FUOCO
ALLE SINAGOGHE: COSÌ MARTIN LUTERO VOLEVA RIEDUCARE "I PARASSITI
DEI CRISTIANI"
Einaudi
pubblica una nuova edizione del libello "Degli ebrei e delle loro
menzogne": scritto nel 1543, fu strumentalizzato dal nazismo
Dal
Corriere della Sera del 2 novembre 2000:
Dar fuoco alle scuole e alle sinagoghe; distruggere le case;
sequestrare i libri di preghiere e i testi talmudici; proibire
ai rabbini di continuare a insegnare; abolire i salvacondotti
che permettono di circolare per le strade; confiscare denaro contante
e oggetti preziosi. Non basta tutto questo a distruggere il castello
di menzogne architettato dagli ebrei? E allora, che si diano loro
in mano zappa, vanga e conocchia, in modo da rieducarli al sano
lavoro, invece che all'ozio da parassiti alle spalle dei cristiani!
Queste ed altre crudeltà pedagogiche, che potrebbero far pensare
al diario privato di un SS alloggiato dalle parti di Auschwitz,
provengono invece da un libello parareligioso corredato da una
firma illustre: quella di Martin Lutero. Il titolo: Degli ebrei
e delle loro menzogne , testo integrale corredato da una prefazione
di Adriano Prosperi, da lunedì nelle librerie per la collana Tascabili
della Einaudi. Un solo precedente, di alcuni anni fa: l'edizione
curata da Attilio Agnoletto per la Terziaria. Contenuto incendiario,
al punto da far pensare a una strategia promozionale per eccitare
passioni e polemiche sull'antisemitismo cristiano e tedesco. Sospetto
legittimo, ma infondato: la decisione di ripubblicare il testo
classico dell'antisemitismo luterano è stata presa tre anni fa,
quando il tema delle colpe e delle richieste di perdono non era
di certo così impellente. Di fatto, però, il libello scritto nel
lontano 1543, e poi strumentalizzato dai seguaci di Hitler e addirittura
invocato come attenuante dal nazista Julius Streicher davanti
al tribunale internazionale di Norimberga, assomiglia in modo
impressionante ad una istigazione al pogrom. E' vero infatti che
questa specie di pulizia religiosa fantasticata da Lutero rimane
verbale e dimostrativa: il bersaglio dei suoi attacchi non è la
stirpe ebraica in sé, ma la sua espressione religiosa e il modello
di vita conseguente. Anche là dove Lutero si abbandona al puro
pregiudizio ("convertire gli ebrei è impossibile") o alla incontrollata
volgarità ("vogliono consumare pigre giornate dietro la stufa,
a ingrassare e scoreggiare, vantandosi per questo in modo blasfemo
di essere signori dei cristiani"), non c'è mai l'esplicita invocazione
al delitto e al sangue. L'ebreo è condannato soprattutto in quanto
"formalista" (l'accusa di giudaismo è rivolta agli stessi cristiani
più preoccupati del valore delle opere che di quello della fede),
proprio come le sette estremiste protestanti degli anabattisti
erano duramente condannate da Lutero per l'eccesso opposto di
"spiritualismo". Il punto dunque è questo: Lutero non fu il primo
antisemita della storia, ma certo l'anello robusto di una catena
infame destinata ad allungarsi attraverso tutto il Novecento.
Dal tempo delle conversioni forzate degli ebrei nella Spagna di
fine '400 (i "Libri verdi" che ricostruivano le genealogie dei
marrani), alle accuse di "delitto rituale" lanciate contro i giudei
nell'800 dall'italiano monsignor Benigni; dal razzismo "scientifico"
del francese Gobineau alla Russia dei "Protocolli dei Savi di
Sion", fino alle leggi razziali di Mussolini, ai lager di Hitler,
alla liquidazione bolscevica dell'"ebreo Trotckij", la catena
ideologica ha continuato la sua infame opera di strangolamento
degli ebrei. Rileggere oggi quelle pagine, come ricorda Adriano
Prosperi, aiuta a comprendere non una generica "vocazione al male"
del popolo tedesco o una particolare connivenza della Chiesa protestante
con il regime nazionalsocialista; è piuttosto la testimonianza
del legame organico, lungo tutta la storia europea, tra integralismo
ideologico e violenza. E nel ragionamento di Lutero ("Dio non
può che avere abbandonato gli ebrei, dal momento che non mette
fine al loro esilio") già si può intravvedere quella che Hannah
Arendt definirà "banalità del male".
[Dario Fertilio]