Studi Storici 3, luglio-settembre 95 anno 36
2. Una sezione dello Stato committente: la Commissione consultiva per l'acquisto di pubblicazioni. 1937-1943. La Commissione venne istituita, con apposito decreto, il 14 dicembre 1936, all'indomani stesso dell'insediamento di Bottai, che aveva sostituito De Vecchi, nominato governatore di Rodi, nel novembre. Nelle funzioni assegnate dal ministro al nuovo organismo erano riunite competenze fino a quel momento divise tra i vari rami dell'amministrazione. In particolare la sua costituzione determinò la confluenza di tutte le somme, fino allora stanziate dalle varie direzioni generali per acquisti di libri, in un unico fondo gestito centralmente. Nei fatti, la commissione aveva potere meramente consultivo, restando competenza delle singole direzioni disporre degli acquisti, tuttavia ogni ufficio aveva il dovere di comunicare al presidente le proprie disponibilità di bilancio e il ministro stesso approvava i verbali delle sue sedute nelle quali si esprimevano i pareri d'acquisto.
Istituita presso la Direzione generale delle accademie e biblioteche,
la Commissione rappresentava un ulteriore rafforzamento delle
funzioni di controllo e di indirizzo dell'organismo ministeriale,
nato dieci anni prima dal potenziamento di un ufficio della Direzione
per gli affari generali e il personale, e in generale delle competenze
del ministero dell'Educazione nazionale sul piano della cultura
popolare e dei suoi istituti. A dirigerla Bottai chiamò
Luigi De Gregori, direttore della Biblioteca Casanatense di Roma
e studioso di problemi bibliografici e biblioteconomici. Del suo
consiglio facevano parte, oltre i direttori generali e i capi
divisione del ministero, il capo gabinetto del ministro, nonché
direttore dell'ufficio studi comunicati e periodici, Renato Mucci
e il capo divisione alla Direzione accademie e biblioteche, Ettore
Apolloni, successivamente nominato ispettore generale bibliografico.
Si trattava dunque di un organismo burocratico di notevole importanza,
come testimoniavano la presenza del capo gabinetto del ministro
e, saltuariamente, dello stesso Bottai che in varie occasioni
convocò direttamente la Commissione e prestò, in
generale, particolare cura alla sua organizzazione. La Commissione
svolse ininterrottamente la sua attività fino al giugno
del 1943. Il colpo di Stato del luglio determinò l'interruzione
delle sue sedute. Nell'agosto, il ministro Biggini succeduto in
febbraio a Giuseppe Bottai, decretò il suo scioglimento,
rimettendo totalmente alle biblioteche gli acquisti librari e
riservandosi di approvare in via eccezionale quelli che le direzioni
generali avessero ritenuto di particolare importanza e ai quali,
quindi, avrebbe provveduto il ministero stesso53.
2.1. I rapporti con le direzioni generali. Gli acquisti dei libri tra burocrazia e politica. La Commissione esprimeva i suoi pareri sulla base di un elenco di opere inviato dall'ufficio studi e di richieste che gli venivano dalle varie direzioni generali, da segnalazioni di enti ed istituti ovvero dagli stessi autori o editori. Nelle intenzioni di Bottai, la Commissione avrebbe dovuto svolgere un ruolo di coordinamento e di razionalizzazione nella politica dei doni ministeriali alle biblioteche dipendenti. Fin dall'inizio, però, a questa funzione se ne affiancò un'altra: assolvere ad un compito attivo di ricerca e di diffusione di opere, la cui circolazione e conoscenza da parte del pubblico dei lettori fosse ritenuta necessaria dai commissari. Ne dava comunicazione, nella seduta del 18 gennaio, Renato Mucci, informando i presenti dell'intenzione del ministro di affidare loro «il compito di dare parere non solo sulle pubblicazioni per le quali fosse proposto al Ministero l'acquisto di copie, ma anche su quelle che si desiderava venissero diffuse nelle scuole»54. Questa ambizione si scontrava tuttavia con due ordini di problemi; da un lato, la cronica deficienza di fondi, dall'altro, l'ambiguità di una politica della pubblica lettura che mescolava le esigenze piú disparate, combinando le priorità della scuola, con principi ad essa estranei nei quali confluivano opportunità politiche, pressioni di editori e di personaggi in vista del regime, una concezione strumentale delle biblioteche e della loro funzione.
Il problema finanziario emerse sin dalla prima seduta. Visto che la nomina della Commissione non prevedeva un apposito stanziamento in bilancio, il nuovo organismo si trovava a dipendere dalla disponibilità delle singole direzioni generali. Fin dall'inizio i vari direttori posero l'accento sui limiti dei poteri della Commissione, il cui parere poteva riguardare soltanto l'opportunità o meno di acquistare una pubblicazione e a volte riferirsi alla misura degli acquisti, tenuto sempre conto delle disponibilità finanziarie dei vari uffici. Nella seduta del 18 gennaio fu Francesco Bonfiglio, direttore capo di divisione presso la Direzione generale accademie e biblioteche, a sollevare la questione, ricordando che l'acquisto da parte del ministero di opere per le biblioteche pubbliche andava considerata come una funzione sussidiaria dell'amministrazione, i cui compiti in questo campo, come ricordava Ettore Apolloni, si riferivano piuttosto alla cura degli edifici, degli ambienti, all'incremento di lavori bibliografici; tutte funzioni che richiedevano una disponibilità finanziaria che non poteva essere compromessa da eccessivi aggravi per l'acquisto di libri55. Renato Mucci, che in Commissione rappresentava il ministro, propose che ogni capo servizio comunicasse l'entità delle somme già spese negli esercizi precedenti per acquisti librari e la misura degli stanziamenti disponibili. In realtà anche questa misura doveva rivelarsi insufficiente56. I problemi finanziari, cosí come le tensioni con le direzioni generali, erano destinati ad aggravarsi. All'ordine del giorno della seduta straordinaria della Commissione, che si svolse presso il gabinetto del ministro e alla sua presenza, il 31 gennaio 1939, venne iscritto come punto centrale, il deterioramento della situazione di bilancio, resa ancora piú precaria dagli oneri assunti, soprattutto per quanto riguardava abbonamenti a periodici e opere in continuazione. Irrisolta era anche la questione della scelta degli acquisti fuori dal numero delle pubblicazioni presentate alla Commissione. De Gregori affrontò tali questioni in un memoriale presentato all'adunanza57, nel quale avanzò anche l'ipotesi di un'eventuale costituzione di un centro unico di acquisto e distribuzione. Il presidente insisteva sul fatto che l'onere delle spese dovesse essere ripartito equamente tra le varie direzioni e non in funzione degli impegni che ciascuna, secondo le sue necessità, assumeva di volta in volta.
In particolar modo, il problema si poneva per gli abbonamenti a periodici che non sempre rispondevano agli indirizzi culturali dei singoli istituti dipendenti e che tuttavia il ministero riteneva necessario stipulare. Questo, in sostanza, aveva affermato il ministro nel suo intervento, quando, pur riconoscendo che l'assunzione di abbonamenti a periodici e l'acquisto di opere continuative costituivano un notevole aggravio di bilancio, aveva sostenuto che questi oneri erano giustificati dalla necessità di non interrompere collezioni di riviste e giornali che le biblioteche erano abituate a ricevere e che costituivano uno strumento necessario di lavoro e ricerca. D'altra parte, aveva continuato Bottai, scorrendo l'elenco degli abbonamenti, preparato dalla segreteria della Commissione, non si era rilevata alcuna pubblicazione, della quale non era apparsa, «per una ragione o un'altra, giustificata la diffusione nelle Biblioteche, per cui sarebbe [stata] impresa difficile e non certo opportuna cercare di sopprimere o ridurre alcuni degli abbonamenti in corso»58.
Il punto di vista del ministro si scontrava con l'approccio burocratico
di molti direttori generali che, al principio dell'equa distribuzione
del carico delle spese formulato da De Gregori, continuavano ad
opporre l'idea di un contributo che fosse proporzionato alle rispettive
esigenze. Bottai, infatti, aveva proposto che le singole sezioni
del ministero aumentassero il fondo stanziato per gli acquisti
dei libri e che anzi provvedessero al suo consolidamento, in modo
tale che la Commissione potesse pianificare la politica degli
acquisti, disponendo in partenza delle informazioni necessarie
circa la disponibilità finanziaria complessiva. Aveva inoltre
ribadito che a tale fondo consolidato contribuissero anche quelle
direzioni generali che, seppur in maniera limitata, provvedevano
tuttavia all'acquisto di pubblicazioni e che non era giusto si
sottraessero «al disciplinamento degli acquisti attuato a
mezzo della Commissione»59. Chiamato in causa direttamente
dal ministro, il direttore generale dell'Istruzione superiore,
Giustini, pur piegandosi al suo volere, aveva ribadito che il
contributo della sua amministrazione non poteva che essere «assai
modesto», mettendo l'accento sul fatto che «le Università
[provvedevano] direttamente all'acquisto delle pubblicazioni che
ad esse [occorrevano]. Soltanto in casi eccezionali il Ministero
[acquistava] direttamente qualche opera che [inviava] in dono
agli Istituti dipendenti. Dato, poi, il ristretto numero di questi,
l'acquisto [era] fatto in ogni caso per un limitato numero di
esemplari»60. Forti dissensi aveva sollevato anche l'ipotesi
di De Gregori dell'istituzione di un centro unico di acquisto
e distribuzione. Era il direttore dell'Istruzione media tecnica,
Erberto Guida, ad avanzare le maggiori perplessità, chiedendo
che le ordinazioni dei libri e la loro distribuzione fossero sempre
«fatte a cura delle singole Direzioni Generali, tenendo presenti,
ben inteso, le proposte fatte dalla Commissione e approvate da
S.E. il Ministro»61. Nelle parole di questo rappresentante
della burocrazia ministeriale, l'accento era posto sulle funzioni
meramente consultive della Commissione, del cui parere tener conto,
ma subordinatamente alle esigenze delle singole sezioni dell'amministrazione
e ai loro impegni finanziari. Uno spirito di scarsa collaborazione,
quanto meno, di sotterranea resistenza, che trova una conferma
in una lettera inviata da Mucci a Luigi De Gregori e, per conoscenza,
al segretario della Commissione Guido Arcamone in data 13 luglio
1940:
dalle numerose telefonate - esordiva il capo gabinetto
- e dalle non meno numerose lettere che solitamente da parte degli
interessati vengon fatte ed arrivano al mio Ufficio, ho ragione
di ritenere che, tra il momento in cui ufficiosamente (e
talvolta, sia pure in via assolutamente eccezionale, ufficialmente)
comunico le decisioni adottate dalla nostra Commissione per gli
acquisti di pubblicazioni e il momento in cui effettivamente gli
interessati stessi ricevono dagli Uffici l'ordinativo dei volumi
da acquistare, passa un tempo addirittura astronomico!
[...] soprattutto, siano invitate le Direzioni Generali ad essere
piú sollecite nel provvedere agli acquisti62.
La politica di centralizzazione degli acquisti librari trovava
un ostacolo nell'autonomia delle singole direzioni. Sebbene Bottai
avesse rassicurato Guida che sarebbe rimasto sempre compito delle
singole direzioni generali provvedere alle ordinazioni dei libri
e alla loro distribuzione e si fosse compiaciuto della discussione
che aveva dimostrato «l'opportunità di addivenire
a quel maggiore disciplinamento dell'opera della Commissione per
gli acquisti»63 da lui voluto, le questioni affrontate in
quell'occasione dovevano riproporsi pressoché immutate
l'anno successivo. Il 5 settembre il solito Mucci scriveva a De
Gregori che era intenzione del ministro presiedere alla prossima
riunione della Commissione «nella quale sarà bene
parlare, alla Sua presenza, dei criteri che dovranno definitivamente
adottarsi circa la provenienza delle pubblicazioni sottoposte
al nostro esame»64. La questione della scelta delle opere
da acquistarsi era strettamente legata al problema finanziario
e rappresentava la causa principale delle resistenze delle varie
direzioni generali, le quali lamentavano il totale assorbimento
dei loro fondi in spese che non rispondevano ai bisogni specifici
degli istituti dipendenti. Nell'adunanza del gennaio 1939, già
ricordata, Bottai aveva affermato che l'iniziativa di scegliere
le pubblicazioni da acquistare fuori dal numero di quelle che
editori e autori inviavano al ministero avrebbe dovuto essere
«facoltà normale» della Commissione, perché
il piú delle volte le pubblicazioni che quelli non si curavano
di raccomandare per l'acquisto erano le migliori. Un modo piuttosto
involuto per dire che, visto che le scelte della Commissione avvenivano
all'interno delle liste che l'ufficio studi compilava sulla base
delle segnalazioni di autori ed editori, la politica degli acquisti
ministeriali contraddiceva a quel principio di «diretto»
interesse didattico individuato dal ministro stesso come requisito
fondamentale dei libri da acquistarsi65. Nel settembre del 1940,
piú di un anno dopo le sue dichiarazioni, Bottai diede
incarico al suo capo gabinetto di convocare una riunione della
Commissione con all'ordine del giorno tali questioni. Sul retro
della lettera inviata da Mucci sono annotate a matita per mano
dello stesso De Gregori alcune osservazioni:
Se scopo di questi acquisti fosse soltanto quello
di fornire buone pubblicazioni ai nostri istituti, bisognerebbe
chiudere la porta all'invio delle pubblicazioni in esame, tra
le quali non è troppo frequente il caso di incontrare
il meglio della produzione esistente. Al contrario fin ad ora
la Commissione non ha potuto esimersi dall'accettarle66
e molto spesso dall'acquistarle, anche per ragioni indipendenti
dalla bontà intrinseca delle pubblicazioni. In tal caso
era naturale che l'onere dell'acquisto si doveva ripartire fra
le varie Direzioni Generali del Ministero, e che qualcuna di queste
l'abbia potuto trovare non opportuno per la distribuzione agli
istituti suoi67.
Tutta la costruzione del periodo rimanda, con il suo procedere per allusione, ad altri compiti e ad altre funzioni, a scopi utili politicamente, o anche solo per il soccorso all'editoria, attraverso le commesse di libri. L'argomentare per litote, che caratterizza l'appunto di De Gregori testimonia di una difficoltà ad ammettere un dato, che abbiamo già visto documentato per i doni e gli acquisti dell'Ente diretto da Mancini, quello che spesso alle biblioteche veniva destinato dagli editori una produzione culturalmente scadente, quando non addirittura fondi di magazzino, materiale invenduto o invendibile. Oltre al fallimento di una politica culturale di indirizzo della pubblica lettura, dovuto da un lato alla scarsezza dei fondi disponibili, dall'altro all'azione di criteri di scelta «indipendenti dalla bontà intrinseca delle pubblicazioni», la nota è particolarmente interessante per la luce che proietta sui rapporti tra editori e fascismo. La nascita di un centro per gli acquisti aveva catalizzato gli interessi degli editori che riversavano su di esso le loro richieste, le quali finivano per assorbire totalmente la spesa e a cui il ministero non poteva e non voleva sottrarsi. La Commissione quindi non poteva, come in realtà non fece, risolvere la questione posta all'ordine del giorno. Il modo stesso in cui era organizzata, la consapevolezza del contesto in cui si trovava ad operare da parte di Bottai, ma anche di De Gregori, lasciavano poco spazio alla possibilità di una scelta autonoma e di una politica di indirizzo della pubblica lettura secondo criteri non solo didatticamente fondati, ma definiti sulla base dell'esigenza dell'educazione fascista.
La Commissione si riuniva il 18 novembre del 1940. Il ministro esprimeva la sua soddisfazione per il lavoro svolto che aveva portato ad un suo disciplinamento e dunque ad acquisti piú razionali; tuttavia, il problema di maggiore attualità restava comunque quello finanziario. Con il fondo consolidato la Commissione disponeva di circa due milioni di lire. Una tale cifra poteva essere aumentata, ma bisognava evitare la sua costituzione in capitolo, che avrebbe comportato problemi contabili e soprattutto non sarebbe servito allo scopo, perché i fondi cosí costituiti sarebbero stati immediatamente esauriti68. Nella discussione sul problema finanziario, Bottai teneva conto di una serie di osservazioni del direttore generale dell'istruzione media tecnica, specialmente di un appunto indirizzato alla sua segreteria particolare il 26 marzo 1940 relativo alla «riforma contabile del sistema attualmente vigente per l'acquisto di pubblicazioni» che avrebbe importato la «costituzione di un apposito capitolo nel bilancio del Ministero»69.
La nota di Guida è molto interessante. Da essa emergono
sia un quadro del lavoro della Commissione e dei suoi rapporti
con gli editori, largamente coincidente con le osservazioni di
De Gregori contenute nelle annotazioni a matita a margine della
lettera di Mucci, sia quell'atteggiamento, ed è qui la
differenza profonda con il presidente della Commissione, condiviso
però da molti dei funzionari ministeriali presenti nell'organismo
consultivo, di resistenza all'approccio di Bottai alle questioni
della pubblica lettura, spia di una «mentalità burocratica»
che tenacemente oppone alla «funzione politica», gli
interessi della scuola, cercando di difendere le prerogative del
proprio ufficio. È un contegno che si avverte, ad esempio,
nella proposta di decentrare gli acquisti, «cosí che
le singole istituzioni possano fare un migliore uso dei fondi
acquistando solo pubblicazioni utili e rispondenti alle diverse
finalità delle singole raccolte di pubblicazioni»,
e che fa annotare a Renato Mucci, in un appunto a matita segnato
ai margini della nota, che è stato proprio «il Ministro
a voler accentrare». Secondo Guida la costituzione di un
apposito capitolo di bilancio, la cui esistenza sarebbe divenuta
presto nota, avrebbe prodotto un notevole aumento di richieste
ed insistenze «da parte di Editori e personalità autorevoli
[...] per acquisti di pubblicazioni, specialmente di quelle
che non trovano facile acquisto, spesso per ragioni insite nell'utilità
e nel pregio della pubblicazione stessa»70.
Verrebbe cosí aggravato - continuava Guida
- l'inconveniente che attualmente già si verifica
di erogare somme non trascurabili per inviare alle biblioteche
ed alle Scuole dipendenti pubblicazioni di dubbia utilità
e spesso non rispondenti ai bisogni delle istituzioni o non in
armonia con le altre pubblicazioni da esse possedute71.
Come si è visto, la proposta di Guida era non solo di non procedere alla costituzione del capitolo, ma anche di cambiare completamente indirizzo nella politica degli acquisti riducendo a funzione meramente consultiva la Commissione, che invece nella prospettiva di Bottai doveva essere organo di controllo e di razionalizzazione, e rivalutando l'autonomia amministrativa e decisionale dei singoli apparati burocratici del ministero.
Il secondo inconveniente dell'ipotesi di un nuovo capitolo di bilancio era che il trasferimento in esso dei fondi, che si destinavano all'acquisto dei libri e che fino a quel momento erano prelevati da altri capitoli, relativi alle spese per il complesso funzionamento dei vari tipi di scuole, avrebbe comportato la denuncia del fatto che una parte notevole delle somme stanziate e richieste in vista di determinati scopi venivano impiegati per i doni alle biblioteche, creando cosí una complicata situazione contabile e conseguenti contenziosi con il ministero delle Finanze. Tali considerazioni muovevano, in Guida, dalla affermazione della priorità delle esigenze della scuola. Consolidando la spesa per l'acquisto delle pubblicazioni e riducendo stabilmente la somma disponibile per altri tipi di interventi, il nuovo capitolo avrebbe tolto «all'erogazione dei fondi quell'elasticità che è assolutamente necessaria, in relazione all'attuale limitazione dei fondi stessi ed ai molteplici bisogni delle scuole» e impedito, conseguentemente, «la possibilità di graduare le spese a seconda dell'opportunità ed urgenza».
Il problema finanziario acquistava un aspetto particolare. Gli
abbonamenti a periodici, «una vera valanga», aumentavano
di anno in anno e costituivano per ogni esercizio una somma fissa
che riduceva di molto l'elasticità degli stanziamenti.
La cifra spesa nel 1939 ammontava a 244 mila lire, superiore a
quelle 217 mila che avevano rappresentato la media del triennio
precedente72. Inoltre, come osservava De Gregori, era difficile
che una rivista morisse «appunto perché gli abbonamenti
[servivano] a mantenerla in vita». Per Bottai, proprio questi
erano i termini della questione: non era possibile respingere
in blocco gli abbonamenti stipulati, dato che cosí ci si
sarebbe cacciati in un «gineprajo». Le spese andavano
razionalizzate e gli abbonamenti stipulati in una data stagione,
in modo da poter pianificare gli importi. In realtà, come
risulta dai verbali delle adunanze, si trattava di un principio
cui fu spesso derogato. D'altra parte, Bottai affermava con molta
chiarezza che la riduzione degli abbonamenti non poteva assolutamente
significare una loro stroncatura73. Inoltre, è interessante
notarlo, se revisione degli abbonamenti doveva esserci, questa
andava fatta d'accordo con il ministero della Cultura popolare.
E per quanto affermasse che priorità assumevano le spese
destinate alla scuola e in maniera particolare alle biblioteche
dei professori, doveva riconoscere che esistevano momenti in cui
si era costretti a fare delle «piccole transazioni»,
che era «necessario avere il coraggio di farle»,
ma bisognava distinguere. E qui Bottai, faceva un'ammissione di
grande importanza, quando chiedeva retoricamente ai suoi interlocutori
se credevano che in un «altro momento» avrebbero stipulato
mille abbonamenti alla «Difesa della razza»74. La rivista
diventava cosí il simbolo di quei «condizionamenti»,
o piú semplicemente e chiaramente di quei compiti altri
e utili cui sembra alludere De Gregori nei suoi appunti. Era proprio
il presidente della Commissione che, riallacciandosi alle dichiarazioni
del ministro, avvertiva che «quello che le direzioni generali
non [comprendevano] sempre [era] che questo contributo di spesa
non si [chiedeva] in merito alla distribuzione delle opere ma
come partecipazione all'onere comune»75. A questo punto c'era
un'apparente svista da parte di De Gregori che rafforza il ragionamento
che stiamo facendo. «Se il Ministro - affermava - assume
duemila abbonamenti alla rivista della Razza che non
è adatta né per questa né per quella direzione
generale, l'onere dev'essere diviso tra tutte le direzioni»76.
I mille abbonamenti di Bottai assumevano in De Gregori un valore
esemplificativo, emblematico, tanto che egli poteva non tenere
conto del loro reale ammontare, anzi arrivare a ipotizzare una
loro duplicazione. Quello che si trattava di affermare era il
valore politico delle scelte della Commissione e dunque del ruolo
delle biblioteche. Questo a prescindere dal valore intrinseco
delle opere acquistate. Non fosse altro che far vendere piú
carta e che non è cosa da poco, come ricorda Furio Jesi,
il fascismo non conosce compiti inutili, ma «moltissimi compiti
utili, socialmente, economicamente, politicamente efficienti»77.
54 Ibidem.
55 Ibidem. Il tipo di preoccupazioni espresse da Bonfiglio e Apolloni erano comuni a tutti i funzionari presenti alla seduta. Il verbale della seduta del 18 gennaio 1937 ne registrava prontamente le opinioni. In particolare il prof. Giovanni Ferro insisteva nel fissare il carattere puramente consultivo della Commissione, affermando che una «funzione essenziale [...] dev'essere quella di dare parere sulla opportunità che una data pubblicazione sia acquistata o sia diffusa nelle Biblioteche dipendenti dal Ministero».
56 Ibidem.
57 Ivi, «Rapporti con il Gabinetto».
58 Ibidem.
59 Ibidem.
60 Ibidem.
61 Ibidem.
62 Ibidem.
63 Ibidem.
64 Ibidem.
65 Ivi, Criteri per il corretto svolgimento del lavoro della Commissione, Appunto per Luigi De Gregori del ministro Bottai in data 10 marzo 1938.
66 Nel testo a questo punto, compare un segno grafico di richiamo di un'annotazione posta a pié di pagina: «l'invio s'è intensificato, naturalmente, da quando gli editori sanno che c'è nel Ministero una Commissione acquisti».
67 ACS, MPI, Dir. gen. acc. e bibl., b. 142, «Rapporti con il Gabinetto».
68 Ibidem.
69 Ibidem. Dalla corrispondenza intercorsa nella primavera del 1940 tra i direttori generali si ricavano le seguenti cifre relative agli stanziamenti in bilancio delle singole direzioni per acquisti di libri. La Direzione generale dell'istruzione superiore che sino all'esercizio finanziario 1937-38 spendeva in media tremila lire, tenuto conto del fatto che le Università provvedevano con mezzi propri all'acquisto di pubblicazioni, aumentate l'anno successivo di quattromila lire, «in obbedienza ad ordine dell'Eccellenza il Ministro», alla fine dell'esercizio 1938-39 aveva stanziato in bilancio la somma massima di dieci mila lire, sempre in «ossequio» alle direttive di Bottai (cfr. Nota del Direttore Generale dell'Istruzione Superiore Giustini al Gr. Uff. Renato Mucci in data 4 aprile 1940). La Direzione delle accademie e biblioteche diretta da Edoardo Scardamaglia, stanziava, nello stesso periodo, 120 mila lire per le biblioteche governative; centodieci mila per quelle non governative e solo trenta mila per le popolari. A quaranta mila lire ammontava, invece, la spesa che avrebbe dovuto sostenere la Direzione generale dell'ordine superiore tecnico in ottemperanza delle decisioni prese dalla Commissione. Cfr. Lettera del Direttore Generale dell'Ordine Superiore tecnico ad Edoardo Scardamaglia, Direttore Generale delle Accademie e Biblioteche e degli Affari Generali, s.d. ma dell'agosto 1940.
70 ACS, MPI, Dir. gen. acc. e bibl., b. 142, cit. (corsivi miei).
71 Ibidem (corsivo mio).
72 Ivi, verbale dell'adunanza del 18 novembre 1940.
73 Ivi, «Ridurre non stroncare» era il criterio che Bottai aveva indicato ai membri della Commissione.
74 Ibidem.
75 Ibidem.
76 Ibidem (corsivi miei).
77 F. Jesi, La cultura di destra, Milano,
Garzanti, 1993 (I ed. 1979), p. 116.