OBESITA'

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"Amore e cibo si sostituiscono a vicenda. Circondiamo di tangibile affetto il familiare obeso ed egli avrà improvvisamente meno bisogno di mangiare e comincerà a dimagrire."

(Ferruccio Antonelli, 1927, psichiatra)

 

 

 

"La battaglia quotidiana, implacabile e ossessionante, ai chili e agli etti, combattuta in nome di una liberatoria e ascensionale leggerezza impostaci da severi codici di spietata socialità mondana, ha fatto della bilancia un duro momento che continuamente richiama al dovere di sollevarci verso l'alto non soltanto nello spirito ma nella carne."

 

(Piero Camporesi, 1926, 

saggista e antropologo)

 

 

  DEFINIZIONE DI OBESITA'  

Possiamo definire l'obesità come un aumento di peso corporeo molto al di sopra dei valori normali che rimane stabile nel tempo. Queste poche e semplici parole stanno ad indicare una malattia cronica multifattoriale, che cioè dipende quasi sempre da una miscellanea di problemi psicologici e comportamentali che contemporaneamente affliggono il malato.

Imboccare la via dell'obesità può talvolta essere fin troppo semplice: si comincia con una dieta sbagliata, si finisce per rimanere invischiati in un tira e molla tra dieta e pause dettate dallo sfinimento a cui le restrizioni alimentari, quasi sempre auto-imposte, costringono.

L'obesità non è però sempre uguale. Ne esistono infatti vari di gradi: si va dal semplice sovrappeso all'obesità di primo grado, a quella di secondo grado, alla grande obesità e, infine, alla super obesità.

 

Cellule del tessuto adiposo, sede in cui il grasso in eccesso si deposita e da cui può essere mobilizzato in risposta ad aumentate richieste energetiche dell'organismo.L'obesità è una patologia caratterizzata dall'accumulo di eccessive quantità di tessuto adiposo (grasso) a livello sottocutaneo.

In condizioni normali, nella specie umana il grasso corporeo costituisce il 25% del peso corporeo delle donne e il 15% di quello degli uomini; quando esso supera tali valori, porta progressivamente a una condizione di sovrappeso e, infine, di obesità vera e propria.

Per stabilire se una persona è in sovrappeso e a quale categoria essa appartenga, si fa riferimento a varie tabelle nate appositamente a tale scopo. Il metodo oggi più in voga e, comunque, quello ormai adottato in tutto il mondo, è il cosiddetto Indice di QueteletIndice di Massa Corporea (in inglese Body Mass Index, BMI), cioè il rapporto tra il peso dell'individuo espresso in chilogrammi e il quadrato della sua altezza espressa in metri quadrati.

 

BMI (indice di massa corporea) = peso (in chili) / altezza x altezza (in metri)

 

Facciamo un esempio: una persona alta 1 metro e 70 centimetri e che pesa 71 kg deve dividere il proprio peso corporeo (cioè appunto 71) per la sua altezza al quadrato (cioè 1,70 x 1,70 = 2,89). L’operazione da eseguire sarebbe quindi 71:2,89 che da come risultato 24,5. In questo esempio, dunque, il BMI è uguale a 24,5.

A questo punto, il BMI trovato deve essere confrontato con i valori di una apposita tabella:

 

COSTITUZIONE

BMI (Body Mass Index)

Peso / Altezza x altezza

SOTTOPESO

Inferiore a 18,5

PESO NORMALE

Donna 18,5 – 22,9

Uomo 19,5 – 24,9

SOVRAPPESO

Donna 23,0 – 27,9

Uomo 25,0 - 29,9

OBESITÀ di 1° GRADO

Donna 28 – 35

Uomo 30 - 35

OBESITÀ di 2° GRADO

35 - 40

GRANDE OBESITÀ

Maggiore di 40

SUPER OBESITÀ

Maggiore di 50

 

Quindi, nell’esempio che abbiamo fatto prima, l’individuo di 1 metro e 70 che pesa 71 Kg (BMI 24,5) è in sovrappeso se si tratta di una donna, mentre se si tratta di un uomo è al limite superiore della normalità.

 

 

 

  VALUTAZIONE DELLA DISTRIBUZIONE DEL GRASSO CORPOREO  

 

In accordo con i più recenti dati di epidemiologia e fisiopatologia, i parametri peso corporeo e altezza non consentono da soli un'adeguata definizione. Appare necessarioo, infatti, non solo indicare le dimensioni dei compartimenti magro e adiposo, ma anche distinguere la quantità di tessuto adiposo localizzata in sede viscero-addominale da quella presente a livello sottocutaneo e periferico. Ciò consente di suddividere l'obesità in una forma centrale, con prevalente accumulo di grasso in sede viscero-addominale, ed in una forma periferica, con grasso corporeo preferenzialmente rappresentato in sede sottocutanea e gluteo-femorale.

A queste due classi morfologiche corrisponde la più antica distinzione in obesità androide e obesità ginoide, oggi considerata impropria dal momento che in realtà l'accumulo centrale di grasso non è limitato esclusivamente al sesso maschile (ad esempio esso è tipico delle donne obese in post-menopausa) e, per contro, la distribuzione adiposa periferica non appartiene solo al sesso femminile.

In aggiunta, va delineandosi sempre più chiaramente un ulteriore quadro clinico­morfologico che con la espressione di sindrome androide definisce quei soggetti, anche normopeso, che hanno una distribuzione del grasso di tipo centrale e in cui il rischio cardiovascolare e metabolico è pari a quello dell'obesità centrale o addirittura superiore a quello dell'obesità periferica.

Un'accurata quantificazione del grasso viscerale richiederebbe l'impiego di sofisticate e costose metodiche quali la TAC (Tomografia Assiale Computerizzata) o la RMN (Risonanza Magnetica Nucleare), con le quali si valuta lo strato corrispondente alla IV vertebra lombare. Senza dubbio, però, tali tipi di indagine sono improponibili non solo nella pratica clinica ma anche nella comune attività di ricerca.

Un approccio senza dubbio più agevole, anche se ancora non standardizzato, è quello basato sulla ecografia.

Rilevazione della plica tricipitale

Più semplicemente e da più lungo tempo si è tentato di identificare l'obesità centrale utilizzando una combinazione di rilievi plicometrici.

 

 

Tuttavia, i parametri sicuramente più diffusi e documentati sono relativi alle misure delle circonferenze corporee.

 

 

 

  CAUSE DI OBESITA'  

 

Per quanto riguarda le cause di obesità, possiamo distinguere due grandi categorie: quella endocrina e quella cosiddetta essenziale (o primitiva).

 

L’obesità endocrina è molto rara essendo presente soltanto nell’1% degli obesi. È legata ad una malattia di alcune ghiandole endocrine, solitamente della tiroide e della ghiandola chiamata ipofisi, che si trova nel cervello e che ha molte funzioni nella regolazione ormonale. In questi casi, sarà necessario e spesso sufficiente curare la malattia endocrina per risolvere, insieme con essa, anche il problema di peso in eccesso.

 

La stragrande maggioranza dei casi di obesità, però, fa parte della categoria di obesità essenziale, cioè quella che non ha cause completamente dimostrate. Alla base probabilmente c’è, almeno in alcune persone, uno squilibrio tra il consumo energetico e l'apporto calorico che queste sono abituate ad introdurre. Forse il metabolismo di queste persone ha la tendenza a far tesoro delle calorie introdotte: queste verranno quindi incamerate invece di essere spese.

Rimane comunque il fatto che l'obesità è una condizione determinata da molteplici concause più o meno modificabili, tra cui fattori biologici, ambientali e comportamentali.

 

Un ruolo molto importante è sicuramente giocato dalla predisposizione genetica allo sviluppo di un eccesso di peso. È stato calcolato che (indipendentemente dalle abitudini alimentari famigliari) quando entrambi i genitori sono obesi l’80% dei figli tende ad avere lo stesso problema; se è obeso solo uno dei genitori il 40% dei figli tende a diventare anch’esso obeso; se invece i genitori non hanno alcun problema di sovrappeso soltanto il 7% dei figli diventa obeso.

Alla base di questa predisposizione ad ingrassare sembra esserci l’alterazione del cosiddetto gene Ob. Questo gene alterato riesce a ridurre la produzione di una importante proteina (la leptina) che ha il compito di informare il sistema nervoso della quantità di energia immagazzinata sotto forma di grassi. Normalmente, quando aumenta il deposito di grassi nell’organismo, aumenta anche la produzione di leptina; questa "avverte" il cervello (e più precisamente una parte cerebrale chiamata ipotalamo) il quale, a sua volta, riduce la sensazione di fame e fa aumentare il dispendio di energia per liberare l’organismo dall’eccesso di grasso. Se però il gene Ob è alterato, allora si produce poca leptina e quindi il cervello non viene avvertito bene di quanto grasso si è accumulato, per cui la fame non diminuisce.

Poiché ogni individuo possiede una coppia di geni Ob e poiché i geni Ob sono recessivi, affinché si sviluppi l’obesità devono risultare mutati entrambi gli alleli portati dall’individuo; la presenza di anche un solo gene sano permette, dunque, un normale controllo del peso.

L’obesità può svilupparsi anche quando risultano mutati non i geni, ma i recettori cellulari della leptina presenti nel cervello; in questo caso la leptina, anche se viene prodotta normalmente, non può agire perché i recettori mutati non riescono a riconoscerla e a legarla correttamente e, dunque, non consentono a livello cerebrale la trasmissione del segnale di controllo per l’assunzione del cibo.

 

È comunque da tenere ben presente che la sola predisposizione genetica, pur essendo importante, non è sufficiente perché si verifichi la malattia cronica detta obesità: praticamente sempre esistono altre concause. Le più importanti concause sono lo stile alimentare e lo stile di vita acquisito in famiglia e la quantità di cibo introdotta (in linea di massima, quando c’è uno squilibrio tra l’introduzione calorica ed il dispendio energetico, la conseguenza è un aumento di peso. Tuttavia, la razione di cibo giornaliera può essere diversa da persona a persona a seconda del proprio metabolismo e delle proprie attività quotidiane. È noto a tutti che molte persone non ingrassano anche se mangiano molto mentre altre mettono su chili anche senza abbuffarsi). Da non trascurare sono anche i problemi psicologici, che sono spesso legati sia alla comparsa sia al protrarsi della malattia.

 

Per quanto riguarda gli anziani, in Italia l'obesità colpisce soprattutto le donne, soprattutto se hanno avuto più figli, senza malattie gravi e con uno stato psichico caratterizzato da nevrosi ansiosa. È correlata in modo diretto alla mortalità e alla morbilità, rappresentando uno dei più importanti fattori di rischio in età avanzata. Nella maggior parte dei casi l’obesità in età senile è associata a patologie complesse, quali:

diabete tipo 2;

dislipidemie;

ipertensione arteriosa;

iperuricemia e gotta;

flebotrombosi;

arteriopatie periferiche,

osteoporosi ed osteoartrosi diffusa ad evoluzione anchilosante, specialmente a carico dell'anca e del ginocchio;

iperidrosi;

russamento, arresti respiratori notturni transitori ed insufficienza respiratoria;

colelitiasi e steatosi epatica;

disturbi del ciclo mestruale e della fertilità;

aumentato rischio di piaghe da decubito e di sindrome da immobilizzazione;

riduzione della speranza di vita.

In condizioni di normalità, la dieta di un soggetto anziano deve essere costituita da 1800-2200 calorie al giorno ed essere rappresentata per il 20% da proteine, per il 20-25% da lipidi e per il 55-60% da glucidi. Tali misure sono solo indicative e variano a seconda di numerosi fattori: altezza, peso attuale e peso ideale, attività fisica (spesso enormemente ridotta) e soprattutto condizioni cliniche del soggetto. Va tenuto comunque presente che negli anziani una riduzione della quota calorica è sì preziosa in alcune malattie (come ad esempio il diabete e lo scompenso cardiaco) ma soltanto se c’è un vero eccesso di peso, perché una restrizione eccessiva in essi può essere più dannosa che utile, anche in presenza di queste malattie.

 

 

 

  GESTIRE  IL  PROPRIO  PESO  

 

Gestire il proprio peso vuol dire non soltanto dimagrire ma anche, e soprattutto, raggiungere il peso più adatto al migliore stato di salute ed evitare di recuperare il peso perduto.

Mettersi a dieta  implica non una soluzione nel breve periodo, ma un impegno a lungo termine. Del resto la parola "dieta" deriva dal greco diaita (latino diaeta) che significa "stile di vita, modo di vivere" e che nell'antica medicina greca stava ad indicare il complesso delle norme di vita atte a mantenere lo stato di salute (alimentazione, attività fisica, riposo ecc.).

E' fondamentale porsi degli obiettivi realistici (e realizzabili) da raggiungere. Sottoporsi improvvisamente a dure restrizioni nel tentativo di dimagrire rapidamente può comportare, oltre che problemi di salute, anche l'abbandono del trattamento, con conseguente frustrazione e convinzione della propria incapacità di controllare il peso corporeo. Bisogna, invece, adottare un trattamento adeguato che porti nel lungo periodo al raggiungimento dell'obiettivo finale, attraverso una serie di piccoli successi.

Io stesso, in questa scheda, ho parlato di peso normale e di tabelle di riferimento. Va comunque fatta una precisazione: il peso "ideale" non esiste. Il vero peso ideale (sarebbe forse meglio definirlo ragionevole) è il peso al quale corrispondonobuona salute fisica ed esigenze psicologiche e sociali. Molte persone, invece, hanno un concetto del proprio peso ideale non realistico e quindi non realizzabile.

Fatta questa premessa, si può iniziare a dire che, per le persone in sovrappeso o francamente obese, una perdita di peso di circa il 10 % può già apportare vantaggi significativi allo stato di salute generale (miglioramento della glicemia, del tasso ematico di trigliceridi e della pressione arteriosa, con conseguente riduzione del rischio di alcune tra le citate malattie associate all'eccesso di peso). Inoltre, una tale riduzione di peso può apportare benefici psicologici con crescita della propria autostima. E' quindi opportuno che il primo obiettivo da raggiungere sia soltanto una riduzione del 10 % del peso attuale. Una volta ottenuto questo risultato e imparato a mantenerlo per un ragionevole periodo di tempo, si passerà a valutare (sempre con l'aiuto di un medico) l'opportunità di un'ulteriore perdita di peso.

In generale va sempre tenuto presente che:

  • E' pericoloso perdere più di 1 kg alla settimana.

  • L'aspettativa realistica varia da 300 a 700 grammi a settimana dopo le prime 2 settimane di trattamento (perché in questo primo periodo la perdita di peso può essere maggiore, essendo soprattutto legata a perdita di acqua e non di grasso).

  • A volte, pur essendo perfettamente seguito il regime dietetico prescritto, non si perde il peso voluto perché il dispendio energetico è troppo basso.

  • E' meglio pesarsi soltanto una volta a settimana, al mattino a digiuno e dopo aver espletato le proprie funzioni fisiologiche.

  • Bisogna concentrarsi solo sulle variazioni mensili del peso (le fluttuazioni, in su o in giù, nel breve periodo non sono affidabili perché imputabili a variazioni della ritenzione idrica).

  • La perdita di peso deve essere valutata, oltre che con l'aiuto della bilancia, anche mediante la misurazione della circonferenza della vita (una sua riduzione sta ad indicare una riduzione del grasso viscerale).

 

 

  ATTIVITA' FISICA  

 

Nello stile di vita delle persone che riescono a perdere peso e a mantenere nel tempo un peso ragionevole, il fattore comune è l'attività fisica.

Ma a cosa serve svolgere attività fisica? Cominciamo a sgombrare il campo dai luoghi comuni e dai pregiudizi. 

-     Intanto, l'attività fisica serve sì a consumare calorie, ma questo effetto è forse il meno importante in quanto nel breve termine i vantaggi sono molto limitati (pensate che in un'intera ora di jogging si consumano soltanto le calorie contenute in 100 grammi di pane!); fare esercizi apporta benefici significativi solo nel lungo termine e soprattutto nel mantenimento del peso forma, non tanto nella perdita di peso.

-     Altro mito da sfatare è che facendo attività fisica aumenti l'appetito: di fatto, dopo un esercizio leggero l'appetito diminuisce. Quando si pratica un'intensa attività fisica allora si mangia di più, ma in genere le calorie così introdotte sono minori rispetto a quelle consumate con l'esercizio fisico. Inoltre, gli esercizi fisici fanno ridurre il desiderio di cibi grassi (che invece aumenta, talvolta prepotentemente, durante le semplici diete ipocaloriche non accompagnate da attività fisica).

-     A favore dell'attività fisica sta anche il fatto che essa favorisce la perdita di massa grassa, mentre la perdita di peso che si ha nelle diete è dovuta a perdita sia di massa grassa che di massa magra (muscolare).

-     Ancora, l'attività fisica riduce l'entità dell'adattamento metabolico durante le diete. Spieghiamo meglio questo concetto. Nelle persone sedentarie il 70 % del fabbisogno energetico viene utilizzato ogni giorno durante il riposo (attraverso il cosiddetto metabolismo basale, che serve a mantenere le funzioni fondamentali dell'organismo come ad esempio la digestione, il controllo della temperatura ed il funzionamento degli organi), mentre il restante 30 % delle calorie introdotte è utilizzato per l'attività fisica. Se queste persone si mettono a dieta, la restrizione calorica e la perdita di peso comportano, nel giro di circa un mese, la automatica riduzione di oltre il 25 % del fabbisogno calorico giornaliero, determinando una sorta di adattamento metabolico, con il risultato che dopo il primo mese le persone sedentarie a dieta fanno molta più fatica a perdere peso. L'attività fisica è utile perché, come accennato, fa sì che l'adattamento metabolico sia molto ridotto.

-     L'esercizio fisico, anche se moderato, ha inoltre effetti benefici sulla stato di salute generale, indipendentemente dalla perdita di peso. Infatti, previene l'osteoporosi e migliora la pressione sanguigna, i livelli di grassi e glucosio nel sangue ed il funzionamento di cuore e polmoni; non meno importante è il fatto che l'attività fisica riduce lo stress e l'ansia, potenzia il senso di autocontrollo ed aumenta l'autostima.

 

Non è questa la sede per entrare nel dettaglio di come deve essere una adeguata attività fisica (che, tra l'altro, dovrebbe essere preceduta sempre da una discussione fatta con il proprio medico di fiducia e da un check-up completo). Mi limiterò qui solo a dare qualche suggerimento, ben conscio del fatto che iniziare e portare avanti un programma di esercizi può essere difficile per tutti e soprattutto per chi è in sovrappeso.

  • Come per la dieta, anche per l'attività fisica bisogna essere consapevoli di quali siano le proprie possibilità e quali siano gli obiettivi da raggiungere a breve termine; una volta raggiunto un traguardo bisogna fissarne un altro sempre a breve scadenza e così via.

  • Sarebbe meglio non seguire programmi preconfezionati (libri, riviste, videocassette ecc.) che spesso si rivelano irrealizzabili, o talora addirittura dannosi, e conducono al fallimento, in quanto di solito sono concepiti per aiutare a raggiungere la forma in generale (fitness), ma raramente tengono conto della situazione delle persone in sovrappeso.

  • Ricordarsi sempre che anche un modesto esercizio fisico può apportare benefici al corpo ed alla psiche.

  • Meglio iniziare con attività che si possono svolgere in privato o che non sollecitino l'emotività, come ad esempio usare per pochi minuti la cyclette, fare delle camminate, eseguire stiramenti muscolari (stretching), usare le scale anziché l'ascensore.

  • Per quanto riguarda il camminare, bisognerebbe farlo ogni giorno coprendo un certa distanza, prestabilita secondo le proprie possibilità, variando spesso il percorso per non annoiarsi. Dopo parecchi giorni si può aumentare la distanza da percorrere. Ricordarsi, mentre si cammina, di tenere il corpo leggermente inclinato in avanti (l'inclinazione deve partire dalle caviglie e non dalla cintola, altrimenti si affatica la schiena e si rende difficoltosa la respirazione), di mantenere la testa alta, di fare passi lunghi e regolari e di oscillare bene le braccia (possibilmente tenendo i gomiti flessi a 90 gradi).

  • Quando e se ci si sente pronti, si può iniziare un vero e proprio programma di esercizi fisici in palestra, sotto la guida di un istruttore, per almeno 45 minuti al giorno e per 3-4 giorni a settimana.

 

 

  CONSIDERAZIONI SUI FARMACI USATI NEL TRATTAMENTO DELL'OBESITA'

 

Nella pratica clinica sono spesso proposte terapie farmacologiche da associare alle diete nel trattamento dell'obesità, ma non si dispone di dati certi in grado di comprovarne l'efficacia.

Schematicamente si possono distinguere sostanze anoressizzanti (che riducono l'appetito e, quindi, l'introito di calorie), sostanze che riducono l'assorbimento intestinale e sostanze che aumentano il dispendio di energia.

 

   Tra le  sostanze anoressizzanti  le più usate sono attualmente la d-fenfluramina e la fluoxetina. Entrambe agiscono sull'attività serotoninergica centrale ed il loro effetto sembra prevalentemente rivolto a limitare l'appetito verso gli zuccheri;  inoltre, entrambe hanno una certa efficacia nel promuovere la perdita di peso (anche se il loro impiego rimane dubbio nei trattamenti a lungo termine). Esse, tuttavia, hanno effetti opposti sul tono dell'umore: la d-fenfluramina può in alcuni casi portare depressione, mentre al contrario la fluoxetina ha effetto anti-depressivo.

 

   Tra le  sostanze che riducono l'assorbimento  ricordiamo l'acarbose ed il miglitol, che agiscono rallentando la degradazione e l'assorbimento intestinale degli zuccheri. Bisogna però dire che, alle dosi usualmente tollerate, non è stato segnalato alcun significativo effetto che favorisca la perdita di peso.

 

   Tra le  sostanze che aumentano il dispendio di energia  si annoverano i farmaci simpaticomimetici, il cui impiego è però gravato da notevoli effetti collaterali a carico dell'apparato cardiovascolare. Il loro uso è dunque improponibile nel trattamento dell'obesità.

 

 

A parte consideriamo due molecole, la sibutramina e l'orlistat, che rappresentano le nuove frontiere della terapia farmacologica dell'obesità.

 

 

 

  CONSIDERAZIONI SUI TRATTAMENTI CHIRURGICI DELL'OBESITA'

 

Esistono due tipi di intervento chirurgico che permettono di affrontare l’obesità grave e resistente ai regimi alimentari: il by-pass ileale e il by-pass gastrico.

Nel primo intervento viene asportato un tratto di intestino allo scopo di ridurre l'assorbimento delle sostanze nutritive; questo intervento è comunque attualmente molto poco praticato, dato che può portare gravi effetti collaterali, come danni al fegato e diarrea cronica, e in casi particolari addirittura il decesso.

Nella procedura del by-pass gastrico una considerevole porzione dello stomaco viene chiusa con graffe chirurgiche; in tal modo notevolmente ridotta la quantità di cibo che il soggetto riesce ad assumere.

 

 

 

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