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Siamo convinti che i poeti immortali vaghino, cinti d'alloro,
con gli obesi nella notte, sotto le stelle,
per consolarli della loro sensibilità ferita,
per assisterli nel loro perenne "gioco pericoloso" di  ricerca d'amore.
Si aggirano gli obesi, per le strade
sature di macchine, che non concedono
spazi vitali, con il pensiero rivolto alla donna
amata che manco li vede, nonostante la notevole mole
e la passione che li divora, ancora una volta abbandonati
per il solito sportivo, tutto muscoli e diete macrobiotiche,
ma nonostante la distanza non possono fare a meno d'amare.
(I versi sono di Guittone del Viva d'arezzo, nato nel 1230)

"Con più m'allungo, più m'è prossimana
la fazzon dolce de la donna mia,
che m'aucide sovente e mi risana
e m'ave miso in tal forsenaria,
 che 'n parte ch'eo dimor' in terra strana,
me par visibil ch'eo con ella sia,
e un 'or credo tal speranza vana
ed altra mi ritorno en la follia.
 Così como guidò i Magi la stella,
guidame sua fazzon gendome avante,
che mi par e incarnat'ella.
 Però vivo gioioso e benistante,
chè certo senza ciò crudele e fella
morte m'auciderea immantenante".

Ma lei non tornerà, allora non riman che meditare
sulla propria tristezza.

"Dolente, triste e pien di smarrimento
sono rimasto amante disamato.
Tuttor languisco, peno e sto in pavento,
piango e sospir di quel ch'ho disiato.
Il meo gran bene asciso è in tormento;
or sono molto salito, alto montato;
non trovo cosa che m' sia in valimento,
se non con omo a morte iudicato.
Ohi lasso me, ch'io fuggo in ogni loco
poter credendo la mia vita campare,
e là ond'io vado trovo la mia morte!
 La piacente m'ha messo in tale foco
ch'ardo tutto ed incendo del penare
poi me non ama, ed eo l'amo sì forte".

Tra un panino, una birra e una sigaretta,
(le uniche cose capaci di liberare le nostre endorfine)
ingrassiamo, meditando con il tormento dell'animo
seduti al bar.
(I versi sono del giudice Guido Guinizzelli nato a Bologna nel 1230 o era il 1240?)

"Sì sono angostioso e pien di doglia
e di molti sospiri e di rancura,
che non posso saver quel che mi voglia
e qual poss'esser mai la mia ventura.
Disnaturato, son come la foglia
quand'è caduta de la sua verdura,
e tanto più che m'è secca la scoglia
e la radice de la sua natura:
 sì ch'eo non credo mai poter gioire,
nè convertir-la mia disconfortanza
in allegranza-di nessun conforto;
soletto come tortula voi' gire,
solo partir-mia vita in disperanza,
per arroganza-di così gran torto".

Ma basta che qualcuna ci passi davanti
che non possiamo fare ameno di guardarla,
stupefatti dalla bellezza, senza il coraggio di parlarle

"Vedut' ho la lucente stella diana,
ch'apare anzi che 'l giorno rend'albore
c'ha preso forma di figura umana;
sovr'ogni altra me par che dea splendore:
 viso de neve colorato in grana,
occhi lucenti, gai e pien' d'amore;
non credo che nel mondo sia cristiana
si piena di biltate e di valore.
 Ed io del suo valor son assalito
con si fera battaglia di sospiri
ch'avanti a lei de dir non seri' ardito.
Così conoscess'ella i miei disiri!
ché, senza dir, de lei seria servito
per la pietà ch'avrebbe de' martiri".

 La bella passa, gli occhi fissi in avanti,
scompare in lontananza, ondeggiando mollemente i fianchi
e gli obesi seduti pensano a quando,
tanti anni fa,  conobbero,
col nobile Guido Cavalcanti (nato a Firenze nel 1255 o era il 1259?)
due turiste francesi.

"Era in pensier d'amor quand' ì trovai
due foresette nove.
L'una cantava:<<E' piove
gioco d'amore in nui>>.
 Era la vista lor tanto soave
e tanto queta, cortese e umile,
ch'i dissi lor: <<Vò portate la chiave
di ciascuna vertù alta e gentile.
Deh, foresette, no m'abbiate a vile
per lo colpo ch'io porto;
questo cor mi fue morto
poi che 'n Tolosa fui>>.
Elle con gli occhi lor si volser tanto
che vider come 'l cor era ferito
e come un spiritel nato di pianto
era per mezzo de lo colpo uscito.
Poi che mi vider così sbigottito,
disse l'una, che rise:
<<Guarda come conquise
forza d'amor costui!>>.
L'altra pietosa, piena di mercede,
fatta di gioco in figura d'amore,
disse:<<'l tuo colpo, che nel cor si vede,
fu tratto d'occhi di troppo valore,
che dentro vi lasciaro uno splendore
ch'i' nol posso mirare.
Dimmi se ricordare
di quegli occhi ti puoi>>.
 Alla dura questione e paurosa
la qual mi fece questa foresetta,
i' dissi: <<E' mi ricorda che 'n Tolosa
donna m'apparve, accordellata istretta,
Amor la qual chiamava la Mandetta;
giuse sì presta e forte,
che fin dentro, a la morte,
mi colpir gli occhi suoi>>.
Molto cortesemente mi rispuose
quella che di me prima avea riso.
Disse:<<La donna che nel cor ti pose
con la forza d'amor tutto 'l su' viso,
dentro per gli occhi ti mirò si fiso,
ch'Amor fece apparire.
Se t'è greve 'l soffrire,
raccomàndati a lui>>.
 Vanne a Tolosa, ballatetta mia,
ed entra quetamente a la Dorata,
ed ivi chiama che per cortesia
d'alcuna bella donna sie menata
dinanzi a quella di cui t ' ho pregata;
e s'ella ti riceve,
dille con voce leve:
<<Per merzè vengo a voi>>.

ci alziamo pesantemente
e con qualche fatica riusciamo a liberarci
dalla stretta dei tavolini del bar, per tornacene a casa,
pieni di malinconia.
(I versi sono di Cecco Angiolieri, nato a Siena, forse nel 1260)

La mia malinconia è tanta e tale
ch'i' non discredo che, s'egli 'l sapesse
un che mi fosse nemico mortale,
che di me di pietade non piangesse.
Quella, per cu' m'aven, poco ne cale:
chè mi potrebbe, sed ella volesse,
guarir 'n un punto di tutto 'l mie male,
sed ella  pur <<I' t'odio>> mi dicesse.
Ma quest'è la risposta c'ho da -Ilei:
ched ella no 'mmi vol nè mal nè bene,
e ched i' vad'a -ffar li fatti miei,
 ch'ella non cura s'i ho gioi' e pene,
men ch'una paglia che-Ile va tra' piei.
Mal grado n'abbi' Amor, ch'a -Ile' mi diène.

Anche noi ciccioni, sempre stanchi, depressi e affamati
nutriamo qualche pensiero di rivalsa
contro il mondo ostile...

S'i' fosse fuoco, arderei 'l mondo;
s'i' fosse vento, lo tempestarei;
s'i' fosse acqua, i' l'annegherei;
s'i' fosse Dio, mandereil' en profondo;
 s'i' fosse papa, allor sarei giocondo,
ché tutti cristiani imbrigarei;
s'i' fosse 'mperator, ben lo farei;
a tutti taglierei lo capo a tondo.
 S'i' fosse morte, andarei a mi' padre;
s'i' fossi vita, non starei con lui;
similimente faria da mi' madre.
 S'i' fosse Cecco com'i' sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
le zoppe e vecchie lasserei altrui.

 

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