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Seneca: il tempo

wpe9.jpg (4890 byte) Lucio Anneo Seneca

Nella lettera che apre l'epistolario, rivolgendosi a Lucilio Seneca propone il tema del tempo, ricorrente in tutte le sue opere.

Ita fac, mi Lucili: vindica te tibi, et tempus, quod adhuc aut auferebatur aut subripiebatur aut excidebat, collige et serva. Persuade tibi hoc sic esse ut scribo: quaendam tempora eripiuntur nobis, quaedam subducuntur, quaedam effluunt. Turpissima tamen est iactura, quae per neglegentiam fit. Et si volueris adtendere, magna pars vitae elabitur male agentibus, maxima nihil agentibus, tota vita aliud agentibus. Quem mihi dabis, qui aliquod pretium tempori ponat, qui diem aestimet, qui intellegat se cotidie mori? In hoc enim fallimur, quod mortem prospicimus: magna pars eius iam praeterit; quicquid aestatis retro est, mors tenet. Fac ergo, mi Lucili, quod facere te scribis, omnes horas complectere. Sic fiet ut minus ex crastino pendeas, si hodierno manum iniceris. Dum differtur vita transcurrit. Omnia, Lucili, aliena sunt, tempus tantum nostrum est: in huius fugacis ac lubricae possessionem natura nos misit, ex qua expellit quicumque vult. Et tanta stultitia mortalium est ut, quae minima et vilissima sunt, certe reparabilia, imputari sibi, cum impetravere, patiantur, nemo se iudicet quicquam debere, qui tempus accepit, cum interim hoc unum est, quod ne gratus quidem potest reddere. Interrogabis fortasse, quid ego faciam, qui tibi ista praecipio. Fatebor ingenue: quod apud luxuriosum sed diligentem evenit, ratio mihi constat impensae. Non possum dicere nihil perdere, sed quod perdam et quare et quemadmodum, dicam; causas pauperitatis meae reddam. Sed venit mihi, quod plerisque non suo vitio ad inopiam redactis: omnes ignoscunt, nemo soccurrit. Quid ergo est? Non puto pauperem cui quatulumcumque superest sat est, tu tamen malo serves tua, et bono tempore incipies. Nam ut visum est maioribus nostris, "sera parsimonia in fundo est": non enim tantum minimum in imo sed pessimum remanet. Vale.

In questa epistola Seneca descrive la sua concezione di tempo, un tempo fortemente soggettivo, che assume valore se viene sfruttato al meglio. Seneca descrive comunque il tempo come un ente fuggevole ed insicuro. Proprio per questo diventa necessario mettere mano all'oggi, non lasciare trascorrere il tempo supinamente. Questo invio può suonare simile al carpe diem oraziano. Sicuramente la volontà di sfruttare tutto il tempo a nostra disposizione è comune ai due autori, ma la differenza fondamentale è che Orazio invitava a cogliere i piaceri del momento, mentre il tempo stoico invita ad attuare istante per istante il dovere morale, ossia la virtù, unico vero scopo della vita umana. Per questo Seneca ci invita a non iniziare troppo tardi: quello che rimane alla fine non solo è poco, ma è anche la parte peggiore. Nonostante questo non è mai troppo tardi per cominciare. Seneca rappresenta un esempio di questo, visto che si è dedicato alla vita contemplativa da lui tanto sospirata solo nell'ultima parte della sua vita. Si capisce perciò l'invito a sfruttare ogni momento, perché chiunque, come ha sperimentato direttamente nella sua vita, può impedirci di essere padroni del nostro tempo. Il richiamo alla morte è strettamente collegato al tema del tempo. Morte per Seneca significa vivere senza sfruttare al meglio il proprio tempo. L'esistenza trascorsa appartiene alla morte. Per riassumere, non una visione quantitativa del tempo, ma qualitativa, mirata al raggiungimento del sommo bene.

Da un punto di vista sintattico, il brano è caratteristico dello scrivere senecano: prevale la paratassi, con frasi brevi, spesso giustapposte senza nessi congiunzionali. Questo tipo di sintassi determina un forte impatto, una scrittura per sententiae che risulta molto efficace nel trasmettere le idee chiave.
Sotto il profilo stilistico notiamo la serie di imperativi (fac, vindica, collige, serva...) che apre l'epistola: l'autore imposta il discorso secondo un atteggiamento di ammonimento e consiglio, che  caratterizza il suo rapporto con il destinatario. Il tono è pacato, assume un taglio colloquiale e familiare, come in una conversazione tra amici.
L'uso di anafore, specialmente nella prima parte (triplice di aut e di quaedam), di climax (pars vitae..., maxima..., tota...) confermano uno stile solo apparentemente informale e colloquiale, in realtà sempre ricercato e raffinatamente elaborato.

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