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Adolfo Scotto di Luzio, Gli editori sono figliuoli di famiglia; fascismo e circolazione del libro negli anni trenta

2.2. L'organizzazione interna e le commesse agli editori. Un ulteriore passo avanti sul piano della centralizzazione degli acquisti era stato compiuto con l'ordinanza del 22 marzo 193778. Già in precedenza, nell'udienza concessa alla Commissione il 3 febbraio79, il ministro aveva abolito le segnalazioni, avvertendo i commissari che da quel momento non avrebbero potuto piú prendere in esame né fare proposte di segnalazioni di libri per la loro diffusione nelle scuole o nelle biblioteche e aveva, inoltre, stabilito che, per quanto riguardava gli abbonamenti a periodici, la Commissione si sarebbe astenuta dal proporne di nuovi, rinviando ogni richiesta al mese di ottobre, quando ne sarebbe stato approvato il piano completo. Con la nuova ordinanza, Bottai istituiva in seno alla Commissione un comitato tecnico, presieduto dallo stesso De Gregori e di cui erano membri, come recitava l'articolo 4, Mucci, Apolloni, Bonfiglio e Dalmasso80. Compito dell'organismo era quello di «prendere in considerazione» il materiale che via via gli veniva rimesso dal gabinetto del ministro o dalle direzioni generali, senza, peraltro, «comunicare alcun parere agli Uffici». Ogni due mesi poi e cioè alla fine di febbraio, aprile, giugno, agosto, ottobre e dicembre, la Commissione si sarebbe riunita in seduta plenaria e, in relazione al parere del comitato tecnico, sulla base delle disponibilità finanziarie delle singole direzioni, preventivamente comunicatele, avrebbe deliberato il piano generale degli acquisti da sottoporre all'approvazione del ministro81.

L'articolo 3 ribadiva, riguardo alle pubblicazioni periodiche, quanto Bottai aveva già stabilito nell'udienza di febbraio, mentre l'articolo 5 decretava che nessuna proposta di acquisto poteva essere sottoposta al ministro dalle direzioni generali. Tutti gli acquisti del ministero per le biblioteche degli istituti dipendenti dovevano passare attraverso il parere della Commissione. Su questo Bottai era molto fermo, salvo, come vedremo, alcuni casi in cui avrebbe deciso direttamente circa l'acquisto o meno di certe opere. I criteri che avrebbero dovuto presiedere alle scelte del comitato tecnico sarebbero stati fissati in una nota per De Gregori, datata 10 marzo 1938. In essa Bottai individuava 4 punti cui attenersi perché «[restasse] limitato, preventivamente, l'eccesso delle offerte». Un problema, questo, riproposto ancora nel 1940, segno di difficoltà, come si è avuto modo di vedere, destinate ad aggravarsi ulteriormente negli anni successivi. Innanzitutto le pubblicazioni dovevano «[presentare] diretto interesse didattico e [rispondere] veramente ai bisogni culturali degli enti cui [erano] destinate»; non doveva trattarsi di libri di poesie, di romanzi, di novelle, di quella che si definiva in sintesi la letteratura amena; i libri acquistati non dovevano essere raccolte di articoli di giornali e riviste, sia pure rimaneggiati in vista della pubblicazione; infine le edizioni dovevano portare la data dell'anno in corso o tutt'al piú di quello precedente, in modo che non fossero «incoraggiati gli autori o Case Editrici o Librerie a presentare in esame libri inattuali se non addirittura fondi di magazzino»82.

Si nota subito un certo stridore tra il primo e l'ultimo punto, a prescindere dal fatto, come si è visto, dell'imponente disattivazione del principio del «diretto interesse didattico» nel concreto operare della Commissione. Se da un lato si affermava il principio dell'interesse didattico e dunque si ipotizzava un lavoro dei commissari che fosse essenzialmente scelta di quelle opere la cui diffusione nelle scuole e in generale nelle biblioteche pubbliche fosse ritenuta necessaria in vista dell'educazione politica e morale dei lettori, quel limitare tale impegno ai libri pubblicati nell'anno in corso o al piú in quello precedente era altrettanto e piú significativo per intendere i compiti reali della Commissione. Fin dalla formulazione dei suoi criteri direttivi, il lavoro di questa era orientato non tanto nella direzione della scelta, quanto piuttosto in quella della limitazione della «valanga» di pubblicazioni, prevista e prevedibile con l'istituzione di un organismo esplicitamente preposto all'acquisto di libri, che librai, editori e autori avrebbero riversato sugli uffici ministeriali. Fin dall'inizio, il reale terreno di intervento della Commissione consisteva nella regolazione delle sue funzioni di apparato di committenza pubblica rispetto all'editoria83.

Ulteriori indicazioni in questo senso ci fornisce la corrispondenza di Ettore Apolloni, capo divisione alla Direzione generale delle accademie e biblioteche84. A lui si rivolgono tra il '37 e il '38, autori, editori, «personalità eminenti» del regime per segnalare opere meritevoli e altamente educative, raccomandare autori dal sicuro talento, chiedere e ottenere un occhio di riguardo, un appoggio in Commissione, nonché presentazioni ufficiali e autorevoli giudizi. Bottai, come si è visto, aveva abolito le segnalazioni di libri. Il vecchio meccanismo consisteva sostanzialmente nell'invito rivolto ai provveditori agli studi, attraverso apposite circolari, a fare opera di propaganda nelle scuole per i libri raccomandati. Un sistema aleatorio, affidato alla solerzia di funzionari periferici e alla sensibilità degli insegnanti. Ora, piú semplicemente, il ministero, attraverso il suo organo consultivo, acquistava direttamente le opere che aveva intenzione, per una ragione o per l'altra, di diffondere nelle biblioteche. Era il caso, ad esempio del libro La fondazione dell'Impero nei discorsi del Duce che la Commissione si era, in un primo tempo, limitata a segnalare e di cui, dopo le decisioni del ministro, aveva acquistato 200 copie per gli istituti medi classici. Bottai aveva stabilito anche che i commissari oltre a non farne non potessero nemmeno riceverne di segnalazioni. Tuttavia, autori, editori, protettori di regime continuarono, anche dopo l'ordinanza del ministro, a rivolgersi ai suoi funzionari per ottenerne vantaggi, intercessioni, pareri favorevoli e cosí via85.

Il 9 novembre 1939 fu Galassi Paluzzi, direttore dell'Istituto di studi romani, a chiedere ad Apolloni quale decisione fosse stata presa circa l'acquisto da lui sollecitato dei «Quaderni» dell'Istituto. Il 27 gennaio 1938 era stata la volta dell'editore Airoldi, che pubblicava per conto del ministero dell'Africa italiana e del governo della Libia una collana storica sulla colonia, diretta da Angelo Piccioli. Come per i precedenti volumi, anche per gli ultimi pubblicati, l'editore sperava che Apolloni si compiacesse di «pubblicare» il suo giudizio sulle nuove opere, «richiamandosi agli appunti già inviati sui fini e limiti della collezione stessa». Apolloni rispondeva il 17 febbraio, rassicurando l'editore che non avrebbe mancato di «presentare» all'esame della Commissione, per un eventuale acquisto, i tre volumi della collana. Nel giugno del '38 fu Angelo Piccioli, capo dell'ufficio studi del ministero dell'Africa italiana, nonché direttore della collana a rivolgersi direttamente al capo divisione. La richiesta esplicita: l'acquisto di almeno una cinquantina di copie dei volumi pubblicati. La lettera è interessante perché la questione degli acquisti ministeriali come canali protetti per i libri emerge con molta chiarezza, informandoci anche sulla fortuna che ebbero alcuni generi di pubblicazioni fortemente sollecitate dal regime:

Mio caro Apolloni,
Come tu sai, io dirigo per incarico del Governo della Libia la collezione di «Storia della Libia». Abbiamo trovato un editore volenteroso quanto bravo e colto, che con spirito veramente «eroico» ha affrontato le spese: dico «eroico» perché i volumi sono ampi e numerosi, e la vendita di essi... pressoché nulla!
È quindi mio dovere morale, come Direttore della collezione, tentar di diminuire in qualche modo il gravissimo carico economico che sostiene l'Editore Airoldi. Epperò vorrei pregarti di esaminare la possibilità di far acquistare dal Ministero almeno una cinquantina di copie dei nostri magnifici volumi (non li ho scritti io e mi è consentita l'affermazione).
Questa collezione - a giudizio di molti «universitari» che me ne hanno parlato - non dovrebbe mancare in nessuna biblioteca del Regno. Specie ora, nel nuovo clima «imperiale» in cui viviamo86.

Sul nuovo «clima imperiale» doveva aver contato anche Giorgio Berlutti dell'Unione editoriale d'Italia che il 30 settembre 1937 inviava ad Apolloni il primo volume della collana «I commentari dell'Impero», riservandosi di presentare gli altri man mano che venivano pubblicati e chiedendo al capo divisione del ministero il suo giudizio sull'opera nella quale aveva «riposto molta speranza di successo»87. Lo stesso De Gregori, d'altronde, aveva chiari i termini in cui si poneva la questione della Commissione in quanto garantiva la circolazione di opere che il regime aveva interesse a sostenere. In un prospetto delle disponibilità finanziarie delle singole direzioni generali, il presidente cosí definiva i compiti dell'organismo ministeriale:

Non può, d'altronde, la Commissione sottrarsi al suo ufficio: che non è solo quello di esaminare e scegliere libri, ma anche di incoraggiare e, meritandolo, d'aiutare chi presenta al Ministro i frutti del proprio ingegno e del proprio lavoro. Ora, il contributo ministeriale alla diffusione di certe opere e di certi periodici rappresenta, non di rado, la loro condizione di vita: sostenerla o farla languire può avere anche colore politico; sicché, prima della Commissione è, a volte, il Ministro stesso che riconosce la necessità o l'opportunità di assumere il nuovo onere. La commissione non fa allora che ripartirlo in misura piú o meno proporzionale tra le varie Direzioni Generali, indipendentemente, spesso, dal carattere, dal valore, dal costo delle pubblicazioni88.

La forte consapevolezza della funzione politica degli acquisti ministeriali e del lavoro della Commissione, espressa dal suo presidente, si riflette nella distribuzione delle commesse. Dallo spoglio dei verbali, emerge un numero molto consistente di editori, un termine usato in maniera decisamente impropria ed arbitrariamente estensiva, poiché si tratta, piuttosto, di 362 tra tipografie, istituti grafici, enti pubblici e privati, associazioni, istituti di cultura e case editrici vere e proprie, in quell'accezione industriale che caratterizza l'evoluzione dell'editoria agli inizi del Novecento e piú particolarmente tra il primo dopoguerra e la fine degli anni Venti. Resta comunque il quadro di un vasto campo di intervento dell'azione ministeriale verso l'editoria, a tutti i suoi livelli, da quelli artigianali a quelli industriali a forte integrazione di capitale. Negli anni della sua attività, la Commissione, trasferí all'editoria italiana finanziamenti pari a quasi tre milioni di lire. All'interno di questo campo, si delinea, immediatamente, una netta polarizzazione. Da un lato le commesse uniche, riguardanti ditte che nei sette anni di attività della Commissione ricevono una sola ordinazione: in termini assoluti 220 su 362, pari al 61%; dall'altro, i 13 editori che, tra il 1937 ed il 1943, superano le 40 ordinazioni: il 3,5% dei censiti che raccoglie il 45,2% delle commesse, per un numero di copie, 44.835, pari ad un valore percentuale di poco piú basso.

Tabella 3
fascia
totale
%
totale
totale
media
commesse
ditte
copie
commesse
copie
senza importo
commesse uniche220 61,0 14.733220 67,054
da 2 a 10108 29,823.524 41257,1 52
da 11 a 20 17  4,714.375 23561,2 35
da 21 a 40  3  0,8 6.700  7584,5 14
da 41 a 60 10  2,732.645 48467,4 81
piú di 60  3  0,812.190 23053,0 34

In questa fascia superiore è possibile, poi, fare un'ulteriore distinzione tra le dieci case editrici comprese tra le 41 e le 60 ordinazioni e le tre che superano le 60 e che rappresentano il vertice di una gerarchia che riflette rapporti di prossimità al potere politico, e circoscrive aree di maggiore o minore coinvolgimento nel campo della comunicazione di Stato, ma che, come vedremo, lascia, liberi, margini piú o meno ampi di manovra per una dinamica culturale meno implicata nelle maglie dell'organizzazione culturale di regime. Tra i dieci editori compresi tra le 41 e le 60 commesse, compaiono, in ordine, l'Unione editoriale d'Italia, di Roma, presente con 59 commesse e 9.376 copie vendute per un totale di 106.950 lire; Cappelli, con 55 commesse e 2.195 copie, per un importo di 31.905 lire e 50 centesimi; la torinese Utet con 53 commesse, 3.299 copie e 158.460 lire, cifra quest'ultima notevole che però sottostima di molto la somma reale visto che per 27 commesse non conosciamo gli importi; Bompiani, 51 commesse, 3.840 copie, 82.700 lire; i romani fratelli Palombi, 47 commesse, 4.375 copie, 199.000 lire; l'editore Bocca anch'esso con 47 commesse, ma con un diverso numero di copie e un differente importo, 1.176 per un totale di 26.000 lire; Le Monnier che ha un numero di commesse pressoché pari a Bocca, 46, equivalenti però a ben 4.000 copie e a 63.595 lire, importo a sua volta di molto inferiore rispetto a quello dei Palombi. Seguono infine la Nuova Italia con 43 commesse pari a 1.360 copie e a 44.207 lire, la Zanichelli con 42 commesse, 1.654 copie e 54.115 lire e la recentissima Garzanti anch'essa con 41 commesse, pari a 1.380 copie e 59.944 lire. Come si vede, a un numero di commesse simile corrispondono quantitativi di copie effettivamente acquistate e importi molto differenti gli uni dagli altri. Per questi ultimi, come si è già avuto modo di vedere per la Utet, bisogna aggiungere che le cifre indicate vanno considerate sempre approssimate per difetto, in quanto per alcuni testi i verbali non segnano il prezzo e dunque il calcolo del costo complessivo delle copie è impossibile89. Da questo primo gruppo si staccano le tre case che occupano il vertice assoluto, Vallecchi, per la quale le commesse sono 61, le copie 3.075, l'importo di 67.112,5 lire, abbastanza vicino alla realtà perché solo di tre ordinazioni non conosciamo l'ammontare in lire; Mondadori, con 72 commesse (21 senza importo), 4.775 copie e un importo di 63.993 lire; Sansoni, che si colloca nettamente al di sopra delle altre, con le sue 97 commesse cui corrisponde un numero relativamente basso di copie, rispetto ad esempio alla casa milanese, 4.340, e un importo di 166.321 lire che è abbastanza vicino alla cifra reale, considerato che di sole 9 ordinazioni non conosciamo il valore monetario.

La gerarchia che si è venuta cosí delineando permette tuttavia ulteriori articolazioni. Cominciamo dalla Sansoni. Le 97 commesse di cui la casa si avvale nei sette anni di attività della Commissione corrispondono ad una media di circa 45 copie per ordinazione, media che comprende le 5 del volume di Sapori, Studi di storia economica medioevale, inviate ad altrettante biblioteche governative90 e le 250 della Storia della letteratura latina di Bignone, di cui 200 solo per le biblioteche di istituti dell'ordine superiore classico91. La media raddoppia invece per un altro editore fiorentino Le Monnier per il quale a sole 46 commesse, dunque poco meno della metà rispetto a quelle della casa gentiliana, corrispondono 87 copie per ordinazione. In questa media rientrano le 500 copie di Combattere di Lombrassa e Vecchietti92, le 750 complessive dei due volumi del giovane Enrico Falqui Pezze d'appoggio93 e le 300 dell'Almanacco della scuola italiana94. Se le due case fiorentine tutto sommato si bilanciavano perché al dimezzamento delle commesse per la Le Monnier corrispondeva un aumento del doppio delle copie acquistate volta per volta, era con l'Unione editoriale d'Italia che i rapporti prima fissati saltavano e le gerarchie venivano capovolte. A 59 commesse corrispondevano ben 9.376 copie per una media di 150. L'asse portante era costituito dai dodici volumi della collana «I commentari dell'Impero», per la quale abbiamo visto Giorgio Berlutti sollecitare un parere favorevole all'acquisto e che il ministero aveva assunto nel quantitativo di 300 copie a volume, variamente distribuite tra biblioteche magistrali, biblioteche di istituti dell'istruzione media classica e tecnica, biblioteche governative e non governative95. Acquisto che fu rinnovato il 18 luglio del 1942, quando la Commissione decise di assumere in una volta sola tutta la collezione per un totale di 50 copie a volume in favore delle biblioteche non governative. In tutto, le copie acquistate furono 4.200 pari al 44.8% del totale. Altrettanto sostenuti furono gli acquisti dei volumi di Berlutti Il cuore d'Italia, 300 copie, e Noi crediamo al Duce, 200 copie96. Titoli di un editore fiancheggiatore del regime si dirà e che da questi riceveva consistenti aiuti.

Indicativi in questo senso anche i dati relativi ad un'altra piccola casa, le Edizioni Roma. Sorta intorno alla metà degli anni Trenta con «l'obiettivo principale [...] di servire il Regime per quello che riguarda i problemi dell'educazione nazionale e il collegamento con gli italiani all'estero»97, il suo gruppo dirigente rappresentava il fascismo in alcuni dei suoi massimi esponenti. Oltre a Ciarlantini che ne era direttore, le Edizioni Roma annoveravano Gioacchino Volpe come presidente e Giuseppe Bottai tra i loro consiglieri. Alle 17 commesse per un totale di 2.050 copie ne corrispondeva una media di 120. Si trattava di titoli come Francesco Guicciardini. Pagine militari del Palmarocchi, Lettere e diari d'Africa del Lemmi e L'Italia nella guerra mondiale del Caracciolo, tutti nel quantitativo di 70 copie98, oppure Precursori dell'Impero fascista del Truffi99, le cui 50 copie andarono alle biblioteche di istituti di istruzione media classica. In alcuni casi si superavano le 100 copie come per il Vitruvio del Pellati, le cui 130 vennero distribuite tra le biblioteche degli istituti dell'istruzione media classica e delle Belle Arti e le biblioteche popolari100. La vetta piú alta fu raggiunta nell'aprile del 1942 con le 1.000 copie dell'opera di Giarratano Tito Livio, di cui la metà agli istituti dell'ordine superiore classico101. Su tutt'altro fronte, però, vogliamo ricordare il caso dell'Einaudi che presenta una media bassa, poco piú di 20 copie per volta, ma un discreto numero di commesse, 22 per un importo complessivo di 9.900 lire102.

La considerazione del prezzo del libro e dunque del valore complessivo degli importi versati o che avrebbero dovuto essere versati dal ministero agli editori rende possibile un'ulteriore e in parte differente organizzazione dei dati offerti dai verbali. Prendiamo proprio il caso dell'Einaudi a paragone con quello delle Edizioni Roma. Se si assume infatti il numero delle commesse come criterio sulla cui base dividere le varie ditte, la casa torinese si colloca ad un livello superiore, ma se poniamo attenzione all'ammontare degli importi in relazione al numero di copie acquistate, dobbiamo registrare che la casa romana, per un numero di commesse inferiore, riceve ordinativi in copie 4 volte superiori e per un valore monetario complessivo pari al triplo103. Le commesse hanno quindi pesi specifici differenti e il loro accumularsi non è sempre un indice chiaro. Allo stesso modo, nei casi di rapporti continuati con l'amministrazione pubblica, la loro presenza non è, generalmente, distribuita equamente, ma il piú delle volte concentrata in momenti particolari e connessa a determinate occasioni editoriali, come una collana, un numero unico, un'opera di qualche personalità di spicco del regime. Esaminiamo il caso dell'editore romano Colombo. Il suo accesso alle commesse ministeriali è legato, se si fa eccezione per la pubblicazione degli Atti del 2° convegno nazionale di storia dell'architettura, all'edizione della collezione della Mostra augustea della romanità ospitata nella «Collana di civiltà romana». Si tratta di 28 commesse di cui ben 19 effettuate il 22 novembre 1941, per le quali l'editore ricevette la somma di 5.660 lire104, pari a circa il 38% dell'importo versato complessivamente dal ministero alla ditta. Eppure con quella sola pubblicazione degli atti del convegno sulla storia dell'architettura, che vendette nel quantitativo di 60 copie, l'editore ricavò una somma che si aggirava intorno al 32%105. In alcuni casi quindi le commesse uniche rappresentavano un finanziamento cospicuo concesso una tantum a ditte che riuscivano ad accedere alla fonte delle sovvenzioni dell'amministrazione pubblica106.

I verbali della Commissione consultiva per l'acquisto di pubblicazioni, testimoniano di una pluralità di editori e di una massa di titoli che è estremamente difficile ricondurre nei termini di un qualsivoglia rapporto con il fascismo. Esisteva certamente lo scambio. La miriade di piccoli e piccolissimi editori non è riducibile ad una mera sopravvivenza, in uno scenario in cui la produzione ed il mercato del libro sembrano destinati a riorganizzarsi intorno ad alcuni poli fondamentali. Il regime si rivolgeva ad essi per quelle pubblicazioni destinate ad una circolazione extra mercato, attraverso i canali dell'apparato politico e burocratico, come abbiamo visto nel caso dell'editore Airoldi di Intra, che si era fatto carico della pubblicazione del ministero dell'Africa italiana sulla storia della Libia, o dell'editore Colombo che pubblicava i volumi della Mostra augustea della romanità. Accanto alle collane ufficiali, ai volumi prefati da personaggi di spicco del fascismo, alle case editrici legate ai gerarchi, resta una quantità enorme di titoli. Una vera e propria valanga di richieste di acquisti, come avevano temuto alcuni componenti la Commissione, si era riversata sul ministero, al di là di qualsiasi possibilità di politica culturale e di controllo da parte del regime; una conseguenza, come era stato lucidamente avvertito, dei rinnovati e rafforzati poteri statali in materia di acquisti librari per le biblioteche pubbliche e una messa in pratica, su un piano generalizzato, dell'idea che la loro rete dovesse innanzitutto garantire l'assorbimento di una quota della produzione editoriale. In questo senso, la distribuzione dei fondi ministeriali rifletteva un'estrema frammentazione, accordando contemporaneamente agli editori piú forti e a quelli piú prossimi all'area del potere politico posizioni di primato. Una struttura fortemente diseguale che giustapponeva, al suo interno, un massimo di concentrazione ad un massimo di dispersione. Salvo poi verificare nel campo stesso della dispersione massima,

la presenza di nuclei densi di commesse molto consistenti che accentuavano la sperequazione tra chi poteva godere delle prebende ministeriali in maniera continuativa e chi invece vi accedeva una tantum e in una misura molto limitata. Quella che ne risulta è una trama a maglie molto strette al suo apice, che tende a sfilacciarsi alle estremità; un sistema, insomma, che non nega a nessuno di raccogliere sotto il tavolo le proprie briciole, tranne poi riservare ad alcuni il posto di invitati.


Adolfo Scotto di Luzio, Gli editori son figliuoli di famiglia; fascismo e circolazione del libro negli anni trenta


78 ACS, MPI, Dir. gen. acc. e bibl., b. 142, «Carteggio con le Direzioni Generali».

79 Ne dava notizia Luigi De Gregori, aprendo la seduta dell'8 febbraio (ivi, «Verbali delle adunanze»).

80 Cfr. ivi, Ordinanza 22 marzo 1937.

81 Ivi, art. 2.

82 Cfr. ivi, b. 142, «Rapporti con il Gabinetto», Criteri per il corretto svolgimento del lavoro della Commissione, Appunto per Luigi De Gregori del ministro Bottai, 10 marzo 1938.

83 Un ruolo che abbiamo visto emergere dai contrasti tra direzioni generali e ministro, e che qui si definisce a partire dall'organizzazione del suo lavoro, trovando un puntuale riscontro nei verbali delle adunanze. Dopo l'ordinanza del marzo del '37, le sedute plenarie della Commissione si riducono ad una pura e semplice ratifica delle decisioni adottate dal comitato tecnico. Mentre nei primi verbali si nota la presenza di un numero molto elevato, a volte piú della metà sul totale del resto molto esiguo delle pubblicazioni esaminate, delle decisioni rimandate successivamente questa pratica scompare. Effetto della nuova organizzazione del lavoro, si diceva. Tuttavia colpisce che il suo abbandono si verifichi in coincidenza dell'avvio del periodo piú intenso dell'attività della Commissione, con l'adunanza del giugno 1937. A partire da questa seduta che registra un netto stacco rispetto alle riunioni precedenti (110 pubblicazioni esaminate contro le 31 del febbraio), non c'è piú traccia di essa, se si fa eccezione per le riunioni del 7 aprile 1938 e del 4 agosto 1939, dove però le decisioni rimandate sono due su, rispettivamente, 117 e 127 pubblicazioni complessivamente esaminate. Questo stacco trova un puntuale riflesso nella forma dei verbali. Da un lato, questi si vanno facendo sempre piú scrupolosi nella registrazione delle informazioni necessarie all'acquisto e alla distribuzione delle pubblicazioni, dall'altro, tendono ad espungere qualsiasi accenno a discussioni in seno alla Commissione. Mentre all'inizio non era quasi mai indicato l'editore e, il piú delle volte, non si precisava il numero delle copie acquistate per ciascun titolo approvato, in seguito questo non accade piú, tranne pochissime eccezioni, e le indicazioni relative a questi dati tendono ad essere molto piú dettagliate, con l'indicazione del numero delle copie, delle biblioteche a cui sono destinate e, per la maggior parte, con quella del prezzo di copertina e dello sconto quando viene praticato. Inoltre, non vengono piú affiancati a ciascuna opera i giudizi espressi dai singoli commissari nelle loro relazioni, ma semplicemente elencati i titoli per i quali si è approvato l'acquisto, separandoli da quelli respinti, cosa che prima non avveniva, e dalle decisioni assunte riguardo ai periodici. Fatto sta che i verbali assumono, con il passare del tempo, sempre piú l'aspetto di elenchi di opere approvate o respinte (queste ultime rappresentano in media, per il periodo di maggiore attività, circa il 39% delle prime). Allo stesso modo, dopo l'adunanza del 18 novembre 1940, alla quale prese parte lo stesso Bottai, nei verbali non resta piú traccia di discussione su criteri, limiti e modalità del proprio lavoro.

84 ACS, MPI, Dir. gen. acc. e bibl., b. 276, «Corrispondenza privata Direttori».

85 Proprio a Bottai si rivolgeva il 10 maggio del 1937 Giacomo Giacquinto, per le edizioni Aequa, con una lettera in cui osava sperare «per il suo lavoro di diffusione della cultura, fatto con serietà e con non lievi sacrifici [...] in un benevolo incoraggiamento del Ministero, che potrebbe essere concretato nell'acquisto di un certo numero di copie delle sue pubblicazioni per le biblioteche e per la scuola, disposto a concedere lo sconto del 20%». Le speranze dell'editore non erano state riposte invano. Il 13 luglio 1937, Edoardo Scardamaglia scriveva al Giacquinto per comunicargli che «in relazione alle premure da Lei rivolte a favore della Casa editrice Aequa, posso assicurarLa che il Ministero, Sentito il parere dell'apposita Commissione, ha disposto l'acquisto di 10 collezioni complete della "Storia di Roma" e di 10 collezioni dell'"Impero di Roma" del Mommesen [sic], perché siano distribuiti in dono a Biblioteche pubbliche» (cfr. ACS, MPI, Dir. gen. acc. e bibl., b. 143, «Aequa. Casa editrice, Pubblicazioni»). Ancora piú eloquente il caso dell'ex ministro Pietro Fedele che il 15 novembre del 1940 scriveva al direttore generale Scardamaglia per raccomandare l'ultimo volume della «Collana Minturnese» da lui stesso iniziata e diretta. «È opera eccellente - affermava Fedele -, alla quale l'eleganza e la vivacità delle forme nulla toglie all'originale e sostanziale contributo alla storia di Roma. Ti prego di proporre l'acquisto di almeno 30 copie per le pubbliche biblioteche» (ivi, «Collana Minturnese»; il corsivo è mio).

86 Ivi, «Airoldi: Storia della Libia».

87 Ivi, b. 276.

88 Ivi, b. 142, «Rapporti con il Gabinetto». Il documento è senza data, ma da un'annotazione a matita nell'angolo alto a sinistra del primo foglio è collocabile alla fine del 1940, precisamente ottobre, nel contesto delle discussioni sulle disponibilità di bilancio della Commissione.

89 Nella tabella 3, nella colonna di destra, accanto alla media delle copie, è riportato l'ammontare delle commesse per le quali non è stato possibile calcolare gli importi.

90 ACS, MPI, Dir. gen. acc. e bibl., b. 142, «Verbali delle adunanze», adunanza del 31 maggio 1941.

91 Ivi, adunanza del 4 febbraio 1943.

92 Ivi, adunanza del 7 aprile 1938.

93 Ivi, adunanze dell'8 agosto 1938 e del 6 giugno 1942.

94 Ivi, adunanza del 4 luglio 1940.

95 Ivi, adunanze del 25 novembre 1937, 7 aprile, 8 agosto e 19 novembre 1938.

96 Ivi, adunanze del 7 aprile 1938 e del 31 maggio 1941.

97 Lettera di Franco Ciarlantini a Giovanni Gentile del 2 novembre 1934, cit. in G. Pedullà, Il mercato delle idee, cit., p. 38.

98 ACS, MPI, Dir. gen. acc. e bibl., b. 142, «Verbali delle adunanze», adunanza del 12 giugno 1937.

99 Ibidem.

100 Ivi, adunanza del 19 novembre 1938.

101 Ivi, adunanza del 30 aprile 1942.

102 Sulla casa editrice Einaudi, si vedano G. Turi, I limiti del consenso: le origini della casa editrice Einaudi, in Id., Il fascismo e il consenso degli intellettuali, cit.; Id., Casa Einaudi. Libri uomini idee oltre il fascismo, Bologna, Il Mulino, 1990; Id., la recensione a Cinquant'anni di un editore. Le edizioni Einaudi negli anni 1933-1983, Torino, Einaudi, 1983, apparsa in «Passato e presente», 1984, n. 6; G. Tortorelli, A proposito di un libro sulla casa editrice Einaudi, in Id., Parole di carta. Studi di storia dell'editoria, Ravenna, Longo, 1992, pp. 193-200.

103 Il numero delle commesse, per le Edizioni Roma, ammonta a 17 contro le 22 della Einaudi. Nel caso dell'editrice torinese, però, le copie acquistate non superano le 510 per un importo di lire 9.900 (tre ordinazioni sono prive di prezzo) contro le 2.050, pari a 29.744 lire, della casa romana (2 sono, in questo caso le commesse di cui non è dato di sapere il prezzo).

104 Il valore monetario è calcolato per 8 commesse sulla base dei prezzi indicati nel precedente verbale del 1° aprile 1939.

105 Per gli Atti del 2° Convegno nazionale di storia dell'architettura, l'editore ricevette la somma di 4.800 lire. Il totale degli importi versati dal ministero era di 14.845.

106 Si può citare, come esempio di importi ben al di sopra della media della fascia di appartenenza, il caso della Collezione meridionale editrice di Roma di cui il ministero acquistò il volume su Gli affreschi delle cripte eremitiche pugliesi in 35 copie per 9.100 lire (cfr. ACS, MPI, Dir. gen. acc. e bibl., b. 142, «Verbali delle adunanze», adunanza del 29 dicembre 1939).