit., in particolare alle pp. 64-72.

20 R. Mitchison, Lordship to Patronage Scotland 1603-1745, London, 1983; G. Williams, When was Wales?, London, 1984; P. Corrigan, D. Sayer, The great Arch. English State Formation as Cultural Revolution, Oxford, 1985; G. H. Jenkins, The Foundations of Modern Wales 1642-1780, Oxford, 1987; G. Williams, Recovery, Reorientation and Reformation: Wales c. 1415-1642, Oxford, 1987; G. E. Aylmer, The Peculiarities of the English State, in « Journal of Historical Sociology» , 3, 1990, pp. 91-108; Conquest and Coalescence. The Shaping of the State in Early Modern Europe, ed. by M. Greengrass, London, 1991. E si vedano ora soprattutto i saggi raccolti in An Imperial State at War, cit.

21 Sembrano ormai lontane e quasi dimenticate le efficaci considerazioni comparative, ispirate agli studi di Federico Chabod e di Pierre Vilar, svolte in apertura della allora tanto discussa Storia d'Italia Einaudi coordinata da Ruggiero Romano e Corrado Vivanti: si veda il vol. I, I caratteri originali, Torino, 1972, Presentazione dell'editore, in particolare pp. XXI-XXIII.

22 Ma si vedano le recenti considerazioni di E. Fasano Guarini, Lo stato di Cosimo III dalle testimonianze contemporanee agli attuali orientamenti di ricerca. Note introduttive, in La Toscana nell'età di Cosimo III, Firenze, Edifir, 1993, pp. 113-136, e la bibliografia ivi citata. La nozione di « compromessi storici» adoperata da Braudel in riferimento al rapporto tra monarchia e province in Francia ( op. cit., p. 67), ha a sua volta occupato un posto centrale nella ricostruzione della vicenda spagnola del Regno di Napoli di G. Galasso, come tratto specifico di una « via napoletana allo stato moderno» (G. Galasso, Intervista sulla storia di Napoli, a cura di P. Allum, Roma-Bari, Laterza, 1978, p. 40, ma il tema è il perno del suo Economia e società nella Calabria del Cinquecento, Napoli, L'arte tipografica, 1967, Napoli, Guida, 19923), espressione e lettura riprese da A. Musi, Mezzogiorno spagnolo. La via napoletana allo Stato moderno, Napoli, Guida, 1991. È comunque significativo che nella recente Introduzione ai saggi di B. Anatra, F. Benigno, A. Calabria, P. Fernandez Albaladejo, C. J. Hernando S&agravenchez, J. A. Marino, A. Musi, G. Muto, L. A. Ribot Garc&iacutea, B. Yun Casalilla, Nel sistema imperiale. L'Italia spagnola, a cura di A. Musi, Napoli, Esi, 1994, pp. 9-47, quasi a reagire alle tendenze sopra indicate, G. Galasso, pur ribadendo la nozione di « un &quotcompromesso storico" sui generis fra Monarchia e aristocrazia» (p. 34) come tratto peculiare di una monarchia spagnola al tempo stesso dinamica e conservatrice, a seconda dei luoghi e dei momenti, insista sul ruolo comunque « unificante e parificante» sul terreno istituzionale e amministrativo (p. 15) esercitato dalla monarchia spagnola, in Spagna come in Italia, dove anzi la creazione del Consejo de Italia « consacrava anche l'unitarietà assunta dallo spazio italiano nel quadro della grande politica europea» e il predominio spagnolo costituí, « in un certo qual modo, una seconda unificazione politica della penisola dopo quella preparatasi nel corso del secolo XII» (p. 23). Significativo anche di gerarchie consolidate il posto che viene assegnato alla Spagna nella tipologia europea dello Stato moderno: « Non è la Francia, e tanto meno è l'Inghilterra; ma non è neppure la Polonia, e tanto meno è la Russia» (p. 16).

23 Cfr. di J. Brewer, The Sinews of Power. War, money and the English state, 1688-1783, London, Unwin Hyman, 1989, e The Eighteenth-Century British State. Contexts and issues, in An Imperial State at War, cit., pp. 52-71; per una diversa analisi delle tipologie europee e delle loro ragioni, ancorata comunque a quella di Brewer, cfr. T. Ertman, op. cit.

24 Cfr. L. Colley, Britons: Forging the Nation 1707-1837, London and New Haven, 1993.

25 L. Stone, Introduction, in An Imperial State at War, cit., p. 4.

26 J. Innes, The Domestic face of the Military-Fiscal State. Government and society in Eighteenth-century Britain, ivi, pp. 96-127.

27 J. Robertson, Union, State and Empire. The Britain of 1707 in European Setting, ivi, pp. 224-257; N. C. Landsman, The Provinces and the Empire. Scotland, the American colonies and the development of British provincial identity, ivi, pp. 258-287.

28 Ne sono esempio, in Italia, anche i recenti numeri di « Limes. Rivista italiana di geopolitica» , 1994, n. 4, dedicato al tema A che serve l'Italia. Perché siamo una nazione, e di « Democrazia e diritto» , 1994, n. 2-3, dedicato ad una piú ampia e approfondita riflessione comparata sulla Nazione.

29 D. Richet, Le Royaume de France au XVIe si&egravecle(1967), nel suo De la R&eacuteforme à la R&eacutevolution. Etudes sur la France moderne, pr&eacuteface de P. Goubert, Paris, Aubier, 1991. Sullo stesso tema, cfr. F. Braudel, op. cit., pp. 295 sgg.

30 D. Richet, Le Royaume de France, cit., p. 376. Si veda in tal senso anche M. Jones, Le cas des Etats princiers: la Bretagne au Moyen &acircge, in L'Etat moderne: le droit, l'espace et les formes de l'&eacutetat, cit., pp. 129-142.

31 D. Richet, Le Royaume de France, cit., p. 350.

32 D. Richet, La monarchie au travail sur elle-même?, in The Political Culture of the Old Regime, ed. by K. M. Baker, Oxford, 1987, ora in De la R&eacuteforme à la R&eacutevolution, cit., p. 428.

33 F. Braudel, op. cit., pp. 11-13 e 31. Braudel, tuttavia, era « stato attratto e trattenuto dalla Rivoluzione del 1789, come tutti gli studenti di sinistra in quel periodo» , cioè nei primi anni Venti, per la redazione della tesi di maitrîse, Bar-le-Duc pendant les trois premi&egraveres ann&eacutees de la R&eacutevolution fran&ccedilaise(F. Braudel, Ecrits sur l'histoire II, Paris, 1990, trad. it., Scritti sulla storia II, Milano, Il Saggiatore, 1991, p. 6). E avrebbe piú tardi ripreso questo suo primo lavoro nella sua riflessione su geografia e storia, vedendo proprio nel periodo rivoluzionario il momento in cui la Lorena si integrò realmente alla Francia: « Il proletariato agrario della regione finí col trovare uno sbocco nell'esercito della Repubblica e dell'Impero [...] Fu la sua partecipazione all'avventura militare che lo integrò veramente e indissolubilmente alla Francia, riconosciuta come la nuova patria» . Il passo, tratto da F. Braudel, L'histoire, mesure du monde. Recueil de conf&eacuterences, 1943-44, II conferenza, Geohistoire: la soci&eacuteté, l'espace et le Temps, è citato da G. Gemelli, Fernand Braudel e l'Europa universale, prefazione di M. Aymard, Venezia, Marsilio, 1990, p. 49. Sullo studio e sul ruolo della rivoluzione francese negli anni Trenta si veda anche la testimonianza di P. Ari&egraves, Un historien du dimanche, Paris, Seuil, 1980, trad. it., Uno storico della domenica, a cura di M. A. Visceglia, Bari, Edipuglia, 1992, pp. 90-93.

34 D. Richet, Le Royaume de France, cit., p. 355; La monarchie au travail, cit., p. 444. Piú sfumata la lettura di Richet in La France moderne: l'esprit des institutions, Paris, Flammarion, 1973, che vedeva tuttavia nella rivoluzione l'espressione soprattutto delle &eacutelites parigine e delle grandi città, del liberalismo e dei Lumi (cfr. in particolare p. 180).

35 F. Braudel, L'identità, cit., p. 31; D. Richet, La monarchie au travail, cit., p. 428.

36 D. Richet, La France moderne: l'esprit des institutions, cit.; F. Furet, D. Richet, La R&eacutevolution fran&ccedilaise, Paris, Hachette, 1965, Fayard, 1973, trad. it., La Rivoluzione francese, Roma-Bari, Laterza, 1974; F. Furet, Penser la R&eacutevolution fran&ccedilaise, Paris, Gallimard, 1978, trad. it., Critica della Rivoluzione francese, Roma-Bari, Laterza, 1980. Ma va ora segnalata, in merito alle tesi di Tocqueville, e all'uso spesso distorto che se ne fa, e piú in generale sui problemi della formazione dello Stato in Francia, la recente riflessione di P. Rosanvallon, L'Etat en France, cit., in particolare pp. 19-20 e 275-276.

37 « &quotNascita di una nazione" potrebbe essere il titolo di questo saggio. Ma per un lavoro dedicato alla rivoluzione francese sarebbe un titolo troppo ambizioso, e molto discutibile: significherebbe privilegiare l'evento che segna simbolicamente l'affermazione della Francia moderna, e ignorare deliberatamente il cammino percorso, tra Medio evo e età moderna, da quello che fu un lungo processo di preparazione e di formazione» (M. Vovelle, La scoperta della politica, cit., p. 1).

38 Si veda l'ampio saggio dedicato alla questione da P. Nora, L'Histoire de France de Lavisse, in La nation, 1, cit., in particolare pp. 363-364. Si veda anche l'analoga interpretazione che dei Re taumaturghi di Bloch fornisce K. Pomian, L'heure des Annales, ivi, pp. 410-411.

39 Terminologia a sua volta ambigua, per la quale si rinvia comunque a La nuova storia, a cura di J. Le Goff, Milano, Mondadori, 1980, parziale trad. it. di La nouvelle histoire, sous la direction de J. Le Goff, R. Chartier et J. Revel, Paris, La Biblioth&egraveque du Cepl, 1978. Si veda inoltre P. Burke, Prologo: la nuova storia, passato e futuro, in La storiografia contemporanea, a cura dello stesso autore, Roma-Bari, Laterza, 1993 (ed. or., New Perspectives on Historical Writing, Cambridge, Policy Press, 1991), pp. 3-29.

40 Rimprovero ripreso da F. Furet, secondo il quale gli storici della rivoluzione, assillati dalla « questione delle origini» , facevano del 1789 la data di nascita della nazione francese, il momento fondatore di una nuova identità nazionale ( Penser la R&eacutevolution, cit., pp. 14-15).

41 La citata trilogia su L'identité de la France costituiva del resto, ha osservato Giuliana Gemelli, soltanto il punto di arrivo di un lungo « viaggio di ritorno attraverso la storia di Francia» (G. Gemelli, Fernand Braudel e l'Europa universale, cit., p. 30 nota 5).

42 P. Nora, Pr&eacutesentation a Les lieux de m&eacutemoire, La nation, 1, cit., pp. XIII-XIV.

43 Ivi, p. XII.

44 Ivi, p. 187: « A l'heure du bilan, c'est au contraire un prodigieux renouvellement du paysage national qui frappe» . Sul rapporto delle « Annales» con la storia nazionale si veda piú ampiamente K. Pomian, L'heure des Annales, cit., pp. 377-429 (in particolare pp. 399-411); sulle alterne vicende dell'« evento» nell'esperienza delle « Annales» cfr. M. Moretti, Fragments d'une analyse historiographique. Origines et premiers d&eacuteveloppements d'un « discours sur l'&eacutev&eacutenement» dans l'experience des « Annales», in L'&eacutev&eacutenement, Actes du Colloque organisé à Aix-en-Provence par le Centre Meridional d'histoire social, les 16, 17 et 18 septembre 1983, Aix-en-Provence, Ed. Université de Provence, 1986, pp. 183-202.

45 Cfr. J. Y. Guiomar, Le Tableau, cit., pp. 569-597.

46 Significativa anche la sua recente fortuna editoriale in Francia e in Italia: cfr. E. Renan, Qu'est-ce qu'une nation et autres essais politiques, Textes choisis et pr&eacutesent&eacutes par J. Roman, Paris, Agora, 1992, e E. Renan, Che cos'è una nazione? e altri saggi, Introduzione di S. Lanaro, traduzione di G. De Paola, Roma, Donzelli, 1993.

47 L. Febvre, Ni histoire à th&egravese ni histoire-manuel. Entre Benda et Seignobos(1933), cit. in K. Pomian, op. cit., p. 400.

48 Sul ruolo trascurabile del breve momento rivoluzionario nelle analisi tanto di Fustel De Coulanges — che pure riteneva che proprio la rivoluzione avesse reso francese l'Alsazia — quanto di Renan, cfr. S. Lanaro, Introduzione a E. Renan, op. cit., pp. XVII-XXX. Su Taine e la rivoluzione come « deviazione» e al tempo stesso attuazione di una preesistente vocazione alla tabula rasa, cfr. R. Pozzi, Hippolyte Taine. Scienze umane e politica nell'Ottocento, Venezia, Marsilio, 1993, pp. 251-284.