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Sommario

 

Nietzsche: l'eterno ritorno dell'uguale

«Camminavo in quel giorno lungo il lago di Silvaplana (nella valle Svizzera dell'Engadina) attraverso i boschi; presso una possente roccia che si levava in figura di piramide, vicino a Surlej, mi arrestai. Ed ecco giunse a me quel pensiero [...]. L'inverno seguente vivevo vicino a Genova, in quell'insenatura graziosa e quieta di Rapallo [...] la mattina andavo verso sud , salendo per la splendida strada di Zogali, in mezzo ai pini, con l'ampia distesa del mare sotto di me; il pomeriggio facevo il giro di tutta la baia di Santa Margherita, arrivando fin dietro Portofino [...]. Su queste due strade mi venne incontro il tipo di Zarathustra; più esattamente mi assalì»
Nietzsche racconta in questo passo di Ecce Homo la prima folgorante intuizione dell'eterno ritorno. Questa prima intuizione verrà ripresa nell'aforisma 341 della Gaia scienza. Solamente dopo tre anni, nel terzo libro dello Zarathustra, Nietzsche riesce a dare della dottrina un'esposizione compiuta.
Come tipico del filosofare nietzscheano, il concetto di eterno ritorno viene presentato come il risultato di un'intuizione improvvisa: il tempo non ha fine; il tempo non ha scopo. Il corso del mondo non è retto da alcun piano provvidenziale teso ad inaugurare il regno di Dio o della morale. Il tempo non procede in modo rettilineo né verso un fine trascendente (come ha preteso la tradizione ebraico - cristiana), né verso una finalità immanente (come ha creduto lo storicismo). L'uomo della cultura occidentale è dunque prigioniero di una errata concezione lineare del tempo secondo cui ogni cosa ha un inizio e una fine, un principio e uno scopo; e tutto tende a una meta, ossia a una stabilizzazione definitiva delle forze agenti nel mondo, rispetto alla quale i momenti del processo sono iscritti in una "grande logica" che li rende  transitori e quindi irrilevanti. In questa visione, il passato ci condiziona in quanto irreversibile e il futuro si impone come un evento sempre incombente che ci impedisce di godere nel presente. A questa concezione ebraico - cristiana, che intende il tempo scandito da istanti irripetibili (creazione, peccato, redenzione, fine dei tempi), Nietzsche contrappone invece una concezione ciclica, ripresa dalla tradizione antica, presocratica e orientale, secondo la quale gli eventi sono destinati eternamente a ripetersi in un tempo circolare. Il mondo risulta dominato, in questa visione, dalla necessità della ripetizione: «tutte le cose esternamente ritornano e noi con esse, e noi fummo già eterne volte e tutte le cose con noi». Ogni istante vissuto, ogni piacere e ogni dolore, sono già esistiti infinite volte e infinite volte, in eterno, esisteranno. Se tutto ritorna, ogni istante non è un passo in avanti, né uno indietro, in quanto non vi sono più direzioni prescritte: cade la possibilità di orientarsi nel tempo rispetto a scopi o principi assoluti: si svela così il fondamento ontologico fallace di ogni progetto etico, religioso o metafisico.
Vi è però il pericolo di interpretare l'eterno ritorno in senso fatalistico: se ogni istante è destinato a ripetersi, se il tempo non è altro che il fatale ricorrere degli stessi eventi, dobbiamo allora concludere che nella vita nulla accade di nuovo, che la vita stessa, imprigionata nella circolarità del tempo, è inutile così come inutili e vani si rivelano gli atti di volontà degli uomini, che infine anche l'avvento del superuomo è un'illusione priva di senso? La risposta di Nietzsche è negativa.
Non basta abbandonarsi alla ciclicità del tempo per sottrarsi al nichilismo e all'angoscia. L'amor fati nietzscheano non è l'accettazione rassegnata delle cose così come accadono. Al contrario l'uomo superiore è proprio colui che volontariamente vuole per sé quella legge universale che gli altri enti (gli animali, le piante, ma anche gli stessi uomini inconsapevoli) si limitano a seguire ciecamente; così facendo egli trasforma il caso in una necessità consapevolmente assunta e voluta: «così io volli che fu, così io voglio che sia, così io vorrò che sia»
Questa dottrina del tempo determina una nuova concezione dell'agire umano. Se nella visione lineare del tempo ogni istante acquista significato solo se legato agli altri, che lo precedono e lo seguono, cioè un tempo che muove sempre verso un fine che trascende i singoli momenti di cui è costituito, nella visione nietzscheana invece, ogni momento del tempo, dunque ogni esistenza singola in ogni suo attimo di vita, possiede tutto interno il suo senso. L'attimo presente può e merita di essere vissuto per se stesso, come fosse eterno. Da cui le massime nietzscheane: "muovi sempre dall'attimo, dal presente vissuto pienamente, in quanto affidato al coraggio, alla decisione, alla volontà", e "vivi questo attimo in modo tale che tu debba desiderare di riviverlo".

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