next essay previous article indice volumeStudi Storici 2, aprile-giugno 1995 anno 36


Pierluigi Totaro , Premesse del potere democristiano in Irpinia (1946-1948)


2. I nuovi spazi dello scontro politico. Nello stadio di fondazione della democrazia italiana la diffusione dei rigurgiti municipalisti, sintomo della crisi attraversata dall'idea e dalla pratica dell'unità nazionale, accrebbe le controversie sulle questioni attinenti la riorganizzazione del territorio sotto il profilo politico-amministrativo e, in genere, la ridefinizione delle coordinate spaziali della contesa politica. L'introduzione delle regioni e le scelte relative all'ampiezza e ai confini delle circoscrizioni elettorali, ancorché oggetto di accesi dibattiti di principio dentro e fuori della Costituente, evidenziarono piú di tutto il peso considerevole che la dimensione territoriale, i « tradizionali interessi locali, legami comunitari, comportamenti particolaristici» detenevano nella politica italiana, ad onta della vocazione nazionalizzante dei partiti, peraltro essa stessa non immune da cedimenti a queste logiche40. In un paese dagli innumerevoli localismi allo stato latente o acuto, in qualche caso capaci di condizionare il centro nelle opzioni di politica generale, molte furono le incertezze inerenti le ripartizioni territoriali e le relative immancabili rivalità, che si espressero secondo i diversi orientamenti a mantenere la geografia tradizionale o a correggerla, sino a prevedere l'ideazione di nuove regioni41. Al fondo, in periferia si temeva che la regionalizzazione stabilisse un'ulteriore istanza sovrastante le prerogative locali, segnatamente dei capoluoghi di provincia destinati a non ricoprire un ruolo omologo a livello regionale42. La componente popolare a sostegno delle richieste di autonomia segnalava quanto estesi fossero l'insofferenza e il risentimento verso Roma e il governo centrale; i movimenti locali premevano perché le regioni venissero ridisegnate con criterio non piú geografico o statistico, ma tenendo conto di interessi particolari43. Nelle sedi competenti la delimitazione dei confini diventava oltremodo disagevole:

Accanto alle regioni geograficamente e storicamente determinate - si legge nella relazione sul Problema della regione all'Assemblea costituente della II sottocommissione, diretta da Arturo Carlo Jemolo - esistono raggruppamenti che aspirano ad una propria individualità e offrono una tenace resistenza alla loro incorporazione in piú vaste aggregazioni territoriali44.

Le interpretazioni della regionalità di questa o quella zona attingevano da rappresentazioni costruite su reminiscenze folkloristiche, spunti di carattere etnologico, poco importa se non del tutto giustificati sul piano storico o su quello scientifico assolutamente improbabili, oppure piú concrete e attendibili argomentazioni di tipo economico45. Di queste spinte, e delle relative motivazioni, risentí infine anche l'Assemblea costituente che, esaurite le questioni generali, affrontò lo spinoso problema dei confini. La discussione rivelò la tendenza dei deputati a posporre l'unità e l'omogeneità dei rispettivi gruppi alle istanze provenienti dalle province di appartenenza e a soggiacenti, maldissimulati tornaconti elettorali; di fatto, ferme restando le partizioni statistiche acquisite come fondamentali, si proposero una serie di regioni di esse sottomultiple, tagliate secondo le sollecitazioni della periferia46.

A ridosso dei lavori della Costituente, una vivace disputa a distanza intorno alle ipotesi di istituzione in Campania di uno o piú enti regionali si svolse tra esponenti politici e della società civile delle province di Avellino, Benevento e Salerno. Perlopiú, i progetti messi a punto vedevano l'Irpinia subalterna ai tentativi di Benevento e di Salerno di assurgere alla funzione di capoluogo regionale e di sottrarsi in questo modo alla paventata egemonia di Napoli47. Tra quelle allo studio, le alternative piú accreditate riguardavano le proposte di una regione campana e di una irpino-salernitana. Quest'ultima trovava consensi anche ad Avellino, dove da qualcuno furono avanzati dubbi su una regione che avesse il suo centro nel capoluogo partenopeo, per la sua vocazione ad attrarre, in virtú del permanente stato di bisogno, tutti gli aiuti del governo centrale e gran parte delle entrate di bilancio del governo regionale48. A contrastare invece con decisione tale avviso fu la Democrazia cristiana, che parve la forza politica piú capace di interpretare la tutela delle prerogative irpine, di supplire ad una carente coesione della provincia, e dei suoi rappresentanti, con una resistenza tenace agli approcci di Benevento e Salerno. Queste province, in apparente competizione, sembravano interessate in modo piuttosto manifesto ad uno smembramento dell'Irpinia49. Della fermezza dei democristiani irpini su questo punto si ebbe un saggio eloquente durante i lavori dell'Assemblea costituente, quando Scoca e Sullo chiesero ed ottennero che venisse rigettata la proposta di Giovanbattista Bosco Lucarelli, democristiano eletto nella circoscrizione di Benevento-Campobasso, di creare una regione sannita50.

La preferenza di Sullo per una regione comprendente tutte le province storiche della Campania, oltre che da motivi specifici, prendeva spunto dalla convinzione che l'avvento del nuovo istituto rivestisse un preciso significato politico. Egli riteneva che la regione fosse un buon antidoto contro il personalismo dominante l'età liberale nel Mezzogiorno, trasferendosi poi pressoché immutato nel periodo fascista, costantemente alimentato com'era dalla congiunzione del potere esecutivo con la provincia; nella regione, intesa come « mezzo di educazione politica» , il deputato irpino giungeva a intravedere la fucina di una nuova classe dirigente51. E vista nell'ottica della riforma politica del Mezzogiorno, la dimensione delle regioni assumeva un carattere di variabile non irrilevante; un ambito territoriale ristretto avrebbe favorito il perpetuarsi di potentati locali e della « malapianta» del personalismo di vecchio stampo, estendendone anzi l'influsso a quelle zone annesse ai vecchi confini provinciali, cui grosso modo corrispondeva l'antico collegio elettorale o comunque l'area di gravitazione del notabilato liberale e, in genere, prefascista:

Una piccola regione - ammoniva Sullo - diviene ancora facilmente preda degli intrighi e degli intriganti, dei semifeudatari, dei giuochi di corridoi. Il tono della vita regionale ne risulterà appiattito. Una sola personalità influente potrà perfino monopolizzare la potenza politica insinuando dappertutto l'adulazione, l'ossequio servile e l'inerzia sostanziale52.

Nella sua azione, dunque, condivisa sia pur in posizione piú defilata da Scoca, si distingueva una duplice valenza; la difesa dell'Irpinia dalle incursioni delle altre province campane sfociava nella lotta contro due manifestazioni agguerrite del personalismo: nella Dc Bosco Lucarelli, vecchio esponente popolare con largo seguito personale, nel campo liberale Carmine De Martino, incarnavano bene quel tipo di « personalità influente» per natura e storia ostile al cambiamento53. Entrambi ambivano a far coincidere le nuove regioni con i collegi elettorali nei quali erano stati eletti alla Costituente; a quanti gli avessero obiettato di arrogarsi la facoltà di « parlare anche a nome delle genti di Irpinia» , De Martino rispondeva preventivamente: « [...] la mia qualità di Rappresentante del popolo alla Costituente per la circoscrizione di Salerno e Avellino, mi autorizza a prospettare la necessità di una unione regionale che a me sembra giusta e rispondente ai reali ed essenziali interessi dei cittadini delle due Province» .54

La regione sannita avrebbe invece riproposto il collegio elettorale di Benevento e Campobasso, dove lo scontro politico era compresso nella rivalità personale tra il liberale Raffaele De Caro e il cattolico Giovanbattista Bosco Lucarelli, con l'aggiunta, in qualità di potenziale colonia elettorale, dell'Irpinia o di una sua porzione.

Sin dai preparativi delle elezioni per la Costituente, la definizione del perimetro delle circoscrizioni elettorali si era distinta come terreno propizio per un trasparente ed intellegibile confronto tra le reviviscenze della politica delle personalità e l'esordiente democrazia dei nuovi partiti55. In luogo di collegi disegnati a misura del singolo candidato o esponente politico, i membri della Commissione per la elaborazione della legge elettorale avevano puntato unanimemente sull'adozione di distretti in scala regionale, nel modo che l'elezione dei deputati avvenisse su una base territoriale sufficientemente ampia e, per conseguenza, l'aggregazione del consenso fosse riconducibile a indirizzi politici il piú possibile di largo respiro, al patrocinio di interessi non piú locali o individualistici: « Non si poteva, nel 1946 - si legge in una pubblicazione del ministero dell'Interno -, collegarsi pienamente col passato che aveva fondato le circoscrizioni elettorali su di una geografia tradizionalistica e che rispecchiava raggruppamenti, situazioni locali, clientele che invano le successive leggi avevano tentato di attenuare» . 56Tuttavia le pressioni locali sui singoli commissari segnalarono, anche in questa occasione, come il concetto regionalistico non fosse penetrato sufficientemente nell'opinione comune e ancora le province assommassero i caratteri organici della divisione del territorio italiano. Un inconveniente di natura tecnica, inizialmente imprevisto, decretò il definitivo abbandono dei collegi a base regionale57.

In Irpinia la riluttanza all'ampliamento dei collegi elettorali oltre i limiti tradizionali trovò prevedibilmente voce negli epigoni del liberalismo prefascista, che giudicavano le circoscrizioni molto estese inadatte ad un'adeguata propaganda elettorale. A proposito dell'istituenda circoscrizione di Avellino-Benevento-Salerno, Alfonso Rubilli, deciso fautore di un ritorno « al concetto della provincia, perché la provincia - sostenne - rappresenta un ente veramente organico nel quale si raccolgono uniformi i sentimenti, le opinioni e gli interessi degli elettori che devono nominare i propri rappresentanti» , lamentò che « tre province insieme per un collegio, specialmente nel Mezzogiorno d'Italia privo di agevoli comunicazioni» avrebbero imposto « un eccessivo lavoro nel periodo elettorale» e impedito « dopo agli eletti una assidua opera, atta a garantire efficacemente gl'interessi locali» . 58La proposta di Rubilli di limitare la circoscrizione elettorale ad Avellino e Benevento, e quella di Bosco Lucarelli, ritagliata anch'essa secondo la geografia delle influenze personali, di riunire Benevento con Campobasso ed Avellino, scontarono, a breve distanza dal contrasto sul disegno delle regioni, le ribadite opposizioni dei democristiani irpini. Con esse veniva simbolicamente archiviato il collegio elettorale a misura e ad usum del candidato, quale avrebbe voluto mantenere un'impostazione tradizionale della politica meridionale: a salvaguardia del sistema proporzionale, contrario a circoscrizioni troppo piccole, l'Assemblea decise di riunire in un unico collegio le tre province, secondo la proposta della quale primi firmatari erano stati Salvatore Scoca e Fiorentino Sullo59.


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Pierluigi Totaro, Premesse del potere democristiano in Irpinia (1946-1948)


40 Sul peso delle « eredità storiche» e dei localismi nel nuovo Stato democratico cfr. F. Barbagallo, La formazione dell'Italia democratica, in Storia dell'Italia repubblicana, cit., pp. 3-128; R. Romanelli, Le radici storiche del localismo, in « Il Mulino» , 1991, n. 4, pp. 718 sgg.; G. Levi, Regioni e cultura delle classi popolari, in « Quaderni storici» , 1979, n. 41. Le stesse elezioni del '46 avevano dimostrato l'esistenza, all'interno di ciascuna delle due Italie del Nord e del Sud, di « altre piccole Italie sparpagliate a macchia» (S. Lanaro, Storia dell'Italia repubblicana, Venezia, 1992, p. 203). Su questi aspetti cfr. anche le pungenti osservazioni di Arturo Carlo Jemolo sul concetto di conservatorismo, che a suo dire era « la politica imperniata non sui partiti di massa, che sollevano questioni di idee, e magari d'interessi, ma di grandi interessi, nazionali o di ceti, bensí sugli uomini politici locali, sul contrasto tra Borgo di sopra e Borgo di sotto, tra la famiglia di compare Gaetano e quella di compare Vincenzo, sul candidato che "coltiva" il collegio, per cui non c'è chiesa, non c'è patria, non c'è solidarietà umana, non c'è politica estera, ma ci sono soltanto gli elettori, che bisogna far contenti con favori, favori: leciti od illeciti, non importa; il sistema del collegio uninominale: nostalgia somma di tutti i conservatori italiani. Per questo - concludeva - non sono conservatore» ( Perché non sono conservatore, in « Il Ponte» , marzo 1946, poi in Italia tormentata, Bari, 1951, pp. 25 sgg.). Dello stesso si veda anche l'accenno al « disinteresse degli italiani per la grande casa, che fa riscontro all'intenso amore per la casetta» ( Società civile e società religiosa, Bari, 1959, p. 102).

41 Cfr. Assemblea Costituente (AC), sedute del 29 e 30-10-1947. Per un inquadramento della questione regionale nel secondo dopoguerra, dal dibattito alla Costituente in poi, si vedano le seguenti opere di carattere generale: E. Rotelli, La questione regionale, in L'alternativa delle autonomie, Milano, 1978, pp. 250-273; Id., L'avvento della Regione in Italia. Dalla caduta del regime fascista alla Costituzione repubblicana (1943-1947), Milano, 1972; Id., Dal regionalismo alla Regione, a cura di E. Rotelli, Bologna, 1973; Regioni e Stato dalla Resistenza alla Costituzione, a cura di M. Legnani, Bologna, 1975.

42 Sulle resistenze, ricorrenti anche in altri momenti storici, all'istituzione delle Regioni quali enti territoriali cfr. C. Donzelli, La dimensione regionale e l'Italia contemporanea, e R. Ruffilli, Conflitto e mediazione fra centro e periferia alle origini della dimensione regionale, in Istituto Ernesto Ragionieri, Lo spazio del potere, Firenze, 1989, a cura di F. Andreucci e A. Pescarolo, rispettivamente pp. 192-198, 219-221.

43 Cfr. P. Bonora, I geografi nel dibattito sulla questione regionale (1944-1948), Bologna, 1980, p. 78.

44 Ivi, p. 86, e cfr. Id., Regionalità. Il concetto di regione nell'Italia del secondo dopoguerra (1943-1970), Milano, 1984, pp. 53 sgg.

45 Cfr. Donzelli, La dimensione regionale, cit., p. 193.

46 Cfr. Bonora, I geografi nel dibattito, cit., p. 90; Id., Regionalità, cit., pp. 62, 66 e 70.

47 Da Benevento, su iniziativa della locale Camera di commercio, era stato avanzato il progetto di una regione sannita che riunisse questa provincia all'Irpinia e al territorio di Campobasso (cfr. CCIA Benevento, La ricostituzione della regione Sannio, Benevento, 1946; AC, sedute del 29-10 e 30-10-1947). Alla proposta, caldeggiata nell'Assemblea costituente dai deputati Bosco Lucarelli e Perlingieri, non si diede corso per la ferma volontà del capoluogo molisano di far coincidere la propria provincia con un ente regionale a se stante. A Salerno si andava invece promuovendo la costituzione di una regione insieme alla provincia di Avellino, che secondo alcuni avrebbe dovuto comprendere anche Potenza (cfr. C. De Martino, La regione irpino-salernitana, in « Annuario della II rassegna della ricostruzione» , Salerno, 1947; « Corriere dell'Irpinia» , 31-5-1947).

48 Cfr. C. Preziosi, Regione Irpino-Salernitana?, in « Corriere dell'Irpinia» , 18-10-1947.

49 Cfr. « Il Domani d'Italia» , 19 e 20-8-1947, 4-10-1947.

50 Cfr. AC, seduta del 29-10-1947.

51 Cfr. AC, seduta del 27-5-1947. Nell'impostazione di Sullo si avverte distintamente l'influenza del pensiero di Guido Dorso, che affidava ad una profonda riforma istituzionale in senso autonomistico, e non ad una rivoluzione sociale, l'affermazione di una nuova &eacutelite capace di rinnovare la classe dirigente meridionale (cfr. L. Mascilli Migliorini, Il Mezzogiorno contemporaneo. 1945-1990, in Storia del Mezzogiorno, a cura di G. Galasso, R. Romeo, vol. XIII, Dal fascismo alla Repubblica, Napoli, 1990, pp. 61-62). Su questi aspetti della riflessione di Dorso si vedano, tra gli altri, G. De Luna, Il trasformismo e il pensiero di Guido Dorso, in « Storia e memoria» , 1993, n. 2, pp. 26-27; Autonomismo meridionale: ideologia, politica e istituzioni, a cura di G. Mori, Bologna, 1981, pp. 38-40; M. Salvadori, Il mito del buongoverno, Torino, 1976, pp. 468 sgg.

52 F. Sullo, Superiorità della Campania, in « Corriere dell'Irpinia» , 25-10-1947; sul problema sollevato da Sullo alla Costituente cfr. Bonora, I geografi nel dibattito, cit., p. 89.

53 Su Bosco Lucarelli e De Martino si confrontino le rispettive voci in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia 1860-1980, vol. III/1, Le figure rappresentative, cit.

54 Cfr. De Martino, La regione irpino-salernitana, cit.

55 Per un esempio di approccio al problema della dimensione dei collegi elettorali in relazione ai processi reali di aggregazione politica cfr. R. Romanelli, La nazione e il campanile. Il dibattito intorno alle dimensioni dello scambio politico nell'Italia liberale, in Istituto Ernesto Ragionieri, Lo spazio del potere, cit., pp. 184-191.

56 Istat, Ministero dell'Interno, Elezioni per l'Assemblea Costituente, cit., Note introduttive, p. XVI; cfr. Ministero per la Costituente, Atti della Commissione per la elaborazione della legge elettorale politica per l'Assemblea Costituente, Roma, s.d., Relazione della Commissione, p. 15. I lavori della Commissione si svolsero tra il 1° settembre ed il 27 ottobre 1945.

57 La sperequazione eccessiva tra le dimensioni delle regioni italiane si traduceva in una forte disparità tra gli elettori, chiamati ad eleggere un numero di deputati che variava a volte di molto da una realtà ad un'altra. Una sana applicazione del principio della rappresentanza proporzionale richiedeva di conferire a tutti gli elettori lo stesso peso, la stessa facoltà di designazione preferenziale, individuando collegi subregionali di grandezza non troppo dissimile, che eleggessero un numero pressoché uguale di seggi. A garanzia della regionalità restava l'impegno di massima a non comprendere nelle circoscrizioni territori di regioni diverse (cfr. Ministero per la Costituente, Atti della Commissione per la elaborazione della legge elettorale, cit., pp. 19 sgg.; E. Bettinelli, All'origine della democrazia dei partiti, Milano, 1982, pp. 81-83). Sull'empiricità e l'improvvisazione che, in linea di massima, regolò il disegno delle circoscrizioni elettorali interprovinciali cfr. G. F. Ciaurro, La legislazione elettorale italiana e i suoi effetti sul sistema politico, in « Il Politico» , 1977, n. 1, pp. 39 sgg.

58 AC, seduta del 13-12-1947. In vista delle elezioni per la Costituente anche Francesco Amatucci aveva avanzato rilievi simili sull'opportunità di mantenere contenuti i limiti geografici dei collegi elettorali, provocando corrosivi commenti degli avversari politici: « [Amatucci] ha chiesto al Governo di formare collegi non troppo vasti, tali cioè da obbligare distinti e dignitosi candidati come lui a percorrere vaste zone per la propaganda elettorale; e poi proprio perché "non ha aspirazioni" e non è ricco, non vorrebbe fare i viaggi elettorali, a mo' di soma (anche se illustre) sulla groppa di un paziente asino di campagna» (« Il Domani irpino» , 5-3-1946). Sugli effetti spaziali delle leggi elettorali e i problemi di suddivisione in circoscrizioni elettorali, cfr. H. Guillorel, La geografia elettorale dei geografi francesi e anglosassoni, in Elezioni, territorio, società, cit., pp. 37 sgg.

59 Cfr. AC, seduta del 13-12-1947, e « Corriere dell'Irpinia» , 20-12-1947.