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| Il territorio e l'ambiente La Lomellina risale geomorfologicamente all'era quaternaria. Il territorio, fertile e pianeggiante, è stato per diversi secoli coltivato principalmente a grano, mais e foraggio; tuttavia, oggi, la Lomellina è il regno del riso e, grazie a ciò, la provincia di Pavia è la prima produttrice risicola italiana. In origine, in epoca quaternaria l'area fu modellata da fiumane che depositarono sabbia e ciottoli formando dossi, conche e avallamenti che si conservarono, costellati di paludi e boschi, fino al Medioevo. Infatti, nulla di questo tranquillo paesaggio è naturale: tutto è stato costruito, trasformato ed organizzato dall'uomo con infinita e secolare pazienza. L'ambiente che vediamo oggi è frutto di un lavoro che l'uomo ha intrapreso fino a rendere queste terre fra le più fertili del mondo, "... un immenso deposito di fatiche, per nove decimi non opera della natura ma delle mani, una patria artificiale", come scrisse Carlo Cattaneo. Per natura questa terra di risorgive è stata per secoli un'impraticabile palude, ma le comunità dei monaci nel medioevo, che bonificarono la zona introducendo le marcite, la colonizzazione feudale nel duecento e le grandi riforme agricole introdotte dagli Sforza, che sperimentarono la coltivazione del riso, hanno fatto di questa zona un mosaico di ricchissimi campi di cereali. Al servizio di questa estensione di coltivazioni, a fianco dei tre fiumi naturali che delimitano la Lomellina, è stato organizzato un complesso sistema idrico di rogge e canali, che hanno dato vita alla costruzione dei mulini, e sono sorte le cascine "a corte chiusa", tipici insediamenti rurali della pianura padana. Questo habitat lentamente sta recuperando il suo equilibrio biologico; sono stati compiuti alcuni significativi passi nella conservazione delle aree ambientali di un certo interesse naturalistico; il primo e più importante è rappresentato dalla costituzione del Parco Fluviale del Ticino, di primaria importanza per la conservazione di molte specie di piante e di animali. Inoltre sono state recuperate diverse garzaie, e conservati alcuni boschi con vegetazione autoctona della Pianura Padana; tra questi ricordiamo il "Bosco Negri" a Zerbolò, la "Palude Loya" tra Zeme e Sant'Angelo, ed il "boschetto di Scaldasole" che si trova su un dosso sabbioso ed è prevalentemente occupato da Farnie, di cui alcune raggiungono dimensioni notevoli; altre aree sono in fase di costituzione o di rimboschimento: tra queste ricordiamo la "Lanca dell'Agogna Morta", tra Nicorvo ed il confinante comune piemontese di Borgolavezzaro. Il territorio e l'ambiente La Lomellina risale geomorfologicamente all'era quaternaria. Il territorio, fertile e pianeggiante, è stato per diversi secoli coltivato principalmente a grano, mais e foraggio; tuttavia, oggi, la Lomellina è il regno del riso e, grazie a ciò, la provincia di Pavia è la prima produttrice risicola italiana. In origine, in epoca quaternaria l'area fu modellata da fiumane che depositarono sabbia e ciottoli formando dossi, conche e avallamenti che si conservarono, costellati di paludi e boschi, fino al Medioevo. Infatti, nulla di questo tranquillo paesaggio è naturale: tutto è stato costruito, trasformato ed organizzato dall'uomo con infinita e secolare pazienza. L'ambiente che vediamo oggi è frutto di un lavoro che l'uomo ha intrapreso fino a rendere queste terre fra le più fertili del mondo, "... un immenso deposito di fatiche, per nove decimi non opera della natura ma delle mani, una patria artificiale", come scrisse Carlo Cattaneo. Per natura questa terra di risorgive è stata per secoli un'impraticabile palude, ma le comunità dei monaci nel medioevo, che bonificarono la zona introducendo le marcite, la colonizzazione feudale nel duecento e le grandi riforme agricole introdotte dagli Sforza, che sperimentarono la coltivazione del riso, hanno fatto di questa zona un mosaico di ricchissimi campi di cereali. Al servizio di questa estensione di coltivazioni, a fianco dei tre fiumi naturali che delimitano la Lomellina, è stato organizzato un complesso sistema idrico di rogge e canali, che hanno dato vita alla costruzione dei mulini, e sono sorte le cascine "a corte chiusa", tipici insediamenti rurali della pianura padana. Questo habitat lentamente sta recuperando il suo equilibrio biologico; sono stati compiuti alcuni significativi passi nella conservazione delle aree ambientali di un certo interesse naturalistico; il primo e più importante è rappresentato dalla costituzione del Parco Fluviale del Ticino, di primaria importanza per la conservazione di molte specie di piante e di animali. Inoltre sono state recuperate diverse garzaie, e conservati alcuni boschi con vegetazione autoctona della Pianura Padana; tra questi ricordiamo il "Bosco Negri" a Zerbolò, la "Palude Loya" tra Zeme e Sant'Angelo, ed il "boschetto di Scaldasole" che si trova su un dosso sabbioso ed è prevalentemente occupato da Farnie, di cui alcune raggiungono dimensioni notevoli; altre aree sono in fase di costituzione o di rimboschimento: tra queste ricordiamo la "Lanca dell'Agogna Morta", tra Nicorvo ed il confinante comune piemontese di Borgolavezzaro. L I musei in Lomellina Gambolò - Museo Archeologico Lomellino Castello Litta - tel. 0381/938.256 (segreteria telefonica) Orari di apertura: domenica (15-18); feriali solo per gruppi su prenotazione. Il Museo raccoglie il materiale archeologico scavato dall'Associazione Archeologica Lomellina dal 1972 ad oggi. I reperti, tutti provenienti dal territorio lomellino, offrono una panoramica completa sulla presenza umana nel nostro territorio dal Mesolitico recente (5500 a.C.) fino alla seconda età del Ferro (25 a.C.). Il Museo è strutturato in quattro sale espositive, è corredato da quarantaquattro pannelli didattici e da una grande Carta Archeologica della Lomellina. Olevano - Museo di Arte e Tradizione Contadina Via Cesare Battisti, 5 - Ingresso gratuito - tel. 0384/51251 - 51239 Orari di apertura: sabato e domenica (15-18), gli altri giorni su prenotazione. Un vecchio cascinale, al centro del paese, raccoglie oltre duemila fra attrezzi, macchine agricole e semplici oggetti, usati dai contadini fra la fine dell'ottocento e la prima metà del nostro secolo. Lo scopo del museo è quello di salvare dalla dispersione e dalla distruzione i vecchi strumenti del lavoro contadino, per dare giusto valore agli oggetti che sono stati il tramite tra l'uomo e la sua terra. Il museo si articola in alcune sezioni. Nel cortile sono esposte alcune macchine che testimoniano la prima fase della meccanizzazione agricola, e risalgono alla prima metà del XX secolo. Si accede quindi alle ambientazioni della stalla, del caseificio, delle botteghe artigiane e di una povera casa contadina che ci riportano nella Lomellina di qualche decennio fa, quando arrivavano le giovani e vocianti mondine e, nonostante il duro lavoro che dovevano fare, portavano in paese allegria e gioventù. Gli innumerevoli attrezzi sono accompagnati da manichini, fotografie inedite, documenti originali d'epoca, schede analitiche delle aziende agricole e disegni che illustrano la vita contadina ed il lavoro nei campi. Sono inoltre disponibili registrazioni di canti delle mondine e una raccolta di fiabe popolari lomelline, frutto di un accurato lavoro di ricerca. Vigevano - Museo della calzatura Orari di apertura: domenica e festivi (10.30-12.30 e 15-18), gli altri giorni su prenotazione - tel. 0381/690370 Vigevano è considerata ancora oggi la capitale italiana delle scarpe, cui viene dedicato l'unico museo nazionale del genere. Ospitato nell'ottocentesco palazzo Crespi, offre un'inedita storia della calzatura come elemento di costume, sia attraverso i secoli, sia presso le diverse civiltà. La raccolta comprende circa 300 scarpe ed è divisa in tre sezioni. La sezione storica con esempi di scarpe dal XV secolo ai giorni nostri, comprese quelle appartenute a personaggi famosi (pianella di Beatrice d'Este - 1490 circa) e le scarpe militari. La sezione etnografica che riunisce calzature in uso presso i vari popoli della terra, ed infine la sezione delle curiosità. Il grano Da oltre duemila anni, da quando il vomere dell'aratro era ancora costituito da un cuneo di pietra naturale, esistevano già nel nostro territorio alcuni appezzamenti a grano. Per la coltivazione del grano, chiamato anche frumento, così come per quelle del miglio, della segale e dell'orzo, i sistemi di lavorazione della terra erano praticamente identici; inoltre non era necessaria alcuna pratica di irrigazione artificiale, anche perché la stagione in cui avveniva la fase più importante della vegetazione era l'inverno, al quale faceva seguito, in marzo e aprile, la piovosa primavera. Fino al secolo scorso, tutti i lavori relativi alla coltura del grano, dalla semina, al raccolto, alla trabbiatura, venivano eseguiti manualmente. Ma all'inizio di questo secolo, anche se si continuò l'uso della falce messoria per il raccolto, furono inventate le prime rudimentali trebbiatrici, alle quali nei successivi decenni seguirono mietitrici-legatrici, finché si arrivò all'impiego delle attuali moderne mietitrebbiatrici. L'essiccazione veniva fatta sulla medesima aia che si utilizzava normalmente per il riso e per il mais, ma raramente essa si rendeva necessaria per il grano, in quanto si effettuava il raccolto nel periodo più caldo dell'anno, tra la fine di giugno e la metà di luglio. Da diversi anni, ormai, in Lomellina la coltivazione del grano è divenuta scarsamente remunerativa, ed ha lasciato il posto a quelle del riso e del mais. Il mais Il mais fu introdotto in Italia da Cristoforo Colombo, che lo importò dalle Americhe nel 1500; questo fatto diede un notevole impulso all'agricoltura nella nostra zona, sia per l'abbondanza dei raccolti, sia per la facilità di coltivazione anche in terreni non irrigabili, così come avveniva per il grano e la segale. Con la farina di granoturco, di solito mescolata a quella del grano, si incominciò ben presto a confezionare anche il pane, che i nostri antenati apprezzarono subito, così come la polenta, altro alimento base di uso quotidiano. I sistemi per la coltivazione del mais subirono numerose evoluzioni nel corso dei secoli ed in modo particolare durante questi ultimi cinquant'anni. Le pannocchie mature, che prima dell'introduzione degli ibridi si presentavano molto più piccole di quelle odierne, si coglievano a mano dalla pianta, si caricavano per mezzo di apposite ceste di vimini su un carretto munito di sponde sui quattro lati, e poi si portavano sull'aia, dove si rovesciavano in mucchio. Ultimato il raccolto, si procedeva a scartocciarle, manualmente, lavorando fino a tarda sera, alla luce di una lampada, con la collaborazione di componenti di famiglie amiche alle quali poi si ricambiava l'aiuto o si dava un compenso in natura, che poteva consistere in un certo quantitativo del prodotto stesso. La trebbiatura, che un tempo si effettuava solo a mano, in seguito venne eseguita mediante una trebbiatrice azionata da un motore a scoppio. Si procedeva infine all'essiccazione solare sull'aia, si insaccava e si portava nel magazzino. Oggi invece anche il mais si raccoglie con moderne macchine mietitrebbiatrici semoventi, si trasporta con appositi rimorchi agli essiccatoi, quindi si immagazzina sciolto o si vende direttamente, senza più fare uso dei sacchi di tela juta. Il mais Il mais fu introdotto in Italia da Cristoforo Colombo, che lo importò dalle Americhe nel 1500; questo fatto diede un notevole impulso all'agricoltura nella nostra zona, sia per l'abbondanza dei raccolti, sia per la facilità di coltivazione anche in terreni non irrigabili, così come avveniva per il grano e la segale. Con la farina di granoturco, di solito mescolata a quella del grano, si incominciò ben presto a confezionare anche il pane, che i nostri antenati apprezzarono subito, così come la polenta, altro alimento base di uso quotidiano. I sistemi per la coltivazione del mais subirono numerose evoluzioni nel corso dei secoli ed in modo particolare durante questi ultimi cinquant'anni. Le pannocchie mature, che prima dell'introduzione degli ibridi si presentavano molto più piccole di quelle odierne, si coglievano a mano dalla pianta, si caricavano per mezzo di apposite ceste di vimini su un carretto munito di sponde sui quattro lati, e poi si portavano sull'aia, dove si rovesciavano in mucchio. Ultimato il raccolto, si procedeva a scartocciarle, manualmente, lavorando fino a tarda sera, alla luce di una lampada, con la collaborazione di componenti di famiglie amiche alle quali poi si ricambiava l'aiuto o si dava un compenso in natura, che poteva consistere in un certo quantitativo del prodotto stesso. La trebbiatura, che un tempo si effettuava solo a mano, in seguito venne eseguita mediante una trebbiatrice azionata da un motore a scoppio. Si procedeva infine all'essiccazione solare sull'aia, si insaccava e si portava nel magazzino. Oggi invece anche il mais si raccoglie con moderne macchine mietitrebbiatrici semoventi, si trasporta con appositi rimorchi agli essiccatoi, quindi si immagazzina sciolto o si vende direttamente, senza più fare uso dei sacchi di tela juta. La pianura del riso Il riso è una pianta della famiglia delle graminacee e proviene dai paesi orientali con clima tropicale, per cui necessita di particolari condizioni di temperatura ed umidità. Le prime notizie sulla coltivazione del riso in Lomellina risalgono alla fine del quattrocento; in quel tempo, infatti, il marchese di Mantova diede diversi sacchi di riso trasportati dall'oriente al suo cugino milanese, Ludovico il Moro: da quel momento, il riso iniziò la sua diffusione in terra lomellina. Alcuni studi affermano che la prima semina di riso in Italia avvenne proprio nel nostro territorio, e precisamente nel 1482 a Villanova di Cassolnovo, per iniziativa di Gian Galeazzo Visconti; in seguito la coltivazione venne diffusa nelle fattorie degli Sforza, nei dintorni di Vigevano. Tuttavia, anche se la particolare conformazione del terreno, ricco di acque superficiali e poco profonde, si è rivelata subito adatta alla coltivazione, la diffusione delle risaie in Lomellina è stata limitata fino al sec. XVIII. Dall'ottocento, con la costruzione del Canale Cavour, la coltivazione si è andata sempre più affermando ed oggi copre buona parte del territorio coltivato con una produzione decisamente superiore al passato (dai 18 ai 60 quintali per ettaro). L'antico ciclo della coltivazione del riso (nella foto il sistema di trebbiatura che veniva utilizzato), basato sul trapianto del cereale in campi prima utilizzati per altre coltivazioni, con una continua rotazione, e la pulizia ad opera delle mondine, è ormai solamente un ricordo. Ora il cereale viene piantato a maggio direttamente nelle risaie, prima arate, livellate e quindi allagate fino ai 10/20 cm per assicurare la protezione termica del chicco. Qui le verdi piantine crescono, liberate dalle erbe infestanti con diserbanti ed erbicidi, fino a trasformarsi, a settembre, in lunghi steli con ricche spighe di chicchi dorati. Allora, le moderne mietitrebbie scendono nelle risaie ormai asciutte con pesanti cingoli e tagliano le piante, separando già i chicchi dalla paglia. I preziosi chicchi, chiamati in questa fase risone, vengono quindi essiccati e solo allora possono passare alle riserie per la raffinazione. Per essere preparati al consumo alimentare, i chicchi di riso vengono prima sbramati, poi sbiancati e, spesso, sottoposti anche alla brillatura, cioè alla lucidatura per mezzo di talco e glucosio. Sull'argomento, è da segnalare un sito Internet molto interessante, da titolo "mondine lomelline", dedicato alla figura umana e sociale delle mondariso lomelline. I dossi I dossi sono ancora ben visibili nei pressi di Remondò, a sud della statale Mortara-Pavia, in area non accessibile perché zona militare, di Parona, Scaldasole e soprattutto lungo la strada Cergnago-Tromello, in zona, di proprietà privata, destinata ad azienda faunistica. Lo spettacolo è inaspettato: collinette sabbiose e boscose alte 5-6 metri si intervallano a conche umide. I boschi, che vedono prevalere le Querce di ragguardevoli dimensioni, sono abitati dal Tasso, dal Picchio, dalla Puzzola, dalla Volpe e da molte specie di volatili, tra i quali si ricordano il Merlo, il Pettirosso, la Capinera, la Cinciallegra, il Rigolo, l'Usignolo, il Gufo, la Civetta e la Poiana. Le zone umide ospitano muschi e licheni, il Germano reale, la Gallinella d'acqua ed anfibi illustri: la Rana di Lataste ed il Rospo bruno, in via di estinzione in gran parte dell'Europa. Le marcite La marcita è una pratica colturale che si fa risalire al secolo XII. Introdotta in Lombardia dai frati Cistercensi che, con abnegazione e fatica, bonificarono fontanili e paludi e risanarono vaste aree della zona dove sgorgano le risorgive, essa si ottiene riversando per scorrimento sul terreno l'acqua di queste fontane naturali, la cui temperatura si aggira attorno ai 10 gradi centigradi. I terreni beneficiati dalla stabilità termica delle acque che fuoriescono dal suolo a temperatura costante, permettono annualmente fino ad otto tagli di erba, fornendo anche nei mesi più rigidi dell'inverno prezioso cibo fresco per gli allevamenti zootecnici. I bellissimi tappeti verdi delle marcite che, specie in inverno, suscitano ammirazione, sono altresì indispensabile fonte alimentare per anatre selvatiche, folaghe e gallinelle durante le rigide giornate invernali e le nevicate. L'abbandono dell'allevamento del bestiame da parte dei contadini ha portato a trascurare le marcite, che rischiano di scomparire dal paesaggio di queste campagne. Il sistema idrico della Lomellina La pianura Lomellina è caratterizzata da pendenza lieve ed uniforme, nella quale trovano sviluppo i terrazzi fluviali; questi delimitano chiaramente i tracciati dei principali corsi d'acqua naturali e la fittissima rete di canali per l'irrigazione. Il corso d'acqua principale, che delimita la Lomellina a sud e, parzialmente, ad ovest, è il fiume Po. Procedendo da ovest verso est, i più importanti corsi d'acqua naturali sono: fiume Sesia torrente Agogna torrente Arbogna-Erbognone torrente Terdoppio fiume Ticino Inoltre esiste una fitta rete di acque, di natura perlopiù artificiale, creata per l'irrigazione del territorio. I corpi idrici che la compongono sono: i grandi canali, che servono a portare acqua nel comprensorio derivandola dai corsi d'acqua naturali e che presentano le pareti e spesso anche il fondo rivestiti di cemento e pietrame; le grandi rogge con alveo naturale, con funzione analoga; l'intricatissima serie di rogge che costituisce la rete minore, composta da numerosissimi corsi d'acqua, ampiamente interconnessi, di origine e natura diverse (fontanili, rogge, cavi, colatori). Gli ambienti di tutti questi corsi d'acqua subiscono sovente, da parte dell'uomo, rimaneggiamenti dovuti alle esigenze operative (manovre idrauliche, sfalci della vegetazione, spurghi dei fondali, rifacimenti dei tratti di sponda, ecc.); questi interventi costituiscono fattori di stress che, nelle diverse realtà, possono essere frequenti e periodici come occasionali. La fitta rete irrigua di canali e rogge che compone la trama idrica del territorio è costituita da: Roggione di Sartirana Diramatore Quintino Sella e subdiramatori Naviglio Langosco Cavo Plezza Cavo Moscatello-Roggia Nuova Roggia Cona-Canale di Breme-Sesia Morta Canale San Michele Roggia Ravasino e Lanca del Molino Canale Riadino Colatore Agognetta-Riale Colatore Riazzolo Agognetta Ponteverde Roggia Castellana Canale Scavizzolo Roggia Cerro Canale Mangialoca Roggia Gaviola Colatore Gravellone Colatore Morasca Il sistema idrico della Lomellina La pianura Lomellina è caratterizzata da pendenza lieve ed uniforme, nella quale trovano sviluppo i terrazzi fluviali; questi delimitano chiaramente i tracciati dei principali corsi d'acqua naturali e la fittissima rete di canali per l'irrigazione. Il corso d'acqua principale, che delimita la Lomellina a sud e, parzialmente, ad ovest, è il fiume Po. Procedendo da ovest verso est, i più importanti corsi d'acqua naturali sono: fiume Sesia torrente Agogna torrente Arbogna-Erbognone torrente Terdoppio fiume Ticino Inoltre esiste una fitta rete di acque, di natura perlopiù artificiale, creata per l'irrigazione del territorio. I corpi idrici che la compongono sono: i grandi canali, che servono a portare acqua nel comprensorio derivandola dai corsi d'acqua naturali e che presentano le pareti e spesso anche il fondo rivestiti di cemento e pietrame; le grandi rogge con alveo naturale, con funzione analoga; l'intricatissima serie di rogge che costituisce la rete minore, composta da numerosissimi corsi d'acqua, ampiamente interconnessi, di origine e natura diverse (fontanili, rogge, cavi, colatori). Gli ambienti di tutti questi corsi d'acqua subiscono sovente, da parte dell'uomo, rimaneggiamenti dovuti alle esigenze operative (manovre idrauliche, sfalci della vegetazione, spurghi dei fondali, rifacimenti dei tratti di sponda, ecc.); questi interventi costituiscono fattori di stress che, nelle diverse realtà, possono essere frequenti e periodici come occasionali. La fitta rete irrigua di canali e rogge che compone la trama idrica del territorio è costituita da: Roggione di Sartirana Diramatore Quintino Sella e subdiramatori Naviglio Langosco Cavo Plezza Cavo Moscatello-Roggia Nuova Roggia Cona-Canale di Breme-Sesia Morta Canale San Michele Roggia Ravasino e Lanca del Molino Canale Riadino Colatore Agognetta-Riale Colatore Riazzolo Agognetta Ponteverde Roggia Castellana Canale Scavizzolo Roggia Cerro Canale Mangialoca Roggia Gaviola Colatore Gravellone Colatore Morasca I mulini Le numerosissime rogge e i canali che intersecano tutto il territorio lomellino ha favorito, nel corso dei secoli, la nascita e lo sviluppo dei mulini. Costruiti in epoche diverse per la macinazione dei cereali, azionati dall'energia idraulica, si trovano a volte inseriti all'interno dei cascinali, oppure isolati nelle campagne e, talvolta, persino ubicati nei centri abitati. Sono molto antichi e alcuni di essi sono stati citati nei manoscritti di Leonardo da Vinci. Nella storia di Vigevano si legge che proprio Leonardo, ospite di Ludovico il Moro nel castello sforzesco alla fine del XV secolo, percorse le strade della nostra campagna, osservando e studiando i corsi d'acqua esistenti. E proprio in quegli anni inventò un nuovo tipo di ruota, con pale concave in ferro, che, girando in posizione verticale e sfruttando l'energia prodotta dall'acqua di una cascata, consentiva il funzionamento di tutte le parti del mulino mediante un complicato sistema di pulegge e cinghie. I primi mulini funzionanti in questo modo furono quelli che il duca Galeazzo Visconti fece costruire a Vigevano, in località Mora bassa, nel XVII secolo. Quasi tutti funzionanti fino al 1950, sono ora in cattivo stato di conservazione e rischiano sfortunatamente la definitiva distruzione. Le cascine La cascina, caratteristico patrimonio rurale, fenomeno complesso e di grande interesse, ma a tutt'oggi scarsamente descritto e valutato nella sua importanza, rappresenta l'emblema di una civiltà, di un'architettura, di un tessuto di insediamenti agricoli tipicamente lombardi. L'organismo della cascina è saldamente ancorato al territorio ed alla sua storia in virtù di quel legame stretto di mutua dipendenza tra uomo e ambiente che si è spezzato con l'avvento della civiltà industriale. Le aziende agricole nella loro attuale configurazione sono il prodotto di lunghe mutazioni economico-sociali e di svariate forme di connubio tra uomo e territorio che si sono succedute nei secoli dando origine a tipologie differenti di insediamento e di conduzione della terra. Esse sono dunque non solo un bene architettonico di intrinseco valore artistico, ma espressione e documento storico di un modo di vita, dell'ambiente in cui l'uomo ha operato e opera, dell'uso e della gestione del suolo che caratterizzano l'economia di una zona. La cascina ha normalmente una struttura "a corte chiusa", quadrilatera; l'ampio spazio interno, quadrato o rettangolare, è il suo cuore ed è normalmente occupato dall'aia, dapprima costruita in terra battuta, poi realizzata con mattoni e più tardi in cemento. L'aia aveva lo scopo di permettere l'essiccazione dell'erba, dei cereali e del riso per esposizione dei prodotti all'aria o al sole. La "corte" viene spesso recintata con muri o siepi e dotata di uno o due ingressi chiudibili e sorvegliabili per consentire il controllo sul personale dipendente e per scoraggiare il piccolo furto campestre. Il fronte delle stalle occupa generalmente metà del perimetro edificato e sopra di esse si allineano i fienili, protetti dalle intemperie con caratteristiche graticciate di mattoni sfalsati. Un ampio spazio veniva destinato anche alle stalle destinate ai buoi ed ai cavalli e per i locali di servizio. Da questi ne veniva quasi sempre ricavato uno per la produzione dei formaggi e, accanto, trovavano posto le anguste porcilaie, consumatrici degli scarti della lavorazione del latte. Nella posizione migliore rimasta libera trovava spazio la casa del proprietario o del fittabile, cioè il conduttore dell'azienda; questa si differenzia dalle restanti abitazioni bracciantili per imponenza edile o per la presenza di qualche fregio decorativo che ne accentua la distinzione, ed ha un piano rialzato sopra le altre per far posto anche al granaio. Vi si trovano poi le case dei salariati, cioè dei contadini a contratto fisso, e dei lavoratori "stagionali", le mondine e i tagliariso. Nella cascina non è difficile trovare la chiesetta oppure un semplice campaniletto che scandiva le ore richiamando i contadini dal lavoro dei campi o annunciando la fine della dura giornata di lavoro. In Lomellina, come in tutta la pianura lombarda, le campagne sono costellate da numerosissime cascine di grande interesse. Fra queste occupa indubbiamente un posto di primo piano la Sforzesca, nei pressi di Vigevano, residenza di caccia ed azienda agricola voluta da Ludovico il Moro nel 1486. Il complesso richiama la disposizione tipica dei castelli con quattro fabbricati intorno ad un cortile centrale quasi quadrato e quattro costruzioni agli angoli, chiamati colombaroni. Tutto intorno una distesa di campagne coltivate, canali d'irrigazione e mulini ad acqua progettati niente meno che da Leonardo da Vinci, ospite della tenuta alla fine del Quattrocento. Sempre a Vigevano sorge la cascina Pegorara, ove da parte di Ludovico il Moro venne tentato senza successo l'allevamento di pecore importate dalla Linguadoca; a sud della città sono innumerevoli i centri rurali che meritano attenzione: da San Vittore, alla Favorita, alla Presciutta, a Fogliano, a San Marco. Verso occidente spiccano la cascina Castellana, la cascina Portalupa in Faenza e la cascina Tre Colombaie. Inoltre possiamo visitare la cascina Barzo di Gravellona, di origini basso-medievali; la cascina San Sebastiano di Robbio, dove sono stati ritrovati gli affreschi della storia del Santo (XV-XVI sec.); la Marza di Zeme; Erbamala e Campalestro tra Velezzo e Cergnago, nelle quali non è difficile riscontrare un antico passato monastico; la medievale tenuta di Sant'Albino e la grande cascina Medaglia a Mortara; la Melegnana, la cui origine di villa romana è documentata da numerosi ritrovamenti, e la Vallazza ad Olevano; Santa Maria di Bagnolo (resti di una chiesetta romanica del secolo XI) e San Bernardo (affreschi di scuola gaudenziana) a Langosco. A Parona, nel territorio verso Vigevano, sono ancora in funzione la cascina Scocchellina e la cascina Castello. Di pregevole fattura anche la cascina Scoglio. L'autosufficienza produttiva nelle cascine è durata secoli: accanto ai contadini lavoravano artigiani addetti alle attrezzature e personale specializzato nella produzione di generi alimentari. Oggi la stalla è stata abbandonata quasi ovunque e non è raro trovare cascine in condizioni di degrado molto avanzato. Il fiume Ticino ed il suo Parco Istituito nel 1974, situato lungo le sponde del Ticino, nel tratto tra il lago Maggiore e la confluenza con il Po, tra le province di Varese, Milano e Pavia, con i suoi 90.640 ettari è il parco fluviale più grande d'Europa. Fu realizzato per salvaguardare un territorio assai vario, dove le attività produttive e gli insediamenti umani convivono con un patrimonio ambientale di grande valore. Chi si dovesse trovare al ponte della Becca, dove il Ticino confluisce nel Po, può osservare la notevole differenza del colore delle acque e come quelle del Ticino siano molto più limpide. Infatti le acque che escono dal Lago Maggiore, già di buona qualità, scorrono in un alveo costituito da materiali grossolani, prevalentemente ciottolosi-ghiaiosi e sabbiosi, con pochissima presenza di materiale in sospensione. Al "Fiume Azzurro" non mancano purtroppo apporti inquinanti di tipo biologico, ma la presenza di risorgive naturali, che immettono nel fiume acque di provenienza sotterranea, pulite ed ossigenate, tende a mitigare i fenomeni dell'inquinamento. Il modo migliore per visitare il parco è a piedi o in bicicletta, lungo percorsi di notevole interesse ambientale e naturalistico; ci sono anche alcuni itinerari particolari sia per gli appassionati di canoa, sia per coloro che amano le sgroppate a cavallo. Accanto ai pioppeti, alle risaie e alle marcite che rivelano l'opera dell'uomo, si sviluppa una gran varietà di piante: estesi boschi, resti delle antiche foreste che un tempo ricoprivano tutta la valle padana, e vegetazione acquatica, rigogliosissima in prossimità delle risorgive e delle lanche. Anche la fauna, sia terrestre che ittica, riveste estrema importanza nell'ambiente del parco. La stagione più adatta per visitare il parco è la primavera, quando le fioriture coprono i boschi o le acque, anche se occorre un po' di attenzione a non spingersi troppo nei pressi delle garzaie, con il rischio di disturbare la nidificazione degli aironi; oppure l'autunno, quando le lanche ospitano numerose anatre svernanti. L'estate è, purtroppo, anche la stagione delle zanzare e dei numerosi turisti. I boschi e la flora La vegetazione che caratterizza le zone della valle fluviale è il querceto misto, che si sviluppa nel suolo profondo della bassa pianura, con alberi di farnia, olmo, carpino e pioppo nero. Nella collina maggiormente arida prevale il ceduo di roverella e di castagno con larghe presenze di pino silvestre. I terreni più umidi ospitano il pioppo bianco, l'ontano nero ed i saliceti. Molto diffusa è la robinia, specie di origine esotica come il prunus serotina. Rimarchevole, soprattutto nel confronto con l'impoverita situazione padana, è la flora degli ambienti umidi (ninfea, ranuncoli d'acqua, iris), quella del sottobosco (mughetto, pungitopo) e delle radure (dittamo, asfodelo, gladiolo). Il triangolo del "Siccomario", tra Ticino e Po, è famoso per la presenza del Bosco Negri, maestoso relitto di selva planiziaria padana. La fauna L'animale selvatico è riservato per natura, e il parco non è uno zoo. Lungo il Ticino gli animali vivono a migliaia: cinghiali, caprioli, tassi, conigli selvatici, lepri; tra gli uccelli i falchi pescatore, le gallinelle d'acqua, le folaghe, le alzavole, i fischioni, i tuffetti, le varie specie di aironi, le ghiandaie; le sponde del fiume coperte di salici e saliconi ospitano una ricca avifauna acquatica nidificante: salciaiole, usignoli di fiume, tarabusi, cannareccioni; sono frequenti anche i cuculi. La pesca sul fiume ha sempre costituito attrazione per le popolazioni rivierasche che ancora oggi la praticano con le reti, se pescatori professionisti, e con lenza e bilancia, se dilettanti. Tra i pesci, è possibile trovare trote, anguille, temoli, tinche, cavedani, lasche, storioni, lucci, persici, alborelle e bottine. Una curiosità Il greto del fiume, prevalentemente ghiaioso, è costituito da materiali provenienti dall'erosione glaciale che la vorticosità delle acque, in occasione delle piene, continua a spostare a valle: si tratta di ciottoli, sabbie, quarziti, minerali vari, tra cui, in piccola quantità, pagliuzze d'oro. Per questa sua caratteristica, tutti gli anni, a fine agosto, si svolge un'originale gara: il campionato italiano dei cercatori d'oro. Per saperne di più... Per ulteriori informazioni sul Parco del Ticino, consigliamo la visita del sito Internet www.parks.it/parco.ticino.lombardo. Il fiume Ticino ed il suo Parco Istituito nel 1974, situato lungo le sponde del Ticino, nel tratto tra il lago Maggiore e la confluenza con il Po, tra le province di Varese, Milano e Pavia, con i suoi 90.640 ettari è il parco fluviale più grande d'Europa. Fu realizzato per salvaguardare un territorio assai vario, dove le attività produttive e gli insediamenti umani convivono con un patrimonio ambientale di grande valore. Chi si dovesse trovare al ponte della Becca, dove il Ticino confluisce nel Po, può osservare la notevole differenza del colore delle acque e come quelle del Ticino siano molto più limpide. Infatti le acque che escono dal Lago Maggiore, già di buona qualità, scorrono in un alveo costituito da materiali grossolani, prevalentemente ciottolosi-ghiaiosi e sabbiosi, con pochissima presenza di materiale in sospensione. Al "Fiume Azzurro" non mancano purtroppo apporti inquinanti di tipo biologico, ma la presenza di risorgive naturali, che immettono nel fiume acque di provenienza sotterranea, pulite ed ossigenate, tende a mitigare i fenomeni dell'inquinamento. Il modo migliore per visitare il parco è a piedi o in bicicletta, lungo percorsi di notevole interesse ambientale e naturalistico; ci sono anche alcuni itinerari particolari sia per gli appassionati di canoa, sia per coloro che amano le sgroppate a cavallo. Accanto ai pioppeti, alle risaie e alle marcite che rivelano l'opera dell'uomo, si sviluppa una gran varietà di piante: estesi boschi, resti delle antiche foreste che un tempo ricoprivano tutta la valle padana, e vegetazione acquatica, rigogliosissima in prossimità delle risorgive e delle lanche. Anche la fauna, sia terrestre che ittica, riveste estrema importanza nell'ambiente del parco. La stagione più adatta per visitare il parco è la primavera, quando le fioriture coprono i boschi o le acque, anche se occorre un po' di attenzione a non spingersi troppo nei pressi delle garzaie, con il rischio di disturbare la nidificazione degli aironi; oppure l'autunno, quando le lanche ospitano numerose anatre svernanti. L'estate è, purtroppo, anche la stagione delle zanzare e dei numerosi turisti. I boschi e la flora La vegetazione che caratterizza le zone della valle fluviale è il querceto misto, che si sviluppa nel suolo profondo della bassa pianura, con alberi di farnia, olmo, carpino e pioppo nero. Nella collina maggiormente arida prevale il ceduo di roverella e di castagno con larghe presenze di pino silvestre. I terreni più umidi ospitano il pioppo bianco, l'ontano nero ed i saliceti. Molto diffusa è la robinia, specie di origine esotica come il prunus serotina. Rimarchevole, soprattutto nel confronto con l'impoverita situazione padana, è la flora degli ambienti umidi (ninfea, ranuncoli d'acqua, iris), quella del sottobosco (mughetto, pungitopo) e delle radure (dittamo, asfodelo, gladiolo). Il triangolo del "Siccomario", tra Ticino e Po, è famoso per la presenza del Bosco Negri, maestoso relitto di selva planiziaria padana. La fauna L'animale selvatico è riservato per natura, e il parco non è uno zoo. Lungo il Ticino gli animali vivono a migliaia: cinghiali, caprioli, tassi, conigli selvatici, lepri; tra gli uccelli i falchi pescatore, le gallinelle d'acqua, le folaghe, le alzavole, i fischioni, i tuffetti, le varie specie di aironi, le ghiandaie; le sponde del fiume coperte di salici e saliconi ospitano una ricca avifauna acquatica nidificante: salciaiole, usignoli di fiume, tarabusi, cannareccioni; sono frequenti anche i cuculi. La pesca sul fiume ha sempre costituito attrazione per le popolazioni rivierasche che ancora oggi la praticano con le reti, se pescatori professionisti, e con lenza e bilancia, se dilettanti. Tra i pesci, è possibile trovare trote, anguille, temoli, tinche, cavedani, lasche, storioni, lucci, persici, alborelle e bottine. Una curiosità Il greto del fiume, prevalentemente ghiaioso, è costituito da materiali provenienti dall'erosione glaciale che la vorticosità delle acque, in occasione delle piene, continua a spostare a valle: si tratta di ciottoli, sabbie, quarziti, minerali vari, tra cui, in piccola quantità, pagliuzze d'oro. Per questa sua caratteristica, tutti gli anni, a fine agosto, si svolge un'originale gara: il campionato italiano dei cercatori d'oro. Per saperne di più... Per ulteriori informazioni sul Parco del Ticino, consigliamo la visita del sito Internet www.parks.it/parco.ticino.lombardo. Le garzaie Fin dal medioevo, il luogo in cui si insediano in gruppo gli aironi di una sola o più specie, per costruire i loro nidi e riprodursi, viene detto "garzaia". In genere le garzaie si trovano in luoghi con vegetazione palustre, in corrispondenza di ciuffi di alberi, quali salici, pioppi, ontani e farnie, e non lontano da corsi d'acqua, risaie o piccoli bacini d'acqua dove gli uccelli possano trovare cibo per sè e per i piccoli. Nelle garzaie della Lomellina trovano ospitalità numerose specie avicole come gli aironi cinerini, gli aironi rossi, le nitticore, le garzette e le sgarze ciuffetto. Tutte queste specie diverse nidificano comunitariamente tra i rami, senza disturbo reciproco, riunendosi a volte in gruppi di centinaia di coppie intente in corteggiamenti nuziali o in frenetiche ricerche di cibo per i piccoli. In Lomellina esistono ben 15 garzaie protette e tutelate; di seguito riportiamo le caratteristiche salienti delle principali. La garzaia del lago di Sartirana Ubicata nei pressi di una lanca formatasi nel settecento da un'ansa del Sesia, nel suo ambito ospita un imponente numero di specie vegetali. Sullo specchio d'acqua cresce rigoglioso il nannufaro (Nuphar luteum), della famiglia delle ninfee con il suo caratteristico fiore giallo. Sui bordi della garzaia cresce il salice o salicone (Salix caprea) e la canna di palude (Phragmites australis). Sul terreno più consolidato crescono tre tipi di pioppo: il pioppo nero (Populus nigra), il pioppo bianco (Populus alba), il pioppo tremulo (Populus tremula), così pure l'ontano (Alnus glutinosa), il salice (Salix alba), l'olmo (Ulmus minor), la quercia (Quercus robur), ed inoltre arbusti come il sanguinello (Curnus sanguinea) ed il nocciolo (Corylus avellana). Per quanto riguarda gli aspetti faunistici, l'avifauna fa la parte del leone con almeno sette specie di aironi nidificanti oppure presenti (ricordiamo il raro Tarabuso e l'Airone bianco maggiore), con la saltuaria presenza del Mignattaio (un ibis europeo) e la nidificazione regolare del Falco di palude, del Martin pescatore, della Folaga, della Gallinella d'acqua e del Germano reale. Il lago offre rifugio sicuro a molte specie di pesci, a numerosi anfibi e a numerosi rettili quali il Biacco e la Biscia d'acqua. Nella parte boschiva prospera il Coniglio selvatico, come pure alcuni mammiferi insettivori quali il Riccio e il toporagno. Fra gli insetti, particolarmente numerosi sono i Coleotteri acquatici, le Libellile ed alcune Farfalle diurne. Il Lago di Sartirana, con il suo canneto, è conosciuto da tempo per la sua avifauna migatoria, di sosta durante i passi. Per informazioni: Comune di Sartirana Lomellina - Ente gestore - tel. 0384/800810 - 800629. La garzaia di Celpenchio Si trova tra i comuni di Cozzo e Rosasco; vi nidifica la più ricca colonia di aironi rossi della Lomellina. La garzaia della Verminesca Situata fra i comuni di Castelnovetto, Sant'Angelo e Cozzo. La garzaia di Cascina Isola Situata a Langosco. La garzaia di Sant'Alessandro Si trova nel comune di Zeme, è la garzaia più estesa della provincia di Pavia e presenta una grande varietà di ambienti. Vi nidificano il Germano reale, il Martin pescatore, la Folaga, la Gallinella d'acqua, l'usignolo di fiume, il Cannareccione, il Tarabusino, il Mignattaio, la Spatola, l'Airone guardabuoi e l'Airone bianco maggiore. Qui si riproduce anche il Falco di palude, che nidifica tra le canne, e la Poiana. Per informazioni, rivolgersi al comune di Zeme, tel. 0384/54.021. La garzaia della Rinalda Situata a Candia. La garzaia di Acqualunga Situata nei pressi dell'omonima Abbazia nel comune di Frascarolo. La garzaia di Cascina Notizia Situata vicino a Goido (Mede). La garzaia di Villa Biscossi Situata nell'omonima località. Il Bosco Siro Negri Il Bosco Negri si trova al confine della Lomellina, all'interno del Parco del Ticino, alle porte di Pavia; era proprietà di Siro Negri, un grande appassionato di natura, che nel 1968 lo lasciò in eredità al comune di Pavia; tramite una convenzione, l'Amministrazione Comunale del capoluogo pavese ne ha affidato la gestione naturalistica e didattica alla LIPU (Lega Italiana Protezione Uccelli). Attualmente il Bosco è vincolato come "Riserva Naturale Orientata". I boschi e la flora Il Bosco, che occupa una superficie di circa 34 ettari, rappresenta un ottimo esempio della vegetazione che ricopriva gran parte della Pianura Padana prima dell'arrivo dei Romani. L'albero simbolo della foresta planiziale è indubbiamente la Farnia (Quercus robur), una quercia che può raggiungere dimensioni notevoli. Tra gli arbusti sono comuni il Biancospino (Crataegus monogyna) ed il Ciliegio a grappoli (Prunus padus), dalle spettacolari e profumatissime fioriture all'inizio della primavera. Tra le specie erbacee si possono notare le stupende fioriture di Anemone dei boschi (Anemone nemorosa) e di Mughetto (Convallaria majalis). La fauna Molte sono le specie di animali che hanno qui trovato una vera e propria "isola" di tranquillità. La ricca vegetazione offre infatti rifugio, cibo e la possibilità di riprodursi a specie che non si adatterebbero ad ambienti meno naturali. Gli studi condotti dai ricercatori dell'Università di Pavia hanno permesso di conoscere a fondo la fauna presente in questa riserva naturale. Gli uccelli sono particolarmente abbondanti, e sono presenti con numerose specie in tutte le stagioni. Sono quattro le specie di picchi nidificanti: il Picchio rosso maggiore (Dendrocopus major), molto comune, ed il Picchio verde (Picus viridis); il Torcicollo (Jynx torquilla), che in inverno migra in zone più calde; ed infine in Picchio rosso minore (Dendrocopus minor), una vera rarità in Italia. Fra i rapaci notturni è comune l'Allocco (Strix aluco), ma il bosco è anche un buon punto di osservazione per i rapaci diurni: d'estate è molto facile osservare le evoluzioni in volo del Lodolaio (Falco subbuteo), che nidifica in vecchi nidi abbandonati di Cornacchia grigia (Corvus corone cornix), mentre d'inverno arrivano la Poiana (Buteo buteo) e lo Sparviero (Accipiter nisus). Una curiosità ornitologica è poi la nidificazione del Martin pescatore (Alcedo atthis) in pieno bosco; le gallerie-nido vengono scavate nel terriccio trattenuto dalle radici dei grossi alberi abbattuti dal vento. Fra gli anfibi citiamo la Rana di Lataste (Rana latastei), una specie endemica della Pianura Padana che depone le uova nelle pozze ai margini del bosco e nei piccoli stagni appositamente ricostruiti. Anche altri anfibi, come il Tritone punteggiato (Triturus vulgaris), il Rospo smeraldino (Bufo viridis), il Rospo comune (Bufo bufo), la Rana verde (Rana esculenta) e la Raganella (Hyla arborea) vivono nell'oasi. La comunità dei mammiferi, pur essendo numerosa ed abbondante, non si lascia osservare molto facilmente, per via delle abitudini notturne. Impronte, resti dei pasti, escrementi e tane sono però indizi che un occhio attento riesce a cogliere. L'elenco delle specie sarebbe lungo, ma val la pena di accennare alle ben cinque specie di carnivori che vivono nel bosco: Volpe (Vulpes vulpes), Tasso (Meles meles), Donnola (Mustela nivalis), Puzzola (Mustela putorius) e Faina (Martes foina), oltre che al Ghiro (Glis glis) e al Moscardino (Moscardinus avellanarius), alla rara Arvicola rossastra (Clethrionomys glareolus) e alle diverse specie di Pipistrelli (Pipistrellus pipistrellus). Per saperne di più... Il Bosco Negri è aperto tutto l'anno, nei giorni di sabato, domenica e festivi; l'orario è dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 19. Le visite delle scolaresche e dei gruppi devono essere prenotate al numero 0382/569.402. Nei mesi invernali, a causa delle condizioni atmosferiche, il Bosco può rimanere chiuso. Per ulteriori informazioni, consigliamo inoltre la visita del sito Internet www.italnet.it/lipu/oasicen1.htm. La lanca "Agogna Morta" Laboratorio di ecologia all'aperto La lanca denominata "Agogna Morta" è un meandro del torrente Agogna, abbandonato in seguito ad opere ri raddrizzamento dell'alveo realizzate intorno alla metà degli anni '50, che si trova tra Basso Novarese e Lomellina, nei comuni di Borgolavezzaro (provincia di Novara) e Nicorvo. Le specie di flora e fauna presenti, pur essendo abbastanza comuni, sono, tuttavia, peculiari delle zone umide e costituiscono sicuramente un aspetto di questa pianura dalle caratteristiche delicate ed ormai rare. All'interno della lanca l'Associazione Culturale Burchviv di Borgolavezzaro, in collaborazione con la Federazione Nazionale Pro Natura, ha iniziato, a partire dal 1991, un progetto per la ricostruzione e conservazione ambientale volto a: garantire la sopravvivenza della lanca con tutte le forme di vita animale e vegetale che la caratterizzano; intraprendere una adeguata sperimentazione nel campo del rimboschimento naturalistico con specie rigorosamente autoctone per restituire all'area una copertura arborea quanto più vicina, come composizione, alla copertura originaria, ormai mancante da secoli. La flora La vegetazione arborea ripariale è costituita quasi esclusivamente da Robinia; rimangono, però, gruppi di Salici bianchi, alcuni Olmi, Ontani, Farnie; essenze superstiti di quelle che dovevano costituire, insieme ad autoctoni Pioppi, Carpini ed Aceri, l'associazione di alberi dominante. Tra gli arbusti si trovano il Sambuco, il Sanguinello, il Salicone, la Rosa Canina, il Rovi ed il Luppolo, liana erbacea perenne ma a fusti anuali. Man mano che ci si avvicina all'acqua si incontrano grosse Carici, la Stiancia, l'Iris palustre e poi la Tifa e la Cannuccia di palude; dello specchio d'acqua vero e proprio signore è il Nannufaro, la ninfea gialla. Nel progetto di ricostruzione del bosco, il terreno all'interno della lanca è stato suddiviso in quaranta parcelle: 10 sono rimaste incolte, in modo da poterne osservare il comportamento; in ognuna delle altre 30 sono state messe a dimora sette giovani piante (quattro Farnie, un Acero campestre, un Pioppo bianco ed un Carpino bianco), e, per ogni pianta, diversi arbusti (Biancospino, Prugnolo, Sanguinello e Nocciolo). La fauna L'aspetto faunistico più rilevante e peculiare è rappresentato dal Tarabusino, volatile timido ed abituato a vivere ben nascosto. Caratteristica di questo uccello è quello di puntare, per la propria difesa, più sul mimetismo che sulla fuga. In caso di pericolo, infatti, assume la tipica forma verticale ed allungata, rendendosi quasi invisibile tra le canne. Altrettanto poco visibile, ma del quale si rileva la presenza, dal canto gutturale e gracidante, è è il Cannareccione, uccello per cui, al pari del Tarabusino, la lanca è sinonimo di sopravvivenza. Questo passeriforme è, col proprio forte canto che si leva dal canneto, una realtà pressoché esclusiva di tale tipo di ambiente. Altro ospite, assai più: comune, che nell'Agogna Morta trova il proprio ambiente ideale, è la Gallinella d'acqua. E' facile vedere l'adulto, quando è tempo di nidi, che accompagna i propri numerosi pulcini camminando con agilità sulle erbe acquatiche alla ricerca di molluschi, insetti, germogli, semi. Un notevole numero di altri animali, soprattutto uccelli, fanno ruotare intorno a questa lanca la propria esistenza: anche il germano reale vi alleva i piccoli, vi nidificano il Merlo, l'Usignolo, la Capinera, il Codibugnolo e lo Scricciolo; e nelle cavità dei vecchi salici, la Cinciallegra; la Nitticora, l'Airone cinerino, l'Airone rosso, la Garzetta vengono qui a nutrirsi. Il Cuculo trova i nidi da parassitare ed in cui deporre il proprio uovo. Non mancano uccelli divenuti ormai rari come l'Upupa, il Picchio verde, il Gufo comune, il Rigognolo. Sotto il pelo dell'acqua vi è il regno di quei pesci che ben si adattano alle acque stagnanti e calde: Carpe, Tinche, Scardole, Carassi, Persici sole, Alborelle ed il vorace Pesce gatto. All'apice della piramide alimentare vi è il Persico trota, predatore di origine nordamericana introdotto in tempi recenti. Per saperne di più... Tutto quanto riportato in questa pagina è stato estratto dalla esauriente pubblicazione "Guida al laboratorio di ecologia all'aperto Agogna Morta", edito dall'Associazione Culturale Burchviv di Borgolavezzaro e dalla Federazione Nazionale Pro Natura. Per maggiori informazioni ci si può quindi rivolgere all'Associazione Culturale Burchviv - Via Molino Muovo, 10 - 28071 Borgolavezzaro (NO) - tel. 0321/885.684. La nostra terra: la Lomellina "Interamente pianeggiante, è terra dove, meglio che altrove, si coglie e si sente l'alternarsi delle stagioni: intirizzita d'inverno, verdissima e calda d'estate, piena di colori e di vento in autunno e risplendente, a primavera, dell'oro delle foglie dei pioppi, messi in lunghe file a scandire le estese risaie che come un immenso specchio riflettono il cielo." La Lomellina è un'area pianeggiante e fertile di circa 1.250 kmq, interamente compresa nella provincia di Pavia (cartina - 35 Kb); su tre lati ha confini naturali che la delimitano chiaramente: il Sesia ad ovest, il Po ad ovest e a sud ed il Ticino ad est; il confine a nord è rappresentato dalla cosiddetta "linea dei fontanili". Questo territorio è diviso in tre "fette" dai torrenti Agogna e Terdoppio: la zona occidentale è compresa tra il fiume Sesia ed il torrente Agogna, quella centrale tra i torrenti Agogna e Terdoppio, e quella orientale tra il torrente Terdoppio ed il fiume Ticino. In epoca romana queste tre zone erano denominate rispettivamente "Cottuda", "Alliana" e "Siccomaro". La Lomellina è un mosaico di 60 comuni; Vigevano è il centro più importante e, con la meravigliosa Piazza Ducale ed il vastissimo Castello visconteo, anche quello di maggiore attrazione turistica. Ma anche la campagna e molti altri centri minori, piccoli paesi e cittadine, spesso a torto considerati poveri e carenti di attrattive dal punto di vista storico, artistico, culturale ed ambientale, sono, al contrario, più di quanto comunemente si creda, ricchi di testimonianze di ogni epoca, che nella varietà del paesaggio custodiscono e riflettono una loro propria identità. Infatti, questo territorio ha mantenuto una sorpredente unità, malgrado la sua posizione di marca di confine, di terra di passaggio tra potenze per secoli e secoli in lotta fra loro. Unica eccezione è Vigevano, tutta milanese, che ha proprio una storia a parte. Questo carattere di terra-ponte, non più piemontese e non del tutto lombarda, è ancora visibile a chi percorra in lungo e in largo la Lomellina. Questa terra ha altresì legato il suo nome ad alcuni famosi personaggi, che hanno lasciato la propria impronta nel percorso della nostra storia nazionale. In Lomellina si coglie molto bene il mutare delle stagioni: bianca di brina o di neve in inverno, con il "mare a scacchi", come viene definito lo straordinario specchio delle acque nelle risaie in primavera, calda e molto verde d'estate, e "dipinta" con mille tonalità di colori in autunno. La primavera e l'autunno sono i periodi migliori per visitare questo fazzoletto di terra, a volte spettacolare, scegliendo fra diversi itinerari e numerose possibilità: le escursioni a piedi o in bicicletta, la visita alle importanti testimonianze del passato, le passeggiate a cavallo, le discese in canoa sul Ticino, il "fiume azzurro", o la caccia fotografica nelle numerose aree protette che sono disseminate nel territorio. Inoltre, durante tutto l'anno è possibile partecipare ad innumerevoli sagre e feste popolari, spesso di antica tradizione, che uniscono aspetti religiosi ad altri gastronomici e ricreativi. Tutti questi argomenti sono descritti in maniera più dettagliata nelle pagine che seguono, anche se ci rendiamo perfettamente conto che questo nostro lavoro necessita di diverse integrazioni e di continui aggiornamenti. Noi saremmo già pienamente appagati se solo fossimo riusciti a suscitare motivi di interesse o di curiosità per questo fazzoletto di terra e per la gente che vi abita, sempre cordiale ed accogliente. Per saperne di più, è possibile contattare le numerose associazioni turistiche presenti sul territorio. Ora non ci resta che invitarvi calorosamente per una visita nella nostra Lomellina: state certi che non rimarrete delusi. La nostra terra: la Lomellina "Interamente pianeggiante, è terra dove, meglio che altrove, si coglie e si sente l'alternarsi delle stagioni: intirizzita d'inverno, verdissima e calda d'estate, piena di colori e di vento in autunno e risplendente, a primavera, dell'oro delle foglie dei pioppi, messi in lunghe file a scandire le estese risaie che come un immenso specchio riflettono il cielo." La Lomellina è un'area pianeggiante e fertile di circa 1.250 kmq, interamente compresa nella provincia di Pavia (cartina - 35 Kb); su tre lati ha confini naturali che la delimitano chiaramente: il Sesia ad ovest, il Po ad ovest e a sud ed il Ticino ad est; il confine a nord è rappresentato dalla cosiddetta "linea dei fontanili". Questo territorio è diviso in tre "fette" dai torrenti Agogna e Terdoppio: la zona occidentale è compresa tra il fiume Sesia ed il torrente Agogna, quella centrale tra i torrenti Agogna e Terdoppio, e quella orientale tra il torrente Terdoppio ed il fiume Ticino. In epoca romana queste tre zone erano denominate rispettivamente "Cottuda", "Alliana" e "Siccomaro". La Lomellina è un mosaico di 60 comuni; Vigevano è il centro più importante e, con la meravigliosa Piazza Ducale ed il vastissimo Castello visconteo, anche quello di maggiore attrazione turistica. Ma anche la campagna e molti altri centri minori, piccoli paesi e cittadine, spesso a torto considerati poveri e carenti di attrattive dal punto di vista storico, artistico, culturale ed ambientale, sono, al contrario, più di quanto comunemente si creda, ricchi di testimonianze di ogni epoca, che nella varietà del paesaggio custodiscono e riflettono una loro propria identità. Infatti, questo territorio ha mantenuto una sorpredente unità, malgrado la sua posizione di marca di confine, di terra di passaggio tra potenze per secoli e secoli in lotta fra loro. Unica eccezione è Vigevano, tutta milanese, che ha proprio una storia a parte. Questo carattere di terra-ponte, non più piemontese e non del tutto lombarda, è ancora visibile a chi percorra in lungo e in largo la Lomellina. Questa terra ha altresì legato il suo nome ad alcuni famosi personaggi, che hanno lasciato la propria impronta nel percorso della nostra storia nazionale. In Lomellina si coglie molto bene il mutare delle stagioni: bianca di brina o di neve in inverno, con il "mare a scacchi", come viene definito lo straordinario specchio delle acque nelle risaie in primavera, calda e molto verde d'estate, e "dipinta" con mille tonalità di colori in autunno. La primavera e l'autunno sono i periodi migliori per visitare questo fazzoletto di terra, a volte spettacolare, scegliendo fra diversi itinerari e numerose possibilità: le escursioni a piedi o in bicicletta, la visita alle importanti testimonianze del passato, le passeggiate a cavallo, le discese in canoa sul Ticino, il "fiume azzurro", o la caccia fotografica nelle numerose aree protette che sono disseminate nel territorio. Inoltre, durante tutto l'anno è possibile partecipare ad innumerevoli sagre e feste popolari, spesso di antica tradizione, che uniscono aspetti religiosi ad altri gastronomici e ricreativi. Tutti questi argomenti sono descritti in maniera più dettagliata nelle pagine che seguono, anche se ci rendiamo perfettamente conto che questo nostro lavoro necessita di diverse integrazioni e di continui aggiornamenti. Noi saremmo già pienamente appagati se solo fossimo riusciti a suscitare motivi di interesse o di curiosità per questo fazzoletto di terra e per la gente che vi abita, sempre cordiale ed accogliente. Per saperne di più, è possibile contattare le numerose associazioni turistiche presenti sul territorio. Ora non ci resta che invitarvi calorosamente per una visita nella nostra Lomellina: state certi che non rimarrete delusi. La nostra terra: la Lomellina "Interamente pianeggiante, è terra dove, meglio che altrove, si coglie e si sente l'alternarsi delle stagioni: intirizzita d'inverno, verdissima e calda d'estate, piena di colori e di vento in autunno e risplendente, a primavera, dell'oro delle foglie dei pioppi, messi in lunghe file a scandire le estese risaie che come un immenso specchio riflettono il cielo." La Lomellina è un'area pianeggiante e fertile di circa 1.250 kmq, interamente compresa nella provincia di Pavia (cartina - 35 Kb); su tre lati ha confini naturali che la delimitano chiaramente: il Sesia ad ovest, il Po ad ovest e a sud ed il Ticino ad est; il confine a nord è rappresentato dalla cosiddetta "linea dei fontanili". Questo territorio è diviso in tre "fette" dai torrenti Agogna e Terdoppio: la zona occidentale è compresa tra il fiume Sesia ed il torrente Agogna, quella centrale tra i torrenti Agogna e Terdoppio, e quella orientale tra il torrente Terdoppio ed il fiume Ticino. In epoca romana queste tre zone erano denominate rispettivamente "Cottuda", "Alliana" e "Siccomaro". La Lomellina è un mosaico di 60 comuni; Vigevano è il centro più importante e, con la meravigliosa Piazza Ducale ed il vastissimo Castello visconteo, anche quello di maggiore attrazione turistica. Ma anche la campagna e molti altri centri minori, piccoli paesi e cittadine, spesso a torto considerati poveri e carenti di attrattive dal punto di vista storico, artistico, culturale ed ambientale, sono, al contrario, più di quanto comunemente si creda, ricchi di testimonianze di ogni epoca, che nella varietà del paesaggio custodiscono e riflettono una loro propria identità. Infatti, questo territorio ha mantenuto una sorpredente unità, malgrado la sua posizione di marca di confine, di terra di passaggio tra potenze per secoli e secoli in lotta fra loro. Unica eccezione è Vigevano, tutta milanese, che ha proprio una storia a parte. Questo carattere di terra-ponte, non più piemontese e non del tutto lombarda, è ancora visibile a chi percorra in lungo e in largo la Lomellina. Questa terra ha altresì legato il suo nome ad alcuni famosi personaggi, che hanno lasciato la propria impronta nel percorso della nostra storia nazionale. In Lomellina si coglie molto bene il mutare delle stagioni: bianca di brina o di neve in inverno, con il "mare a scacchi", come viene definito lo straordinario specchio delle acque nelle risaie in primavera, calda e molto verde d'estate, e "dipinta" con mille tonalità di colori in autunno. La primavera e l'autunno sono i periodi migliori per visitare questo fazzoletto di terra, a volte spettacolare, scegliendo fra diversi itinerari e numerose possibilità: le escursioni a piedi o in bicicletta, la visita alle importanti testimonianze del passato, le passeggiate a cavallo, le discese in canoa sul Ticino, il "fiume azzurro", o la caccia fotografica nelle numerose aree protette che sono disseminate nel territorio. Inoltre, durante tutto l'anno è possibile partecipare ad innumerevoli sagre e feste popolari, spesso di antica tradizione, che uniscono aspetti religiosi ad altri gastronomici e ricreativi. Tutti questi argomenti sono descritti in maniera più dettagliata nelle pagine che seguono, anche se ci rendiamo perfettamente conto che questo nostro lavoro necessita di diverse integrazioni e di continui aggiornamenti. Noi saremmo già pienamente appagati se solo fossimo riusciti a suscitare motivi di interesse o di curiosità per questo fazzoletto di terra e per la gente che vi abita, sempre cordiale ed accogliente. Per saperne di più, è possibile contattare le numerose associazioni turistiche presenti sul territorio. Ora non ci resta che invitarvi calorosamente per una visita nella nostra Lomellina: state certi che non rimarrete delusi. Il territorio e l'ambiente La Lomellina risale geomorfologicamente all'era quaternaria. Il territorio, fertile e pianeggiante, è stato per diversi secoli coltivato principalmente a grano, mais e foraggio; tuttavia, oggi, la Lomellina è il regno del riso e, grazie a ciò, la provincia di Pavia è la prima produttrice risicola italiana. In origine, in epoca quaternaria l'area fu modellata da fiumane che depositarono sabbia e ciottoli formando dossi, conche e avallamenti che si conservarono, costellati di paludi e boschi, fino al Medioevo. Infatti, nulla di questo tranquillo paesaggio è naturale: tutto è stato costruito, trasformato ed organizzato dall'uomo con infinita e secolare pazienza. L'ambiente che vediamo oggi è frutto di un lavoro che l'uomo ha intrapreso fino a rendere queste terre fra le più fertili del mondo, "... un immenso deposito di fatiche, per nove decimi non opera della natura ma delle mani, una patria artificiale", come scrisse Carlo Cattaneo. Per natura questa terra di risorgive è stata per secoli un'impraticabile palude, ma le comunità dei monaci nel medioevo, che bonificarono la zona introducendo le marcite, la colonizzazione feudale nel duecento e le grandi riforme agricole introdotte dagli Sforza, che sperimentarono la coltivazione del riso, hanno fatto di questa zona un mosaico di ricchissimi campi di cereali. Al servizio di questa estensione di coltivazioni, a fianco dei tre fiumi naturali che delimitano la Lomellina, è stato organizzato un complesso sistema idrico di rogge e canali, che hanno dato vita alla costruzione dei mulini, e sono sorte le cascine "a corte chiusa", tipici insediamenti rurali della pianura padana. Questo habitat lentamente sta recuperando il suo equilibrio biologico; sono stati compiuti alcuni significativi passi nella conservazione delle aree ambientali di un certo interesse naturalistico; il primo e più importante è rappresentato dalla costituzione del Parco Fluviale del Ticino, di primaria importanza per la conservazione di molte specie di piante e di animali. Inoltre sono state recuperate diverse garzaie, e conservati alcuni boschi con vegetazione autoctona della Pianura Padana; tra questi ricordiamo il "Bosco Negri" a Zerbolò, la "Palude Loya" tra Zeme e Sant'Angelo, ed il "boschetto di Scaldasole" che si trova su un dosso sabbioso ed è prevalentemente occupato da Farnie, di cui alcune raggiungono dimensioni notevoli; altre aree sono in fase di costituzione o di rimboschimento: tra queste ricordiamo la "Lanca dell'Agogna Morta", tra Nicorvo ed il confinante comune piemontese di Borgolavezzaro. Il territorio e l'ambiente La Lomellina risale geomorfologicamente all'era quaternaria. Il territorio, fertile e pianeggiante, è stato per diversi secoli coltivato principalmente a grano, mais e foraggio; tuttavia, oggi, la Lomellina è il regno del riso e, grazie a ciò, la provincia di Pavia è la prima produttrice risicola italiana. In origine, in epoca quaternaria l'area fu modellata da fiumane che depositarono sabbia e ciottoli formando dossi, conche e avallamenti che si conservarono, costellati di paludi e boschi, fino al Medioevo. Infatti, nulla di questo tranquillo paesaggio è naturale: tutto è stato costruito, trasformato ed organizzato dall'uomo con infinita e secolare pazienza. L'ambiente che vediamo oggi è frutto di un lavoro che l'uomo ha intrapreso fino a rendere queste terre fra le più fertili del mondo, "... un immenso deposito di fatiche, per nove decimi non opera della natura ma delle mani, una patria artificiale", come scrisse Carlo Cattaneo. Per natura questa terra di risorgive è stata per secoli un'impraticabile palude, ma le comunità dei monaci nel medioevo, che bonificarono la zona introducendo le marcite, la colonizzazione feudale nel duecento e le grandi riforme agricole introdotte dagli Sforza, che sperimentarono la coltivazione del riso, hanno fatto di questa zona un mosaico di ricchissimi campi di cereali. Al servizio di questa estensione di coltivazioni, a fianco dei tre fiumi naturali che delimitano la Lomellina, è stato organizzato un complesso sistema idrico di rogge e canali, che hanno dato vita alla costruzione dei mulini, e sono sorte le cascine "a corte chiusa", tipici insediamenti rurali della pianura padana. Questo habitat lentamente sta recuperando il suo equilibrio biologico; sono stati compiuti alcuni significativi passi nella conservazione delle aree ambientali di un certo interesse naturalistico; il primo e più importante è rappresentato dalla costituzione del Parco Fluviale del Ticino, di primaria importanza per la conservazione di molte specie di piante e di animali. Inoltre sono state recuperate diverse garzaie, e conservati alcuni boschi con vegetazione autoctona della Pianura Padana; tra questi ricordiamo il "Bosco Negri" a Zerbolò, la "Palude Loya" tra Zeme e Sant'Angelo, ed il "boschetto di Scaldasole" che si trova su un dosso sabbioso ed è prevalentemente occupato da Farnie, di cui alcune raggiungono dimensioni notevoli; altre aree sono in fase di costituzione o di rimboschimento: tra queste ricordiamo la "Lanca dell'Agogna Morta", tra Nicorvo ed il confinante comune piemontese di Borgolavezzaro. Lomellina in festa Lomellina in festa GennaioFesta di Sant'Antonio AbateZinasco FebbraioIl Carnevale BurgundoSannazzaro MarzoNon ci sono manifestazioni da segnalare????????.htm AprileFesta della Madonna della BozzolaGarlasco Festa di San GiorgioSan Giorgio Fiera di San GiorgioGropello C. MaggioFesta di Santa CroceMortara Fiera di MaggioConfienza Sagra dell'AsparagoCilavegna Festa PatronaleLomello Festa di Santa RitaVigevano Festa della Madonna della NeveVigevano Festa della Madonna di FatimaVigevano GiugnoFesta dell'ArteGravellona Giubileo PerpetuoPieve del C. Festa del Sacro CuoreVigevano Sagra della CipollaBreme Sagra del Riso LomellinoSannazzaro Sagra dello SpiedinoTorre Beretti Festa PatronaleSuardi Festa di San GiovanniFerrera Erb. Festa dei Santi Pietro e PaoloCilavegna Festa Patronale - Sagra del CucùValeggio LuglioFesta di San DefendenteCassolnovo Festa della SforzescaVigevano Festa della BirraAlagna Festa della Madonna del CarmineVigevano Festa di Sant'AnnaCilavegna Festa di Sant'AnnaDorno Festa PatronaleVillanova AgostoSagra del PaeseAlagna Festa della Beata Vergine della NeveVigevano Fiera d'AgostoConfienza Sagra dell'AssuntaFrascarolo Festa di S. Rocco e sagra del "Salam dla duja"Olevano Sagra di San RoccoGambarana Sagra della CozzaCastelnovetto Festa di San BernardoVigevano Sagra PatronaleScaldasole Festa di fine EstateSan Martino Fiera d'AgostoOttobiano Sagra di San BartolomeoSuardi Festa di San RoccoSommo SettembreSagra della RanaSartirana Settembre CulturaleCilavegna Settembre SannazzareseSannazzaro Sagra del RisoValle Palio d'la CiaramelaMede Sagra di Sant'AgostinoCava Manara Palio dl'UrmonRobbio Festa di San Pio XMortara Sagra PatronaleGarlasco Sagra dello SpiedinoCastello d'Ag. Festa del rione CascameVigevano Sagra del MaisAlbonese Sagra PatronaleTravacò Festa PatronalePieve del C. Festa dell'"Addolorata" e del rione CavallinoVigevano Festa dell'"Immacolata"Vigevano Sagra del Salame d'OcaMortara OttobreSagra delle "Offelle di Parona"Parona Sagra PatronalePieve Alb. Festa del "Beato Matteo" - Palio delle ContradeVigevano Festa di San BartolomeoDorno Sagra del PaeseFerrera Erb. Fiera d'OttobreMezzana Bigli Sagra PatronaleCarbonara Festa dei PiccoliniVigevano Festa Patronale di San MicheleOlevano NovembreNon ci sono manifestazioni da segnalare????????.htm DicembrePresepe viventeGambarana La gastronomia ed i prodotti tipici La tavola lomellina è fortemente influenzata dalla civiltà contadina della risaia, dell'orto, dei fiumi e dei torrenti, degli animali allevati nelle cascine o cacciati nei boschi. I piatti sono semplici ed allo stesso tempo originali, dai sapori concreti e robusti, sempre gustosi e nutrienti. Gli antipasti si basano soprattutto sui salumi nelle diverse produzioni; due in particolare meritano attenzione: il "Salam d'la duja", il tipico salame di maiale conservato sotto grasso nelle olle, caratteristici recipienti in terracotta dall'imboccatura ristretta, e, soprattutto, il famosissimo salame d'oca, d'obbligo assieme ai prelibati patè. Nei primi piatti la fa da padrone il riso, che troviamo nei minestroni e, soprattutto, nei risotti, che si ottengono facendo tostare il riso in un soffritto di lardo, cipolla tritata e pasta di salame, bagnando il tutto via via con buon brodo di gallina. La ricetta base si presta poi ai più fantasiosi abbinamenti: ecco dunque nascere il riso con i "fagiolini dell'occhio", con le "barlande" (erbette dei prati), con i funghi porcini, con gli asparagi e con le ortiche. Caratteristici della zona anche il delicatissimo risotto con le rane ed il risotto arrostito. Ed inoltre i ravioli ripieni di stufato e conditi con il sugo, il minestrone di pasta o riso e fagioli, di riso con verdure e la zuppa di ceci (che si gusta tradizionalmente a novembre durante il periodo "dei morti"). Un piatto ormai pressoché scomparso è la minestra di pan grattato, nel dialetto locale panada: proveniente dalla cucina povera della vicina Milano, un tempo non mancava mai nel pranzo pasquale. Come secondi piatti si può trovare una vasta gamma di specialità a base di maiale, per combattere il clima freddo e umido della zona. Oltre ai salami, ai cotechini, alla pancetta ed alla coppa, ricordiamo il "ragò", un piatto a base di verze arrosto con costine e cotenne di maiale, o la frittura da accompagnare alla polenta. Un'altro caratteristico piatto, ormai scomparso dalle tavole lomelline, è la frittura di sangue di pollo, mentre si trova spesso il bollito. La selvaggina trova spazio con la lepre in salmì e con il fagiano alla cacciatora, i funghi sono presenti con i chiodini, che abbondano in campagna, cucinati con salsiccia, lombo e polenta, il cotechino con le lenticchie o la purè. Altrettanto invitanti sono i piatti con le lumache e con i caratteristici pesci di fiume, ed i pesciolini (caratteristiche le "bottine", che si trovano nei fossi) fritti. Per non dimenticare gli animali allevati in cortile, l'oca, l'anatra, la gallina, la faraona, il tacchino. Le erbe raccogliticce della campagna vengono cucinate al tegame con burro o nelle più svariate frittate (poco conosciuta, ma tipicamente locale la frittata con "luvartis", il luppolo selvatico), mentre gli asparagi vengono affiancati alle uova. D'estate, a dominare la cucina locale sono le rane, gli inquilini più comuni di fossi e risaie: si possono gustare fritte, in guazzetto, con la frittata o nella zuppa. Per i dolci vengono sempre usati i semplici e genuini prodotti locali: in primo piano vanno messe senza alcun dubbio le Offelle di Parona, dalla tradizionale forma ovale con le estremità appuntite; inoltre vi sono diversi tipi di torte: la "virulà", quelle di riso e di pane e la torta paradiso. E poi ancora i biscotti di riso ed "il dolce del Moro", la cui ricetta risale al tempo di Ludovico il Moro. Nel periodo carnevalesco è tradizione preparare anche le frittelle. Famosi sono anche i biscotti Bramantini di Vigevano. La gastronomia ed i prodotti tipici La tavola lomellina è fortemente influenzata dalla civiltà contadina della risaia, dell'orto, dei fiumi e dei torrenti, degli animali allevati nelle cascine o cacciati nei boschi. I piatti sono semplici ed allo stesso tempo originali, dai sapori concreti e robusti, sempre gustosi e nutrienti. Gli antipasti si basano soprattutto sui salumi nelle diverse produzioni; due in particolare meritano attenzione: il "Salam d'la duja", il tipico salame di maiale conservato sotto grasso nelle olle, caratteristici recipienti in terracotta dall'imboccatura ristretta, e, soprattutto, il famosissimo salame d'oca, d'obbligo assieme ai prelibati patè. Nei primi piatti la fa da padrone il riso, che troviamo nei minestroni e, soprattutto, nei risotti, che si ottengono facendo tostare il riso in un soffritto di lardo, cipolla tritata e pasta di salame, bagnando il tutto via via con buon brodo di gallina. La ricetta base si presta poi ai più fantasiosi abbinamenti: ecco dunque nascere il riso con i "fagiolini dell'occhio", con le "barlande" (erbette dei prati), con i funghi porcini, con gli asparagi e con le ortiche. Caratteristici della zona anche il delicatissimo risotto con le rane ed il risotto arrostito. Ed inoltre i ravioli ripieni di stufato e conditi con il sugo, il minestrone di pasta o riso e fagioli, di riso con verdure e la zuppa di ceci (che si gusta tradizionalmente a novembre durante il periodo "dei morti"). Un piatto ormai pressoché scomparso è la minestra di pan grattato, nel dialetto locale panada: proveniente dalla cucina povera della vicina Milano, un tempo non mancava mai nel pranzo pasquale. Come secondi piatti si può trovare una vasta gamma di specialità a base di maiale, per combattere il clima freddo e umido della zona. Oltre ai salami, ai cotechini, alla pancetta ed alla coppa, ricordiamo il "ragò", un piatto a base di verze arrosto con costine e cotenne di maiale, o la frittura da accompagnare alla polenta. Un'altro caratteristico piatto, ormai scomparso dalle tavole lomelline, è la frittura di sangue di pollo, mentre si trova spesso il bollito. La selvaggina trova spazio con la lepre in salmì e con il fagiano alla cacciatora, i funghi sono presenti con i chiodini, che abbondano in campagna, cucinati con salsiccia, lombo e polenta, il cotechino con le lenticchie o la purè. Altrettanto invitanti sono i piatti con le lumache e con i caratteristici pesci di fiume, ed i pesciolini (caratteristiche le "bottine", che si trovano nei fossi) fritti. Per non dimenticare gli animali allevati in cortile, l'oca, l'anatra, la gallina, la faraona, il tacchino. Le erbe raccogliticce della campagna vengono cucinate al tegame con burro o nelle più svariate frittate (poco conosciuta, ma tipicamente locale la frittata con "luvartis", il luppolo selvatico), mentre gli asparagi vengono affiancati alle uova. D'estate, a dominare la cucina locale sono le rane, gli inquilini più comuni di fossi e risaie: si possono gustare fritte, in guazzetto, con la frittata o nella zuppa. Per i dolci vengono sempre usati i semplici e genuini prodotti locali: in primo piano vanno messe senza alcun dubbio le Offelle di Parona, dalla tradizionale forma ovale con le estremità appuntite; inoltre vi sono diversi tipi di torte: la "virulà", quelle di riso e di pane e la torta paradiso. E poi ancora i biscotti di riso ed "il dolce del Moro", la cui ricetta risale al tempo di Ludovico il Moro. Nel periodo carnevalesco è tradizione preparare anche le frittelle. Famosi sono anche i biscotti Bramantini di Vigevano. I dossi I dossi sono ancora ben visibili nei pressi di Remondò, a sud della statale Mortara-Pavia, in area non accessibile perché zona militare, di Parona, Scaldasole e soprattutto lungo la strada Cergnago-Tromello, in zona, di proprietà privata, destinata ad azienda faunistica. Lo spettacolo è inaspettato: collinette sabbiose e boscose alte 5-6 metri si intervallano a conche umide. I boschi, che vedono prevalere le Querce di ragguardevoli dimensioni, sono abitati dal Tasso, dal Picchio, dalla Puzzola, dalla Volpe e da molte specie di volatili, tra i quali si ricordano il Merlo, il Pettirosso, la Capinera, la Cinciallegra, il Rigolo, l'Usignolo, il Gufo, la Civetta e la Poiana. Le zone umide ospitano muschi e licheni, il Germano reale, la Gallinella d'acqua ed anfibi illustri: la Rana di Lataste ed il Rospo bruno, in via di estinzione in gran parte dell'Europa. Le marcite La marcita è una pratica colturale che si fa risalire al secolo XII. Introdotta in Lombardia dai frati Cistercensi che, con abnegazione e fatica, bonificarono fontanili e paludi e risanarono vaste aree della zona dove sgorgano le risorgive, essa si ottiene riversando per scorrimento sul terreno l'acqua di queste fontane naturali, la cui temperatura si aggira attorno ai 10 gradi centigradi. I terreni beneficiati dalla stabilità termica delle acque che fuoriescono dal suolo a temperatura costante, permettono annualmente fino ad otto tagli di erba, fornendo anche nei mesi più rigidi dell'inverno prezioso cibo fresco per gli allevamenti zootecnici. I bellissimi tappeti verdi delle marcite che, specie in inverno, suscitano ammirazione, sono altresì indispensabile fonte alimentare per anatre selvatiche, folaghe e gallinelle durante le rigide giornate invernali e le nevicate. L'abbandono dell'allevamento del bestiame da parte dei contadini ha portato a trascurare le marcite, che rischiano di scomparire dal paesaggio di queste campagne. Il sistema idrico della Lomellina La pianura Lomellina è caratterizzata da pendenza lieve ed uniforme, nella quale trovano sviluppo i terrazzi fluviali; questi delimitano chiaramente i tracciati dei principali corsi d'acqua naturali e la fittissima rete di canali per l'irrigazione. Il corso d'acqua principale, che delimita la Lomellina a sud e, parzialmente, ad ovest, è il fiume Po. Procedendo da ovest verso est, i più importanti corsi d'acqua naturali sono: fiume Sesia torrente Agogna torrente Arbogna-Erbognone torrente Terdoppio fiume Ticino Inoltre esiste una fitta rete di acque, di natura perlopiù artificiale, creata per l'irrigazione del territorio. I corpi idrici che la compongono sono: i grandi canali, che servono a portare acqua nel comprensorio derivandola dai corsi d'acqua naturali e che presentano le pareti e spesso anche il fondo rivestiti di cemento e pietrame; le grandi rogge con alveo naturale, con funzione analoga; l'intricatissima serie di rogge che costituisce la rete minore, composta da numerosissimi corsi d'acqua, ampiamente interconnessi, di origine e natura diverse (fontanili, rogge, cavi, colatori). Gli ambienti di tutti questi corsi d'acqua subiscono sovente, da parte dell'uomo, rimaneggiamenti dovuti alle esigenze operative (manovre idrauliche, sfalci della vegetazione, spurghi dei fondali, rifacimenti dei tratti di sponda, ecc.); questi interventi costituiscono fattori di stress che, nelle diverse realtà, possono essere frequenti e periodici come occasionali. La fitta rete irrigua di canali e rogge che compone la trama idrica del territorio è costituita da: Roggione di Sartirana Diramatore Quintino Sella e subdiramatori Naviglio Langosco Cavo Plezza Cavo Moscatello-Roggia Nuova Roggia Cona-Canale di Breme-Sesia Morta Canale San Michele Roggia Ravasino e Lanca del Molino Canale Riadino Colatore Agognetta-Riale Colatore Riazzolo Agognetta Ponteverde Roggia Castellana Canale Scavizzolo Roggia Cerro Canale Mangialoca Roggia Gaviola Colatore Gravellone Colatore Morasca Il sistema idrico della Lomellina La pianura Lomellina è caratterizzata da pendenza lieve ed uniforme, nella quale trovano sviluppo i terrazzi fluviali; questi delimitano chiaramente i tracciati dei principali corsi d'acqua naturali e la fittissima rete di canali per l'irrigazione. Il corso d'acqua principale, che delimita la Lomellina a sud e, parzialmente, ad ovest, è il fiume Po. Procedendo da ovest verso est, i più importanti corsi d'acqua naturali sono: fiume Sesia torrente Agogna torrente Arbogna-Erbognone torrente Terdoppio fiume Ticino Inoltre esiste una fitta rete di acque, di natura perlopiù artificiale, creata per l'irrigazione del territorio. I corpi idrici che la compongono sono: i grandi canali, che servono a portare acqua nel comprensorio derivandola dai corsi d'acqua naturali e che presentano le pareti e spesso anche il fondo rivestiti di cemento e pietrame; le grandi rogge con alveo naturale, con funzione analoga; l'intricatissima serie di rogge che costituisce la rete minore, composta da numerosissimi corsi d'acqua, ampiamente interconnessi, di origine e natura diverse (fontanili, rogge, cavi, colatori). Gli ambienti di tutti questi corsi d'acqua subiscono sovente, da parte dell'uomo, rimaneggiamenti dovuti alle esigenze operative (manovre idrauliche, sfalci della vegetazione, spurghi dei fondali, rifacimenti dei tratti di sponda, ecc.); questi interventi costituiscono fattori di stress che, nelle diverse realtà, possono essere frequenti e periodici come occasionali. La fitta rete irrigua di canali e rogge che compone la trama idrica del territorio è costituita da: Roggione di Sartirana Diramatore Quintino Sella e subdiramatori Naviglio Langosco Cavo Plezza Cavo Moscatello-Roggia Nuova Roggia Cona-Canale di Breme-Sesia Morta Canale San Michele Roggia Ravasino e Lanca del Molino Canale Riadino Colatore Agognetta-Riale Colatore Riazzolo Agognetta Ponteverde Roggia Castellana Canale Scavizzolo Roggia Cerro Canale Mangialoca Roggia Gaviola Colatore Gravellone Colatore Morasca I mulini Le numerosissime rogge e i canali che intersecano tutto il territorio lomellino ha favorito, nel corso dei secoli, la nascita e lo sviluppo dei mulini. Costruiti in epoche diverse per la macinazione dei cereali, azionati dall'energia idraulica, si trovano a volte inseriti all'interno dei cascinali, oppure isolati nelle campagne e, talvolta, persino ubicati nei centri abitati. Sono molto antichi e alcuni di essi sono stati citati nei manoscritti di Leonardo da Vinci. Nella storia di Vigevano si legge che proprio Leonardo, ospite di Ludovico il Moro nel castello sforzesco alla fine del XV secolo, percorse le strade della nostra campagna, osservando e studiando i corsi d'acqua esistenti. E proprio in quegli anni inventò un nuovo tipo di ruota, con pale concave in ferro, che, girando in posizione verticale e sfruttando l'energia prodotta dall'acqua di una cascata, consentiva il funzionamento di tutte le parti del mulino mediante un complicato sistema di pulegge e cinghie. I primi mulini funzionanti in questo modo furono quelli che il duca Galeazzo Visconti fece costruire a Vigevano, in località Mora bassa, nel XVII secolo. Quasi tutti funzionanti fino al 1950, sono ora in cattivo stato di conservazione e rischiano sfortunatamente la definitiva distruzione. Le cascine La cascina, caratteristico patrimonio rurale, fenomeno complesso e di grande interesse, ma a tutt'oggi scarsamente descritto e valutato nella sua importanza, rappresenta l'emblema di una civiltà, di un'architettura, di un tessuto di insediamenti agricoli tipicamente lombardi. L'organismo della cascina è saldamente ancorato al territorio ed alla sua storia in virtù di quel legame stretto di mutua dipendenza tra uomo e ambiente che si è spezzato con l'avvento della civiltà industriale. Le aziende agricole nella loro attuale configurazione sono il prodotto di lunghe mutazioni economico-sociali e di svariate forme di connubio tra uomo e territorio che si sono succedute nei secoli dando origine a tipologie differenti di insediamento e di conduzione della terra. Esse sono dunque non solo un bene architettonico di intrinseco valore artistico, ma espressione e documento storico di un modo di vita, dell'ambiente in cui l'uomo ha operato e opera, dell'uso e della gestione del suolo che caratterizzano l'economia di una zona. La cascina ha normalmente una struttura "a corte chiusa", quadrilatera; l'ampio spazio interno, quadrato o rettangolare, è il suo cuore ed è normalmente occupato dall'aia, dapprima costruita in terra battuta, poi realizzata con mattoni e più tardi in cemento. L'aia aveva lo scopo di permettere l'essiccazione dell'erba, dei cereali e del riso per esposizione dei prodotti all'aria o al sole. La "corte" viene spesso recintata con muri o siepi e dotata di uno o due ingressi chiudibili e sorvegliabili per consentire il controllo sul personale dipendente e per scoraggiare il piccolo furto campestre. Il fronte delle stalle occupa generalmente metà del perimetro edificato e sopra di esse si allineano i fienili, protetti dalle intemperie con caratteristiche graticciate di mattoni sfalsati. Un ampio spazio veniva destinato anche alle stalle destinate ai buoi ed ai cavalli e per i locali di servizio. Da questi ne veniva quasi sempre ricavato uno per la produzione dei formaggi e, accanto, trovavano posto le anguste porcilaie, consumatrici degli scarti della lavorazione del latte. Nella posizione migliore rimasta libera trovava spazio la casa del proprietario o del fittabile, cioè il conduttore dell'azienda; questa si differenzia dalle restanti abitazioni bracciantili per imponenza edile o per la presenza di qualche fregio decorativo che ne accentua la distinzione, ed ha un piano rialzato sopra le altre per far posto anche al granaio. Vi si trovano poi le case dei salariati, cioè dei contadini a contratto fisso, e dei lavoratori "stagionali", le mondine e i tagliariso. Nella cascina non è difficile trovare la chiesetta oppure un semplice campaniletto che scandiva le ore richiamando i contadini dal lavoro dei campi o annunciando la fine della dura giornata di lavoro. In Lomellina, come in tutta la pianura lombarda, le campagne sono costellate da numerosissime cascine di grande interesse. Fra queste occupa indubbiamente un posto di primo piano la Sforzesca, nei pressi di Vigevano, residenza di caccia ed azienda agricola voluta da Ludovico il Moro nel 1486. Il complesso richiama la disposizione tipica dei castelli con quattro fabbricati intorno ad un cortile centrale quasi quadrato e quattro costruzioni agli angoli, chiamati colombaroni. Tutto intorno una distesa di campagne coltivate, canali d'irrigazione e mulini ad acqua progettati niente meno che da Leonardo da Vinci, ospite della tenuta alla fine del Quattrocento. Sempre a Vigevano sorge la cascina Pegorara, ove da parte di Ludovico il Moro venne tentato senza successo l'allevamento di pecore importate dalla Linguadoca; a sud della città sono innumerevoli i centri rurali che meritano attenzione: da San Vittore, alla Favorita, alla Presciutta, a Fogliano, a San Marco. Verso occidente spiccano la cascina Castellana, la cascina Portalupa in Faenza e la cascina Tre Colombaie. Inoltre possiamo visitare la cascina Barzo di Gravellona, di origini basso-medievali; la cascina San Sebastiano di Robbio, dove sono stati ritrovati gli affreschi della storia del Santo (XV-XVI sec.); la Marza di Zeme; Erbamala e Campalestro tra Velezzo e Cergnago, nelle quali non è difficile riscontrare un antico passato monastico; la medievale tenuta di Sant'Albino e la grande cascina Medaglia a Mortara; la Melegnana, la cui origine di villa romana è documentata da numerosi ritrovamenti, e la Vallazza ad Olevano; Santa Maria di Bagnolo (resti di una chiesetta romanica del secolo XI) e San Bernardo (affreschi di scuola gaudenziana) a Langosco. A Parona, nel territorio verso Vigevano, sono ancora in funzione la cascina Scocchellina e la cascina Castello. Di pregevole fattura anche la cascina Scoglio. L'autosufficienza produttiva nelle cascine è durata secoli: accanto ai contadini lavoravano artigiani addetti alle attrezzature e personale specializzato nella produzione di generi alimentari. Oggi la stalla è stata abbandonata quasi ovunque e non è raro trovare cascine in condizioni di degrado molto avanzato. Il fiume Ticino ed il suo Parco Istituito nel 1974, situato lungo le sponde del Ticino, nel tratto tra il lago Maggiore e la confluenza con il Po, tra le province di Varese, Milano e Pavia, con i suoi 90.640 ettari è il parco fluviale più grande d'Europa. Fu realizzato per salvaguardare un territorio assai vario, dove le attività produttive e gli insediamenti umani convivono con un patrimonio ambientale di grande valore. Chi si dovesse trovare al ponte della Becca, dove il Ticino confluisce nel Po, può osservare la notevole differenza del colore delle acque e come quelle del Ticino siano molto più limpide. Infatti le acque che escono dal Lago Maggiore, già di buona qualità, scorrono in un alveo costituito da materiali grossolani, prevalentemente ciottolosi-ghiaiosi e sabbiosi, con pochissima presenza di materiale in sospensione. Al "Fiume Azzurro" non mancano purtroppo apporti inquinanti di tipo biologico, ma la presenza di risorgive naturali, che immettono nel fiume acque di provenienza sotterranea, pulite ed ossigenate, tende a mitigare i fenomeni dell'inquinamento. Il modo migliore per visitare il parco è a piedi o in bicicletta, lungo percorsi di notevole interesse ambientale e naturalistico; ci sono anche alcuni itinerari particolari sia per gli appassionati di canoa, sia per coloro che amano le sgroppate a cavallo. Accanto ai pioppeti, alle risaie e alle marcite che rivelano l'opera dell'uomo, si sviluppa una gran varietà di piante: estesi boschi, resti delle antiche foreste che un tempo ricoprivano tutta la valle padana, e vegetazione acquatica, rigogliosissima in prossimità delle risorgive e delle lanche. Anche la fauna, sia terrestre che ittica, riveste estrema importanza nell'ambiente del parco. La stagione più adatta per visitare il parco è la primavera, quando le fioriture coprono i boschi o le acque, anche se occorre un po' di attenzione a non spingersi troppo nei pressi delle garzaie, con il rischio di disturbare la nidificazione degli aironi; oppure l'autunno, quando le lanche ospitano numerose anatre svernanti. L'estate è, purtroppo, anche la stagione delle zanzare e dei numerosi turisti. I boschi e la flora La vegetazione che caratterizza le zone della valle fluviale è il querceto misto, che si sviluppa nel suolo profondo della bassa pianura, con alberi di farnia, olmo, carpino e pioppo nero. Nella collina maggiormente arida prevale il ceduo di roverella e di castagno con larghe presenze di pino silvestre. I terreni più umidi ospitano il pioppo bianco, l'ontano nero ed i saliceti. Molto diffusa è la robinia, specie di origine esotica come il prunus serotina. Rimarchevole, soprattutto nel confronto con l'impoverita situazione padana, è la flora degli ambienti umidi (ninfea, ranuncoli d'acqua, iris), quella del sottobosco (mughetto, pungitopo) e delle radure (dittamo, asfodelo, gladiolo). Il triangolo del "Siccomario", tra Ticino e Po, è famoso per la presenza del Bosco Negri, maestoso relitto di selva planiziaria padana. La fauna L'animale selvatico è riservato per natura, e il parco non è uno zoo. Lungo il Ticino gli animali vivono a migliaia: cinghiali, caprioli, tassi, conigli selvatici, lepri; tra gli uccelli i falchi pescatore, le gallinelle d'acqua, le folaghe, le alzavole, i fischioni, i tuffetti, le varie specie di aironi, le ghiandaie; le sponde del fiume coperte di salici e saliconi ospitano una ricca avifauna acquatica nidificante: salciaiole, usignoli di fiume, tarabusi, cannareccioni; sono frequenti anche i cuculi. La pesca sul fiume ha sempre costituito attrazione per le popolazioni rivierasche che ancora oggi la praticano con le reti, se pescatori professionisti, e con lenza e bilancia, se dilettanti. Tra i pesci, è possibile trovare trote, anguille, temoli, tinche, cavedani, lasche, storioni, lucci, persici, alborelle e bottine. Una curiosità Il greto del fiume, prevalentemente ghiaioso, è costituito da materiali provenienti dall'erosione glaciale che la vorticosità delle acque, in occasione delle piene, continua a spostare a valle: si tratta di ciottoli, sabbie, quarziti, minerali vari, tra cui, in piccola quantità, pagliuzze d'oro. Per questa sua caratteristica, tutti gli anni, a fine agosto, si svolge un'originale gara: il campionato italiano dei cercatori d'oro. Per saperne di più... Per ulteriori informazioni sul Parco del Ticino, consigliamo la visita del sito Internet www.parks.it/parco.ticino.lombardo. Le garzaie Fin dal medioevo, il luogo in cui si insediano in gruppo gli aironi di una sola o più specie, per costruire i loro nidi e riprodursi, viene detto "garzaia". In genere le garzaie si trovano in luoghi con vegetazione palustre, in corrispondenza di ciuffi di alberi, quali salici, pioppi, ontani e farnie, e non lontano da corsi d'acqua, risaie o piccoli bacini d'acqua dove gli uccelli possano trovare cibo per sè e per i piccoli. Nelle garzaie della Lomellina trovano ospitalità numerose specie avicole come gli aironi cinerini, gli aironi rossi, le nitticore, le garzette e le sgarze ciuffetto. Tutte queste specie diverse nidificano comunitariamente tra i rami, senza disturbo reciproco, riunendosi a volte in gruppi di centinaia di coppie intente in corteggiamenti nuziali o in frenetiche ricerche di cibo per i piccoli. In Lomellina esistono ben 15 garzaie protette e tutelate; di seguito riportiamo le caratteristiche salienti delle principali. La garzaia del lago di Sartirana Ubicata nei pressi di una lanca formatasi nel settecento da un'ansa del Sesia, nel suo ambito ospita un imponente numero di specie vegetali. Sullo specchio d'acqua cresce rigoglioso il nannufaro (Nuphar luteum), della famiglia delle ninfee con il suo caratteristico fiore giallo. Sui bordi della garzaia cresce il salice o salicone (Salix caprea) e la canna di palude (Phragmites australis). Sul terreno più consolidato crescono tre tipi di pioppo: il pioppo nero (Populus nigra), il pioppo bianco (Populus alba), il pioppo tremulo (Populus tremula), così pure l'ontano (Alnus glutinosa), il salice (Salix alba), l'olmo (Ulmus minor), la quercia (Quercus robur), ed inoltre arbusti come il sanguinello (Curnus sanguinea) ed il nocciolo (Corylus avellana). Per quanto riguarda gli aspetti faunistici, l'avifauna fa la parte del leone con almeno sette specie di aironi nidificanti oppure presenti (ricordiamo il raro Tarabuso e l'Airone bianco maggiore), con la saltuaria presenza del Mignattaio (un ibis europeo) e la nidificazione regolare del Falco di palude, del Martin pescatore, della Folaga, della Gallinella d'acqua e del Germano reale. Il lago offre rifugio sicuro a molte specie di pesci, a numerosi anfibi e a numerosi rettili quali il Biacco e la Biscia d'acqua. Nella parte boschiva prospera il Coniglio selvatico, come pure alcuni mammiferi insettivori quali il Riccio e il toporagno. Fra gli insetti, particolarmente numerosi sono i Coleotteri acquatici, le Libellile ed alcune Farfalle diurne. Il Lago di Sartirana, con il suo canneto, è conosciuto da tempo per la sua avifauna migatoria, di sosta durante i passi. Per informazioni: Comune di Sartirana Lomellina - Ente gestore - tel. 0384/800810 - 800629. La garzaia di Celpenchio Si trova tra i comuni di Cozzo e Rosasco; vi nidifica la più ricca colonia di aironi rossi della Lomellina. La garzaia della Verminesca Situata fra i comuni di Castelnovetto, Sant'Angelo e Cozzo. La garzaia di Cascina Isola Situata a Langosco. La garzaia di Sant'Alessandro Si trova nel comune di Zeme, è la garzaia più estesa della provincia di Pavia e presenta una grande varietà di ambienti. Vi nidificano il Germano reale, il Martin pescatore, la Folaga, la Gallinella d'acqua, l'usignolo di fiume, il Cannareccione, il Tarabusino, il Mignattaio, la Spatola, l'Airone guardabuoi e l'Airone bianco maggiore. Qui si riproduce anche il Falco di palude, che nidifica tra le canne, e la Poiana. Per informazioni, rivolgersi al comune di Zeme, tel. 0384/54.021. La garzaia della Rinalda Situata a Candia. La garzaia di Acqualunga Situata nei pressi dell'omonima Abbazia nel comune di Frascarolo. La garzaia di Cascina Notizia Situata vicino a Goido (Mede). La garzaia di Villa Biscossi Situata nell'omonima località. Il Bosco Siro Negri Il Bosco Negri si trova al confine della Lomellina, all'interno del Parco del Ticino, alle porte di Pavia; era proprietà di Siro Negri, un grande appassionato di natura, che nel 1968 lo lasciò in eredità al comune di Pavia; tramite una convenzione, l'Amministrazione Comunale del capoluogo pavese ne ha affidato la gestione naturalistica e didattica alla LIPU (Lega Italiana Protezione Uccelli). Attualmente il Bosco è vincolato come "Riserva Naturale Orientata". I boschi e la flora Il Bosco, che occupa una superficie di circa 34 ettari, rappresenta un ottimo esempio della vegetazione che ricopriva gran parte della Pianura Padana prima dell'arrivo dei Romani. L'albero simbolo della foresta planiziale è indubbiamente la Farnia (Quercus robur), una quercia che può raggiungere dimensioni notevoli. Tra gli arbusti sono comuni il Biancospino (Crataegus monogyna) ed il Ciliegio a grappoli (Prunus padus), dalle spettacolari e profumatissime fioriture all'inizio della primavera. Tra le specie erbacee si possono notare le stupende fioriture di Anemone dei boschi (Anemone nemorosa) e di Mughetto (Convallaria majalis). La fauna Molte sono le specie di animali che hanno qui trovato una vera e propria "isola" di tranquillità. La ricca vegetazione offre infatti rifugio, cibo e la possibilità di riprodursi a specie che non si adatterebbero ad ambienti meno naturali. Gli studi condotti dai ricercatori dell'Università di Pavia hanno permesso di conoscere a fondo la fauna presente in questa riserva naturale. Gli uccelli sono particolarmente abbondanti, e sono presenti con numerose specie in tutte le stagioni. Sono quattro le specie di picchi nidificanti: il Picchio rosso maggiore (Dendrocopus major), molto comune, ed il Picchio verde (Picus viridis); il Torcicollo (Jynx torquilla), che in inverno migra in zone più calde; ed infine in Picchio rosso minore (Dendrocopus minor), una vera rarità in Italia. Fra i rapaci notturni è comune l'Allocco (Strix aluco), ma il bosco è anche un buon punto di osservazione per i rapaci diurni: d'estate è molto facile osservare le evoluzioni in volo del Lodolaio (Falco subbuteo), che nidifica in vecchi nidi abbandonati di Cornacchia grigia (Corvus corone cornix), mentre d'inverno arrivano la Poiana (Buteo buteo) e lo Sparviero (Accipiter nisus). Una curiosità ornitologica è poi la nidificazione del Martin pescatore (Alcedo atthis) in pieno bosco; le gallerie-nido vengono scavate nel terriccio trattenuto dalle radici dei grossi alberi abbattuti dal vento. Fra gli anfibi citiamo la Rana di Lataste (Rana latastei), una specie endemica della Pianura Padana che depone le uova nelle pozze ai margini del bosco e nei piccoli stagni appositamente ricostruiti. Anche altri anfibi, come il Tritone punteggiato (Triturus vulgaris), il Rospo smeraldino (Bufo viridis), il Rospo comune (Bufo bufo), la Rana verde (Rana esculenta) e la Raganella (Hyla arborea) vivono nell'oasi. La comunità dei mammiferi, pur essendo numerosa ed abbondante, non si lascia osservare molto facilmente, per via delle abitudini notturne. Impronte, resti dei pasti, escrementi e tane sono però indizi che un occhio attento riesce a cogliere. L'elenco delle specie sarebbe lungo, ma val la pena di accennare alle ben cinque specie di carnivori che vivono nel bosco: Volpe (Vulpes vulpes), Tasso (Meles meles), Donnola (Mustela nivalis), Puzzola (Mustela putorius) e Faina (Martes foina), oltre che al Ghiro (Glis glis) e al Moscardino (Moscardinus avellanarius), alla rara Arvicola rossastra (Clethrionomys glareolus) e alle diverse specie di Pipistrelli (Pipistrellus pipistrellus). Per saperne di più... Il Bosco Negri è aperto tutto l'anno, nei giorni di sabato, domenica e festivi; l'orario è dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 19. Le visite delle scolaresche e dei gruppi devono essere prenotate al numero 0382/569.402. Nei mesi invernali, a causa delle condizioni atmosferiche, il Bosco può rimanere chiuso. Per ulteriori informazioni, consigliamo inoltre la visita del sito Internet www.italnet.it/lipu/oasicen1.htm. La lanca "Agogna Morta" Laboratorio di ecologia all'aperto La lanca denominata "Agogna Morta" è un meandro del torrente Agogna, abbandonato in seguito ad opere ri raddrizzamento dell'alveo realizzate intorno alla metà degli anni '50, che si trova tra Basso Novarese e Lomellina, nei comuni di Borgolavezzaro (provincia di Novara) e Nicorvo. Le specie di flora e fauna presenti, pur essendo abbastanza comuni, sono, tuttavia, peculiari delle zone umide e costituiscono sicuramente un aspetto di questa pianura dalle caratteristiche delicate ed ormai rare. All'interno della lanca l'Associazione Culturale Burchviv di Borgolavezzaro, in collaborazione con la Federazione Nazionale Pro Natura, ha iniziato, a partire dal 1991, un progetto per la ricostruzione e conservazione ambientale volto a: garantire la sopravvivenza della lanca con tutte le forme di vita animale e vegetale che la caratterizzano; intraprendere una adeguata sperimentazione nel campo del rimboschimento naturalistico con specie rigorosamente autoctone per restituire all'area una copertura arborea quanto più vicina, come composizione, alla copertura originaria, ormai mancante da secoli. La flora La vegetazione arborea ripariale è costituita quasi esclusivamente da Robinia; rimangono, però, gruppi di Salici bianchi, alcuni Olmi, Ontani, Farnie; essenze superstiti di quelle che dovevano costituire, insieme ad autoctoni Pioppi, Carpini ed Aceri, l'associazione di alberi dominante. Tra gli arbusti si trovano il Sambuco, il Sanguinello, il Salicone, la Rosa Canina, il Rovi ed il Luppolo, liana erbacea perenne ma a fusti anuali. Man mano che ci si avvicina all'acqua si incontrano grosse Carici, la Stiancia, l'Iris palustre e poi la Tifa e la Cannuccia di palude; dello specchio d'acqua vero e proprio signore è il Nannufaro, la ninfea gialla. Nel progetto di ricostruzione del bosco, il terreno all'interno della lanca è stato suddiviso in quaranta parcelle: 10 sono rimaste incolte, in modo da poterne osservare il comportamento; in ognuna delle altre 30 sono state messe a dimora sette giovani piante (quattro Farnie, un Acero campestre, un Pioppo bianco ed un Carpino bianco), e, per ogni pianta, diversi arbusti (Biancospino, Prugnolo, Sanguinello e Nocciolo). La fauna L'aspetto faunistico più rilevante e peculiare è rappresentato dal Tarabusino, volatile timido ed abituato a vivere ben nascosto. Caratteristica di questo uccello è quello di puntare, per la propria difesa, più sul mimetismo che sulla fuga. In caso di pericolo, infatti, assume la tipica forma verticale ed allungata, rendendosi quasi invisibile tra le canne. Altrettanto poco visibile, ma del quale si rileva la presenza, dal canto gutturale e gracidante, è è il Cannareccione, uccello per cui, al pari del Tarabusino, la lanca è sinonimo di sopravvivenza. Questo passeriforme è, col proprio forte canto che si leva dal canneto, una realtà pressoché esclusiva di tale tipo di ambiente. Altro ospite, assai più: comune, che nell'Agogna Morta trova il proprio ambiente ideale, è la Gallinella d'acqua. E' facile vedere l'adulto, quando è tempo di nidi, che accompagna i propri numerosi pulcini camminando con agilità sulle erbe acquatiche alla ricerca di molluschi, insetti, germogli, semi. Un notevole numero di altri animali, soprattutto uccelli, fanno ruotare intorno a questa lanca la propria esistenza: anche il germano reale vi alleva i piccoli, vi nidificano il Merlo, l'Usignolo, la Capinera, il Codibugnolo e lo Scricciolo; e nelle cavità dei vecchi salici, la Cinciallegra; la Nitticora, l'Airone cinerino, l'Airone rosso, la Garzetta vengono qui a nutrirsi. Il Cuculo trova i nidi da parassitare ed in cui deporre il proprio uovo. Non mancano uccelli divenuti ormai rari come l'Upupa, il Picchio verde, il Gufo comune, il Rigognolo. Sotto il pelo dell'acqua vi è il regno di quei pesci che ben si adattano alle acque stagnanti e calde: Carpe, Tinche, Scardole, Carassi, Persici sole, Alborelle ed il vorace Pesce gatto. All'apice della piramide alimentare vi è il Persico trota, predatore di origine nordamericana introdotto in tempi recenti. Per saperne di più... Tutto quanto riportato in questa pagina è stato estratto dalla esauriente pubblicazione "Guida al laboratorio di ecologia all'aperto Agogna Morta", edito dall'Associazione Culturale Burchviv di Borgolavezzaro e dalla Federazione Nazionale Pro Natura. Per maggiori informazioni ci si può quindi rivolgere all'Associazione Culturale Burchviv - Via Molino Muovo, 10 - 28071 Borgolavezzaro (NO) - tel. 0321/885.684. |
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