UNA PROPOSTA DI LOTTA AL POTERE FINANZIARIO
L’umanità che partecipa al movimento è la più varia e
composita. Operai, impiegati, studenti, contadini, cococò,
autonomi, disoccupati, imprenditori di sé stessi e di
altri, negozianti, preti, missionari, suore, giornalisti,
fotografi, professionisti, attori, eccetera, eccetera. Credo
che il movimento riassuma in sé tutto lo spaccato della
società civile, con preponderanza di alcune figure
professionali, ma con la presenza della maggior parte di
quelle che ci vengono in mente.
Che cosa hanno in comune tutte queste persone? Molte cose,
ma con certezza possiamo dire che avversano il modo di
vivere cui le costringe la società del profitto. Che,
insomma, l’avversario è il profitto come fine
dell’esistenza, ciò che lega l’opposizione contro
questo sistema di tutti quelli che a Firenze ci sono andati
con i piedi e di tutti quelli che ci sono andati con il
cuore.
Un’altra cosa hanno in comune queste persone: che non
vogliono un nuovo ordine. Il movimento comunista lottava per
imporre l’ordine comunista a quello capitalista. Potere
contro potere, con il relativo corollario di potere giusto
contro il potere ingiusto e sofismi aggregati come
corollari. Il movimento non ha un ordine da imporre e
nemmeno da proporre. Ciascuno pensa al suo ordine, se ne ha
voglia e tempo. Certamente tutti vogliono una società
pluralista, però universale, nella quale le specificità
locali ed etniche siano tutelate e non mortificate, in cui
tutti abbiano opportunità adeguate di farsi valere, senza
che questo significhi la morte di chi non ce la fa. Una
società solidale e ricca di umanità. Ecco, fermiamoci su
questo punto. Ho usato un termine, “ricco di umanità”,
che ci riporta al concetto di ricchezza ed all’economia.
Una società nuova è una società in cui la ricchezza è
l’umanità e non il denaro, la solidarietà e non il
profitto, il benessere spirituale insieme a quello
materiale. Dico assieme perché le due cose non sono affatto
contraddittorie ed è ipocrita contrapporle così come è
falso dire che il benessere spirituale è possibile solo se
si rinuncia a quello materiale. Perché questo ragionamento
ha un falso presupposto: che la ricchezza sia possibile solo
con il profitto. Questo è il paradigma di una società con
risorse scarse, in cui il ricco è colui che ha sottratto
molte risorse alla collettività. Oggi questo paradigma è
divenuto falso. Ci sono molte risorse, sufficienti per
tutti, ed altre sono nascoste e possono e debbono essere
sollecitate in maniera appropriata.
Il paradigma della scarsità ha come corollario un sistema
di accumulazione che si fonda sul profitto e
sull’interesse. Più capitali sono scarsi maggiore è il
tasso di interesse che essi richiedono perché maggiore è
il rischio. L’usura della finanza si ammanta di eticità
nascondendosi dietro il paravento dell’utilità collettiva
di un corretto uso di risorse scarse.
In realtà, oggi, disponiamo di risorse materiali in
abbondanza, e di risorse immateriali illimitate. Con le
nostre tecnologie avremmo la possibilità di rendere del
tutto automatici processi di produzione che rendono schiavi
gli uomini che ci sono addetti. Paradossalmente, poiché
quel lavoro rappresenta la vita di molte persone, difendiamo
un lavoro che è di per sé uno strumento di schiavizzazione,
invece di batterci per farlo scomparire. E’ l’equivoco
che è contenuto nel diritto al lavoro, che rovescia il
senso dell’esistenza. Il lavoro semmai è un dovere, che
si risolve in ricchezza se è libero. Il lavoro sotto la
costrizione di non poter vivere senza è una schiavitù e
basta.
Dire che la ricchezza è quella che nasce dallo spirito
umano esprime un pensiero comune a molti. La cosa
paradossale è che questo pensiero non si coniuga, poi, con
comportamenti conseguenti. La ricchezza, in questa società,
è data solo dal denaro, e il denaro cresce solo sul
profitto. Di conseguenza la ricchezza è il profitto.
Nell’accezione corrente in economia, si fa riferimento per
definire la ricchezza al concetto di scarsità. Un bene è
tanto più prezioso in quanto è scarso, ed è questa la
ragione per cui l’oro vale molto di più dell’aria,
nonostante questa sia indubbiamente essenziale per vivere
mentre l’oro è del tutto superfluo. Ma se ci pensiamo
bene, questa idea è falsa. Se così fosse, della buona
musica, o letteratura o filosofia, che sono certamente
scarse, avrebbero un grande valore. Al contrario il valore,
in quei campi, è dato dal profitto, poiché un libro o un
disco non vengono venduti in base al loro valore effettivo,
ma in base a quello che riescono a produrre, e quindi al
capitale che viene investito per la loro produzione. Non è
quindi la scarsità che rende preziose le cose, ma il
profitto del capitale. Tutti noi proviamo un senso di
profondo disagio di fronte a questa considerazione, perché
ci rendiamo conto che stiamo immersi nella logica del
capitale ed esattamente nel punto in cui esso vuole che
stiamo. Ed è un disagio che si traduce, poi, in rimozione
del problema, e non nella ricerca della sua soluzione.
Anche contestare il capitalismo è funzionale alla sua
riproduzione. Se non ci credete, provate a pensare a quanto
abbiano fruttato ai mass media le notizie sugli scontri e
quanta informazione richieda il movimento, e per loro,
l’informazione è ricchezza. Questo non significa che non
dobbiamo contestarlo, ma che l’opposizione e la lotta deve
assumerne forme e contenuti diversi, poiché quelli usuali
sono stati oggettivamente inglobati nella logica della
riproduzione del capitale finanziario.
Dobbiamo, allora, riflettere su che cosa possa davvero
rompere questo circolo perverso, che si impadronisce delle
nostre stesse vite fino a renderle strumenti per la
creazione di denaro e di profitto. Abbiamo la possibilità
di creare una società fuori dalla logica del profitto, e di
farla subito. Ci sono i numeri, le risorse, la fantasia, le
capacità. Facciamola.
L’idea è quella di costruire, tra di noi, un sistema di
relazioni che siano estranee al profitto, pur consentendo a
chi le fa, di trarre un utile da queste relazioni. Credo che
chiunque svolga una prestazione debba ricavarne un utile, il
che non significa che questo utile debba necessariamente
essere un profitto. Infatti, la remunerazione di
un’attività è cosa diversa dal profitto, che attiene
alla valorizzazione del capitale e non delle risorse umane.
Dobbiamo, quindi, impedire che avvenga quel corto circuito
che identifica capitale monetario con i valori umani, fino
al punto in cui questi sono subordinati a quello.
Come dicevo, ci sono risorse umane in quantità. Ci sono
anche risorse materiali a sufficienza, e ormai da oltre
dieci anni. Insomma, non è necessario che qualcuno muoia di
fame affinché altri possano vivere, così come non è
necessario che molti facciano un lavoro massacrante e
alienante affinché pochi possano pensare.
D’altra parte è lo scambio alla base della logica del
profitto. Come ho dimostrato nel mio libro “Dove andrà a
finire l’economia dei ricchi”, allo scambio si stanno
sovrapponendo logiche di relazioni completamente diverse,
nelle quali anche la valutazione dell’apporto di ciascuno
è del tutto superflua, così come sono insensati i
pagamenti in denaro. Dobbiamo quindi realizzare l’utopia
di una società che si fonda sulla vera ricchezza, che è
quella che nasce dagli uomini. Si tratta di un’utopia
concreta, reale immediata. Senza i sogni, gli uomini sono già
morti. Ma vivere nel sogno, dimenticando la realtà, è
anche peggio. Se abbiamo un sogno dobbiamo viverlo fino in
fondo, renderlo reale, subito. Solo così possiamo
sollecitare le forze che sono attorno ed insieme a quel
sogno. Non abbiamo bisogno dell’utopia del futuro, perché
come diceva Keynes, a lungo termine saremo tutti già morti.
Non vogliamo nemmeno l’utopia del passato, quella dei
morti che ritornano in forma di sogno splendente,
nascondendo la miseria del loro e del nostro presente. Non
dobbiamo negare la miseria del nostro presente,
proiettandoci in un mondo fantastico che vive nel passato o
nel futuro. L’utopia è oggi, subito. Dobbiamo essere
realisti e fare l’impossibile. Questa frase entusiasmò
Marcuse che la lesse su un muro della Sorbona nel ’68, ma
al posto di fare c’era scritto chiedere. Noi non dobbiamo
chiedere niente a nessuno, dobbiamo fare il nostro mondo, a
partire da noi stessi. In noi è racchiuso tutto
l’universo, e se è così, perché non realizzare
l’utopia?
Nel mondo virtuale abbiamo un’infinità di risorse: siti
di informazione, di musica, di letteratura, di teatro, di
software, eccetera. La maggior parte di queste risorse sono
sottopagate o spesso non sono pagate affatto, e quindi la
loro possibilità di crescita è limitata dalla presenza di
siti e di aziende che dispongono invece, di ben altri mezzi.
In che cosa consistono questi mezzi? Nel denaro e nelle
altre risorse finanziarie di cui le banche ed i grandi
gruppi dispongono e che vengono messi a disposizione di chi
si muove entro una logica di profitto. Attenzione, non ho
scritto di sviluppo, ma di profitto che è profondamente
diverso, poiché esso attiene allo sviluppo del capitale,
non della società né, tanto meno delle risorse umane.
Noi dobbiamo creare una logica di sviluppo senza profitto,
di creazione di ricchezza senza sfruttamento, di
valorizzazione della vita e non del denaro. Questo è il
punto decisivo.
Facciamo un esempio.
Si parla dell’informazione indipendente, ma per farla ci
vogliono risorse finanziarie e certamente, nessuno nel
movimento dispone delle somme per fare una televisione
indipendente. Neppure troverete mai una banca disposta a
dare ad un gruppo legato al movimento le somme necessarie
per farlo. E non tanto per ragioni ideologiche, ma
semplicemente perché nessuno è in grado di aggregare le
risorse necessarie per garantire i profitti che il mondo
finanziario esige per iniziative di questo genere.
D’altra parte, se ci si muove fuori da una logica di
profitto è insensato garantire dei profitti, così come se
ci si muove in una logica non violenta è insensato comprare
le armi. E se qualcuno finanzia queste iniziative vuol dire
che da qualche parte il profitto lo tira fuori, altrimenti
non lo farebbe. Per questa ragione diffido sempre di
iniziative apparentemente animate dalle migliori intenzioni
che però non escono dalla logica ferrea di questo sistema.
Lo stesso discorso vale per la politica. Non sono gli uomini
cattivi che rendono il potere cattivo, ma è il potere che
fa gli uomini cattivi, e credo che la storia ce ne abbia
dato esempi a sufficienza.
Pensate alle T.A.Z., le zone di autonomia dal potere
politico di cui Akim Bey ci ha reso una accurata descrizione
nel suo splendido libro. Dobbiamo costruire una T.A.Z. dal
potere finanziario, una zona autonoma, ma non temporanea,
che consenta a chiunque lo voglia, di uscire dalla logica
del capitale e del profitto.
Nel movimento, come dicevo prima, ci sono risorse umane e
materiali più che sufficienti per trasformare in realtà
quello che appare un sogno. Cosa possiamo fare per
realizzarlo?
Partiamo dalle cose semplici e già note. Ci sono le banche
del tempo ed altre organizzazioni no-profit, i cui membri si
scambiano prestazioni senza ricavare un profitto. Posso
scambiare un’ora di lezioni di musica con un’ora di
giardinaggio o un’ora di baby sitting. Le banche del tempo
sono molto diffuse nel mondo, un po’ meno in Italia, anzi
quasi per niente, e sono certamente un’istituzione
lodevole. In Argentina, ad esempio, con strumenti del genere
alcuni milioni di persone riescono a sbarcare il lunario,
poiché dedicano tutto il proprio tempo a rendere questi
servigi ricevendo dagli altri servizi in proporzione.
Il problema, però, è di far uscire la logica del profitto
dalla nostra vita. Perché anche se la rifiutiamo, anche se
pensiamo di starne fuori, essa è sempre presente ogni volta
che dobbiamo fare un gesto banale come quello di andare al
bar a prendere un cappuccino, o quello un po’ più
impegnativo di andare a comprare una casa o un’automobile.
E’ vero che molte banche del tempo emettono una specie di
denaro, che altro non è che un’unità di misura delle ore
prestate e serve a dimostrare che si è effettuata
effettivamente la prestazione indicata nel certificato
(altrimenti lo scambio deve necessariamente essere limitato
tra quelli che si conoscono e che hanno effettuato
reciprocamente le prestazioni). Però anche queste forme
monetarie alternative hanno dei limiti. In genere
scarseggiano, e quando sono emesse non si conoscono i
criteri di emissione né di distribuzione. Ma il limite
peggiore è che esse non sono convertibili, e quindi sono
destinate comunque ad una circolazione limitata tra quelli
che offrono prestazioni e solo per quelle prestazioni.
Insomma, non ci si può comperare casa e nemmeno il
cappuccino al bar, e soprattutto non ci si possono pagare la
luce, il telefono, l’energia e le tasse. Per fare queste
cose occorrono i soldi, così come pure per fare una
televisione indipendente o un sito di informazione che sia
in grado di fare concorrenza ad un network di medie
dimensioni.
I soldi li fanno le banche che te li danno solo se ti
indebiti, e se ti indebiti caschi necessariamente nella
logica del profitto, altrimenti non potrai mai restituire il
tuo debito. In realtà non ci riesci lo stesso, ma se paghi
gli interessi e cresci con il fatturato, le banche ti creano
altro denaro indebitandoti ulteriormente così che il loro
profitto possa crescere (non dobbiamo dimenticare che le
banche hanno bisogno per fare soldi di qualcuno che si
assuma il debito). Le conseguenze sono quelle che vediamo
oggi: tutte le aziende sono oberate di debiti e ogni tanto
qualcuna che non ce la fa a ripagare il suo debito viene
eliminata. Al suo posto sono pronti in mille ad assumersi
quei debiti e tentare l’avventura. L’economia cresce
solo con il debito, che è poi il modo del potere
finanziario di creare il denaro.
Quello che interessa alle banche non è che il debito sia
restituito, poiché esse sanno benissimo che in molti non
potranno farlo, ma che si viva nella logica del profitto e
della riproduzione del capitale. Alle banche interessa
l’anima degli uomini, esse vogliono indurre comportamenti
che presuppongano la logica del profitto. Solo così possono
perpetuare il loro potere.
Però, cosa ci dimostra l’esistenza delle Banche del tempo
e delle monete alternative? Ci dimostra che è possibile
fare a meno del “loro” denaro per vivere. Che è
possibile lavorare, creare, muoversi in una logica diversa
da quella del potere del denaro e del profitto. La vera
ragione per cui queste istituzioni alternative non
decollano, è data dal fatto che esse si tengono ai margini,
indecise tra l’alternativa vera ed il mondo tradizionale.
Se non si rovescia la logica del capitale è impossibile
farne a meno. Una Banca deve comportarsi con la logica della
banca tradizionale, altrimenti è destinata al fallimento,
così come un’impresa deve comportarsi secondo i criteri
propri dell’impresa, altrimenti è anch’essa destinata a
chiudere. Allora, o rovesciamo la logica del capitale,
oppure Banca Etica, finanza etica, imprese no-profit,
resteranno delle belle aspirazioni prive però di
concretezza e di sostanza. Insomma dobbiamo uscire dalla
logica del profitto. Ma come?
Nel mio ultimo libro “Per un’economia dal volto umano”
ho avanzato l’idea che gli enti locali, Comuni, Regioni e
Province, potessero utilizzare i titoli di debito, con cui
lo Stato li sta indebitando dopo aver raggiunto il tetto del
proprio indebitamento, per effettuare delle emissioni
affatto diverse nella logica del tasso negativo. Ovviamente
queste emissioni non possono essere collocate al pubblico
come quelle che portano un tasso positivo. Ma la loro
funzione non è quella di dare un interesse e rastrellare
risparmio, anche perché il risparmio non c’è più.
L’idea è quella di emettere degli strumenti finanziari
che non creino debito e non generino interessi. I Titan sono
dei titoli finanziari destinati ad essere spesi e il più
velocemente possibile, proprio per non pagare l’interesse
negativo dal quale sono gravati.
Nella proposta dei Titan ipotizzavo che essi fossero emessi
da un ente locale, come un Comune, una Provincia, una
Regione, per finanziare iniziative di creazione di
ricchezza. Essi però, possono anche essere emessi da
un’associazione privata, e facevo l’esempio dei centri
sociali, di cui alcuni svolgono attività di un qualche
rilievo economico.
Le società di capitali possono emettere obbligazioni
secondo regole tecniche previste dalla legge. Se queste
obbligazioni fossero gravate da un tasso negativo, esse
funzionerebbero né più e né meno come i Titan. Ovviamente
la loro emissione ha necessità di due presupposti: il primo
che ci sia un numero sufficiente di persone che li accetti
in pagamento di prestazioni o altri beni, e il secondo che
esse vengano emesse a fronte della creazione di ricchezza
che le giustifichi.
E’ necessario un contesto sufficientemente ampio per
giustificare emissioni continue di titoli di questo genere,
poiché solo così si possono recuperare la quantità e la
qualità di beni e di servizi necessari a chiunque per
vivere. Infine, in un ambiente ristretto è pressoché
impossibile ricostruire un’intera filiera economica, vale
a dire un processo di produzione che comprenda tutte o quasi
le fasi di lavorazione di un prodotto e quindi la
circolazione dei titoli sarebbe gravemente limitata da
questo problema.
La soluzione è, quindi, di avere un numero iniziale congruo
di partecipanti, una o più filiere di produzione, un
istituto di emissione, ed un criterio di distribuzione
razionale ed equo. Non è semplice ottenere queste
condizioni, ma è certamente possibile, poiché queste
risorse già ci sono nel movimento. Se poi i titoli emessi
fossero convertibili dall’istituto di emissione, allora il
problema principale sarebbe risolto. Insomma, con questi
titoli ci si potrebbe comprare la casa e il cappuccino al
bar. Essi potrebbero esser spesi in pratica ovunque,
soprattutto dopo un certo tempo dalla loro entrata in
circolazione.
Faccio un esempio di come potrebbe funzionare il meccanismo,
partendo dalla fine, ovvero dai suoi effetti.
Che ne pensate di una società i cui soci ricevono dalla
collettività, ogni mese, una somma sufficiente per poter
vivere, comprando nella società quanto è necessario a
prezzi ragionevoli? In cui ciascuno possa dedicarsi a fare
quello che ritiene più adatto alle proprie capacità, senza
doversi preoccupare se produce soldi o meno, perché
comunque ha da vivere e perché comunque, quello che fa è
considerato “ricchezza”?
E se vi viene il dubbio che le imprese possano non avere
interesse a partecipare ad una simile iniziativa, vi espongo
subito il ragionamento da fare ad un negoziante qualsiasi,
mettiamo il gestore di un supermercato (che è necessario
che ci siano anche loro, poiché è lì che si va a fare la
spesa).
“Caro gestore, se ti mando 10.000 persone che mensilmente
fanno la spesa da te, che sconto gli fai sulla spesa che
essi fanno?”. Vedrete i suoi occhi illuminarsi e la mente
effettuare rapidamente calcoli su quanto fatturato gli
possono portare 10.000 persone. Si tratta di un sacco di
soldi. Se poi gli dite che lo sconto consiste nel fatto che
alla fine dell’anno sui titoli che riceve in pagamento e
che restano nelle sue casse deve pagare il 5% (o l’uno per
mille alla settimana il che è lo stesso), lo vedrete
sorridere a trentadue denti. Perché di fatto, dato il cash
flow di un supermercato, se pure alla fine dell’anno esso
dovesse essere gravato dell’intero importo del tasso
negativo, quel 5% sarebbe inferiore allo 0,5%. Negli
esprimenti con denaro a data effettuati in passato, si è
constatato che la velocità di circolazione è di circa 46
volte nel corso dell’anno, mentre il denaro normale girava
non più di 5 volte.
Però è necessario che il gestore del supermercato, poi,
possa andare a spendere quei titoli per comprare le cose che
vi vende, altrimenti egli avrebbe una perdita secca. E a
loro volta, i suoi fornitori dovranno poter spendere quei
titoli presso i propri fornitori, altrimenti la perdita
ricadrebbe su di loro. Questa è una filiera di produzione e
noi possiamo ricostruirne alcune e poi attirare le altre nel
nuovo sistema. Per una ragione semplicissima. Il sistema
economico soffre di sovrapproduzione, e questo già di per sé
comporta una perdita secca per gli operatori. E allora gli
si pone l’interrogativo: Accettare i titoli ed il rischio
che questi comportano (e cioè il fato di dover impiegare un
certo tempo per spenderli) oppure subire passivamente una
perdita certa perché non si riesce a vendere i prodotti,
fino al punto da dover chiudere lo stabilimento?
I produttori, in questo contesto, hanno interesse ad entrare
in un nuovo sistema di distribuzione della ricchezza, che
gli consente anche di accedere a fonti di finanziamento che
non hanno costi propri. Quindi dopo aver fatto bene i propri
conti, correranno nel sistema. Non ci interessa la ragione
per cui lo faranno, ma il fatto che lo faranno.
Sembra un sogno, e invece è possibile, e oggi, subito.
Perché tutto quello che noi facciamo è ricchezza, e non
solo quello che produce profitto. Ed in questa
considerazione consiste la rivoluzione prossima ventura. Ma
se è ricchezza, allora è necessario che ogni
“produzione” sia accompagnata da un numerario che ne
consenta lo scambio e l’acquisto. E questo è l’altro
punto della rivoluzione. Vediamo come dovrebbe funzionare la
società.
Ho stimato il numero dei soci iniziali della Banca del
Movimento in almeno 10.000 persone. Le filiere di produzione
saranno all’inizio essenzialmente aziende di prodotti
immateriali, come cd, film, informazione, software, teatro,
libri, cultura in genere, insomma tutto quello che passa su
internet e dintorni. Possono però, anche essere aziende
agricole, penso a quelle del commercio equo e solidale,
artigiane dello stesso circuito, aziende di grande
distribuzione ed imprese che abbiano problemi di
sovrapproduzione, che poi sono la maggioranza visto che il
problema della crisi di oggi è proprio quello della
sovrapproduzione. Se queste aziende potessero pagare in
parte almeno, i propri dipendenti con questi titoli il
problema della conversione sarebbe in parte risolto. E
d’altra parte, se i dipendenti possono andare a comprare
con questi titoli merci su internet e presso altre imprese
non avrebbero difficoltà ad accettarli. Soprattutto non
avrebbero difficoltà se il loro lavoro dovesse essere
remunerato in quel modo poiché l’azienda nasce con quel
finanziamento.
L’istituto di emissione potrebbe essere, ad esempio, Banca
Etica, che ha già una struttura di tipo bancario e possiede
le capacità per far funzionare il sistema di emissione. Per
la decisione sulle tipologie di investimento si deve
adottare una forma di democrazia diretta con il voto in
tempo reale sulle singole iniziative assunte dalla banca di
emissione, mentre a livello locale ci penserebbero i soci
del posto ad indirizzare le emissioni sulle iniziative più
adeguate. Ad esempio, se in un luogo si adottasse
un’iniziativa di disinquinamento del territorio, la
decisione dovrebbe essere presa a livello locale nella
misura indicata dalla banca centrale che deve monitorare la
quantità di emissioni periodiche per evitare
l’inflazione.
Quanto alla distribuzione, è necessario (e possibile) che
una parte delle emissioni sia utilizzata per dare reddito di
cittadinanza ai soci dell’iniziativa. La misura
dell’erogazione è una funzione del ricavato della
circolazione e degli investimenti che producono ricchezza.
Essa quindi può variare nel tempo poiché è legata alla
quantità di beni e servizi che è prodotta dalla
collettività. Il reddito dal lavoro, per le prestazioni
effettuate nella logica della banca del tempo, si aggiunge,
ovviamente, al reddito di cittadinanza così preso.
In un lasso di tempo che stimo essere relativamente breve,
non appena l’iniziativa dovesse partire, il numero dei
partecipanti dovrebbe aumentare in misura geometrica, poiché
l’interesse a partecipare sarebbe fortissimo. Non solo
interesse ideologico, ma anche e soprattutto interesse
concreto, poiché attraverso questo meccanismo si può
vivere e bene senza rinunciare a nulla ma anzi migliorando
la qualità della propria vita.
Ricapitoliamo.
Si costituisce l’associazione che propongo di chiamare con
l’acronimo F.A.Z., Zona di Autonomia Finanziaria. Banca
etica (BE) funge da banca dell’associazione. Ciascun socio
apre un conto presso la banca dove gli viene accreditata una
somma iniziale di 500 euro in titoli a tasso negativo.
Questo accredito è gratuito, non comporta alcun versamento
da parte dei soci. Il solo fatto di partecipare alla società
dà diritto di ricevere la somma in questione, in forma di
titoli a tasso negativo.
Vi chiederete da dove arrivino queste somme. Esattamente
dallo stesso posto dal quale lo Stato (e per esso le Banche)
fanno arrivare i soldi con i quali fate la spesa al
supermercato. Con la piccola differenza che mentre quei
denari creano debito (e quindi potere), i Titan non creano né
debito né potere. Se avete ancora dubbi sulle ragioni che
consentono a BE di emettere questi titoli senza alcuna
copertura apparente, vi prego di andare a leggere nei miei
libri e in particolare nel capo II del libro “Dove andrà
a finire l’economia dei ricchi” a pagina 45 e seguenti,
dove riporto un esempio di come Krugman spiega la ragione
per cui una società chiusa debba emettere denaro senza
copertura per poter funzionare. Negli altri libri, trovate
considerazioni esaurienti sulla natura del denaro e
l’assurdità della sua creazione a debito (assurdità,
peraltro, funzionale al potere finanziario).
I Titan emessi da BE perdono ogni settimana l’uno per
mille del loro valore nominale. Ogni nuovo socio che entra
riceve la medesima somma. Ogni settimana BE detrae dai conti
l’importo dell’uno per mille che accantona a copertura
del finanziamento dei titoli. (la cosa in realtà è un poco
più complicata poiché il mio sistema prevede l’emissione
di titoli gravati da diversi tassi negativi, che oscillano
tra lo 0,2 e il 2 per mille la settimana, a seconda del tipo
di iniziativa che viene finanziata. Mensilmente BE versa sui
conti dei soci la somma che viene determinata a titolo di
reddito di cittadinanza (RdC).
Questa somma equivale all’importo che verrà detratto dai
conti a titolo di tasso negativo nonché ad una percentuale
dei finanziamenti fatti per la creazione di nuove imprese.
Possiamo supporre che ci siano somme sufficienti per dare a
tutti un importo non simbolico a titolo di RdC. Non sono in
grado di determinare la cifra senza fare delle proiezioni
accurate e non dispongo di un istituto di ricerca in grado
di studiare questa questione. Non credo di essere molto
lontano dal vero se però, dico che è presumibile che sin
dall’inizio si possa dare una somma minima di 200 euro al
mese a tutti i soggetti che si iscrivono all’associazione,
per arrivare in un lasso di tempo relativamente breve a 500
euro al mese a testa. Trattandosi di strumenti a tasso
negativo la loro natura è quella di essere spesi il più
velocemente possibile. Anche se qualcuno partecipasse
all’associazione senza lavorarci all’interno, il solo
fatto che spenda nell’associazione crea ricchezza. E
d’altra parte la spesa per consumi è il vero motore
dell’economia.
Ovviamente, i soci dovrebbero impegnarsi a fornire proprie
prestazioni o prodotti seguendo la logica delle banche del
tempo e del commercio equo e solidale e dietro il pagamento
di un compenso determinato. Ma se queste prestazioni non
fossero richieste, o se i loro prodotti restassero
invenduti, non c’è alcuna ragione perché essi vengano
esclusi dall’associazione. La loro presenza come
consumatori e fruitori dei prodotti all’interno
dell’associazione contribuisce a creare la ricchezza
complessiva del gruppo.
Tutti i soggetti che ho indicato sopra hanno interesse a
partecipare all’iniziativa. Vediamo il dettaglio.
Per Banca Etica, o la struttura di tipo bancario che
gestisce l’emissione dei titoli, si tratta di coprire i
propri costi ed avere gli strumenti per recuperare le
risorse necessarie al finanziamento delle iniziative che
vengono proposte. Questo può avvenire tramite
l’imposizione di un’imposta sulle singole operazioni o
sulla gestione dei conti. Ho pensato ad un aggio su tutte le
transazioni che avvengono per il suo tramite pari allo 0,1%.
D’altra parte Banca Etica ha altri proventi dall’attività.
Intanto, per le emissioni effettuate per finanziare
iniziative di tipo imprenditoriale, essa riceve il capitale
in restituzione dall’impresa. Questo capitale va a
remunerare i costi del RdC, ma allo stesso tempo una parte
di esso potrebbe essere stornata per coprire i costi della
Banca che non fossero coperti dal prezzo della gestione dei
conti. Inoltre, Banca etica può partecipare alle imprese e
promuoverne alcune, cosa che può fruttare utili in grado di
coprirne parzialmente i costi. Poiché però essa non dà un
interesse per i depositi ma lo trattiene a titolo di tasso
negativo, i costi di banca etica sono molto ridotti. Il
calcolo del tasso negativo può sembrare complicato e lo
sarebbe se dovesse essere effettuato a mano, ma gli attuali
computer sono in grado di svolgere queste operazioni con
estrema precisione e senza alcuna fatica.
La cosa si complicherebbe un poco se, oltre alla gestione on
line dei conti la Banca dovesse effettuare anche una
gestione cartacea dei titoli. La soluzione più semplice,
sarebbe quella di legare i due sistemi attraverso delle
smart-card che potrebbero consentire ai soci di portarsi il
“contante” appresso senza dover ricorrere al cartaceo.
Ma questo è un problema del “dopo”. Insomma, Banca
Etica non solo avrebbe interesse economico ad entrare
nell’operazione, ma soprattutto potrebbe rendere concreto
il proprio obiettivo di fare finanza etica. Infine, i soci
potrebbero trasferire i propri conti ordinari presso la
stessa banca. E’ insensato tenere conti a tempo presso BE
e conti ordinari presso una banca del sistema finanziario.
Ovviamente BE tratterebbe i conti ordinari come i normali
conti, separandoli da quelli in titoli, per non incorrere in
sanzioni. Solo questo, però, porterebbe a BE proventi di
gestione sufficienti a ripagarla delle spese.
E’ probabile che i conti in euro ordinari siano utilizzati
per la tesaurizzazione dai soci, oltre che per pagare le
spese correnti che non è possibile pagare con i Titan. BE,
quindi, si troverà con una riserva in continua crescita di
euro poiché molti servizi creati con i Titan saranno pagati
nel sistema economico in euro. Questo meccanismo dovrebbe
consentire a BE di convertire Titan in euro senza dover
soffrire per mancanza di liquidità.
Dobbiamo tenere presente che è necessario monitorare in
maniera precisa la quantità di titoli che possono essere
emessi in un sistema. Leggendo il capitolo di cui parlavo
sopra se ne capisce immediatamente la ragione, che riassumo
nella considerazione che se in un sistema ci sono troppi
strumenti monetari, i prezzi salgono, se sono troppo pochi,
i prezzi scendono e le attività economiche si deprimono. Di
quali strumenti può disporre BE per fare questo controllo?
Per la emissione dei titoli, BE ha uno strumento di
monitoraggio dato dal livello dei prezzi interni. Il tasso
negativo dovrebbe escludere deflazione, vale a dire una
caduta dei prezzi che comporti una caduta delle attività
economiche. E’ quello che sta accadendo adesso: la
mancanza di domanda costringe le imprese ad abbassare i
prezzi per cercare di mantenere livelli accettabili di
produzione, ma per farlo sono costrette a risparmiare sui
costi, e quindi tagliano soprattutto il costo del personale.
Questo, però, comporta un’ulteriore caduta della domanda
effettiva di beni, poiché i licenziati spenderanno di meno
sul mercato. L’effetto generale è una caduta di prezzi ed
una conseguente riduzione delle attività economiche. Con il
tasso negativo, la caduta dei prezzi segue a risparmi sui
costi di produzione per effetto di un incremento della
domanda e non della sua caduta. Insomma si dovrebbe
risolvere in un beneficio per la gente e per le imprese.
Allo stesso tempo la riduzione progressiva della massa
monetaria con il decorso del tempo, limita anche gli effetti
inflattivi, a meno che le emissioni non fossero eccessive
rispetto al volume degli scambi. Insomma, l’andamento dei
prezzi diventa un indicatore per stabilire il livello delle
emissioni successive, la cui crescita dovrebbe essere
geometrica, come la crescita della ricchezza complessiva del
sistema. Altro strumento di controllo potrebbe essere quello
del livello del costo della gestione dei conti, o
dell’imposizione di un costo sulle singole transazioni,
che provocherebbe una riduzione della velocità di
circolazione dei titoli se questa dovesse generare
inflazione.
BE è un organo tecnico e non politico. La sua decisione sul
livello di finanziamenti emettibili, non comporta alcuna
scelta sul tipo di investimento da effettuare che, a parità
di condizioni, deve essere deciso dall’associazione con
forme di democrazia diretta.
I soci avrebbero la possibilità di trasferire tutte le
proprie attività nel sistema e di vivere con i proventi di
essa. Ovviamente è necessario che nelle filiere di
produzione ci siano aziende che vendano un po’ di tutto.
E’ essenziale che nell’associazione ci siano aziende che
vendano alimentare, e penso alle aziende del consumo equo e
solidale, ma anche supermercati di tipo tradizionale. In
questo modo, chi sta dentro il sistema può soddisfare i
propri consumi e le proprie necessità di lavoro e di
espressione all’interno della comunità e avrebbe bisogno
di pochissimo per i consumi esterni (che consistono in
tasse, energia, e telefonia se non si coinvolge qualche
impresa che vende questi prodotti nell’associazione). Una
filiera di produzione è in genere abbastanza complicata.
Essa comprende, non solo le innumerevoli aziende di
produzione, ma anche quelle di stoccaggio, di trasporto, di
distribuzione ai vari livelli e di vendita. Insomma, un
numero sorprendentemente (per chi non le conosce) elevato di
persone e di aziende. Se fino al secolo scorso, il prodotto
agricolo aveva necessità di pochissimi addetti tra
l’inizio della produzione ed il prodotto finale, oggi essi
sono un numero enorme, che svaria dalle aziende di
produzione di sementi, a quelle di allevamento e di
agricoltura vere e proprie, ai trasporti dei prodotti verso
gli stabilimenti, alla lavorazione delle materie prime
(grano, soia, mais, zucchero eccetera), alla distribuzione
del prodotto confezionato, alle aziende che producono pacchi
e pacchetti, a quelle che producono le macchine per
confezionare, alle società di marketing, alle aziende di
pubblicità, all’immagazzinamento e stoccaggio, che per il
“fresco” è particolarmente complesso poiché si avvale
di frigoriferi, all’energia necessaria per far funzionare
tutto ciò, ai telefoni, computer, posta ed altro necessario
per le intermediazioni, ai mediatori, eccetera, eccetera.
Basta riflettere un momento per vedere quante aziende
coinvolge anche la filiera più modesta dal punto di vista
tecnologico.
La prospettiva dei soci di ricevere RdC per i propri consumi
essenziali è indubbiamente attraente. E’ chiaro che il
tasso negativo non consente di effettuare risparmio in senso
tradizionale. Allo stesso tempo, però, si può partecipare
come soci, alle iniziative proposte che hanno bisogno di
garanzie aggiunte a quelle che i promotori sono in grado di
fornire. In quel caso, il capitale investito diventa di
nuovo nominale e smette di perdere “valore” con il
decorso del tempo, trasformandosi in una sorta di risparmio
assoggettato al rischio di impresa. E poi, chi l’ha detto
che il risparmio è necessario per vivere? Se si tratta di
raccogliere fondi per un’iniziativa, ci si rivolge alla BE
e si formula una proposta, se si tratta di fare i soldi per
una vacanza, non sarà certo il 5% all’anno di tasso
negativo ad impedircelo.
Le imprese già costituite che partecipano
all’associazione hanno il vantaggio di potere smerciare i
propri prodotti e far girare velocemente il capitale. Non ha
alcuna importanza che esse vogliano ideologicamente
abbandonare la logica del profitto, non serve. Esse hanno
interesse a partecipare perché l’associazione gli
consente di muovere le merci e fare produzione senza subire
perdite, anzi guadagnando molto.
Ho messo sopra il ragionamento tipico del negoziante di
fronte alla prospettiva di poter moltiplicare il proprio
fatturato a fronte di un piccolo sconto sulle merci che
vende.
Lo stesso ragionamento vale per le altre imprese che
partecipassero all’iniziativa e dopo qualche tempo, molte
imprese chiederebbero di entrare nell’associazione per
poterne usufruire dei benefici.
Le imprese che sono costituite con i finanziamenti di BE,
avrebbero un grande vantaggio. Infatti esse devono
impegnarsi alla restituzione del solo capitale ricevuto e
non degli interessi e non sarebbero quindi, costrette alla
ricerca del profitto immediato per non morire. Per alcune
imprese, inoltre, la restituzione del capitale non sarebbe
neppure richiesta, poiché alla fine il capitale di
esercizio sarebbe onorato dai membri dell’associazione.
Questo porterebbe, però, ad una riduzione della somma a
titolo di RdC.
E’ possibile che non appena l’iniziativa prenda piede,
anche alcuni enti locali territoriali, Comuni o Province,
decidano di effettuare emissioni di Titan per le proprie
iniziative. Questi titoli potrebbero benissimo circolare
insieme a quelli di BE, ma sarebbe necessario aprire
vertenze nei confronti dei Comuni perché adottassero la
medesima destinazione a RdC per i proventi che essi
avrebbero dall’iniziativa.
In ogni caso, per il sistema finanziario sarebbe un colpo
terribile. La logica del capitale finanziario è la crescita
ininterrotta, e il meccanismo dei Titan sottrae ad esso
risorse umane e materiali, ed in misura geometrica. A
differenza delle monete alternative, come i Simec, che hanno
una circolazione limitata al territorio, la F.A.Z. potrebbe
coinvolgere l’intero sistema produttivo nel giro di
qualche anno. E’ presumibile che quindi, il potere
finanziario reagisca in maniera dura cercando di bloccare
l’iniziativa con tutti i mezzi, legali e non. Dal punto di
vista giuridico l’operazione è inattaccabile. Il prestito
obbligazionario è una figura disciplinata dal codice
civile, il livello del tasso è determinato dal CdA e la
quantità di emissioni sono proporzionali al capitale, ma
poiché il tasso negativo presuppone la completa estinzione
dei titoli, ed il loro ripianamento da parte dei soci,
nessuno può impedire alla BE di emetterne a suo piacimento.
Lo stesso ragionamento vale per gli enti locali. Il fatto
che i Titan vengano usati come moneta non è vietato da
nessuna legge. A parte il fatto che posso tranquillamente
comprare casa con i BOT, e che i titoli di debito sono
considerati denaro a tutti gli effetti, nulla mi impedisce
di comprare un telefonino dando in cambio una coperta di
lana, una pila di libri, un assegno post datato o un Titan,
sempre che il venditore lo accetti e sempre che sia
consapevole del “valore” di quello che riceve in cambio.
D’altra parte per aderire all’associazione è necessario
accettarne le premesse che mettono ben in evidenza la natura
dei Titan e l’impegno ad accettarli come mezzi di
pagamento.
Quale beneficio per il movimento? Il solo fatto che si
prefiguri in concreto un modo di vivere diverso da quello
della società del profitto è una grande rivoluzione.
Attraverso questi strumenti si possono aggregare forze
considerevoli in breve tempo, per fare informazione libera,
per far crescere il biologico in agricoltura, per fare
ricerca e produzione di fonti energetiche alternative al
petrolio, per fare case decenti per tutti, per liberare un
numero crescente di persone. Non è la pietra filosofale e
il tasso negativo non risolve tutti i problemi. Come diceva
Marx, le relazioni economiche riflettono i rapporti sociali.
E’ esattamente quello che dobbiamo fare. Smetterla di
vivere nell’incubo della riproduzione del capitale e
cominciare a vivere secondo il nostro modo di vivere i
rapporti sociali. Il tasso negativo, però, indica una via
ed è il caso di imboccarla rapidamente. Perché se
funziona, e non si vede la ragione per cui non dovrebbe
funzionare, riusciremo in maniera concreta ad introdurre nel
mondo e nella testa della gente un diverso concetto di
ricchezza e di vita. E se non sbaglio è proprio questo
l’obiettivo di tutti.
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