IL PUNTO SU ...

Una riflessione sulla responsabilità professionale

di
Luisella de Cataldo Neuburger

Presidente AIPG
Avvocato Psicologo
Resp. Sezione di Psicologia Giuridica
     Università degli Studi di Milano




Il Punto su ...
Una riflessione sulla responsabilità professionale

Editoriale
di Liusella de Cataldo


Parere dell'Esperto
Prevenire la Pedofilia?
di Gustavo Sergio

Recensioni
Elementi di Psicologia Giuridica e di Diritto  Psicologico
di Gugliemo Gulotta e Collaboratori
Giufrrè Editore -Milano 2000
a cura di Paolo Capri

L'uso dei test proiettivi in ambito penale minorile. Formulazione di un program- ma di trattamento individua- lizzato
di Lucia Chiappinelli e 
Maria Assunta Occulto

Notizie dalla Associazione

Convegni e Seminari

Fallimento scolastico, fallimento sociale.Riflessioni critiche su dispersione scolastica e devianza minorile
di Roberto Giorgi e 
Luca Vallario

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      In questi ultimi tempi – lo dimostrano l’interesse della stampa, i tanti seminari e convegni che si svolgono sull’argomento – è all’ordine del giorno un tema di drammatica importanza per la vita delle famiglie, quello dell’allontanamento dei figli dal nucleo familiare che, per le conseguenze irreversibili che comporta  dovrebbe avvenire solo e soltanto in casi estremi. Si tratta di un provvedimento ad effetto dirompente che per la sempre maggiore frequenza con cui viene adottato e, a volte, per la poca trasparenza o sufficiente consistenza delle ragioni che lo determinano, sta diventando un motivo di allarme sociale.
Vorrei approfittare di questo spazio per invitare alla riflessione su un argomento che ci tocca tutti da vicino prendendo le mosse da un caso che, dopo lunghi passaggi giudiziari iniziati nella metà degli anni ’80 in Inghilterra è giunto all’attenzione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che lo ha deciso con la sentenza n.28945/95 del 10 maggio 2001. Si tratta dello stesso caso che, nel 1995 avevo presentato ad un importante convegno organizzato a Bologna da Anna Mestitz sul tema “La tutela del minore tra norme, psicologie ed etica”.
Allora era stato un segnale d’allarme  proveniente soprattutto dal mondo anglosassone, di chiamata in causa della responsabilità professionale degli operatori sociali.
Oggi, la possibilità di conoscere come questa (e analoghe vicende) sono state decise dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo puo’ essere utile per aiutare a meglio riflettere e a calibrare le iniziative che, sempre piu’ spesso si prendono nel nome dell’interesse del minore, e che non sempre  sono giustificate in fatto e in diritto.
La complessità dell’argomento e la necessità di entrare nei dettagli per una corretta comprensione del significato di questa importante sentenza rendono insufficiente lo spazio a disposizione sulla newsletter di questo mese.
Pertanto, in via eccezionale, e con la comprensione del comitato di redazione, questa prima parte si concluderà con un continua al prossimo numero in cui riassumero’ la decisione della Corte e i motivi che l’hanno sostenuta. 
La vicenda cui avevo fatto riferimento riguardava un procedimento intentato da una madre T.P. cui era stata tolta la figlia (K.M.) dai servizi sociali di Newham, un sobborgo di Londra, e che era stato oggetto di un lungo articolo apparso sul The Sunday Times del  30 luglio 1995.
L’istanza della ricorrente che si opponeva al provvedimento e chiedeva il risarcimento dei danni per un provvedimento ritenuto ingiustificato, veniva respinta dalla House of Lords con una sentenza che vietava alla donna di intentare causa ai servizi sociali accusati di incompetenza nella valutazione delle parole della bambina.
I giudici  decidevano che gli operatori sociali e i medici non possono essere perseguiti per negligenza nel corso del loro lavoro sui bambini, per quanto stravagante ed errato possa essere stato il loro comportamento.
A loro giudizio, consentire un’azione legale volta ad accertare un’eventuale responsabilità dei servizi sociali avrebbe avuto l’indesiderato effetto di rendere più cauta e meno coraggiosa la loro azione a favore di minori a rischio.
Questa sentenza ha bloccato dozzine di altre azioni legali concernenti minori che erano stati allontanati dalle famiglie e presi in carico dai servizi sociali a seguito di accuse di abuso sessuale risultate, poi, infondate.
In certi casi, i bambini sono stati allontanati dalle famiglie per cinque anni, fino a quando il Tribunale non ne ha ordinato il ritorno a casa riconoscendo che i servizi sociali avevano provocato ‘una tragedia di immani proporzioni’ (a tragedy of immense proportions).
Il caso prende le mosse dalla visita di una bambina K.M. (nata nel 1983) che presentava infezioni ricorrenti alle vie urinarie.
Nel corso della degenza in ospedale pediatrico K.M. aveva detto ad un operatore sociale che XY, il convivente della madre, “le aveva fatto male dietro”.
Nel mese di marzo 1986 la bambina subisce un intervento chirurgico per il reimpianto di un uretere nella vescica e, successivamente, un secondo per l’eliminazione di un rene sopranumerario. Continua ad avere problemi urinari e infezioni. 
Nel 1987 in occasione di una visita domiciliare, gli operatori sociali apprendono che il presunto abusante XY vive ancora con la madre.
Si tiene una riunione ad hoc alla quale la madre non viene invitata e si decide di inserire la bambina nella liste dei bambini a rischio per carenze affettive.
Viene disposta una visita della bambina da parte di una ‘pedopsichiatra’ dott.ssa V. operante in un centro di intervento per bambini e una visita medica presso l’ospedale pediatrico che non riesce a trovare la causa delle ricorrenti infezioni alle vie urinarie.
L’ospedale decide per ulteriori visite da tenersi, pero’, dopo la visita della bambina (che all’epoca ha quattro anni e nove mesi) da parte della pedopsichiatra dott.ssa V. che lavora alle dipendenze dell’autorità sanitaria di Newham.
La visita (videoregistrata) avviene alla presenza dell’assistente sociale M.P. Entrambi dichiarano che la bimba ha confermato l’abuso sessuale da parte di un amico della madre che in quel periodo viveva con loro. La madre viene convocata (anche qui videoregistrazione), informata che la figlia aveva rivelato di aver subito abusi sessuali da parte del convivente XY, che la bambina sarebbe entrata in ospedale per ulteriori accertamenti e quindi allontanata dalla madre.
Dopo questo incontro, T.P. domando’ alla figlia se era vero che XY aveva abusato di lei e se era vero che lo avesse detto alla psichiatra.
Davanti a questa reazione della madre, psichiatra e assistente sociale decidevano che la madre non era capace di proteggere la figlia e che stata tentando di farla ritrattare.
Di conseguenza, decidono per un allontanamento immediato della bambina per il termine massimo di 28 giorni consentito dalla legge inglese.
In questa occasione, entrambe dicono alla madre che puo’ prendere visione, per convincersi della realtà dei fatti, della videoregistrazione effettuata nell’incontro che avevano avuto con la minore. (Per inciso, passerà un anno prima che sia data alla madre la possibilità di visionare la cassetta). 
Il 18 novembre 1987 un medico visita la bambina e rileva segni compatibili con tentativi di abuso anali ma niente di conclusivo al livello genitale.
Alla scadenza del termine dei 28 giorni,  K.M., nonostante le richieste della madre, viene messa sotto tutela giudiziaria per premunirla da ogni rischio di abuso.
Alla madre viene riconosciuto un limitatissimo diritto di visita che prevede una visita per settimana in quello che noi chiameremmo ‘spazio protetto’ con divieto di contatti telefonici per evitare tentativi da parte della madre di far ritrattare la figlia.
Ancora una volta, non viene prodotta la cassetta videoregistrata. Per tutto questo periodo la bimba continua a soffrire di problemi alle vie urinarie e di incontinenza. 
Nel frattempo, T.P. ha un altro figlio, un bambino, che viene anch’esso messo sotto tutela giudiziaria.
Nel mese di ottobre 88, un medico, il dott. B, incaricato dalla madre, riesce a prendere visione della cassetta nella quale erano contenute le dichiarazioni accusatorie della bambina che, a suo giudizio (comunicato all’avvocato della madre) confermavano l’abuso subito da parte del convivente della madre.
Dichiarava altresi’ che era necessario che la ricorrente potesse prendere visione di questa cassetta per avere tutte le informazioni possibili.
La pedopsichiatra dott.ssa V. si oppone con una memoria a che la madre possa avere accesso alla videoregistrazione perché coperta da segreto professionale. (Ci puo’ interessare molto conoscere le motivazioni addotte e pertanto le riporto con le parole che leggo nella sentenza): 
“En tant que praticienne, je pense que, d’une manière générale, il n’est pas dans l’intérêt de l’enfant _ et c’est particulièrement vrai en l’espèce – que le partie voient l’enregistrement vidéo.
Le préjudice possible pour l’enfant tient au fait qu’il est dans une situation ou ses mots ou actes, enregistrés à titre confidentiel, peuvent avoir une incidence sur certains événements ou décisions. Il peut alors etre la cible de sentiments de colère ou de rancune, voir de représailles, surtout si le visionnage de l’enregistrement tend a permettre à une partie de démontrer qu’elle est innocente des abus sexuels sur mineur qui lui sont reprochés, ou à corroborer ses affirmations qu’il n’y a pas eu d’abus sexuels et que l’enfant doit mentir. »
Nel novembre 1988 gli avvocati della ricorrente riescono a prendere visione della trascrizione dell’intervista registrata nella cassetta e si rendono conto che la bambina aveva scosso la testa quando le era stato chiesto se l’autore dell’abuso abitava con lei e aggiunto che questa persona era
stata scacciata dalla casa della madre.
(A questo punto, credo che sia necessario conoscere anche noi il contenuto di questa trascrizione che riporto cosi’ come si legge nella sentenza).  ....  ... 

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