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      Il territorio e l'ambiente 


      La Lomellina risale geomorfologicamente all'era quaternaria. Il 
      territorio, fertile e pianeggiante, è stato per diversi secoli coltivato 
      principalmente a grano, mais e foraggio; tuttavia, oggi, la Lomellina è il 
      regno del riso e, grazie a ciò, la provincia di Pavia è la prima 
      produttrice risicola italiana.
      In origine, in epoca quaternaria l'area fu modellata da fiumane che 
      depositarono sabbia e ciottoli formando dossi, conche e avallamenti che si 
      conservarono, costellati di paludi e boschi, fino al Medioevo. Infatti, 
      nulla di questo tranquillo paesaggio è naturale: tutto è stato costruito, 
      trasformato ed organizzato dall'uomo con infinita e secolare pazienza. 
      L'ambiente che vediamo oggi è frutto di un lavoro che l'uomo ha intrapreso 
      fino a rendere queste terre fra le più fertili del mondo, "... un immenso 
      deposito di fatiche, per nove decimi non opera della natura ma delle mani, 
      una patria artificiale", come scrisse Carlo Cattaneo. Per natura questa 
      terra di risorgive è stata per secoli un'impraticabile palude, ma le 
      comunità dei monaci nel medioevo, che bonificarono la zona introducendo le 
      marcite, la colonizzazione feudale nel duecento e le grandi riforme 
      agricole introdotte dagli Sforza, che sperimentarono la coltivazione del 
      riso, hanno fatto di questa zona un mosaico di ricchissimi campi di 
      cereali. Al servizio di questa estensione di coltivazioni, a fianco dei 
      tre fiumi naturali che delimitano la Lomellina, è stato organizzato un 
      complesso sistema idrico di rogge e canali, che hanno dato vita alla 
      costruzione dei mulini, e sono sorte le cascine "a corte chiusa", tipici 
      insediamenti rurali della pianura padana.
      Questo habitat lentamente sta recuperando il suo equilibrio biologico; 
      sono stati compiuti alcuni significativi passi nella conservazione delle 
      aree ambientali di un certo interesse naturalistico; il primo e più 
      importante è rappresentato dalla costituzione del Parco Fluviale del 
      Ticino, di primaria importanza per la conservazione di molte specie di 
      piante e di animali. Inoltre sono state recuperate diverse garzaie, e 
      conservati alcuni boschi con vegetazione autoctona della Pianura Padana; 
      tra questi ricordiamo il "Bosco Negri" a Zerbolò, la "Palude Loya" tra 
      Zeme e Sant'Angelo, ed il "boschetto di Scaldasole" che si trova su un 
      dosso sabbioso ed è prevalentemente occupato da Farnie, di cui alcune 
      raggiungono dimensioni notevoli; altre aree sono in fase di costituzione o 
      di rimboschimento: tra queste ricordiamo la "Lanca dell'Agogna Morta", tra 
      Nicorvo ed il confinante comune piemontese di Borgolavezzaro.


      Il territorio e l'ambiente 


      La Lomellina risale geomorfologicamente all'era quaternaria. Il 
      territorio, fertile e pianeggiante, è stato per diversi secoli coltivato 
      principalmente a grano, mais e foraggio; tuttavia, oggi, la Lomellina è il 
      regno del riso e, grazie a ciò, la provincia di Pavia è la prima 
      produttrice risicola italiana.
      In origine, in epoca quaternaria l'area fu modellata da fiumane che 
      depositarono sabbia e ciottoli formando dossi, conche e avallamenti che si 
      conservarono, costellati di paludi e boschi, fino al Medioevo. Infatti, 
      nulla di questo tranquillo paesaggio è naturale: tutto è stato costruito, 
      trasformato ed organizzato dall'uomo con infinita e secolare pazienza. 
      L'ambiente che vediamo oggi è frutto di un lavoro che l'uomo ha intrapreso 
      fino a rendere queste terre fra le più fertili del mondo, "... un immenso 
      deposito di fatiche, per nove decimi non opera della natura ma delle mani, 
      una patria artificiale", come scrisse Carlo Cattaneo. Per natura questa 
      terra di risorgive è stata per secoli un'impraticabile palude, ma le 
      comunità dei monaci nel medioevo, che bonificarono la zona introducendo le 
      marcite, la colonizzazione feudale nel duecento e le grandi riforme 
      agricole introdotte dagli Sforza, che sperimentarono la coltivazione del 
      riso, hanno fatto di questa zona un mosaico di ricchissimi campi di 
      cereali. Al servizio di questa estensione di coltivazioni, a fianco dei 
      tre fiumi naturali che delimitano la Lomellina, è stato organizzato un 
      complesso sistema idrico di rogge e canali, che hanno dato vita alla 
      costruzione dei mulini, e sono sorte le cascine "a corte chiusa", tipici 
      insediamenti rurali della pianura padana.
      Questo habitat lentamente sta recuperando il suo equilibrio biologico; 
      sono stati compiuti alcuni significativi passi nella conservazione delle 
      aree ambientali di un certo interesse naturalistico; il primo e più 
      importante è rappresentato dalla costituzione del Parco Fluviale del 
      Ticino, di primaria importanza per la conservazione di molte specie di 
      piante e di animali. Inoltre sono state recuperate diverse garzaie, e 
      conservati alcuni boschi con vegetazione autoctona della Pianura Padana; 
      tra questi ricordiamo il "Bosco Negri" a Zerbolò, la "Palude Loya" tra 
      Zeme e Sant'Angelo, ed il "boschetto di Scaldasole" che si trova su un 
      dosso sabbioso ed è prevalentemente occupato da Farnie, di cui alcune 
      raggiungono dimensioni notevoli; altre aree sono in fase di costituzione o 
      di rimboschimento: tra queste ricordiamo la "Lanca dell'Agogna Morta", tra 
      Nicorvo ed il confinante comune piemontese di Borgolavezzaro.


      
      


      L

      I musei in Lomellina 

       
      Gambolò - Museo Archeologico Lomellino
      Castello Litta - tel. 0381/938.256 (segreteria telefonica)
      Orari di apertura: domenica (15-18); feriali solo per gruppi su 
      prenotazione.
      Il Museo raccoglie il materiale archeologico scavato dall'Associazione 
      Archeologica Lomellina dal 1972 ad oggi. I reperti, tutti provenienti dal 
      territorio lomellino, offrono una panoramica completa sulla presenza umana 
      nel nostro territorio dal Mesolitico recente (5500 a.C.) fino alla seconda 
      età del Ferro (25 a.C.). Il Museo è strutturato in quattro sale 
      espositive, è corredato da quarantaquattro pannelli didattici e da una 
      grande Carta Archeologica della Lomellina.

       
      Olevano - Museo di Arte e Tradizione Contadina
      Via Cesare Battisti, 5 - Ingresso gratuito - tel. 0384/51251 - 51239
      Orari di apertura: sabato e domenica (15-18), gli altri giorni su 
      prenotazione.
      Un vecchio cascinale, al centro del paese, raccoglie oltre duemila fra 
      attrezzi, macchine agricole e semplici oggetti, usati dai contadini fra la 
      fine dell'ottocento e la prima metà del nostro secolo. Lo scopo del museo 
      è quello di salvare dalla dispersione e dalla distruzione i vecchi 
      strumenti del lavoro contadino, per dare giusto valore agli oggetti che 
      sono stati il tramite tra l'uomo e la sua terra. Il museo si articola in 
      alcune sezioni. Nel cortile sono esposte alcune macchine che testimoniano 
      la prima fase della meccanizzazione agricola, e risalgono alla prima metà 
      del XX secolo. Si accede quindi alle ambientazioni della stalla, del 
      caseificio, delle botteghe artigiane e di una povera casa contadina che ci 
      riportano nella Lomellina di qualche decennio fa, quando arrivavano le 
      giovani e vocianti mondine e, nonostante il duro lavoro che dovevano fare, 
      portavano in paese allegria e gioventù.
      Gli innumerevoli attrezzi sono accompagnati da manichini, fotografie 
      inedite, documenti originali d'epoca, schede analitiche delle aziende 
      agricole e disegni che illustrano la vita contadina ed il lavoro nei 
      campi. Sono inoltre disponibili registrazioni di canti delle mondine e una 
      raccolta di fiabe popolari lomelline, frutto di un accurato lavoro di 
      ricerca.

       
      Vigevano - Museo della calzatura
      Orari di apertura: domenica e festivi (10.30-12.30 e 15-18), gli altri 
      giorni su prenotazione - tel. 0381/690370
      Vigevano è considerata ancora oggi la capitale italiana delle scarpe, cui 
      viene dedicato l'unico museo nazionale del genere. Ospitato 
      nell'ottocentesco palazzo Crespi, offre un'inedita storia della calzatura 
      come elemento di costume, sia attraverso i secoli, sia presso le diverse 
      civiltà.
      La raccolta comprende circa 300 scarpe ed è divisa in tre sezioni. La 
      sezione storica con esempi di scarpe dal XV secolo ai giorni nostri, 
      comprese quelle appartenute a personaggi famosi (pianella di Beatrice 
      d'Este - 1490 circa) e le scarpe militari. La sezione etnografica che 
      riunisce calzature in uso presso i vari popoli della terra, ed infine la 
      sezione delle curiosità.

       


      Il grano 

      Da oltre duemila anni, da quando il vomere dell'aratro era ancora 
      costituito da un cuneo di pietra naturale, esistevano già nel nostro 
      territorio alcuni appezzamenti a grano. Per la coltivazione del grano, 
      chiamato anche frumento, così come per quelle del miglio, della segale e 
      dell'orzo, i sistemi di lavorazione della terra erano praticamente 
      identici; inoltre non era necessaria alcuna pratica di irrigazione 
      artificiale, anche perché la stagione in cui avveniva la fase più 
      importante della vegetazione era l'inverno, al quale faceva seguito, in 
      marzo e aprile, la piovosa primavera.
      Fino al secolo scorso, tutti i lavori relativi alla coltura del grano, 
      dalla semina, al raccolto, alla trabbiatura, venivano eseguiti 
      manualmente. Ma all'inizio di questo secolo, anche se si continuò l'uso 
      della falce messoria per il raccolto, furono inventate le prime 
      rudimentali trebbiatrici, alle quali nei successivi decenni seguirono 
      mietitrici-legatrici, finché si arrivò all'impiego delle attuali moderne 
      mietitrebbiatrici.
      L'essiccazione veniva fatta sulla medesima aia che si utilizzava 
      normalmente per il riso e per il mais, ma raramente essa si rendeva 
      necessaria per il grano, in quanto si effettuava il raccolto nel periodo 
      più caldo dell'anno, tra la fine di giugno e la metà di luglio.
      Da diversi anni, ormai, in Lomellina la coltivazione del grano è divenuta 
      scarsamente remunerativa, ed ha lasciato il posto a quelle del riso e del 
      mais.


      Il mais 

      Il mais fu introdotto in Italia da Cristoforo Colombo, che lo importò 
      dalle Americhe nel 1500; questo fatto diede un notevole impulso 
      all'agricoltura nella nostra zona, sia per l'abbondanza dei raccolti, sia 
      per la facilità di coltivazione anche in terreni non irrigabili, così come 
      avveniva per il grano e la segale.
      Con la farina di granoturco, di solito mescolata a quella del grano, si 
      incominciò ben presto a confezionare anche il pane, che i nostri antenati 
      apprezzarono subito, così come la polenta, altro alimento base di uso 
      quotidiano.
      I sistemi per la coltivazione del mais subirono numerose evoluzioni nel 
      corso dei secoli ed in modo particolare durante questi ultimi 
      cinquant'anni. Le pannocchie mature, che prima dell'introduzione degli 
      ibridi si presentavano molto più piccole di quelle odierne, si coglievano 
      a mano dalla pianta, si caricavano per mezzo di apposite ceste di vimini 
      su un carretto munito di sponde sui quattro lati, e poi si portavano 
      sull'aia, dove si rovesciavano in mucchio. Ultimato il raccolto, si 
      procedeva a scartocciarle, manualmente, lavorando fino a tarda sera, alla 
      luce di una lampada, con la collaborazione di componenti di famiglie 
      amiche alle quali poi si ricambiava l'aiuto o si dava un compenso in 
      natura, che poteva consistere in un certo quantitativo del prodotto 
stesso.
      La trebbiatura, che un tempo si effettuava solo a mano, in seguito venne 
      eseguita mediante una trebbiatrice azionata da un motore a scoppio. Si 
      procedeva infine all'essiccazione solare sull'aia, si insaccava e si 
      portava nel magazzino.
      Oggi invece anche il mais si raccoglie con moderne macchine 
      mietitrebbiatrici semoventi, si trasporta con appositi rimorchi agli 
      essiccatoi, quindi si immagazzina sciolto o si vende direttamente, senza 
      più fare uso dei sacchi di tela juta.


      Il mais 

      Il mais fu introdotto in Italia da Cristoforo Colombo, che lo importò 
      dalle Americhe nel 1500; questo fatto diede un notevole impulso 
      all'agricoltura nella nostra zona, sia per l'abbondanza dei raccolti, sia 
      per la facilità di coltivazione anche in terreni non irrigabili, così come 
      avveniva per il grano e la segale.
      Con la farina di granoturco, di solito mescolata a quella del grano, si 
      incominciò ben presto a confezionare anche il pane, che i nostri antenati 
      apprezzarono subito, così come la polenta, altro alimento base di uso 
      quotidiano.
      I sistemi per la coltivazione del mais subirono numerose evoluzioni nel 
      corso dei secoli ed in modo particolare durante questi ultimi 
      cinquant'anni. Le pannocchie mature, che prima dell'introduzione degli 
      ibridi si presentavano molto più piccole di quelle odierne, si coglievano 
      a mano dalla pianta, si caricavano per mezzo di apposite ceste di vimini 
      su un carretto munito di sponde sui quattro lati, e poi si portavano 
      sull'aia, dove si rovesciavano in mucchio. Ultimato il raccolto, si 
      procedeva a scartocciarle, manualmente, lavorando fino a tarda sera, alla 
      luce di una lampada, con la collaborazione di componenti di famiglie 
      amiche alle quali poi si ricambiava l'aiuto o si dava un compenso in 
      natura, che poteva consistere in un certo quantitativo del prodotto 
stesso.
      La trebbiatura, che un tempo si effettuava solo a mano, in seguito venne 
      eseguita mediante una trebbiatrice azionata da un motore a scoppio. Si 
      procedeva infine all'essiccazione solare sull'aia, si insaccava e si 
      portava nel magazzino.
      Oggi invece anche il mais si raccoglie con moderne macchine 
      mietitrebbiatrici semoventi, si trasporta con appositi rimorchi agli 
      essiccatoi, quindi si immagazzina sciolto o si vende direttamente, senza 
      più fare uso dei sacchi di tela juta.


      La pianura del riso 


      Il riso è una pianta della famiglia delle graminacee e proviene dai paesi 
      orientali con clima tropicale, per cui necessita di particolari condizioni 
      di temperatura ed umidità.
      Le prime notizie sulla coltivazione del riso in Lomellina risalgono alla 
      fine del quattrocento; in quel tempo, infatti, il marchese di Mantova 
      diede diversi sacchi di riso trasportati dall'oriente al suo cugino 
      milanese, Ludovico il Moro: da quel momento, il riso iniziò la sua 
      diffusione in terra lomellina. Alcuni studi affermano che la prima semina 
      di riso in Italia avvenne proprio nel nostro territorio, e precisamente 
      nel 1482 a Villanova di Cassolnovo, per iniziativa di Gian Galeazzo 
      Visconti; in seguito la coltivazione venne diffusa nelle fattorie degli 
      Sforza, nei dintorni di Vigevano. Tuttavia, anche se la particolare 
      conformazione del terreno, ricco di acque superficiali e poco profonde, si 
      è rivelata subito adatta alla coltivazione, la diffusione delle risaie in 
      Lomellina è stata limitata fino al sec. XVIII. Dall'ottocento, con la 
      costruzione del Canale Cavour, la coltivazione si è andata sempre più 
      affermando ed oggi copre buona parte del territorio coltivato con una 
      produzione decisamente superiore al passato (dai 18 ai 60 quintali per 
      ettaro).
      L'antico ciclo della coltivazione del riso (nella foto il sistema di 
      trebbiatura che veniva utilizzato), basato sul trapianto del cereale in 
      campi prima utilizzati per altre coltivazioni, con una continua rotazione, 
      e la pulizia ad opera delle mondine, è ormai solamente un ricordo. Ora il 
      cereale viene piantato a maggio direttamente nelle risaie, prima arate, 
      livellate e quindi allagate fino ai 10/20 cm per assicurare la protezione 
      termica del chicco. Qui le verdi piantine crescono, liberate dalle erbe 
      infestanti con diserbanti ed erbicidi, fino a trasformarsi, a settembre, 
      in lunghi steli con ricche spighe di chicchi dorati. Allora, le moderne 
      mietitrebbie scendono nelle risaie ormai asciutte con pesanti cingoli e 
      tagliano le piante, separando già i chicchi dalla paglia. I preziosi 
      chicchi, chiamati in questa fase risone, vengono quindi essiccati e solo 
      allora possono passare alle riserie per la raffinazione. Per essere 
      preparati al consumo alimentare, i chicchi di riso vengono prima sbramati, 
      poi sbiancati e, spesso, sottoposti anche alla brillatura, cioè alla 
      lucidatura per mezzo di talco e glucosio.
      Sull'argomento, è da segnalare un sito Internet molto interessante, da 
      titolo "mondine lomelline", dedicato alla figura umana e sociale delle 
      mondariso lomelline.


      I dossi 

      I dossi sono ancora ben visibili nei pressi di Remondò, a sud della 
      statale Mortara-Pavia, in area non accessibile perché zona militare, di 
      Parona, Scaldasole e soprattutto lungo la strada Cergnago-Tromello, in 
      zona, di proprietà privata, destinata ad azienda faunistica.
      Lo spettacolo è inaspettato: collinette sabbiose e boscose alte 5-6 metri 
      si intervallano a conche umide. I boschi, che vedono prevalere le Querce 
      di ragguardevoli dimensioni, sono abitati dal Tasso, dal Picchio, dalla 
      Puzzola, dalla Volpe e da molte specie di volatili, tra i quali si 
      ricordano il Merlo, il Pettirosso, la Capinera, la Cinciallegra, il 
      Rigolo, l'Usignolo, il Gufo, la Civetta e la Poiana. Le zone umide 
      ospitano muschi e licheni, il Germano reale, la Gallinella d'acqua ed 
      anfibi illustri: la Rana di Lataste ed il Rospo bruno, in via di 
      estinzione in gran parte dell'Europa.


      Le marcite 

      La marcita è una pratica colturale che si fa risalire al secolo XII. 
      Introdotta in Lombardia dai frati Cistercensi che, con abnegazione e 
      fatica, bonificarono fontanili e paludi e risanarono vaste aree della zona 
      dove sgorgano le risorgive, essa si ottiene riversando per scorrimento sul 
      terreno l'acqua di queste fontane naturali, la cui temperatura si aggira 
      attorno ai 10 gradi centigradi. I terreni beneficiati dalla stabilità 
      termica delle acque che fuoriescono dal suolo a temperatura costante, 
      permettono annualmente fino ad otto tagli di erba, fornendo anche nei mesi 
      più rigidi dell'inverno prezioso cibo fresco per gli allevamenti 
      zootecnici.
      I bellissimi tappeti verdi delle marcite che, specie in inverno, suscitano 
      ammirazione, sono altresì indispensabile fonte alimentare per anatre 
      selvatiche, folaghe e gallinelle durante le rigide giornate invernali e le 
      nevicate. L'abbandono dell'allevamento del bestiame da parte dei contadini 
      ha portato a trascurare le marcite, che rischiano di scomparire dal 
      paesaggio di queste campagne.


      Il sistema idrico della Lomellina 

      La pianura Lomellina è caratterizzata da pendenza lieve ed uniforme, nella 
      quale trovano sviluppo i terrazzi fluviali; questi delimitano chiaramente 
      i tracciati dei principali corsi d'acqua naturali e la fittissima rete di 
      canali per l'irrigazione.
      Il corso d'acqua principale, che delimita la Lomellina a sud e, 
      parzialmente, ad ovest, è il fiume Po. Procedendo da ovest verso est, i 
      più importanti corsi d'acqua naturali sono: 
        fiume Sesia 
        torrente Agogna 
        torrente Arbogna-Erbognone 
        torrente Terdoppio 
        fiume Ticino 
      Inoltre esiste una fitta rete di acque, di natura perlopiù artificiale, 
      creata per l'irrigazione del territorio. I corpi idrici che la compongono 
      sono: i grandi canali, che servono a portare acqua nel comprensorio 
      derivandola dai corsi d'acqua naturali e che presentano le pareti e spesso 
      anche il fondo rivestiti di cemento e pietrame; le grandi rogge con alveo 
      naturale, con funzione analoga; l'intricatissima serie di rogge che 
      costituisce la rete minore, composta da numerosissimi corsi d'acqua, 
      ampiamente interconnessi, di origine e natura diverse (fontanili, rogge, 
      cavi, colatori). Gli ambienti di tutti questi corsi d'acqua subiscono 
      sovente, da parte dell'uomo, rimaneggiamenti dovuti alle esigenze 
      operative (manovre idrauliche, sfalci della vegetazione, spurghi dei 
      fondali, rifacimenti dei tratti di sponda, ecc.); questi interventi 
      costituiscono fattori di stress che, nelle diverse realtà, possono essere 
      frequenti e periodici come occasionali.
      La fitta rete irrigua di canali e rogge che compone la trama idrica del 
      territorio è costituita da: 
        Roggione di Sartirana 
        Diramatore Quintino Sella e subdiramatori 
        Naviglio Langosco 
        Cavo Plezza 
        Cavo Moscatello-Roggia Nuova 
        Roggia Cona-Canale di Breme-Sesia Morta 
        Canale San Michele 
        Roggia Ravasino e Lanca del Molino 
        Canale Riadino 
        Colatore Agognetta-Riale 
        Colatore Riazzolo 
        Agognetta Ponteverde 
        Roggia Castellana 
        Canale Scavizzolo 
        Roggia Cerro 
        Canale Mangialoca 
        Roggia Gaviola 
        Colatore Gravellone 
        Colatore Morasca 



      Il sistema idrico della Lomellina 

      La pianura Lomellina è caratterizzata da pendenza lieve ed uniforme, nella 
      quale trovano sviluppo i terrazzi fluviali; questi delimitano chiaramente 
      i tracciati dei principali corsi d'acqua naturali e la fittissima rete di 
      canali per l'irrigazione.
      Il corso d'acqua principale, che delimita la Lomellina a sud e, 
      parzialmente, ad ovest, è il fiume Po. Procedendo da ovest verso est, i 
      più importanti corsi d'acqua naturali sono: 
        fiume Sesia 
        torrente Agogna 
        torrente Arbogna-Erbognone 
        torrente Terdoppio 
        fiume Ticino 
      Inoltre esiste una fitta rete di acque, di natura perlopiù artificiale, 
      creata per l'irrigazione del territorio. I corpi idrici che la compongono 
      sono: i grandi canali, che servono a portare acqua nel comprensorio 
      derivandola dai corsi d'acqua naturali e che presentano le pareti e spesso 
      anche il fondo rivestiti di cemento e pietrame; le grandi rogge con alveo 
      naturale, con funzione analoga; l'intricatissima serie di rogge che 
      costituisce la rete minore, composta da numerosissimi corsi d'acqua, 
      ampiamente interconnessi, di origine e natura diverse (fontanili, rogge, 
      cavi, colatori). Gli ambienti di tutti questi corsi d'acqua subiscono 
      sovente, da parte dell'uomo, rimaneggiamenti dovuti alle esigenze 
      operative (manovre idrauliche, sfalci della vegetazione, spurghi dei 
      fondali, rifacimenti dei tratti di sponda, ecc.); questi interventi 
      costituiscono fattori di stress che, nelle diverse realtà, possono essere 
      frequenti e periodici come occasionali.
      La fitta rete irrigua di canali e rogge che compone la trama idrica del 
      territorio è costituita da: 
        Roggione di Sartirana 
        Diramatore Quintino Sella e subdiramatori 
        Naviglio Langosco 
        Cavo Plezza 
        Cavo Moscatello-Roggia Nuova 
        Roggia Cona-Canale di Breme-Sesia Morta 
        Canale San Michele 
        Roggia Ravasino e Lanca del Molino 
        Canale Riadino 
        Colatore Agognetta-Riale 
        Colatore Riazzolo 
        Agognetta Ponteverde 
        Roggia Castellana 
        Canale Scavizzolo 
        Roggia Cerro 
        Canale Mangialoca 
        Roggia Gaviola 
        Colatore Gravellone 
        Colatore Morasca 



      I mulini 


      Le numerosissime rogge e i canali che intersecano tutto il territorio 
      lomellino ha favorito, nel corso dei secoli, la nascita e lo sviluppo dei 
      mulini. Costruiti in epoche diverse per la macinazione dei cereali, 
      azionati dall'energia idraulica, si trovano a volte inseriti all'interno 
      dei cascinali, oppure isolati nelle campagne e, talvolta, persino ubicati 
      nei centri abitati.
      Sono molto antichi e alcuni di essi sono stati citati nei manoscritti di 
      Leonardo da Vinci. Nella storia di Vigevano si legge che proprio Leonardo, 
      ospite di Ludovico il Moro nel castello sforzesco alla fine del XV secolo, 
      percorse le strade della nostra campagna, osservando e studiando i corsi 
      d'acqua esistenti. E proprio in quegli anni inventò un nuovo tipo di 
      ruota, con pale concave in ferro, che, girando in posizione verticale e 
      sfruttando l'energia prodotta dall'acqua di una cascata, consentiva il 
      funzionamento di tutte le parti del mulino mediante un complicato sistema 
      di pulegge e cinghie. I primi mulini funzionanti in questo modo furono 
      quelli che il duca Galeazzo Visconti fece costruire a Vigevano, in 
      località Mora bassa, nel XVII secolo.
      Quasi tutti funzionanti fino al 1950, sono ora in cattivo stato di 
      conservazione e rischiano sfortunatamente la definitiva distruzione.


      Le cascine 


      La cascina, caratteristico patrimonio rurale, fenomeno complesso e di 
      grande interesse, ma a tutt'oggi scarsamente descritto e valutato nella 
      sua importanza, rappresenta l'emblema di una civiltà, di un'architettura, 
      di un tessuto di insediamenti agricoli tipicamente lombardi.
      L'organismo della cascina è saldamente ancorato al territorio ed alla sua 
      storia in virtù di quel legame stretto di mutua dipendenza tra uomo e 
      ambiente che si è spezzato con l'avvento della civiltà industriale. Le 
      aziende agricole nella loro attuale configurazione sono il prodotto di 
      lunghe mutazioni economico-sociali e di svariate forme di connubio tra 
      uomo e territorio che si sono succedute nei secoli dando origine a 
      tipologie differenti di insediamento e di conduzione della terra. Esse 
      sono dunque non solo un bene architettonico di intrinseco valore 
      artistico, ma espressione e documento storico di un modo di vita, 
      dell'ambiente in cui l'uomo ha operato e opera, dell'uso e della gestione 
      del suolo che caratterizzano l'economia di una zona.
      La cascina ha normalmente una struttura "a corte chiusa", quadrilatera; 
      l'ampio spazio interno, quadrato o rettangolare, è il suo cuore ed è 
      normalmente occupato dall'aia, dapprima costruita in terra battuta, poi 
      realizzata con mattoni e più tardi in cemento. L'aia aveva lo scopo di 
      permettere l'essiccazione dell'erba, dei cereali e del riso per 
      esposizione dei prodotti all'aria o al sole. La "corte" viene spesso 
      recintata con muri o siepi e dotata di uno o due ingressi chiudibili e 
      sorvegliabili per consentire il controllo sul personale dipendente e per 
      scoraggiare il piccolo furto campestre.
      Il fronte delle stalle occupa generalmente metà del perimetro edificato e 
      sopra di esse si allineano i fienili, protetti dalle intemperie con 
      caratteristiche graticciate di mattoni sfalsati. Un ampio spazio veniva 
      destinato anche alle stalle destinate ai buoi ed ai cavalli e per i locali 
      di servizio. Da questi ne veniva quasi sempre ricavato uno per la 
      produzione dei formaggi e, accanto, trovavano posto le anguste porcilaie, 
      consumatrici degli scarti della lavorazione del latte.
      Nella posizione migliore rimasta libera trovava spazio la casa del 
      proprietario o del fittabile, cioè il conduttore dell'azienda; questa si 
      differenzia dalle restanti abitazioni bracciantili per imponenza edile o 
      per la presenza di qualche fregio decorativo che ne accentua la 
      distinzione, ed ha un piano rialzato sopra le altre per far posto anche al 
      granaio. Vi si trovano poi le case dei salariati, cioè dei contadini a 
      contratto fisso, e dei lavoratori "stagionali", le mondine e i tagliariso. 
      Nella cascina non è difficile trovare la chiesetta oppure un semplice 
      campaniletto che scandiva le ore richiamando i contadini dal lavoro dei 
      campi o annunciando la fine della dura giornata di lavoro.
      In Lomellina, come in tutta la pianura lombarda, le campagne sono 
      costellate da numerosissime cascine di grande interesse. Fra queste occupa 
      indubbiamente un posto di primo piano la Sforzesca, nei pressi di 
      Vigevano, residenza di caccia ed azienda agricola voluta da Ludovico il 
      Moro nel 1486. Il complesso richiama la disposizione tipica dei castelli 
      con quattro fabbricati intorno ad un cortile centrale quasi quadrato e 
      quattro costruzioni agli angoli, chiamati colombaroni. Tutto intorno una 
      distesa di campagne coltivate, canali d'irrigazione e mulini ad acqua 
      progettati niente meno che da Leonardo da Vinci, ospite della tenuta alla 
      fine del Quattrocento.
      Sempre a Vigevano sorge la cascina Pegorara, ove da parte di Ludovico il 
      Moro venne tentato senza successo l'allevamento di pecore importate dalla 
      Linguadoca; a sud della città sono innumerevoli i centri rurali che 
      meritano attenzione: da San Vittore, alla Favorita, alla Presciutta, a 
      Fogliano, a San Marco. Verso occidente spiccano la cascina Castellana, la 
      cascina Portalupa in Faenza e la cascina Tre Colombaie.
      Inoltre possiamo visitare la cascina Barzo di Gravellona, di origini 
      basso-medievali; la cascina San Sebastiano di Robbio, dove sono stati 
      ritrovati gli affreschi della storia del Santo (XV-XVI sec.); la Marza di 
      Zeme; Erbamala e Campalestro tra Velezzo e Cergnago, nelle quali non è 
      difficile riscontrare un antico passato monastico; la medievale tenuta di 
      Sant'Albino e la grande cascina Medaglia a Mortara; la Melegnana, la cui 
      origine di villa romana è documentata da numerosi ritrovamenti, e la 
      Vallazza ad Olevano; Santa Maria di Bagnolo (resti di una chiesetta 
      romanica del secolo XI) e San Bernardo (affreschi di scuola gaudenziana) a 
      Langosco.
      A Parona, nel territorio verso Vigevano, sono ancora in funzione la 
      cascina Scocchellina e la cascina Castello. Di pregevole fattura anche la 
      cascina Scoglio.
      L'autosufficienza produttiva nelle cascine è durata secoli: accanto ai 
      contadini lavoravano artigiani addetti alle attrezzature e personale 
      specializzato nella produzione di generi alimentari. Oggi la stalla è 
      stata abbandonata quasi ovunque e non è raro trovare cascine in condizioni 
      di degrado molto avanzato.

      Il fiume Ticino ed il suo Parco 


      Istituito nel 1974, situato lungo le sponde del Ticino, nel tratto tra il 
      lago Maggiore e la confluenza con il Po, tra le province di Varese, Milano 
      e Pavia, con i suoi 90.640 ettari è il parco fluviale più grande d'Europa. 
      Fu realizzato per salvaguardare un territorio assai vario, dove le 
      attività produttive e gli insediamenti umani convivono con un patrimonio 
      ambientale di grande valore. Chi si dovesse trovare al ponte della Becca, 
      dove il Ticino confluisce nel Po, può osservare la notevole differenza del 
      colore delle acque e come quelle del Ticino siano molto più limpide. 
      Infatti le acque che escono dal Lago Maggiore, già di buona qualità, 
      scorrono in un alveo costituito da materiali grossolani, prevalentemente 
      ciottolosi-ghiaiosi e sabbiosi, con pochissima presenza di materiale in 
      sospensione. Al "Fiume Azzurro" non mancano purtroppo apporti inquinanti 
      di tipo biologico, ma la presenza di risorgive naturali, che immettono nel 
      fiume acque di provenienza sotterranea, pulite ed ossigenate, tende a 
      mitigare i fenomeni dell'inquinamento.
      Il modo migliore per visitare il parco è a piedi o in bicicletta, lungo 
      percorsi di notevole interesse ambientale e naturalistico; ci sono anche 
      alcuni itinerari particolari sia per gli appassionati di canoa, sia per 
      coloro che amano le sgroppate a cavallo. Accanto ai pioppeti, alle risaie 
      e alle marcite che rivelano l'opera dell'uomo, si sviluppa una gran 
      varietà di piante: estesi boschi, resti delle antiche foreste che un tempo 
      ricoprivano tutta la valle padana, e vegetazione acquatica, 
      rigogliosissima in prossimità delle risorgive e delle lanche. Anche la 
      fauna, sia terrestre che ittica, riveste estrema importanza nell'ambiente 
      del parco.
      La stagione più adatta per visitare il parco è la primavera, quando le 
      fioriture coprono i boschi o le acque, anche se occorre un po' di 
      attenzione a non spingersi troppo nei pressi delle garzaie, con il rischio 
      di disturbare la nidificazione degli aironi; oppure l'autunno, quando le 
      lanche ospitano numerose anatre svernanti. L'estate è, purtroppo, anche la 
      stagione delle zanzare e dei numerosi turisti.
      I boschi e la flora
      La vegetazione che caratterizza le zone della valle fluviale è il querceto 
      misto, che si sviluppa nel suolo profondo della bassa pianura, con alberi 
      di farnia, olmo, carpino e pioppo nero. Nella collina maggiormente arida 
      prevale il ceduo di roverella e di castagno con larghe presenze di pino 
      silvestre. I terreni più umidi ospitano il pioppo bianco, l'ontano nero ed 
      i saliceti. Molto diffusa è la robinia, specie di origine esotica come il 
      prunus serotina. Rimarchevole, soprattutto nel confronto con l'impoverita 
      situazione padana, è la flora degli ambienti umidi (ninfea, ranuncoli 
      d'acqua, iris), quella del sottobosco (mughetto, pungitopo) e delle radure 
      (dittamo, asfodelo, gladiolo). Il triangolo del "Siccomario", tra Ticino e 
      Po, è famoso per la presenza del Bosco Negri, maestoso relitto di selva 
      planiziaria padana.
      La fauna
      L'animale selvatico è riservato per natura, e il parco non è uno zoo. 
      Lungo il Ticino gli animali vivono a migliaia: cinghiali, caprioli, tassi, 
      conigli selvatici, lepri; tra gli uccelli i falchi pescatore, le 
      gallinelle d'acqua, le folaghe, le alzavole, i fischioni, i tuffetti, le 
      varie specie di aironi, le ghiandaie; le sponde del fiume coperte di 
      salici e saliconi ospitano una ricca avifauna acquatica nidificante: 
      salciaiole, usignoli di fiume, tarabusi, cannareccioni; sono frequenti 
      anche i cuculi.
      La pesca sul fiume ha sempre costituito attrazione per le popolazioni 
      rivierasche che ancora oggi la praticano con le reti, se pescatori 
      professionisti, e con lenza e bilancia, se dilettanti. Tra i pesci, è 
      possibile trovare trote, anguille, temoli, tinche, cavedani, lasche, 
      storioni, lucci, persici, alborelle e bottine.
      Una curiosità
      Il greto del fiume, prevalentemente ghiaioso, è costituito da materiali 
      provenienti dall'erosione glaciale che la vorticosità delle acque, in 
      occasione delle piene, continua a spostare a valle: si tratta di ciottoli, 
      sabbie, quarziti, minerali vari, tra cui, in piccola quantità, pagliuzze 
      d'oro. Per questa sua caratteristica, tutti gli anni, a fine agosto, si 
      svolge un'originale gara: il campionato italiano dei cercatori d'oro.
      Per saperne di più...
      Per ulteriori informazioni sul Parco del Ticino, consigliamo la visita del 
      sito Internet www.parks.it/parco.ticino.lombardo.


      Il fiume Ticino ed il suo Parco 


      Istituito nel 1974, situato lungo le sponde del Ticino, nel tratto tra il 
      lago Maggiore e la confluenza con il Po, tra le province di Varese, Milano 
      e Pavia, con i suoi 90.640 ettari è il parco fluviale più grande d'Europa. 
      Fu realizzato per salvaguardare un territorio assai vario, dove le 
      attività produttive e gli insediamenti umani convivono con un patrimonio 
      ambientale di grande valore. Chi si dovesse trovare al ponte della Becca, 
      dove il Ticino confluisce nel Po, può osservare la notevole differenza del 
      colore delle acque e come quelle del Ticino siano molto più limpide. 
      Infatti le acque che escono dal Lago Maggiore, già di buona qualità, 
      scorrono in un alveo costituito da materiali grossolani, prevalentemente 
      ciottolosi-ghiaiosi e sabbiosi, con pochissima presenza di materiale in 
      sospensione. Al "Fiume Azzurro" non mancano purtroppo apporti inquinanti 
      di tipo biologico, ma la presenza di risorgive naturali, che immettono nel 
      fiume acque di provenienza sotterranea, pulite ed ossigenate, tende a 
      mitigare i fenomeni dell'inquinamento.
      Il modo migliore per visitare il parco è a piedi o in bicicletta, lungo 
      percorsi di notevole interesse ambientale e naturalistico; ci sono anche 
      alcuni itinerari particolari sia per gli appassionati di canoa, sia per 
      coloro che amano le sgroppate a cavallo. Accanto ai pioppeti, alle risaie 
      e alle marcite che rivelano l'opera dell'uomo, si sviluppa una gran 
      varietà di piante: estesi boschi, resti delle antiche foreste che un tempo 
      ricoprivano tutta la valle padana, e vegetazione acquatica, 
      rigogliosissima in prossimità delle risorgive e delle lanche. Anche la 
      fauna, sia terrestre che ittica, riveste estrema importanza nell'ambiente 
      del parco.
      La stagione più adatta per visitare il parco è la primavera, quando le 
      fioriture coprono i boschi o le acque, anche se occorre un po' di 
      attenzione a non spingersi troppo nei pressi delle garzaie, con il rischio 
      di disturbare la nidificazione degli aironi; oppure l'autunno, quando le 
      lanche ospitano numerose anatre svernanti. L'estate è, purtroppo, anche la 
      stagione delle zanzare e dei numerosi turisti.
      I boschi e la flora
      La vegetazione che caratterizza le zone della valle fluviale è il querceto 
      misto, che si sviluppa nel suolo profondo della bassa pianura, con alberi 
      di farnia, olmo, carpino e pioppo nero. Nella collina maggiormente arida 
      prevale il ceduo di roverella e di castagno con larghe presenze di pino 
      silvestre. I terreni più umidi ospitano il pioppo bianco, l'ontano nero ed 
      i saliceti. Molto diffusa è la robinia, specie di origine esotica come il 
      prunus serotina. Rimarchevole, soprattutto nel confronto con l'impoverita 
      situazione padana, è la flora degli ambienti umidi (ninfea, ranuncoli 
      d'acqua, iris), quella del sottobosco (mughetto, pungitopo) e delle radure 
      (dittamo, asfodelo, gladiolo). Il triangolo del "Siccomario", tra Ticino e 
      Po, è famoso per la presenza del Bosco Negri, maestoso relitto di selva 
      planiziaria padana.
      La fauna
      L'animale selvatico è riservato per natura, e il parco non è uno zoo. 
      Lungo il Ticino gli animali vivono a migliaia: cinghiali, caprioli, tassi, 
      conigli selvatici, lepri; tra gli uccelli i falchi pescatore, le 
      gallinelle d'acqua, le folaghe, le alzavole, i fischioni, i tuffetti, le 
      varie specie di aironi, le ghiandaie; le sponde del fiume coperte di 
      salici e saliconi ospitano una ricca avifauna acquatica nidificante: 
      salciaiole, usignoli di fiume, tarabusi, cannareccioni; sono frequenti 
      anche i cuculi.
      La pesca sul fiume ha sempre costituito attrazione per le popolazioni 
      rivierasche che ancora oggi la praticano con le reti, se pescatori 
      professionisti, e con lenza e bilancia, se dilettanti. Tra i pesci, è 
      possibile trovare trote, anguille, temoli, tinche, cavedani, lasche, 
      storioni, lucci, persici, alborelle e bottine.
      Una curiosità
      Il greto del fiume, prevalentemente ghiaioso, è costituito da materiali 
      provenienti dall'erosione glaciale che la vorticosità delle acque, in 
      occasione delle piene, continua a spostare a valle: si tratta di ciottoli, 
      sabbie, quarziti, minerali vari, tra cui, in piccola quantità, pagliuzze 
      d'oro. Per questa sua caratteristica, tutti gli anni, a fine agosto, si 
      svolge un'originale gara: il campionato italiano dei cercatori d'oro.
      Per saperne di più...
      Per ulteriori informazioni sul Parco del Ticino, consigliamo la visita del 
      sito Internet www.parks.it/parco.ticino.lombardo.


      Le garzaie 


      Fin dal medioevo, il luogo in cui si insediano in gruppo gli aironi di una 
      sola o più specie, per costruire i loro nidi e riprodursi, viene detto 
      "garzaia". In genere le garzaie si trovano in luoghi con vegetazione 
      palustre, in corrispondenza di ciuffi di alberi, quali salici, pioppi, 
      ontani e farnie, e non lontano da corsi d'acqua, risaie o piccoli bacini 
      d'acqua dove gli uccelli possano trovare cibo per sè e per i piccoli. 
      Nelle garzaie della Lomellina trovano ospitalità numerose specie avicole 
      come gli aironi cinerini, gli aironi rossi, le nitticore, le garzette e le 
      sgarze ciuffetto. Tutte queste specie diverse nidificano comunitariamente 
      tra i rami, senza disturbo reciproco, riunendosi a volte in gruppi di 
      centinaia di coppie intente in corteggiamenti nuziali o in frenetiche 
      ricerche di cibo per i piccoli.
      In Lomellina esistono ben 15 garzaie protette e tutelate; di seguito 
      riportiamo le caratteristiche salienti delle principali.
      La garzaia del lago di Sartirana
      Ubicata nei pressi di una lanca formatasi nel settecento da un'ansa del 
      Sesia, nel suo ambito ospita un imponente numero di specie vegetali.
      Sullo specchio d'acqua cresce rigoglioso il nannufaro (Nuphar luteum), 
      della famiglia delle ninfee con il suo caratteristico fiore giallo. Sui 
      bordi della garzaia cresce il salice o salicone (Salix caprea) e la canna 
      di palude (Phragmites australis). Sul terreno più consolidato crescono tre 
      tipi di pioppo: il pioppo nero (Populus nigra), il pioppo bianco (Populus 
      alba), il pioppo tremulo (Populus tremula), così pure l'ontano (Alnus 
      glutinosa), il salice (Salix alba), l'olmo (Ulmus minor), la quercia 
      (Quercus robur), ed inoltre arbusti come il sanguinello (Curnus sanguinea) 
      ed il nocciolo (Corylus avellana).
      Per quanto riguarda gli aspetti faunistici, l'avifauna fa la parte del 
      leone con almeno sette specie di aironi nidificanti oppure presenti 
      (ricordiamo il raro Tarabuso e l'Airone bianco maggiore), con la saltuaria 
      presenza del Mignattaio (un ibis europeo) e la nidificazione regolare del 
      Falco di palude, del Martin pescatore, della Folaga, della Gallinella 
      d'acqua e del Germano reale. Il lago offre rifugio sicuro a molte specie 
      di pesci, a numerosi anfibi e a numerosi rettili quali il Biacco e la 
      Biscia d'acqua. Nella parte boschiva prospera il Coniglio selvatico, come 
      pure alcuni mammiferi insettivori quali il Riccio e il toporagno. Fra gli 
      insetti, particolarmente numerosi sono i Coleotteri acquatici, le 
      Libellile ed alcune Farfalle diurne. Il Lago di Sartirana, con il suo 
      canneto, è conosciuto da tempo per la sua avifauna migatoria, di sosta 
      durante i passi.
      Per informazioni: Comune di Sartirana Lomellina - Ente gestore - tel. 
      0384/800810 - 800629.
      La garzaia di Celpenchio
      Si trova tra i comuni di Cozzo e Rosasco; vi nidifica la più ricca colonia 
      di aironi rossi della Lomellina.
      La garzaia della Verminesca
      Situata fra i comuni di Castelnovetto, Sant'Angelo e Cozzo.
      La garzaia di Cascina Isola
      Situata a Langosco.
      La garzaia di Sant'Alessandro
      Si trova nel comune di Zeme, è la garzaia più estesa della provincia di 
      Pavia e presenta una grande varietà di ambienti. Vi nidificano il Germano 
      reale, il Martin pescatore, la Folaga, la Gallinella d'acqua, l'usignolo 
      di fiume, il Cannareccione, il Tarabusino, il Mignattaio, la Spatola, 
      l'Airone guardabuoi e l'Airone bianco maggiore. Qui si riproduce anche il 
      Falco di palude, che nidifica tra le canne, e la Poiana.
      Per informazioni, rivolgersi al comune di Zeme, tel. 0384/54.021.
      La garzaia della Rinalda
      Situata a Candia.
      La garzaia di Acqualunga
      Situata nei pressi dell'omonima Abbazia nel comune di Frascarolo.
      La garzaia di Cascina Notizia
      Situata vicino a Goido (Mede).
      La garzaia di Villa Biscossi
      Situata nell'omonima località.


      Il Bosco Siro Negri 

      Il Bosco Negri si trova al confine della Lomellina, all'interno del Parco 
      del Ticino, alle porte di Pavia; era proprietà di Siro Negri, un grande 
      appassionato di natura, che nel 1968 lo lasciò in eredità al comune di 
      Pavia; tramite una convenzione, l'Amministrazione Comunale del capoluogo 
      pavese ne ha affidato la gestione naturalistica e didattica alla LIPU 
      (Lega Italiana Protezione Uccelli). Attualmente il Bosco è vincolato come 
      "Riserva Naturale Orientata".
      I boschi e la flora
      Il Bosco, che occupa una superficie di circa 34 ettari, rappresenta un 
      ottimo esempio della vegetazione che ricopriva gran parte della Pianura 
      Padana prima dell'arrivo dei Romani. L'albero simbolo della foresta 
      planiziale è indubbiamente la Farnia (Quercus robur), una quercia che può 
      raggiungere dimensioni notevoli. Tra gli arbusti sono comuni il 
      Biancospino (Crataegus monogyna) ed il Ciliegio a grappoli (Prunus padus), 
      dalle spettacolari e profumatissime fioriture all'inizio della primavera. 
      Tra le specie erbacee si possono notare le stupende fioriture di Anemone 
      dei boschi (Anemone nemorosa) e di Mughetto (Convallaria majalis).
      La fauna
      Molte sono le specie di animali che hanno qui trovato una vera e propria 
      "isola" di tranquillità. La ricca vegetazione offre infatti rifugio, cibo 
      e la possibilità di riprodursi a specie che non si adatterebbero ad 
      ambienti meno naturali. Gli studi condotti dai ricercatori dell'Università 
      di Pavia hanno permesso di conoscere a fondo la fauna presente in questa 
      riserva naturale.
      Gli uccelli sono particolarmente abbondanti, e sono presenti con numerose 
      specie in tutte le stagioni. Sono quattro le specie di picchi nidificanti: 
      il Picchio rosso maggiore (Dendrocopus major), molto comune, ed il Picchio 
      verde (Picus viridis); il Torcicollo (Jynx torquilla), che in inverno 
      migra in zone più calde; ed infine in Picchio rosso minore (Dendrocopus 
      minor), una vera rarità in Italia. Fra i rapaci notturni è comune 
      l'Allocco (Strix aluco), ma il bosco è anche un buon punto di osservazione 
      per i rapaci diurni: d'estate è molto facile osservare le evoluzioni in 
      volo del Lodolaio (Falco subbuteo), che nidifica in vecchi nidi 
      abbandonati di Cornacchia grigia (Corvus corone cornix), mentre d'inverno 
      arrivano la Poiana (Buteo buteo) e lo Sparviero (Accipiter nisus). Una 
      curiosità ornitologica è poi la nidificazione del Martin pescatore (Alcedo 
      atthis) in pieno bosco; le gallerie-nido vengono scavate nel terriccio 
      trattenuto dalle radici dei grossi alberi abbattuti dal vento.
      Fra gli anfibi citiamo la Rana di Lataste (Rana latastei), una specie 
      endemica della Pianura Padana che depone le uova nelle pozze ai margini 
      del bosco e nei piccoli stagni appositamente ricostruiti. Anche altri 
      anfibi, come il Tritone punteggiato (Triturus vulgaris), il Rospo 
      smeraldino (Bufo viridis), il Rospo comune (Bufo bufo), la Rana verde 
      (Rana esculenta) e la Raganella (Hyla arborea) vivono nell'oasi. La 
      comunità dei mammiferi, pur essendo numerosa ed abbondante, non si lascia 
      osservare molto facilmente, per via delle abitudini notturne. Impronte, 
      resti dei pasti, escrementi e tane sono però indizi che un occhio attento 
      riesce a cogliere. L'elenco delle specie sarebbe lungo, ma val la pena di 
      accennare alle ben cinque specie di carnivori che vivono nel bosco: Volpe 
      (Vulpes vulpes), Tasso (Meles meles), Donnola (Mustela nivalis), Puzzola 
      (Mustela putorius) e Faina (Martes foina), oltre che al Ghiro (Glis glis) 
      e al Moscardino (Moscardinus avellanarius), alla rara Arvicola rossastra 
      (Clethrionomys glareolus) e alle diverse specie di Pipistrelli 
      (Pipistrellus pipistrellus).
      Per saperne di più...
      Il Bosco Negri è aperto tutto l'anno, nei giorni di sabato, domenica e 
      festivi; l'orario è dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 19. Le visite delle 
      scolaresche e dei gruppi devono essere prenotate al numero 0382/569.402. 
      Nei mesi invernali, a causa delle condizioni atmosferiche, il Bosco può 
      rimanere chiuso. Per ulteriori informazioni, consigliamo inoltre la visita 
      del sito Internet www.italnet.it/lipu/oasicen1.htm.


      La lanca "Agogna Morta"
      Laboratorio di ecologia all'aperto 

      La lanca denominata "Agogna Morta" è un meandro del torrente Agogna, 
      abbandonato in seguito ad opere ri raddrizzamento dell'alveo realizzate 
      intorno alla metà degli anni '50, che si trova tra Basso Novarese e 
      Lomellina, nei comuni di Borgolavezzaro (provincia di Novara) e Nicorvo.
      Le specie di flora e fauna presenti, pur essendo abbastanza comuni, sono, 
      tuttavia, peculiari delle zone umide e costituiscono sicuramente un 
      aspetto di questa pianura dalle caratteristiche delicate ed ormai rare.
      All'interno della lanca l'Associazione Culturale Burchviv di 
      Borgolavezzaro, in collaborazione con la Federazione Nazionale Pro Natura, 
      ha iniziato, a partire dal 1991, un progetto per la ricostruzione e 
      conservazione ambientale volto a: 
        garantire la sopravvivenza della lanca con tutte le forme di vita 
        animale e vegetale che la caratterizzano;
        intraprendere una adeguata sperimentazione nel campo del rimboschimento 
        naturalistico con specie rigorosamente autoctone per restituire all'area 
        una copertura arborea quanto più vicina, come composizione, alla 
        copertura originaria, ormai mancante da secoli.
      La flora
      La vegetazione arborea ripariale è costituita quasi esclusivamente da 
      Robinia; rimangono, però, gruppi di Salici bianchi, alcuni Olmi, Ontani, 
      Farnie; essenze superstiti di quelle che dovevano costituire, insieme ad 
      autoctoni Pioppi, Carpini ed Aceri, l'associazione di alberi dominante. 
      Tra gli arbusti si trovano il Sambuco, il Sanguinello, il Salicone, la 
      Rosa Canina, il Rovi ed il Luppolo, liana erbacea perenne ma a fusti 
      anuali.
      Man mano che ci si avvicina all'acqua si incontrano grosse Carici, la 
      Stiancia, l'Iris palustre e poi la Tifa e la Cannuccia di palude; dello 
      specchio d'acqua vero e proprio signore è il Nannufaro, la ninfea gialla.
      Nel progetto di ricostruzione del bosco, il terreno all'interno della 
      lanca è stato suddiviso in quaranta parcelle: 
        10 sono rimaste incolte, in modo da poterne osservare il comportamento;
        in ognuna delle altre 30 sono state messe a dimora sette giovani piante 
        (quattro Farnie, un Acero campestre, un Pioppo bianco ed un Carpino 
        bianco), e, per ogni pianta, diversi arbusti (Biancospino, Prugnolo, 
        Sanguinello e Nocciolo).
      La fauna
      L'aspetto faunistico più rilevante e peculiare è rappresentato dal 
      Tarabusino, volatile timido ed abituato a vivere ben nascosto. 
      Caratteristica di questo uccello è quello di puntare, per la propria 
      difesa, più sul mimetismo che sulla fuga. In caso di pericolo, infatti, 
      assume la tipica forma verticale ed allungata, rendendosi quasi invisibile 
      tra le canne.
      Altrettanto poco visibile, ma del quale si rileva la presenza, dal canto 
      gutturale e gracidante, è è il Cannareccione, uccello per cui, al pari del 
      Tarabusino, la lanca è sinonimo di sopravvivenza. Questo passeriforme è, 
      col proprio forte canto che si leva dal canneto, una realtà pressoché 
      esclusiva di tale tipo di ambiente.
      Altro ospite, assai più: comune, che nell'Agogna Morta trova il proprio 
      ambiente ideale, è la Gallinella d'acqua. E' facile vedere l'adulto, 
      quando è tempo di nidi, che accompagna i propri numerosi pulcini 
      camminando con agilità sulle erbe acquatiche alla ricerca di molluschi, 
      insetti, germogli, semi.
      Un notevole numero di altri animali, soprattutto uccelli, fanno ruotare 
      intorno a questa lanca la propria esistenza: anche il germano reale vi 
      alleva i piccoli, vi nidificano il Merlo, l'Usignolo, la Capinera, il 
      Codibugnolo e lo Scricciolo; e nelle cavità dei vecchi salici, la 
      Cinciallegra; la Nitticora, l'Airone cinerino, l'Airone rosso, la Garzetta 
      vengono qui a nutrirsi. Il Cuculo trova i nidi da parassitare ed in cui 
      deporre il proprio uovo. Non mancano uccelli divenuti ormai rari come 
      l'Upupa, il Picchio verde, il Gufo comune, il Rigognolo.
      Sotto il pelo dell'acqua vi è il regno di quei pesci che ben si adattano 
      alle acque stagnanti e calde: Carpe, Tinche, Scardole, Carassi, Persici 
      sole, Alborelle ed il vorace Pesce gatto. All'apice della piramide 
      alimentare vi è il Persico trota, predatore di origine nordamericana 
      introdotto in tempi recenti.
      Per saperne di più...
      Tutto quanto riportato in questa pagina è stato estratto dalla esauriente 
      pubblicazione "Guida al laboratorio di ecologia all'aperto Agogna Morta", 
      edito dall'Associazione Culturale Burchviv di Borgolavezzaro e dalla 
      Federazione Nazionale Pro Natura. Per maggiori informazioni ci si può 
      quindi rivolgere all'Associazione Culturale Burchviv - Via Molino Muovo, 
      10 - 28071 Borgolavezzaro (NO) - tel. 0321/885.684.



     

      La nostra terra: la Lomellina 


      "Interamente pianeggiante, è terra dove, meglio che altrove, si coglie e 
      si sente l'alternarsi delle stagioni: intirizzita d'inverno, verdissima e 
      calda d'estate, piena di colori e di vento in autunno e risplendente, a 
      primavera, dell'oro delle foglie dei pioppi, messi in lunghe file a 
      scandire le estese risaie che come un immenso specchio riflettono il 
      cielo."
      La Lomellina è un'area pianeggiante e fertile di circa 1.250 kmq, 
      interamente compresa nella provincia di Pavia (cartina - 35 Kb); su tre 
      lati ha confini naturali che la delimitano chiaramente: il Sesia ad ovest, 
      il Po ad ovest e a sud ed il Ticino ad est; il confine a nord è 
      rappresentato dalla cosiddetta "linea dei fontanili". Questo territorio è 
      diviso in tre "fette" dai torrenti Agogna e Terdoppio: la zona occidentale 
      è compresa tra il fiume Sesia ed il torrente Agogna, quella centrale tra i 
      torrenti Agogna e Terdoppio, e quella orientale tra il torrente Terdoppio 
      ed il fiume Ticino. In epoca romana queste tre zone erano denominate 
      rispettivamente "Cottuda", "Alliana" e "Siccomaro".
      La Lomellina è un mosaico di 60 comuni; Vigevano è il centro più 
      importante e, con la meravigliosa Piazza Ducale ed il vastissimo Castello 
      visconteo, anche quello di maggiore attrazione turistica. Ma anche la 
      campagna e molti altri centri minori, piccoli paesi e cittadine, spesso a 
      torto considerati poveri e carenti di attrattive dal punto di vista 
      storico, artistico, culturale ed ambientale, sono, al contrario, più di 
      quanto comunemente si creda, ricchi di testimonianze di ogni epoca, che 
      nella varietà del paesaggio custodiscono e riflettono una loro propria 
      identità. Infatti, questo territorio ha mantenuto una sorpredente unità, 
      malgrado la sua posizione di marca di confine, di terra di passaggio tra 
      potenze per secoli e secoli in lotta fra loro. Unica eccezione è Vigevano, 
      tutta milanese, che ha proprio una storia a parte. Questo carattere di 
      terra-ponte, non più piemontese e non del tutto lombarda, è ancora 
      visibile a chi percorra in lungo e in largo la Lomellina. Questa terra ha 
      altresì legato il suo nome ad alcuni famosi personaggi, che hanno lasciato 
      la propria impronta nel percorso della nostra storia nazionale.
      In Lomellina si coglie molto bene il mutare delle stagioni: bianca di 
      brina o di neve in inverno, con il "mare a scacchi", come viene definito 
      lo straordinario specchio delle acque nelle risaie in primavera, calda e 
      molto verde d'estate, e "dipinta" con mille tonalità di colori in autunno. 
      La primavera e l'autunno sono i periodi migliori per visitare questo 
      fazzoletto di terra, a volte spettacolare, scegliendo fra diversi 
      itinerari e numerose possibilità: le escursioni a piedi o in bicicletta, 
      la visita alle importanti testimonianze del passato, le passeggiate a 
      cavallo, le discese in canoa sul Ticino, il "fiume azzurro", o la caccia 
      fotografica nelle numerose aree protette che sono disseminate nel 
      territorio. Inoltre, durante tutto l'anno è possibile partecipare ad 
      innumerevoli sagre e feste popolari, spesso di antica tradizione, che 
      uniscono aspetti religiosi ad altri gastronomici e ricreativi.
      Tutti questi argomenti sono descritti in maniera più dettagliata nelle 
      pagine che seguono, anche se ci rendiamo perfettamente conto che questo 
      nostro lavoro necessita di diverse integrazioni e di continui 
      aggiornamenti. Noi saremmo già pienamente appagati se solo fossimo 
      riusciti a suscitare motivi di interesse o di curiosità per questo 
      fazzoletto di terra e per la gente che vi abita, sempre cordiale ed 
      accogliente.
      Per saperne di più, è possibile contattare le numerose associazioni 
      turistiche presenti sul territorio. Ora non ci resta che invitarvi 
      calorosamente per una visita nella nostra Lomellina: state certi che non 
      rimarrete delusi.


      La nostra terra: la Lomellina 


      "Interamente pianeggiante, è terra dove, meglio che altrove, si coglie e 
      si sente l'alternarsi delle stagioni: intirizzita d'inverno, verdissima e 
      calda d'estate, piena di colori e di vento in autunno e risplendente, a 
      primavera, dell'oro delle foglie dei pioppi, messi in lunghe file a 
      scandire le estese risaie che come un immenso specchio riflettono il 
      cielo."
      La Lomellina è un'area pianeggiante e fertile di circa 1.250 kmq, 
      interamente compresa nella provincia di Pavia (cartina - 35 Kb); su tre 
      lati ha confini naturali che la delimitano chiaramente: il Sesia ad ovest, 
      il Po ad ovest e a sud ed il Ticino ad est; il confine a nord è 
      rappresentato dalla cosiddetta "linea dei fontanili". Questo territorio è 
      diviso in tre "fette" dai torrenti Agogna e Terdoppio: la zona occidentale 
      è compresa tra il fiume Sesia ed il torrente Agogna, quella centrale tra i 
      torrenti Agogna e Terdoppio, e quella orientale tra il torrente Terdoppio 
      ed il fiume Ticino. In epoca romana queste tre zone erano denominate 
      rispettivamente "Cottuda", "Alliana" e "Siccomaro".
      La Lomellina è un mosaico di 60 comuni; Vigevano è il centro più 
      importante e, con la meravigliosa Piazza Ducale ed il vastissimo Castello 
      visconteo, anche quello di maggiore attrazione turistica. Ma anche la 
      campagna e molti altri centri minori, piccoli paesi e cittadine, spesso a 
      torto considerati poveri e carenti di attrattive dal punto di vista 
      storico, artistico, culturale ed ambientale, sono, al contrario, più di 
      quanto comunemente si creda, ricchi di testimonianze di ogni epoca, che 
      nella varietà del paesaggio custodiscono e riflettono una loro propria 
      identità. Infatti, questo territorio ha mantenuto una sorpredente unità, 
      malgrado la sua posizione di marca di confine, di terra di passaggio tra 
      potenze per secoli e secoli in lotta fra loro. Unica eccezione è Vigevano, 
      tutta milanese, che ha proprio una storia a parte. Questo carattere di 
      terra-ponte, non più piemontese e non del tutto lombarda, è ancora 
      visibile a chi percorra in lungo e in largo la Lomellina. Questa terra ha 
      altresì legato il suo nome ad alcuni famosi personaggi, che hanno lasciato 
      la propria impronta nel percorso della nostra storia nazionale.
      In Lomellina si coglie molto bene il mutare delle stagioni: bianca di 
      brina o di neve in inverno, con il "mare a scacchi", come viene definito 
      lo straordinario specchio delle acque nelle risaie in primavera, calda e 
      molto verde d'estate, e "dipinta" con mille tonalità di colori in autunno. 
      La primavera e l'autunno sono i periodi migliori per visitare questo 
      fazzoletto di terra, a volte spettacolare, scegliendo fra diversi 
      itinerari e numerose possibilità: le escursioni a piedi o in bicicletta, 
      la visita alle importanti testimonianze del passato, le passeggiate a 
      cavallo, le discese in canoa sul Ticino, il "fiume azzurro", o la caccia 
      fotografica nelle numerose aree protette che sono disseminate nel 
      territorio. Inoltre, durante tutto l'anno è possibile partecipare ad 
      innumerevoli sagre e feste popolari, spesso di antica tradizione, che 
      uniscono aspetti religiosi ad altri gastronomici e ricreativi.
      Tutti questi argomenti sono descritti in maniera più dettagliata nelle 
      pagine che seguono, anche se ci rendiamo perfettamente conto che questo 
      nostro lavoro necessita di diverse integrazioni e di continui 
      aggiornamenti. Noi saremmo già pienamente appagati se solo fossimo 
      riusciti a suscitare motivi di interesse o di curiosità per questo 
      fazzoletto di terra e per la gente che vi abita, sempre cordiale ed 
      accogliente.
      Per saperne di più, è possibile contattare le numerose associazioni 
      turistiche presenti sul territorio. Ora non ci resta che invitarvi 
      calorosamente per una visita nella nostra Lomellina: state certi che non 
      rimarrete delusi.


      La nostra terra: la Lomellina 


      "Interamente pianeggiante, è terra dove, meglio che altrove, si coglie e 
      si sente l'alternarsi delle stagioni: intirizzita d'inverno, verdissima e 
      calda d'estate, piena di colori e di vento in autunno e risplendente, a 
      primavera, dell'oro delle foglie dei pioppi, messi in lunghe file a 
      scandire le estese risaie che come un immenso specchio riflettono il 
      cielo."
      La Lomellina è un'area pianeggiante e fertile di circa 1.250 kmq, 
      interamente compresa nella provincia di Pavia (cartina - 35 Kb); su tre 
      lati ha confini naturali che la delimitano chiaramente: il Sesia ad ovest, 
      il Po ad ovest e a sud ed il Ticino ad est; il confine a nord è 
      rappresentato dalla cosiddetta "linea dei fontanili". Questo territorio è 
      diviso in tre "fette" dai torrenti Agogna e Terdoppio: la zona occidentale 
      è compresa tra il fiume Sesia ed il torrente Agogna, quella centrale tra i 
      torrenti Agogna e Terdoppio, e quella orientale tra il torrente Terdoppio 
      ed il fiume Ticino. In epoca romana queste tre zone erano denominate 
      rispettivamente "Cottuda", "Alliana" e "Siccomaro".
      La Lomellina è un mosaico di 60 comuni; Vigevano è il centro più 
      importante e, con la meravigliosa Piazza Ducale ed il vastissimo Castello 
      visconteo, anche quello di maggiore attrazione turistica. Ma anche la 
      campagna e molti altri centri minori, piccoli paesi e cittadine, spesso a 
      torto considerati poveri e carenti di attrattive dal punto di vista 
      storico, artistico, culturale ed ambientale, sono, al contrario, più di 
      quanto comunemente si creda, ricchi di testimonianze di ogni epoca, che 
      nella varietà del paesaggio custodiscono e riflettono una loro propria 
      identità. Infatti, questo territorio ha mantenuto una sorpredente unità, 
      malgrado la sua posizione di marca di confine, di terra di passaggio tra 
      potenze per secoli e secoli in lotta fra loro. Unica eccezione è Vigevano, 
      tutta milanese, che ha proprio una storia a parte. Questo carattere di 
      terra-ponte, non più piemontese e non del tutto lombarda, è ancora 
      visibile a chi percorra in lungo e in largo la Lomellina. Questa terra ha 
      altresì legato il suo nome ad alcuni famosi personaggi, che hanno lasciato 
      la propria impronta nel percorso della nostra storia nazionale.
      In Lomellina si coglie molto bene il mutare delle stagioni: bianca di 
      brina o di neve in inverno, con il "mare a scacchi", come viene definito 
      lo straordinario specchio delle acque nelle risaie in primavera, calda e 
      molto verde d'estate, e "dipinta" con mille tonalità di colori in autunno. 
      La primavera e l'autunno sono i periodi migliori per visitare questo 
      fazzoletto di terra, a volte spettacolare, scegliendo fra diversi 
      itinerari e numerose possibilità: le escursioni a piedi o in bicicletta, 
      la visita alle importanti testimonianze del passato, le passeggiate a 
      cavallo, le discese in canoa sul Ticino, il "fiume azzurro", o la caccia 
      fotografica nelle numerose aree protette che sono disseminate nel 
      territorio. Inoltre, durante tutto l'anno è possibile partecipare ad 
      innumerevoli sagre e feste popolari, spesso di antica tradizione, che 
      uniscono aspetti religiosi ad altri gastronomici e ricreativi.
      Tutti questi argomenti sono descritti in maniera più dettagliata nelle 
      pagine che seguono, anche se ci rendiamo perfettamente conto che questo 
      nostro lavoro necessita di diverse integrazioni e di continui 
      aggiornamenti. Noi saremmo già pienamente appagati se solo fossimo 
      riusciti a suscitare motivi di interesse o di curiosità per questo 
      fazzoletto di terra e per la gente che vi abita, sempre cordiale ed 
      accogliente.
      Per saperne di più, è possibile contattare le numerose associazioni 
      turistiche presenti sul territorio. Ora non ci resta che invitarvi 
      calorosamente per una visita nella nostra Lomellina: state certi che non 
      rimarrete delusi.


      Il territorio e l'ambiente 


      La Lomellina risale geomorfologicamente all'era quaternaria. Il 
      territorio, fertile e pianeggiante, è stato per diversi secoli coltivato 
      principalmente a grano, mais e foraggio; tuttavia, oggi, la Lomellina è il 
      regno del riso e, grazie a ciò, la provincia di Pavia è la prima 
      produttrice risicola italiana.
      In origine, in epoca quaternaria l'area fu modellata da fiumane che 
      depositarono sabbia e ciottoli formando dossi, conche e avallamenti che si 
      conservarono, costellati di paludi e boschi, fino al Medioevo. Infatti, 
      nulla di questo tranquillo paesaggio è naturale: tutto è stato costruito, 
      trasformato ed organizzato dall'uomo con infinita e secolare pazienza. 
      L'ambiente che vediamo oggi è frutto di un lavoro che l'uomo ha intrapreso 
      fino a rendere queste terre fra le più fertili del mondo, "... un immenso 
      deposito di fatiche, per nove decimi non opera della natura ma delle mani, 
      una patria artificiale", come scrisse Carlo Cattaneo. Per natura questa 
      terra di risorgive è stata per secoli un'impraticabile palude, ma le 
      comunità dei monaci nel medioevo, che bonificarono la zona introducendo le 
      marcite, la colonizzazione feudale nel duecento e le grandi riforme 
      agricole introdotte dagli Sforza, che sperimentarono la coltivazione del 
      riso, hanno fatto di questa zona un mosaico di ricchissimi campi di 
      cereali. Al servizio di questa estensione di coltivazioni, a fianco dei 
      tre fiumi naturali che delimitano la Lomellina, è stato organizzato un 
      complesso sistema idrico di rogge e canali, che hanno dato vita alla 
      costruzione dei mulini, e sono sorte le cascine "a corte chiusa", tipici 
      insediamenti rurali della pianura padana.
      Questo habitat lentamente sta recuperando il suo equilibrio biologico; 
      sono stati compiuti alcuni significativi passi nella conservazione delle 
      aree ambientali di un certo interesse naturalistico; il primo e più 
      importante è rappresentato dalla costituzione del Parco Fluviale del 
      Ticino, di primaria importanza per la conservazione di molte specie di 
      piante e di animali. Inoltre sono state recuperate diverse garzaie, e 
      conservati alcuni boschi con vegetazione autoctona della Pianura Padana; 
      tra questi ricordiamo il "Bosco Negri" a Zerbolò, la "Palude Loya" tra 
      Zeme e Sant'Angelo, ed il "boschetto di Scaldasole" che si trova su un 
      dosso sabbioso ed è prevalentemente occupato da Farnie, di cui alcune 
      raggiungono dimensioni notevoli; altre aree sono in fase di costituzione o 
      di rimboschimento: tra queste ricordiamo la "Lanca dell'Agogna Morta", tra 
      Nicorvo ed il confinante comune piemontese di Borgolavezzaro.


      Il territorio e l'ambiente 


      La Lomellina risale geomorfologicamente all'era quaternaria. Il 
      territorio, fertile e pianeggiante, è stato per diversi secoli coltivato 
      principalmente a grano, mais e foraggio; tuttavia, oggi, la Lomellina è il 
      regno del riso e, grazie a ciò, la provincia di Pavia è la prima 
      produttrice risicola italiana.
      In origine, in epoca quaternaria l'area fu modellata da fiumane che 
      depositarono sabbia e ciottoli formando dossi, conche e avallamenti che si 
      conservarono, costellati di paludi e boschi, fino al Medioevo. Infatti, 
      nulla di questo tranquillo paesaggio è naturale: tutto è stato costruito, 
      trasformato ed organizzato dall'uomo con infinita e secolare pazienza. 
      L'ambiente che vediamo oggi è frutto di un lavoro che l'uomo ha intrapreso 
      fino a rendere queste terre fra le più fertili del mondo, "... un immenso 
      deposito di fatiche, per nove decimi non opera della natura ma delle mani, 
      una patria artificiale", come scrisse Carlo Cattaneo. Per natura questa 
      terra di risorgive è stata per secoli un'impraticabile palude, ma le 
      comunità dei monaci nel medioevo, che bonificarono la zona introducendo le 
      marcite, la colonizzazione feudale nel duecento e le grandi riforme 
      agricole introdotte dagli Sforza, che sperimentarono la coltivazione del 
      riso, hanno fatto di questa zona un mosaico di ricchissimi campi di 
      cereali. Al servizio di questa estensione di coltivazioni, a fianco dei 
      tre fiumi naturali che delimitano la Lomellina, è stato organizzato un 
      complesso sistema idrico di rogge e canali, che hanno dato vita alla 
      costruzione dei mulini, e sono sorte le cascine "a corte chiusa", tipici 
      insediamenti rurali della pianura padana.
      Questo habitat lentamente sta recuperando il suo equilibrio biologico; 
      sono stati compiuti alcuni significativi passi nella conservazione delle 
      aree ambientali di un certo interesse naturalistico; il primo e più 
      importante è rappresentato dalla costituzione del Parco Fluviale del 
      Ticino, di primaria importanza per la conservazione di molte specie di 
      piante e di animali. Inoltre sono state recuperate diverse garzaie, e 
      conservati alcuni boschi con vegetazione autoctona della Pianura Padana; 
      tra questi ricordiamo il "Bosco Negri" a Zerbolò, la "Palude Loya" tra 
      Zeme e Sant'Angelo, ed il "boschetto di Scaldasole" che si trova su un 
      dosso sabbioso ed è prevalentemente occupato da Farnie, di cui alcune 
      raggiungono dimensioni notevoli; altre aree sono in fase di costituzione o 
      di rimboschimento: tra queste ricordiamo la "Lanca dell'Agogna Morta", tra 
      Nicorvo ed il confinante comune piemontese di Borgolavezzaro.


      Lomellina in festa 
 
      Lomellina in festa 
      GennaioFesta di Sant'Antonio AbateZinasco
      FebbraioIl Carnevale BurgundoSannazzaro
      MarzoNon ci sono manifestazioni da segnalare????????.htm
      AprileFesta della Madonna della BozzolaGarlasco
      Festa di San GiorgioSan Giorgio
      Fiera di San GiorgioGropello C.
      MaggioFesta di Santa CroceMortara
      Fiera di MaggioConfienza
      Sagra dell'AsparagoCilavegna
      Festa PatronaleLomello
      Festa di Santa RitaVigevano
      Festa della Madonna della NeveVigevano
      Festa della Madonna di FatimaVigevano
      GiugnoFesta dell'ArteGravellona
      Giubileo PerpetuoPieve del C.
      Festa del Sacro CuoreVigevano
      Sagra della CipollaBreme
      Sagra del Riso LomellinoSannazzaro
      Sagra dello SpiedinoTorre Beretti
      Festa PatronaleSuardi
      Festa di San GiovanniFerrera Erb.
      Festa dei Santi Pietro e PaoloCilavegna
      Festa Patronale - Sagra del CucùValeggio
      LuglioFesta di San DefendenteCassolnovo
      Festa della SforzescaVigevano
      Festa della BirraAlagna
      Festa della Madonna del CarmineVigevano
      Festa di Sant'AnnaCilavegna
      Festa di Sant'AnnaDorno
      Festa PatronaleVillanova
      AgostoSagra del PaeseAlagna
      Festa della Beata Vergine della NeveVigevano
      Fiera d'AgostoConfienza
      Sagra dell'AssuntaFrascarolo
      Festa di S. Rocco e sagra del "Salam dla duja"Olevano
      Sagra di San RoccoGambarana
      Sagra della CozzaCastelnovetto
      Festa di San BernardoVigevano
      Sagra PatronaleScaldasole
      Festa di fine EstateSan Martino
      Fiera d'AgostoOttobiano
      Sagra di San BartolomeoSuardi
      Festa di San RoccoSommo
      SettembreSagra della RanaSartirana
      Settembre CulturaleCilavegna
      Settembre SannazzareseSannazzaro
      Sagra del RisoValle
      Palio d'la CiaramelaMede
      Sagra di Sant'AgostinoCava Manara
      Palio dl'UrmonRobbio
      Festa di San Pio XMortara
      Sagra PatronaleGarlasco
      Sagra dello SpiedinoCastello d'Ag.
      Festa del rione CascameVigevano
      Sagra del MaisAlbonese
      Sagra PatronaleTravacò
      Festa PatronalePieve del C.
      Festa dell'"Addolorata" e del rione CavallinoVigevano
      Festa dell'"Immacolata"Vigevano
      Sagra del Salame d'OcaMortara
      OttobreSagra delle "Offelle di Parona"Parona
      Sagra PatronalePieve Alb.
      Festa del "Beato Matteo" - Palio delle ContradeVigevano
      Festa di San BartolomeoDorno
      Sagra del PaeseFerrera Erb.
      Fiera d'OttobreMezzana Bigli
      Sagra PatronaleCarbonara
      Festa dei PiccoliniVigevano
      Festa Patronale di San MicheleOlevano
      NovembreNon ci sono manifestazioni da segnalare????????.htm
      DicembrePresepe viventeGambarana
      La gastronomia ed i prodotti tipici 

      La tavola lomellina è fortemente influenzata dalla civiltà contadina della 
      risaia, dell'orto, dei fiumi e dei torrenti, degli animali allevati nelle 
      cascine o cacciati nei boschi. I piatti sono semplici ed allo stesso tempo 
      originali, dai sapori concreti e robusti, sempre gustosi e nutrienti.
      Gli antipasti si basano soprattutto sui salumi nelle diverse produzioni; 
      due in particolare meritano attenzione: il "Salam d'la duja", il tipico 
      salame di maiale conservato sotto grasso nelle olle, caratteristici 
      recipienti in terracotta dall'imboccatura ristretta, e, soprattutto, il 
      famosissimo salame d'oca, d'obbligo assieme ai prelibati patè.
      Nei primi piatti la fa da padrone il riso, che troviamo nei minestroni e, 
      soprattutto, nei risotti, che si ottengono facendo tostare il riso in un 
      soffritto di lardo, cipolla tritata e pasta di salame, bagnando il tutto 
      via via con buon brodo di gallina. La ricetta base si presta poi ai più 
      fantasiosi abbinamenti: ecco dunque nascere il riso con i "fagiolini 
      dell'occhio", con le "barlande" (erbette dei prati), con i funghi porcini, 
      con gli asparagi e con le ortiche. Caratteristici della zona anche il 
      delicatissimo risotto con le rane ed il risotto arrostito. Ed inoltre i 
      ravioli ripieni di stufato e conditi con il sugo, il minestrone di pasta o 
      riso e fagioli, di riso con verdure e la zuppa di ceci (che si gusta 
      tradizionalmente a novembre durante il periodo "dei morti").
      Un piatto ormai pressoché scomparso è la minestra di pan grattato, nel 
      dialetto locale panada: proveniente dalla cucina povera della vicina 
      Milano, un tempo non mancava mai nel pranzo pasquale.
      Come secondi piatti si può trovare una vasta gamma di specialità a base di 
      maiale, per combattere il clima freddo e umido della zona. Oltre ai 
      salami, ai cotechini, alla pancetta ed alla coppa, ricordiamo il "ragò", 
      un piatto a base di verze arrosto con costine e cotenne di maiale, o la 
      frittura da accompagnare alla polenta.
      Un'altro caratteristico piatto, ormai scomparso dalle tavole lomelline, è 
      la frittura di sangue di pollo, mentre si trova spesso il bollito.
      La selvaggina trova spazio con la lepre in salmì e con il fagiano alla 
      cacciatora, i funghi sono presenti con i chiodini, che abbondano in 
      campagna, cucinati con salsiccia, lombo e polenta, il cotechino con le 
      lenticchie o la purè. Altrettanto invitanti sono i piatti con le lumache e 
      con i caratteristici pesci di fiume, ed i pesciolini (caratteristiche le 
      "bottine", che si trovano nei fossi) fritti.
      Per non dimenticare gli animali allevati in cortile, l'oca, l'anatra, la 
      gallina, la faraona, il tacchino.
      Le erbe raccogliticce della campagna vengono cucinate al tegame con burro 
      o nelle più svariate frittate (poco conosciuta, ma tipicamente locale la 
      frittata con "luvartis", il luppolo selvatico), mentre gli asparagi 
      vengono affiancati alle uova.
      D'estate, a dominare la cucina locale sono le rane, gli inquilini più 
      comuni di fossi e risaie: si possono gustare fritte, in guazzetto, con la 
      frittata o nella zuppa.
      Per i dolci vengono sempre usati i semplici e genuini prodotti locali: in 
      primo piano vanno messe senza alcun dubbio le Offelle di Parona, dalla 
      tradizionale forma ovale con le estremità appuntite; inoltre vi sono 
      diversi tipi di torte: la "virulà", quelle di riso e di pane e la torta 
      paradiso. E poi ancora i biscotti di riso ed "il dolce del Moro", la cui 
      ricetta risale al tempo di Ludovico il Moro. Nel periodo carnevalesco è 
      tradizione preparare anche le frittelle. Famosi sono anche i biscotti 
      Bramantini di Vigevano.


      La gastronomia ed i prodotti tipici 

      La tavola lomellina è fortemente influenzata dalla civiltà contadina della 
      risaia, dell'orto, dei fiumi e dei torrenti, degli animali allevati nelle 
      cascine o cacciati nei boschi. I piatti sono semplici ed allo stesso tempo 
      originali, dai sapori concreti e robusti, sempre gustosi e nutrienti.
      Gli antipasti si basano soprattutto sui salumi nelle diverse produzioni; 
      due in particolare meritano attenzione: il "Salam d'la duja", il tipico 
      salame di maiale conservato sotto grasso nelle olle, caratteristici 
      recipienti in terracotta dall'imboccatura ristretta, e, soprattutto, il 
      famosissimo salame d'oca, d'obbligo assieme ai prelibati patè.
      Nei primi piatti la fa da padrone il riso, che troviamo nei minestroni e, 
      soprattutto, nei risotti, che si ottengono facendo tostare il riso in un 
      soffritto di lardo, cipolla tritata e pasta di salame, bagnando il tutto 
      via via con buon brodo di gallina. La ricetta base si presta poi ai più 
      fantasiosi abbinamenti: ecco dunque nascere il riso con i "fagiolini 
      dell'occhio", con le "barlande" (erbette dei prati), con i funghi porcini, 
      con gli asparagi e con le ortiche. Caratteristici della zona anche il 
      delicatissimo risotto con le rane ed il risotto arrostito. Ed inoltre i 
      ravioli ripieni di stufato e conditi con il sugo, il minestrone di pasta o 
      riso e fagioli, di riso con verdure e la zuppa di ceci (che si gusta 
      tradizionalmente a novembre durante il periodo "dei morti").
      Un piatto ormai pressoché scomparso è la minestra di pan grattato, nel 
      dialetto locale panada: proveniente dalla cucina povera della vicina 
      Milano, un tempo non mancava mai nel pranzo pasquale.
      Come secondi piatti si può trovare una vasta gamma di specialità a base di 
      maiale, per combattere il clima freddo e umido della zona. Oltre ai 
      salami, ai cotechini, alla pancetta ed alla coppa, ricordiamo il "ragò", 
      un piatto a base di verze arrosto con costine e cotenne di maiale, o la 
      frittura da accompagnare alla polenta.
      Un'altro caratteristico piatto, ormai scomparso dalle tavole lomelline, è 
      la frittura di sangue di pollo, mentre si trova spesso il bollito.
      La selvaggina trova spazio con la lepre in salmì e con il fagiano alla 
      cacciatora, i funghi sono presenti con i chiodini, che abbondano in 
      campagna, cucinati con salsiccia, lombo e polenta, il cotechino con le 
      lenticchie o la purè. Altrettanto invitanti sono i piatti con le lumache e 
      con i caratteristici pesci di fiume, ed i pesciolini (caratteristiche le 
      "bottine", che si trovano nei fossi) fritti.
      Per non dimenticare gli animali allevati in cortile, l'oca, l'anatra, la 
      gallina, la faraona, il tacchino.
      Le erbe raccogliticce della campagna vengono cucinate al tegame con burro 
      o nelle più svariate frittate (poco conosciuta, ma tipicamente locale la 
      frittata con "luvartis", il luppolo selvatico), mentre gli asparagi 
      vengono affiancati alle uova.
      D'estate, a dominare la cucina locale sono le rane, gli inquilini più 
      comuni di fossi e risaie: si possono gustare fritte, in guazzetto, con la 
      frittata o nella zuppa.
      Per i dolci vengono sempre usati i semplici e genuini prodotti locali: in 
      primo piano vanno messe senza alcun dubbio le Offelle di Parona, dalla 
      tradizionale forma ovale con le estremità appuntite; inoltre vi sono 
      diversi tipi di torte: la "virulà", quelle di riso e di pane e la torta 
      paradiso. E poi ancora i biscotti di riso ed "il dolce del Moro", la cui 
      ricetta risale al tempo di Ludovico il Moro. Nel periodo carnevalesco è 
      tradizione preparare anche le frittelle. Famosi sono anche i biscotti 
      Bramantini di Vigevano.


     
        
      
      
       
      
       
     
       
      
      
      
      
      
      I dossi 

      I dossi sono ancora ben visibili nei pressi di Remondò, a sud della 
      statale Mortara-Pavia, in area non accessibile perché zona militare, di 
      Parona, Scaldasole e soprattutto lungo la strada Cergnago-Tromello, in 
      zona, di proprietà privata, destinata ad azienda faunistica.
      Lo spettacolo è inaspettato: collinette sabbiose e boscose alte 5-6 metri 
      si intervallano a conche umide. I boschi, che vedono prevalere le Querce 
      di ragguardevoli dimensioni, sono abitati dal Tasso, dal Picchio, dalla 
      Puzzola, dalla Volpe e da molte specie di volatili, tra i quali si 
      ricordano il Merlo, il Pettirosso, la Capinera, la Cinciallegra, il 
      Rigolo, l'Usignolo, il Gufo, la Civetta e la Poiana. Le zone umide 
      ospitano muschi e licheni, il Germano reale, la Gallinella d'acqua ed 
      anfibi illustri: la Rana di Lataste ed il Rospo bruno, in via di 
      estinzione in gran parte dell'Europa.


      Le marcite 

      La marcita è una pratica colturale che si fa risalire al secolo XII. 
      Introdotta in Lombardia dai frati Cistercensi che, con abnegazione e 
      fatica, bonificarono fontanili e paludi e risanarono vaste aree della zona 
      dove sgorgano le risorgive, essa si ottiene riversando per scorrimento sul 
      terreno l'acqua di queste fontane naturali, la cui temperatura si aggira 
      attorno ai 10 gradi centigradi. I terreni beneficiati dalla stabilità 
      termica delle acque che fuoriescono dal suolo a temperatura costante, 
      permettono annualmente fino ad otto tagli di erba, fornendo anche nei mesi 
      più rigidi dell'inverno prezioso cibo fresco per gli allevamenti 
      zootecnici.
      I bellissimi tappeti verdi delle marcite che, specie in inverno, suscitano 
      ammirazione, sono altresì indispensabile fonte alimentare per anatre 
      selvatiche, folaghe e gallinelle durante le rigide giornate invernali e le 
      nevicate. L'abbandono dell'allevamento del bestiame da parte dei contadini 
      ha portato a trascurare le marcite, che rischiano di scomparire dal 
      paesaggio di queste campagne.


      Il sistema idrico della Lomellina 

      La pianura Lomellina è caratterizzata da pendenza lieve ed uniforme, nella 
      quale trovano sviluppo i terrazzi fluviali; questi delimitano chiaramente 
      i tracciati dei principali corsi d'acqua naturali e la fittissima rete di 
      canali per l'irrigazione.
      Il corso d'acqua principale, che delimita la Lomellina a sud e, 
      parzialmente, ad ovest, è il fiume Po. Procedendo da ovest verso est, i 
      più importanti corsi d'acqua naturali sono: 
        fiume Sesia 
        torrente Agogna 
        torrente Arbogna-Erbognone 
        torrente Terdoppio 
        fiume Ticino 
      Inoltre esiste una fitta rete di acque, di natura perlopiù artificiale, 
      creata per l'irrigazione del territorio. I corpi idrici che la compongono 
      sono: i grandi canali, che servono a portare acqua nel comprensorio 
      derivandola dai corsi d'acqua naturali e che presentano le pareti e spesso 
      anche il fondo rivestiti di cemento e pietrame; le grandi rogge con alveo 
      naturale, con funzione analoga; l'intricatissima serie di rogge che 
      costituisce la rete minore, composta da numerosissimi corsi d'acqua, 
      ampiamente interconnessi, di origine e natura diverse (fontanili, rogge, 
      cavi, colatori). Gli ambienti di tutti questi corsi d'acqua subiscono 
      sovente, da parte dell'uomo, rimaneggiamenti dovuti alle esigenze 
      operative (manovre idrauliche, sfalci della vegetazione, spurghi dei 
      fondali, rifacimenti dei tratti di sponda, ecc.); questi interventi 
      costituiscono fattori di stress che, nelle diverse realtà, possono essere 
      frequenti e periodici come occasionali.
      La fitta rete irrigua di canali e rogge che compone la trama idrica del 
      territorio è costituita da: 
        Roggione di Sartirana 
        Diramatore Quintino Sella e subdiramatori 
        Naviglio Langosco 
        Cavo Plezza 
        Cavo Moscatello-Roggia Nuova 
        Roggia Cona-Canale di Breme-Sesia Morta 
        Canale San Michele 
        Roggia Ravasino e Lanca del Molino 
        Canale Riadino 
        Colatore Agognetta-Riale 
        Colatore Riazzolo 
        Agognetta Ponteverde 
        Roggia Castellana 
        Canale Scavizzolo 
        Roggia Cerro 
        Canale Mangialoca 
        Roggia Gaviola 
        Colatore Gravellone 
        Colatore Morasca 



      Il sistema idrico della Lomellina 

      La pianura Lomellina è caratterizzata da pendenza lieve ed uniforme, nella 
      quale trovano sviluppo i terrazzi fluviali; questi delimitano chiaramente 
      i tracciati dei principali corsi d'acqua naturali e la fittissima rete di 
      canali per l'irrigazione.
      Il corso d'acqua principale, che delimita la Lomellina a sud e, 
      parzialmente, ad ovest, è il fiume Po. Procedendo da ovest verso est, i 
      più importanti corsi d'acqua naturali sono: 
        fiume Sesia 
        torrente Agogna 
        torrente Arbogna-Erbognone 
        torrente Terdoppio 
        fiume Ticino 
      Inoltre esiste una fitta rete di acque, di natura perlopiù artificiale, 
      creata per l'irrigazione del territorio. I corpi idrici che la compongono 
      sono: i grandi canali, che servono a portare acqua nel comprensorio 
      derivandola dai corsi d'acqua naturali e che presentano le pareti e spesso 
      anche il fondo rivestiti di cemento e pietrame; le grandi rogge con alveo 
      naturale, con funzione analoga; l'intricatissima serie di rogge che 
      costituisce la rete minore, composta da numerosissimi corsi d'acqua, 
      ampiamente interconnessi, di origine e natura diverse (fontanili, rogge, 
      cavi, colatori). Gli ambienti di tutti questi corsi d'acqua subiscono 
      sovente, da parte dell'uomo, rimaneggiamenti dovuti alle esigenze 
      operative (manovre idrauliche, sfalci della vegetazione, spurghi dei 
      fondali, rifacimenti dei tratti di sponda, ecc.); questi interventi 
      costituiscono fattori di stress che, nelle diverse realtà, possono essere 
      frequenti e periodici come occasionali.
      La fitta rete irrigua di canali e rogge che compone la trama idrica del 
      territorio è costituita da: 
        Roggione di Sartirana 
        Diramatore Quintino Sella e subdiramatori 
        Naviglio Langosco 
        Cavo Plezza 
        Cavo Moscatello-Roggia Nuova 
        Roggia Cona-Canale di Breme-Sesia Morta 
        Canale San Michele 
        Roggia Ravasino e Lanca del Molino 
        Canale Riadino 
        Colatore Agognetta-Riale 
        Colatore Riazzolo 
        Agognetta Ponteverde 
        Roggia Castellana 
        Canale Scavizzolo 
        Roggia Cerro 
        Canale Mangialoca 
        Roggia Gaviola 
        Colatore Gravellone 
        Colatore Morasca 



      I mulini 


      Le numerosissime rogge e i canali che intersecano tutto il territorio 
      lomellino ha favorito, nel corso dei secoli, la nascita e lo sviluppo dei 
      mulini. Costruiti in epoche diverse per la macinazione dei cereali, 
      azionati dall'energia idraulica, si trovano a volte inseriti all'interno 
      dei cascinali, oppure isolati nelle campagne e, talvolta, persino ubicati 
      nei centri abitati.
      Sono molto antichi e alcuni di essi sono stati citati nei manoscritti di 
      Leonardo da Vinci. Nella storia di Vigevano si legge che proprio Leonardo, 
      ospite di Ludovico il Moro nel castello sforzesco alla fine del XV secolo, 
      percorse le strade della nostra campagna, osservando e studiando i corsi 
      d'acqua esistenti. E proprio in quegli anni inventò un nuovo tipo di 
      ruota, con pale concave in ferro, che, girando in posizione verticale e 
      sfruttando l'energia prodotta dall'acqua di una cascata, consentiva il 
      funzionamento di tutte le parti del mulino mediante un complicato sistema 
      di pulegge e cinghie. I primi mulini funzionanti in questo modo furono 
      quelli che il duca Galeazzo Visconti fece costruire a Vigevano, in 
      località Mora bassa, nel XVII secolo.
      Quasi tutti funzionanti fino al 1950, sono ora in cattivo stato di 
      conservazione e rischiano sfortunatamente la definitiva distruzione.


      Le cascine 


      La cascina, caratteristico patrimonio rurale, fenomeno complesso e di 
      grande interesse, ma a tutt'oggi scarsamente descritto e valutato nella 
      sua importanza, rappresenta l'emblema di una civiltà, di un'architettura, 
      di un tessuto di insediamenti agricoli tipicamente lombardi.
      L'organismo della cascina è saldamente ancorato al territorio ed alla sua 
      storia in virtù di quel legame stretto di mutua dipendenza tra uomo e 
      ambiente che si è spezzato con l'avvento della civiltà industriale. Le 
      aziende agricole nella loro attuale configurazione sono il prodotto di 
      lunghe mutazioni economico-sociali e di svariate forme di connubio tra 
      uomo e territorio che si sono succedute nei secoli dando origine a 
      tipologie differenti di insediamento e di conduzione della terra. Esse 
      sono dunque non solo un bene architettonico di intrinseco valore 
      artistico, ma espressione e documento storico di un modo di vita, 
      dell'ambiente in cui l'uomo ha operato e opera, dell'uso e della gestione 
      del suolo che caratterizzano l'economia di una zona.
      La cascina ha normalmente una struttura "a corte chiusa", quadrilatera; 
      l'ampio spazio interno, quadrato o rettangolare, è il suo cuore ed è 
      normalmente occupato dall'aia, dapprima costruita in terra battuta, poi 
      realizzata con mattoni e più tardi in cemento. L'aia aveva lo scopo di 
      permettere l'essiccazione dell'erba, dei cereali e del riso per 
      esposizione dei prodotti all'aria o al sole. La "corte" viene spesso 
      recintata con muri o siepi e dotata di uno o due ingressi chiudibili e 
      sorvegliabili per consentire il controllo sul personale dipendente e per 
      scoraggiare il piccolo furto campestre.
      Il fronte delle stalle occupa generalmente metà del perimetro edificato e 
      sopra di esse si allineano i fienili, protetti dalle intemperie con 
      caratteristiche graticciate di mattoni sfalsati. Un ampio spazio veniva 
      destinato anche alle stalle destinate ai buoi ed ai cavalli e per i locali 
      di servizio. Da questi ne veniva quasi sempre ricavato uno per la 
      produzione dei formaggi e, accanto, trovavano posto le anguste porcilaie, 
      consumatrici degli scarti della lavorazione del latte.
      Nella posizione migliore rimasta libera trovava spazio la casa del 
      proprietario o del fittabile, cioè il conduttore dell'azienda; questa si 
      differenzia dalle restanti abitazioni bracciantili per imponenza edile o 
      per la presenza di qualche fregio decorativo che ne accentua la 
      distinzione, ed ha un piano rialzato sopra le altre per far posto anche al 
      granaio. Vi si trovano poi le case dei salariati, cioè dei contadini a 
      contratto fisso, e dei lavoratori "stagionali", le mondine e i tagliariso. 
      Nella cascina non è difficile trovare la chiesetta oppure un semplice 
      campaniletto che scandiva le ore richiamando i contadini dal lavoro dei 
      campi o annunciando la fine della dura giornata di lavoro.
      In Lomellina, come in tutta la pianura lombarda, le campagne sono 
      costellate da numerosissime cascine di grande interesse. Fra queste occupa 
      indubbiamente un posto di primo piano la Sforzesca, nei pressi di 
      Vigevano, residenza di caccia ed azienda agricola voluta da Ludovico il 
      Moro nel 1486. Il complesso richiama la disposizione tipica dei castelli 
      con quattro fabbricati intorno ad un cortile centrale quasi quadrato e 
      quattro costruzioni agli angoli, chiamati colombaroni. Tutto intorno una 
      distesa di campagne coltivate, canali d'irrigazione e mulini ad acqua 
      progettati niente meno che da Leonardo da Vinci, ospite della tenuta alla 
      fine del Quattrocento.
      Sempre a Vigevano sorge la cascina Pegorara, ove da parte di Ludovico il 
      Moro venne tentato senza successo l'allevamento di pecore importate dalla 
      Linguadoca; a sud della città sono innumerevoli i centri rurali che 
      meritano attenzione: da San Vittore, alla Favorita, alla Presciutta, a 
      Fogliano, a San Marco. Verso occidente spiccano la cascina Castellana, la 
      cascina Portalupa in Faenza e la cascina Tre Colombaie.
      Inoltre possiamo visitare la cascina Barzo di Gravellona, di origini 
      basso-medievali; la cascina San Sebastiano di Robbio, dove sono stati 
      ritrovati gli affreschi della storia del Santo (XV-XVI sec.); la Marza di 
      Zeme; Erbamala e Campalestro tra Velezzo e Cergnago, nelle quali non è 
      difficile riscontrare un antico passato monastico; la medievale tenuta di 
      Sant'Albino e la grande cascina Medaglia a Mortara; la Melegnana, la cui 
      origine di villa romana è documentata da numerosi ritrovamenti, e la 
      Vallazza ad Olevano; Santa Maria di Bagnolo (resti di una chiesetta 
      romanica del secolo XI) e San Bernardo (affreschi di scuola gaudenziana) a 
      Langosco.
      A Parona, nel territorio verso Vigevano, sono ancora in funzione la 
      cascina Scocchellina e la cascina Castello. Di pregevole fattura anche la 
      cascina Scoglio.
      L'autosufficienza produttiva nelle cascine è durata secoli: accanto ai 
      contadini lavoravano artigiani addetti alle attrezzature e personale 
      specializzato nella produzione di generi alimentari. Oggi la stalla è 
      stata abbandonata quasi ovunque e non è raro trovare cascine in condizioni 
      di degrado molto avanzato.

      Il fiume Ticino ed il suo Parco 


      Istituito nel 1974, situato lungo le sponde del Ticino, nel tratto tra il 
      lago Maggiore e la confluenza con il Po, tra le province di Varese, Milano 
      e Pavia, con i suoi 90.640 ettari è il parco fluviale più grande d'Europa. 
      Fu realizzato per salvaguardare un territorio assai vario, dove le 
      attività produttive e gli insediamenti umani convivono con un patrimonio 
      ambientale di grande valore. Chi si dovesse trovare al ponte della Becca, 
      dove il Ticino confluisce nel Po, può osservare la notevole differenza del 
      colore delle acque e come quelle del Ticino siano molto più limpide. 
      Infatti le acque che escono dal Lago Maggiore, già di buona qualità, 
      scorrono in un alveo costituito da materiali grossolani, prevalentemente 
      ciottolosi-ghiaiosi e sabbiosi, con pochissima presenza di materiale in 
      sospensione. Al "Fiume Azzurro" non mancano purtroppo apporti inquinanti 
      di tipo biologico, ma la presenza di risorgive naturali, che immettono nel 
      fiume acque di provenienza sotterranea, pulite ed ossigenate, tende a 
      mitigare i fenomeni dell'inquinamento.
      Il modo migliore per visitare il parco è a piedi o in bicicletta, lungo 
      percorsi di notevole interesse ambientale e naturalistico; ci sono anche 
      alcuni itinerari particolari sia per gli appassionati di canoa, sia per 
      coloro che amano le sgroppate a cavallo. Accanto ai pioppeti, alle risaie 
      e alle marcite che rivelano l'opera dell'uomo, si sviluppa una gran 
      varietà di piante: estesi boschi, resti delle antiche foreste che un tempo 
      ricoprivano tutta la valle padana, e vegetazione acquatica, 
      rigogliosissima in prossimità delle risorgive e delle lanche. Anche la 
      fauna, sia terrestre che ittica, riveste estrema importanza nell'ambiente 
      del parco.
      La stagione più adatta per visitare il parco è la primavera, quando le 
      fioriture coprono i boschi o le acque, anche se occorre un po' di 
      attenzione a non spingersi troppo nei pressi delle garzaie, con il rischio 
      di disturbare la nidificazione degli aironi; oppure l'autunno, quando le 
      lanche ospitano numerose anatre svernanti. L'estate è, purtroppo, anche la 
      stagione delle zanzare e dei numerosi turisti.
      I boschi e la flora
      La vegetazione che caratterizza le zone della valle fluviale è il querceto 
      misto, che si sviluppa nel suolo profondo della bassa pianura, con alberi 
      di farnia, olmo, carpino e pioppo nero. Nella collina maggiormente arida 
      prevale il ceduo di roverella e di castagno con larghe presenze di pino 
      silvestre. I terreni più umidi ospitano il pioppo bianco, l'ontano nero ed 
      i saliceti. Molto diffusa è la robinia, specie di origine esotica come il 
      prunus serotina. Rimarchevole, soprattutto nel confronto con l'impoverita 
      situazione padana, è la flora degli ambienti umidi (ninfea, ranuncoli 
      d'acqua, iris), quella del sottobosco (mughetto, pungitopo) e delle radure 
      (dittamo, asfodelo, gladiolo). Il triangolo del "Siccomario", tra Ticino e 
      Po, è famoso per la presenza del Bosco Negri, maestoso relitto di selva 
      planiziaria padana.
      La fauna
      L'animale selvatico è riservato per natura, e il parco non è uno zoo. 
      Lungo il Ticino gli animali vivono a migliaia: cinghiali, caprioli, tassi, 
      conigli selvatici, lepri; tra gli uccelli i falchi pescatore, le 
      gallinelle d'acqua, le folaghe, le alzavole, i fischioni, i tuffetti, le 
      varie specie di aironi, le ghiandaie; le sponde del fiume coperte di 
      salici e saliconi ospitano una ricca avifauna acquatica nidificante: 
      salciaiole, usignoli di fiume, tarabusi, cannareccioni; sono frequenti 
      anche i cuculi.
      La pesca sul fiume ha sempre costituito attrazione per le popolazioni 
      rivierasche che ancora oggi la praticano con le reti, se pescatori 
      professionisti, e con lenza e bilancia, se dilettanti. Tra i pesci, è 
      possibile trovare trote, anguille, temoli, tinche, cavedani, lasche, 
      storioni, lucci, persici, alborelle e bottine.
      Una curiosità
      Il greto del fiume, prevalentemente ghiaioso, è costituito da materiali 
      provenienti dall'erosione glaciale che la vorticosità delle acque, in 
      occasione delle piene, continua a spostare a valle: si tratta di ciottoli, 
      sabbie, quarziti, minerali vari, tra cui, in piccola quantità, pagliuzze 
      d'oro. Per questa sua caratteristica, tutti gli anni, a fine agosto, si 
      svolge un'originale gara: il campionato italiano dei cercatori d'oro.
      Per saperne di più...
      Per ulteriori informazioni sul Parco del Ticino, consigliamo la visita del 
      sito Internet www.parks.it/parco.ticino.lombardo.


      
      Le garzaie 


      Fin dal medioevo, il luogo in cui si insediano in gruppo gli aironi di una 
      sola o più specie, per costruire i loro nidi e riprodursi, viene detto 
      "garzaia". In genere le garzaie si trovano in luoghi con vegetazione 
      palustre, in corrispondenza di ciuffi di alberi, quali salici, pioppi, 
      ontani e farnie, e non lontano da corsi d'acqua, risaie o piccoli bacini 
      d'acqua dove gli uccelli possano trovare cibo per sè e per i piccoli. 
      Nelle garzaie della Lomellina trovano ospitalità numerose specie avicole 
      come gli aironi cinerini, gli aironi rossi, le nitticore, le garzette e le 
      sgarze ciuffetto. Tutte queste specie diverse nidificano comunitariamente 
      tra i rami, senza disturbo reciproco, riunendosi a volte in gruppi di 
      centinaia di coppie intente in corteggiamenti nuziali o in frenetiche 
      ricerche di cibo per i piccoli.
      In Lomellina esistono ben 15 garzaie protette e tutelate; di seguito 
      riportiamo le caratteristiche salienti delle principali.
      La garzaia del lago di Sartirana
      Ubicata nei pressi di una lanca formatasi nel settecento da un'ansa del 
      Sesia, nel suo ambito ospita un imponente numero di specie vegetali.
      Sullo specchio d'acqua cresce rigoglioso il nannufaro (Nuphar luteum), 
      della famiglia delle ninfee con il suo caratteristico fiore giallo. Sui 
      bordi della garzaia cresce il salice o salicone (Salix caprea) e la canna 
      di palude (Phragmites australis). Sul terreno più consolidato crescono tre 
      tipi di pioppo: il pioppo nero (Populus nigra), il pioppo bianco (Populus 
      alba), il pioppo tremulo (Populus tremula), così pure l'ontano (Alnus 
      glutinosa), il salice (Salix alba), l'olmo (Ulmus minor), la quercia 
      (Quercus robur), ed inoltre arbusti come il sanguinello (Curnus sanguinea) 
      ed il nocciolo (Corylus avellana).
      Per quanto riguarda gli aspetti faunistici, l'avifauna fa la parte del 
      leone con almeno sette specie di aironi nidificanti oppure presenti 
      (ricordiamo il raro Tarabuso e l'Airone bianco maggiore), con la saltuaria 
      presenza del Mignattaio (un ibis europeo) e la nidificazione regolare del 
      Falco di palude, del Martin pescatore, della Folaga, della Gallinella 
      d'acqua e del Germano reale. Il lago offre rifugio sicuro a molte specie 
      di pesci, a numerosi anfibi e a numerosi rettili quali il Biacco e la 
      Biscia d'acqua. Nella parte boschiva prospera il Coniglio selvatico, come 
      pure alcuni mammiferi insettivori quali il Riccio e il toporagno. Fra gli 
      insetti, particolarmente numerosi sono i Coleotteri acquatici, le 
      Libellile ed alcune Farfalle diurne. Il Lago di Sartirana, con il suo 
      canneto, è conosciuto da tempo per la sua avifauna migatoria, di sosta 
      durante i passi.
      Per informazioni: Comune di Sartirana Lomellina - Ente gestore - tel. 
      0384/800810 - 800629.
      La garzaia di Celpenchio
      Si trova tra i comuni di Cozzo e Rosasco; vi nidifica la più ricca colonia 
      di aironi rossi della Lomellina.
      La garzaia della Verminesca
      Situata fra i comuni di Castelnovetto, Sant'Angelo e Cozzo.
      La garzaia di Cascina Isola
      Situata a Langosco.
      La garzaia di Sant'Alessandro
      Si trova nel comune di Zeme, è la garzaia più estesa della provincia di 
      Pavia e presenta una grande varietà di ambienti. Vi nidificano il Germano 
      reale, il Martin pescatore, la Folaga, la Gallinella d'acqua, l'usignolo 
      di fiume, il Cannareccione, il Tarabusino, il Mignattaio, la Spatola, 
      l'Airone guardabuoi e l'Airone bianco maggiore. Qui si riproduce anche il 
      Falco di palude, che nidifica tra le canne, e la Poiana.
      Per informazioni, rivolgersi al comune di Zeme, tel. 0384/54.021.
      La garzaia della Rinalda
      Situata a Candia.
      La garzaia di Acqualunga
      Situata nei pressi dell'omonima Abbazia nel comune di Frascarolo.
      La garzaia di Cascina Notizia
      Situata vicino a Goido (Mede).
      La garzaia di Villa Biscossi
      Situata nell'omonima località.


      Il Bosco Siro Negri 

      Il Bosco Negri si trova al confine della Lomellina, all'interno del Parco 
      del Ticino, alle porte di Pavia; era proprietà di Siro Negri, un grande 
      appassionato di natura, che nel 1968 lo lasciò in eredità al comune di 
      Pavia; tramite una convenzione, l'Amministrazione Comunale del capoluogo 
      pavese ne ha affidato la gestione naturalistica e didattica alla LIPU 
      (Lega Italiana Protezione Uccelli). Attualmente il Bosco è vincolato come 
      "Riserva Naturale Orientata".
      I boschi e la flora
      Il Bosco, che occupa una superficie di circa 34 ettari, rappresenta un 
      ottimo esempio della vegetazione che ricopriva gran parte della Pianura 
      Padana prima dell'arrivo dei Romani. L'albero simbolo della foresta 
      planiziale è indubbiamente la Farnia (Quercus robur), una quercia che può 
      raggiungere dimensioni notevoli. Tra gli arbusti sono comuni il 
      Biancospino (Crataegus monogyna) ed il Ciliegio a grappoli (Prunus padus), 
      dalle spettacolari e profumatissime fioriture all'inizio della primavera. 
      Tra le specie erbacee si possono notare le stupende fioriture di Anemone 
      dei boschi (Anemone nemorosa) e di Mughetto (Convallaria majalis).
      La fauna
      Molte sono le specie di animali che hanno qui trovato una vera e propria 
      "isola" di tranquillità. La ricca vegetazione offre infatti rifugio, cibo 
      e la possibilità di riprodursi a specie che non si adatterebbero ad 
      ambienti meno naturali. Gli studi condotti dai ricercatori dell'Università 
      di Pavia hanno permesso di conoscere a fondo la fauna presente in questa 
      riserva naturale.
      Gli uccelli sono particolarmente abbondanti, e sono presenti con numerose 
      specie in tutte le stagioni. Sono quattro le specie di picchi nidificanti: 
      il Picchio rosso maggiore (Dendrocopus major), molto comune, ed il Picchio 
      verde (Picus viridis); il Torcicollo (Jynx torquilla), che in inverno 
      migra in zone più calde; ed infine in Picchio rosso minore (Dendrocopus 
      minor), una vera rarità in Italia. Fra i rapaci notturni è comune 
      l'Allocco (Strix aluco), ma il bosco è anche un buon punto di osservazione 
      per i rapaci diurni: d'estate è molto facile osservare le evoluzioni in 
      volo del Lodolaio (Falco subbuteo), che nidifica in vecchi nidi 
      abbandonati di Cornacchia grigia (Corvus corone cornix), mentre d'inverno 
      arrivano la Poiana (Buteo buteo) e lo Sparviero (Accipiter nisus). Una 
      curiosità ornitologica è poi la nidificazione del Martin pescatore (Alcedo 
      atthis) in pieno bosco; le gallerie-nido vengono scavate nel terriccio 
      trattenuto dalle radici dei grossi alberi abbattuti dal vento.
      Fra gli anfibi citiamo la Rana di Lataste (Rana latastei), una specie 
      endemica della Pianura Padana che depone le uova nelle pozze ai margini 
      del bosco e nei piccoli stagni appositamente ricostruiti. Anche altri 
      anfibi, come il Tritone punteggiato (Triturus vulgaris), il Rospo 
      smeraldino (Bufo viridis), il Rospo comune (Bufo bufo), la Rana verde 
      (Rana esculenta) e la Raganella (Hyla arborea) vivono nell'oasi. La 
      comunità dei mammiferi, pur essendo numerosa ed abbondante, non si lascia 
      osservare molto facilmente, per via delle abitudini notturne. Impronte, 
      resti dei pasti, escrementi e tane sono però indizi che un occhio attento 
      riesce a cogliere. L'elenco delle specie sarebbe lungo, ma val la pena di 
      accennare alle ben cinque specie di carnivori che vivono nel bosco: Volpe 
      (Vulpes vulpes), Tasso (Meles meles), Donnola (Mustela nivalis), Puzzola 
      (Mustela putorius) e Faina (Martes foina), oltre che al Ghiro (Glis glis) 
      e al Moscardino (Moscardinus avellanarius), alla rara Arvicola rossastra 
      (Clethrionomys glareolus) e alle diverse specie di Pipistrelli 
      (Pipistrellus pipistrellus).
      Per saperne di più...
      Il Bosco Negri è aperto tutto l'anno, nei giorni di sabato, domenica e 
      festivi; l'orario è dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 19. Le visite delle 
      scolaresche e dei gruppi devono essere prenotate al numero 0382/569.402. 
      Nei mesi invernali, a causa delle condizioni atmosferiche, il Bosco può 
      rimanere chiuso. Per ulteriori informazioni, consigliamo inoltre la visita 
      del sito Internet www.italnet.it/lipu/oasicen1.htm.


      La lanca "Agogna Morta"
      Laboratorio di ecologia all'aperto 

      La lanca denominata "Agogna Morta" è un meandro del torrente Agogna, 
      abbandonato in seguito ad opere ri raddrizzamento dell'alveo realizzate 
      intorno alla metà degli anni '50, che si trova tra Basso Novarese e 
      Lomellina, nei comuni di Borgolavezzaro (provincia di Novara) e Nicorvo.
      Le specie di flora e fauna presenti, pur essendo abbastanza comuni, sono, 
      tuttavia, peculiari delle zone umide e costituiscono sicuramente un 
      aspetto di questa pianura dalle caratteristiche delicate ed ormai rare.
      All'interno della lanca l'Associazione Culturale Burchviv di 
      Borgolavezzaro, in collaborazione con la Federazione Nazionale Pro Natura, 
      ha iniziato, a partire dal 1991, un progetto per la ricostruzione e 
      conservazione ambientale volto a: 
        garantire la sopravvivenza della lanca con tutte le forme di vita 
        animale e vegetale che la caratterizzano;
        intraprendere una adeguata sperimentazione nel campo del rimboschimento 
        naturalistico con specie rigorosamente autoctone per restituire all'area 
        una copertura arborea quanto più vicina, come composizione, alla 
        copertura originaria, ormai mancante da secoli.
      La flora
      La vegetazione arborea ripariale è costituita quasi esclusivamente da 
      Robinia; rimangono, però, gruppi di Salici bianchi, alcuni Olmi, Ontani, 
      Farnie; essenze superstiti di quelle che dovevano costituire, insieme ad 
      autoctoni Pioppi, Carpini ed Aceri, l'associazione di alberi dominante. 
      Tra gli arbusti si trovano il Sambuco, il Sanguinello, il Salicone, la 
      Rosa Canina, il Rovi ed il Luppolo, liana erbacea perenne ma a fusti 
      anuali.
      Man mano che ci si avvicina all'acqua si incontrano grosse Carici, la 
      Stiancia, l'Iris palustre e poi la Tifa e la Cannuccia di palude; dello 
      specchio d'acqua vero e proprio signore è il Nannufaro, la ninfea gialla.
      Nel progetto di ricostruzione del bosco, il terreno all'interno della 
      lanca è stato suddiviso in quaranta parcelle: 
        10 sono rimaste incolte, in modo da poterne osservare il comportamento;
        in ognuna delle altre 30 sono state messe a dimora sette giovani piante 
        (quattro Farnie, un Acero campestre, un Pioppo bianco ed un Carpino 
        bianco), e, per ogni pianta, diversi arbusti (Biancospino, Prugnolo, 
        Sanguinello e Nocciolo).
      La fauna
      L'aspetto faunistico più rilevante e peculiare è rappresentato dal 
      Tarabusino, volatile timido ed abituato a vivere ben nascosto. 
      Caratteristica di questo uccello è quello di puntare, per la propria 
      difesa, più sul mimetismo che sulla fuga. In caso di pericolo, infatti, 
      assume la tipica forma verticale ed allungata, rendendosi quasi invisibile 
      tra le canne.
      Altrettanto poco visibile, ma del quale si rileva la presenza, dal canto 
      gutturale e gracidante, è è il Cannareccione, uccello per cui, al pari del 
      Tarabusino, la lanca è sinonimo di sopravvivenza. Questo passeriforme è, 
      col proprio forte canto che si leva dal canneto, una realtà pressoché 
      esclusiva di tale tipo di ambiente.
      Altro ospite, assai più: comune, che nell'Agogna Morta trova il proprio 
      ambiente ideale, è la Gallinella d'acqua. E' facile vedere l'adulto, 
      quando è tempo di nidi, che accompagna i propri numerosi pulcini 
      camminando con agilità sulle erbe acquatiche alla ricerca di molluschi, 
      insetti, germogli, semi.
      Un notevole numero di altri animali, soprattutto uccelli, fanno ruotare 
      intorno a questa lanca la propria esistenza: anche il germano reale vi 
      alleva i piccoli, vi nidificano il Merlo, l'Usignolo, la Capinera, il 
      Codibugnolo e lo Scricciolo; e nelle cavità dei vecchi salici, la 
      Cinciallegra; la Nitticora, l'Airone cinerino, l'Airone rosso, la Garzetta 
      vengono qui a nutrirsi. Il Cuculo trova i nidi da parassitare ed in cui 
      deporre il proprio uovo. Non mancano uccelli divenuti ormai rari come 
      l'Upupa, il Picchio verde, il Gufo comune, il Rigognolo.
      Sotto il pelo dell'acqua vi è il regno di quei pesci che ben si adattano 
      alle acque stagnanti e calde: Carpe, Tinche, Scardole, Carassi, Persici 
      sole, Alborelle ed il vorace Pesce gatto. All'apice della piramide 
      alimentare vi è il Persico trota, predatore di origine nordamericana 
      introdotto in tempi recenti.
      Per saperne di più...
      Tutto quanto riportato in questa pagina è stato estratto dalla esauriente 
      pubblicazione "Guida al laboratorio di ecologia all'aperto Agogna Morta", 
      edito dall'Associazione Culturale Burchviv di Borgolavezzaro e dalla 
      Federazione Nazionale Pro Natura. Per maggiori informazioni ci si può 
      quindi rivolgere all'Associazione Culturale Burchviv - Via Molino Muovo, 
      10 - 28071 Borgolavezzaro (NO) - tel. 0321/885.684.


      
      
      


      
      

      
      
      

 

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