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Le vicende storiche lomelline 

      Nelle pagine che seguono cerchiamo di narrare le vicende storiche che 
      hanno "segnato" la Lomellina. Anche se è costato parecchio impegno, ci 
      rendiamo conto che è un lavoro a carattere dilettantistico; quello che 
      abbiamo riportato in questa ricerca è stato redatto "spulciando" qua e là 
      in diverse pubblicazioni di storici locali. Il lavoro, per semplicità di 
      consultazione, è stato diviso in otto capitoli: 
        Le origini (fino al 476 dopo Cristo) 
        L'Alto Medioevo (dal 476 al 773) 
        Il Medioevo (dal 773 al 1250) 
        I Visconti e gli Sforza (dal 1250 al 1500) 
        Le dominazioni straniere (dal 1500 al 1700) 
        I Savoia (dal 1700 al 1789) 
        La rivoluzione francese (dal 1789 al 1820) 
        Verso l'unità d'Italia (dal 1820 al 1860) 



      Le vicende storiche lomelline 

      Nelle pagine che seguono cerchiamo di narrare le vicende storiche che 
      hanno "segnato" la Lomellina. Anche se è costato parecchio impegno, ci 
      rendiamo conto che è un lavoro a carattere dilettantistico; quello che 
      abbiamo riportato in questa ricerca è stato redatto "spulciando" qua e là 
      in diverse pubblicazioni di storici locali. Il lavoro, per semplicità di 
      consultazione, è stato diviso in otto capitoli: 
        Le origini (fino al 476 dopo Cristo) 
        L'Alto Medioevo (dal 476 al 773) 
        Il Medioevo (dal 773 al 1250) 
        I Visconti e gli Sforza (dal 1250 al 1500) 
        Le dominazioni straniere (dal 1500 al 1700) 
        I Savoia (dal 1700 al 1789) 
        La rivoluzione francese (dal 1789 al 1820) 
        Verso l'unità d'Italia (dal 1820 al 1860) 



      Le origini (fino al 476 d. C.) 

      Di origine antichissima, la terra di Lomellina incomincia ad essere 
      frequentata da tribù liguri nel secondo periodo eneolitico (1800-1600 
      a.C.), il periodo di nomadismo degli Arii, durante il quale compaiono 
      nella Transpadana anche i Paleoveneti e gli Illiri. Nel terzo periodo 
      eneolitico, o del bronzo tardo (1600-1200 a.C.), appena oltre le Alpi si 
      va consolidando la potenza celtica che, incontrandosi nel Giura con i 
      Liguri, produce una civiltà celto-ligure; nel nostro territorio, lungo 
      l'asta del Ticino fin nell'attuale territorio elvetico, i Liguri rimangono 
      fedeli alle loro tradizioni, chiusi ad ogni penetrazione. Dopo questo 
      periodo, scompare dalla Lomellina qualsiasi traccia di frequentazione; il 
      motivo di questo fatto non è chiaro, ma possono solo essere azzardate 
      alcune ipotesi. Certo è, invece, che in quel periodo l'Europa è sconvolta 
      da grandi mutamenti, che, culturalmente, si identificano col passaggio 
      dall'inumazione all'incinerazione dei morti e con la graduale sostituzione 
      del bronzo col ferro.
      La vita riprende in Lomellina nella fase II di Golasecca, verso il VI 
      secolo a.C., grazie al ripopolamento avvenuto da nord e da ovest da parte 
      di popolazioni celto-liguri o semplicemente celtiche; di quel periodo, in 
      Lomellina sono rimaste tracce in diverse necropoli. La massima espansione 
      di queste popolazioni celtiche si ha attorno al IV secolo a.C., quando 
      sono sufficentemente forti non solo da respingere un tentativo di 
      espansione etrusca (396 a.C.), ma tanto da completare la conquista della 
      Transpadana occidentale.
      In questo periodo, le popolazioni galliche (celtiche) presenti nel nostro 
      territorio sono: secondo Plinio, i Levi e i Marinci, di origine ligure, 
      fondatori di Pavia (Ticinum), e i Libici, fondatori di Vercelli; secondo 
      Livio, i Libui (Libici) e i Levi; secondo Polibio, i Libici, liguri 
      celtizzati, che si sono mossi coi Galli per fermarsi ad ovest della 
      Transpadana. A questi popoli si deve la primitiva colonizzazione della 
      zona che, all'epoca, si presenta in gran parte acquitrinosa e quasi 
      interamente coperta da fitte boscaglie: la scelta dei terrazzamenti 
      diluviali per la fondazione del primi nuclei abitati è perciò obbligata. 
      Numerosi centri vengono fondati sulle sponde dei corsi d'acqua, alcuni dei 
      quali, trasformandosi in empori fortificati, sopravvivono alla successiva 
      conquista romana. Di questi, Vigevano resta uno degli esempi più 
probabili.
      Dopo la I guerra punica (264-241 a.C.), questi popoli si muovono 
      addirittura contro Roma; fermati in Etruria, a Talamone, nel 225 a.C., 
      vengono definitivamente sconfitti da Marco Claudio Marcello a Casteggio 
      (Clastidium) nel 222 a.C.; dopo questa battaglia avviene l'occupazione 
      della Lomellina da parte dei romani. Il passaggio di Annibale nella II 
      guerra punica (218-201 a.C.) ridà l'indipendenza alle tribù galliche, 
      alleate coi cartaginesi. Infatti, nel 218 a.C., dopo l'incredibile 
      traversata delle Alpi coi suoi elefanti, Annibale costeggia a sinistra il 
      Po, giunge in Lomellina e sconfigge l'esercito romano del console 
      Scipione, che gli si para incontro sul Ticino; secondo molti storici la 
      battaglia avviene in una spianata fra Garlasco e Gropello; certo è che 
      prima dell'evento Annibale soggiorna a Dorno.
      Anche dopo la rotta di Annibale a Zama, i Galli non cedono se non sotto 
      l'urto delle armi; con tre battaglie, nel 197, 194 e 191 a.C., i romani 
      hanno la meglio sulle popolazioni stanziate in Lomellina. Tuttavia non è 
      ancora dominazione: Roma, come sempre, preferisce penetrare lentamente, 
      stabilire del "foedera" (patti d'alleanza) coi vari popoli. Pochi anni 
      dopo, si profila la prima minaccia di invasione barbarica, quella dei 
      Cimbri e Teutoni scesi dalla Danimarca; nel 101 a.C., nei "campi Raudii" 
      situati fra Candia e Robbio, avviene lo scontro tra Caio Mario e queste 
      popolazioni, scese in Italia con mogli, figli ed armenti. La lotta è 
      terribile: 52.000 romani affrontano 250.000 barbari e li sconfiggono. 
      Restano sul campo migliaia di morti e di morenti i quali vengono gettati 
      nel fiume agonizzanti. Di qui si vuole appunto derivare il nome Agogna da 
      "agonìa", in ricordo di quelle terribili giornate.
      L'avvio della romanizzazione del nostro territorio è perciò nella forza 
      delle cose, anche se avviene in modo incruento; la Lomellina, conserva, 
      per molto tempo, le proprie tradizioni culturali, soprattutto l'uso 
      celtico dell'incinerazione. I romani lasciano guarnigioni militari in 
      accampamenti semipermanenti, denominati dapprima "emporii", muniti di 
      fortificazioni e dislocati lungo i tracciati da cui avranno poi origine le 
      maggiori vie di comunicazione, ancor oggi in uso. I componenti di queste 
      guarnigioni militari, con le famiglie al seguito, non tardano ad 
      insediarsi stabilmente nei luoghi di presidio, acquistando terreni e 
      costruendovi abitazioni. In questo modo, gli empori si rafforzano, dando 
      origine ai meglio organizzati "castra" (accampamenti permanenti).
      La creazione dell'Impero non comporta sostanziali mutamenti alla 
      Lomellina; nella divisione augustea dell'Italia del nord, la nostra 
      regione risulta compresa nella XI Regio Transpadana, con capitale Milano 
      (Mediolanum). Una carta della Lomellina di allora ci mostra la presenza di 
      strade principali e di centri di notevole importanza. Tre vie consolari, 
      provenienti da Pavia, la attraversano: la Francisca, la Romea e la 
      Settimia. Alla "mutatio" (luogo di avvicendamento logistico di salmerie e 
      deposito di vettovaglie) di Dorno (Durnae), la Settimia si stacca per 
      dirigere al Sempione; alla "mutatio" di Cozzo (Cuttiae), la Romea muove 
      verso il Piccolo San Bernardo e la Francisca prosegue verso il Moncenisio. 
      Lomello (Laumellum), sede di una importante "mansio" (luogo di sosta ed 
      accampamento delle legioni) e Cozzo sono i municipi, cioè i due centri 
      amministrativi della Lomellina; Pulchra Silva è Mortara; Robbio (Retovium) 
      e Alagna (Alliana) producono, secondo Polibio, lini pregiati.
      Alla fondazione dell'impero romano fanno seguito, per la nostra terra, 
      alcuni secoli di pace e di benessere economico. In questo tempo, forse nel 
      III secolo, si può collocare l'apparizione anche in Lomellina, ed in forma 
      ovviamente clandestina, del Cristianesimo. Con l'editto di Costantino 
      (313), e l'elevazione di Ambrogio a vescovo di Milano (374), anche la pace 
      religiosa viene assicurata.
      Gli anni che precedono la caduta dell'Impero Romano (476 d.C.) sono invece 
      traumatici per la Lomellina, che subisce l'onda d'urto delle invasioni dei 
      barbari, popoli di razza germanica o euroasiatica, di proverbiale 
      malvagità, che invadono e mettono a "ferro e fuoco" la nostra terra. 
      Dapprima i Visigoti di Alarico (401 e 409), poi gli Unni di Attila (452), 
      i Vandali di Genserico (455) e gli Eruli, comandati da Odoacre il quale, 
      nel 476, depone l'ultimo imperatore d'occidente, si fa nominare re e porta 
      la capitale a Pavia.


      L'alto Medioevo (476-773) 

      La vicinanza della capitale Pavia potrebbe far pensare ad un periodo di 
      pace per la nostra terra, ma non è così: infatti, nel 479, gli Ostrogoti 
      di Teodorico, con una marcia velocissima, occupano tutta l'Italia 
      settentrionale. E solo due anni dopo, nel 491, scendono dal nord i 
      Borgognoni e fanno delle nostre campagne e di Milano il deserto; quel poco 
      di vita che rimane, o che risorge, è dovuto alla carità dei vescovi, primo 
      fra tutti il santo vescovo Lorenzo, di Milano.
      Gravi lutti reca all'Italia la guerra tra Goti e Bizantini; la sospirata 
      pace viene, dopo centocinquant'anni di stragi, con l'arrivo, nel 568, dei 
      Longobardi, con a capo Alboino, che scendono in Italia e pongono la 
      capitale a Pavia. Questi provengono dalla Pannonia, assieme, come narra 
      Paolo Diacono, a molti Cepiti, Bulgari, Sarmati, Pannoni e Norici. 
      Ventimila Bulgari si stabiliscono sulle sponde del Ticino (da Galliate fin 
      quasi a Pavia) e vi fondano il "Comitato di Bulgaria", con capitale 
      Vigevano. In questo periodo crescono le foreste, già estese dopo 
      l'invasione dei Goti, tanto che la Lomellina è coperta da una smisurata 
      coltre di boschi. Le città sono composte in prevalenza di case costruite 
      con creta e vimini e coperte di paglia.
      Per la Lomellina ha inizio un periodo glorioso. Sotto la dominazione dei 
      Longobardi, infatti, il centro di Lomello assume grande importanza tanto 
      da estendere il proprio nome all'intero territorio; viene anche munito di 
      un forte castello ed è difeso con solide mura; inoltre viene fatta sede di 
      un "graf" (conte) ed è capoluogo amministartivo della regione. Proprio 
      qui, con ogni probabilità, avviene il celebre incontro che prelude alle 
      nozze tra la regina Teodolinda, vedova di Autari, ed il Duca di Torino, 
      Agilulfo. La chiesa di S. Maria Maggiore viene da lei beneficata con 
      donazioni ricchissime e a Lomello fonda due monasteri.
      Proprio Lomello, come ne fanno testimonianza documenti del X secolo, è 
      sede di una "iudicaria". Infatti, in una torre dell'antica rocca, oggi 
      scomparsa, nel 629 viene imprigionata Gundeberga, figlia di Teodolinda e 
      Agilulfo, e sposa di Arioaldo; accusata di tradimento nei confronti del 
      marito, viene liberata dopo tre giorni, grazie alla conclusione favorevole 
      del duello tra il suo paladino Pittone ed il suo accusatore (il respinto 
      Adalulfo), in quello che è il primo "giudizio di Dio" celebrato in Italia.
      E proprio la Lomellina è destinata ad essere teatro della fine del regno 
      dei Longobardi: infatti, nel 773 Carlo Magno, ripudiata la moglie 
      longobarda Ermengarda, scende in Italia dal Moncenisio tentando di 
      aggirare alle Chiuse l'esercito longobardo del re Desiderio. Sfuggito 
      all'aggiramento dell'esercito franco, attende il nemico a Mortara, fino ad 
      allora chiamata "Pulchra Silva" o Silvabella, già residenza di caccia di 
      re Rotari. Lo scontro avviene il 12 ottobre 773 nel luogo ove ora sorge 
      l'Abbazia di Sant'Albino ed è giornata veramente epica, vinta, dopo una 
      vera ecatombe di Longobardi, da Carlo Magno.


      L'alto Medioevo (476-773) 

      La vicinanza della capitale Pavia potrebbe far pensare ad un periodo di 
      pace per la nostra terra, ma non è così: infatti, nel 479, gli Ostrogoti 
      di Teodorico, con una marcia velocissima, occupano tutta l'Italia 
      settentrionale. E solo due anni dopo, nel 491, scendono dal nord i 
      Borgognoni e fanno delle nostre campagne e di Milano il deserto; quel poco 
      di vita che rimane, o che risorge, è dovuto alla carità dei vescovi, primo 
      fra tutti il santo vescovo Lorenzo, di Milano.
      Gravi lutti reca all'Italia la guerra tra Goti e Bizantini; la sospirata 
      pace viene, dopo centocinquant'anni di stragi, con l'arrivo, nel 568, dei 
      Longobardi, con a capo Alboino, che scendono in Italia e pongono la 
      capitale a Pavia. Questi provengono dalla Pannonia, assieme, come narra 
      Paolo Diacono, a molti Cepiti, Bulgari, Sarmati, Pannoni e Norici. 
      Ventimila Bulgari si stabiliscono sulle sponde del Ticino (da Galliate fin 
      quasi a Pavia) e vi fondano il "Comitato di Bulgaria", con capitale 
      Vigevano. In questo periodo crescono le foreste, già estese dopo 
      l'invasione dei Goti, tanto che la Lomellina è coperta da una smisurata 
      coltre di boschi. Le città sono composte in prevalenza di case costruite 
      con creta e vimini e coperte di paglia.
      Per la Lomellina ha inizio un periodo glorioso. Sotto la dominazione dei 
      Longobardi, infatti, il centro di Lomello assume grande importanza tanto 
      da estendere il proprio nome all'intero territorio; viene anche munito di 
      un forte castello ed è difeso con solide mura; inoltre viene fatta sede di 
      un "graf" (conte) ed è capoluogo amministartivo della regione. Proprio 
      qui, con ogni probabilità, avviene il celebre incontro che prelude alle 
      nozze tra la regina Teodolinda, vedova di Autari, ed il Duca di Torino, 
      Agilulfo. La chiesa di S. Maria Maggiore viene da lei beneficata con 
      donazioni ricchissime e a Lomello fonda due monasteri.
      Proprio Lomello, come ne fanno testimonianza documenti del X secolo, è 
      sede di una "iudicaria". Infatti, in una torre dell'antica rocca, oggi 
      scomparsa, nel 629 viene imprigionata Gundeberga, figlia di Teodolinda e 
      Agilulfo, e sposa di Arioaldo; accusata di tradimento nei confronti del 
      marito, viene liberata dopo tre giorni, grazie alla conclusione favorevole 
      del duello tra il suo paladino Pittone ed il suo accusatore (il respinto 
      Adalulfo), in quello che è il primo "giudizio di Dio" celebrato in Italia.
      E proprio la Lomellina è destinata ad essere teatro della fine del regno 
      dei Longobardi: infatti, nel 773 Carlo Magno, ripudiata la moglie 
      longobarda Ermengarda, scende in Italia dal Moncenisio tentando di 
      aggirare alle Chiuse l'esercito longobardo del re Desiderio. Sfuggito 
      all'aggiramento dell'esercito franco, attende il nemico a Mortara, fino ad 
      allora chiamata "Pulchra Silva" o Silvabella, già residenza di caccia di 
      re Rotari. Lo scontro avviene il 12 ottobre 773 nel luogo ove ora sorge 
      l'Abbazia di Sant'Albino ed è giornata veramente epica, vinta, dopo una 
      vera ecatombe di Longobardi, da Carlo Magno.


      Il Medioevo (773-1250) 

      Per la nostra terra si apre un nuovo periodo di pace. Il re franco 
      introduce in Lomellina il regime feudale, suddivide il territorio in 
      "Comitati" affidati ai Conti, e Lomello è il capoluogo del Comitato di 
      questo nome, appartenente alla marca di Ivrea. Dal secolo IX quindi si 
      afferma la presenza dei Conti di Lomello che, nella persona di Riccardo di 
      Langosco, ottengono l'investitura della zona da Carlo Magno. A loro si 
      deve la rinascita della Lomellina. Conti di Lomello sono patrizi pavesi, 
      discendenti di un leggendario Manfredo del ciclo carolingio. Il 
      capostipite di questa famiglia, potentissima dal X al XIV secolo, è 
      Cuniberto.
      Ma un'altra minaccia incombe ancora sulla Pianura Padana; come cinquecento 
      anni prima, da est scendono le orde ungheresi, appena dilagate dai Carpazi 
      nella Pannonia. Il primo assalto, nel 915, è respinto; il secondo, nel 
      924, fa terra bruciata: Pavia e la Lomellina sono messe a saccheggio; 
      Vigevano, che gode di una certa agiatezza per l'industria della lana, 
      viene ridotta alla più grande miseria. Passata la tormenta, è di nuovo la 
      Chiesa che accoglie i dispersi: il marchese Adalberto raccoglie a Breme i 
      monaci benedettini dell'abbazia di Novalesa, in fuga dalle scorrerie dei 
      Saraceni nella Val di Susa. Nel 926 qui viene fondato l'Ordine Bremetense, 
      destinato a diventare una potenza, con cento dipendenze, esercitando 
      grande influenza sotto il profilo politico e religioso ed occupando il 
      terzo posto tra le abbazie più importanti dell'Impero.
      La penetrazione religiosa che si verifica tra X e XI secolo è di decisiva 
      importanza per lo sviluppo economico della Lomellina. Numerosi ordini 
      monastici arrivano nella regione. Oltre ai Benedettini, sono i Cistercensi 
      quelli che lasciano le maggiori tracce. Alla loro opera, infatti, si 
      devono i primi interventi di bonifica del territorio, finalizzati non solo 
      al recupero delle terre paludose, ma anche al contemporaneo reimpiego 
      delle acque reflue. I terreni acquitrinosi vengono drenati e prosciugati: 
      le acque in eccesso smaltite da una serie di canali che, nel volgere di 
      alcuni secoli, vengono tracciati attraverso l'intera pianura lomellina 
      favorendo lo sviluppo dell'agricoltura, ancora oggi una delle primarie 
      attività economiche della zona. In questo periodo viene introdotto il 
      prato a marcita che assicura una produzione foraggera costante nell'arco 
      dell'anno. Ed inoltre, a partire dal X secolo, attraverso la Lomellina 
      iniziano a transitare numerosi pellegrini, in viaggio verso Roma 
      percorrendo l'importantissima strada che collega la "città eterna" con le 
      regioni del nord Europa, la cosiddetta "Via Francigena" o "Romea".
      Nel 951 ha inizio una nuova epoca, una delle più felici per l'Europa ed 
      anche per la Lomellina. Il 23 settembre, l'imperatore Ottone I di Sassonia 
      è incoronato a Pavia re d'Italia e, da quel momento, monasteri, nobili 
      famiglie e, più tardi, piccoli borghi risentono dei benefici imperiali. 
      Nel 969 il borgo di Cassolo è ceduto ai conti di Novara; Dorno è data in 
      feudo ai conti di Lomello; nel 979 Gropello è ceduta al monastero della 
      Ss. Trinità di Pavia; nel 977 Ottone II dona il borgo di Suardi al vescovo 
      di Pavia. L'importanza che riveste la Lomellina presso l'imperatore è ben 
      attestata dalla nomina, nel 990, da parte di Ottone III, di Cuniberto, 
      conte di Lomello, a conte palatino, cioè tra i massimi consiglieri del 
      Sacro Palazzo. La dinastia dei conti palatini si ramificherà nei secoli e 
      i vari conti (non palatini) prenderanno il nome della località a loro 
      infeudata; i più potenti saranno i Lomello Langosco, poi semplicemente 
      conti di Langosco. Molto tempo dopo, nel 1496, Massimiliano Sforza 
      rinnoverà i privilegi che i conti palatini di Lomello hanno sulle loro 
      terre sparse in Piemonte, Emilia e Lombardia.
      A seguito di questa nuova situazione, i conti palatini estendono in breve 
      il loro dominio a gran parte dei centri abitati, con l'intento di fare 
      della Lomellina un piccolo stato indipendente. Tale strategia determina la 
      necessità di disporre, su tutto il territorio controllato, di una serie di 
      opere fortificate per la difesa del comitato dagli appetiti delle dinastie 
      circostanti. E' questo il periodo della nascita di numerosi castelli, 
      rocche, torri di guardia, capillarmente distribuiti: fortificazioni 
      destinate in gran parte a scomparire nel corso delle vicende belliche 
      successive.
      Alla fine del X secolo la carta politica della Lomellina è ben delineata: 
      la parte settentrionale (Cassolo, Gravellona) è infeudata ai conti o 
      vescovi di Novara; la Lomellina centrale è semindipendente dei conti 
      palatini di Lomello, con oasi sparse infeudate a chiese esterne: Gropello 
      e Suardi, come detto, a Pavia, e Garlasco al monastero di San Salvatore a 
      Pavia. Nel secolo XI incominciano a definirsi i feudi originati dai conti 
      palatini: Palestro, Castelnovetto e Langosco feudo dei Langosco, 
      Sannazzaro feudo dei Sannazzaro. Si fondano nuove abbazie, come quella 
      cistercense di Acqualunga (poi passata in commenda ai vescovi di Vigevano) 
      o come Erbamara, in quel di Cergnago, passata nel 1170 ai Vallombrosani e 
      poi commendata. La "Constitutio de feudis", proclamata nel 1037 da Corrado 
      II il Salico, non fa che confermare la situazione in Lomellina, quasi 
      identica a quella che abbiamo delineata. Una costituzione, però, non ferma 
      il corso degli avvenimenti: altre famiglie, scese dagli Appennini, più 
      precisamente dalla Garfagnana, si affacciano alla pianura pavese e alla 
      Lomellina; prima fra tutte quella dei Beccaria, che avranno un ruolo 
      fondamentale, da Pavia al Sesia, fino in epoca sforzesca.
      Il disinteresse degli imperatori germanici per più di un secolo (XI e 
      XII), è uno dei tanti motivi del sorgere dei liberi comuni. Si viene così 
      a creare una catena di risentimenti, se non di odio, tra comune e comune: 
      basterà l'apparire in Italia di un imperatore per far scaturire precisi 
      allineamenti, chi con l'imperatore (ghibellini), sperandone i favori, chi 
      per la libertà comunale (guelfi). Inspiegabile appare l'attacco portato 
      nel 1140-1145 da Pavia (ghibellina) contro Guidone di Lomello; 
      inspiegabile perchè nel 1154, all'apparire del legittimo sovrano, Federico 
      I Barbarossa, i conti palatini non possono che essere al fianco 
      dell'imperatore, il cui atteggiamento verso la Lomellina è, tutto sommato, 
      benevolo. Ai Confalonieri, suoi fedeli, infeuda Candia, Cozzo, Cassolo e 
      Cerano; Gambarana ai conti di Lomello, creando la stirpe dei conti di 
      Gambarana; a Rufino Langosco dà il titolo comitale aggiungendovi Mede; ai 
      conti di Lomello infeuda Olevano, creando la stirpe degli Olevano; ai 
      Sannazzaro-Tortona conferma il feudo di Sannazzaro; Gambolò è infeudata ai 
      conti di Biandrate; solo Cairo e la vicina Pieve subiscono l'ira del 
      Barbarossa.
      Nel 1155 i Pavesi dilagano in Lomellina, e, per vendetta contro 
      l'ingerenza dei Conti di Lomello sulla loro città, assediano e distruggono 
      il castello di Lomello. Questi si uniscono allora in lega con Milano e 
      Vercelli e si ritirano a Langosco assumendo il nome di quel paese. Nel 
      1157 i milanesi, dichiarata guerra a Pavia, scendono a Lomello e la 
      riedificano in pochi mesi, mentre l'imperatore Federico Barbarossa, loro 
      nemico, è in Germania; ma quando questo torna in Italia, Lomello viene di 
      nuovo distrutta dai pavesi e l'imperatore, nel 1164, decreta che non può 
      più essere ricostruita. Al comune pavese viene riconosciuta la 
      giurisdizione sui paesi della contea lomellina.
      Partito l'imperatore, la vendetta di Milano si scatena su Pavia; in 
      Lomellina, solo Castelnovetto fa le spese della sua fedeltà ghibellina. Il 
      Barbarossa scenderà poi in Italia altre quattro volte, nel 1158, nel 1163, 
      nel 1167 (questa discesa provoca il giuramento di Pontida e la 
      controffensiva dei comuni) e nel 1174; quest'ultima volta è fatale a 
      Federico I: nella giornata di Legnano (26 maggio 1176) la supremazia 
      imperiale crolla e i comuni possono darsi liberamente il loro statuto; nel 
      1183 la pace di Costanza sancisce queste libertà. Dopo la sconfitta di 
      Legnano, l'impero può solo emanare carte di privilegi per legittimare 
      l'uno e l'altro libero comune; e ogni comune sarà sempre in guerra coi 
      vicini per la supremazia. La vendetta di Milano si abbatte sulla Lomellina 
      a due riprese, nel 1213 e nel 1222; tranne la fedelissima Vigevano, i 
      milanesi devastano quasi tutte le rocche tra Sesia, Ticino e Po: Candia, 
      Galliavola, Gambolò, Lomello, Sartirana, Semiana, Torreberetti e Valeggio.
      I conti palatini di Lomello si riducono al grado di una potente famiglia, 
      la più potente nell'orbita pavese, dividendosi nei rami patrimoniali. Ne 
      derivano così i conti di Robbio, di Mede, di Albonese, di Nicorvo, di 
      Rosasco e ovviamente di Langosco. A quest'ultimo ramo viene concesso di 
      riacquistare, nella seconda metà del secolo XIII, la signoria pavese in 
      avvicendamento coi rivali Beccaria, altri latifondisti dell'agro 
      lomellino. Il capostipite della famiglia dei Beccaria è Lanfranco di 
      Gropello, eletto nel 1180 vescovo di Pavia.
      La restante parte del XIII secolo trascorre senza gravi traumi per la 
      Lomellina. A Milano la volontà popolare ha affidato il governo del comune 
      a un suo fedele capitano, Filippo della Torre (1263-1265) ed il suo 
      successore, Napo (1265-1277) più che alle conquiste militari pensa al 
      dominio interno: è il passaggio dal libero comune alla signoria. Con Napo 
      termina la signoria dei Torriani e subentra quella dei Visconti.
      Nell'Estimo del 1250 le terre del comune di Pavia vi figurano divise in 
      Lomellina, oltre Po e terre tra Milano, Lodi e Pavia. Ciascuna di queste 
      regioni è vigilata da un Console di giustizia. Le terre nominate sotto la 
      voce "Lumellina" sono 140 e la regione è in un periodo di grande 
      espansione.


      I Visconti e gli Sforza (1250-1500) 

      Alla fine del XIII secolo, Filippone Langosco si fa attore diretto 
      dell'alleanza coi Visconti e coi Torriani di Milano, con il marchese del 
      Monferrato e con Roberto d'Angiò; suo figlio Riccardino si fa signore di 
      Pavia. Nel 1311, i Visconti diventano vicari imperiali con Matteo, che, 
      nel 1315, entra in Pavia e, dopo un feroce combattimento, ha la meglio su 
      Riccardino, che cade mortalmente ferito. La città viene quindi presa dai 
      Visconti, che assumono il titolo di signori perpetui, con Azzone, nel 
      1330; possono governare da sovrani a pieno titolo e svolgere una politica 
      intesa a rafforzare il loro dominio territoriale. La Lomellina, marca di 
      confine con il pericoloso e potente marchesato del Monferrato, è la prima 
      delle terre viscontee ad essere per così dire "regolata", sia con vere e 
      proprie conquiste, sia con la concessione di feudi ai nobili più fedeli 
      alla signoria milanese; conseguenza vistosa di questa nuova politica è la 
      fine delle autonomie comunali, peraltro inesistenti in Lomellina, se si 
      eccettua il caso (che non è lomellino ma milanese) di Vigevano.
      Le storie milanesi narrano delle numerose guerre combattute sulle terre 
      lomelline. In lotta con Pavia percorrono e saccheggiano queste terre nel 
      1307 e 1312; è del 1314 uno scontro tra i due schieramenti ad Albonese. 
      Nel 1319 viene eletto podestà di Vigevano Luchino Visconti, che dà inizio 
      alla ricostruzione delle antiche rocche lomelline, alcune delle quali 
      andate distrutte nel corso degli eventi bellici, altre cadute in rovina 
      dopo l'abbandono da parte dei Conti Palatini. Nel 1323 Marco Visconti 
      invade di nuovo la Lomellina, come pure fa nel 1326 il marchese Malaspina, 
      duca di Tortona.
      Spente le ultime resistenze pavesi, ha inizio la sistemazione 
      amministrativa-feudale della Lomellina: nel 1355 la terra di Castelnovetto 
      è affidata ai Beccaria; Dorno a Luchino dal Verme (i Dal Verme sono i veri 
      conquistatori e colonizzatori viscontei della Lomellina dopo il passaggio, 
      non del tutto proficuo, di Marco Visconti); Gravellona, già dei Barbavara, 
      è presa nel 1361 dai soldati viscontei; Lomello (riedificata dai Visconti 
      nel 1381) riprende il suo gran posto di antica capitale e nel suo 
      castello, nel 1391, Gian Galeazzo Visconti riceve gli ambasciatori 
      francesi di Carlo VI; Palestro, già dei Langosco, è assegnata nel 1335 ai 
      Beccaria e a questi l'imperatore Carlo V assegna, nel 1355, la terra di 
      Sant'Angelo; Sartirana, dominio dei conti locali ramificati dai conti di 
      Lomello, è presa nel 1380 da Jacopo Dal Verme; Semiana, che i Langosco 
      tendevano a portare nell'orbita del Monferrato, viene assegnata nel 1399 
      ai Barbavara, ritornati in auge presso la corte di Milano.
      Dal 1348 al 1380 nella valle padana si svolge un grandioso duello tra due 
      grandi signorie: gli Scaligeri di Verona e i Visconti di Milano. Attorno 
      ad essi giostrano, ora alleati, ora nemici il duca di Savoia ed il 
      marchese del Monferrato. Giovanni di Monferrato nel 1369 occupa Garlasco 
      ma, costretto dai Visconti ad abbandonarlo, dà alle fiamme il castello e 
      fa distruggere tutte le opere di fortificazione.
      Con Galeazzo II e Bernabò Visconti si riafferma il potere visconteo sulla 
      regione: la Lomellina diventa il luogo preferito per gli svaghi della 
      corte e per l'esercizio dell'attività venatoria, favorita dalla ricchezza 
      di selvaggina che brulica nelle foreste di querce e frassini e che è 
      costituita da cervi, daini, lepri, conigli, cinghiali ed ogni sorta di 
      volatili.
      La stabilità e l'unità della Lomellina, conquistate con le armi e con la 
      diplomazia viscontee, vengono messe in pericolo alla morte di Gian 
      Galeazzo, avvenuta nel 1402. Nominalmente assegnata a Filippo Maria, conte 
      di Pavia, in realtà la Lomellina viene conquistata con dura mano dal vero 
      signore di Pavia, Facino Cane: nel 1404 le soldatesche pavesi devastano 
      Albonese, feudo dei Langosco, Cairo, Frascarolo, Mede, Olevano, Pieve. 
      Nella dissoluzione dello stato visconteo fa la sua apparizione in 
      Lomellina anche il marchesato del Monferrato: nel 1404 il marchese Teodoro 
      II prende Castelnovetto e Lomello. Una seconda spedizione di Facino Cane è 
      proprio diretta, nel 1407, contro Lomello e una terza, nel 1409, contro 
      Mortara.
      Governato nominalmente dal giovane, crudele tiranno Giovanni Maria 
      Visconti, in realtà, percorsa dalle soldatesche di Jacopo Dal Verme, di 
      Carlo Malatesta e di Facino Cane, il ducato di Milano è in piena anarchia. 
      Il primo accenno di rinnovamento è dato dalla scomparsa di Giovanni Maria, 
      assassinato il 16 maggio 1412 da una congiura di nobili. Rimane unico 
      erede del ducato il pavido Filippo Maria, chiuso in Pavia e quasi 
      prigioniero di Facino Cane; con l'aiuto di questi e del conte di 
      Carmagnola, Filippo Maria, il 16 giugno 1412 entra, acclamato duca, in 
      Milano. Per la Lomellina ricomincia un periodo, tutto sommato tranquillo, 
      di ridistribuzione dei feudi, secondo la più o meno provata fedeltà ai 
      Visconti. Dorno si dà nel 1428 a Filippo Maria, Cozzo pure si mette al 
      ripari del biscione; Langosco nel 1421 è tolto agli omonimi feudatari e 
      data ai Carmagnola; Lomello, ripresa dai Beccaria, si lega a Pavia; 
      Mortara dal 1418 invoca il dominio diretto del duca; Ottobiano è 
      assegnata, nel 1432, ai Porro; Semiana è dal 1436 feudo dei pavesi Del 
      Maino.
      La morte di Filippo Maria e la fine della dinastia viscontea (1447) 
      portano qualche turbamento anche in Lomellina; si affacciano i duchi di 
      Savoia e qualche terra è temporaneamente occupata, come Castelnovetto, 
      Sant'Angelo e Semiana; anomalo è il caso di Vigevano che, come libero 
      comune, aderisce all'Aurea Repubblica Ambrosiana, trascinando anche 
      Cilavegna.
      La vittoria di Francesco Sforza (11 marzo 1450) segna per Milano e per 
      tutto il ducato l'inizio dell'epoca più felice, più serena, più ricca di 
      opere d'arte; la luce della corte sforzesca si riverbera potentemente 
      anche in Lomellina, ove troviamo, mandati da Milano, uomini di primo 
      piano. La dominazione sforzesca segna il periodo di massimo splendore per 
      la nostra terra. Gli Sforza e la loro corte costruiscono e ripristinano 
      numerosi castelli con funzione non solo difensiva ma anche residenziale. 
      L'edilizia urbana ne riceve un impulso notevole e nel volgere di pochi 
      anni molti borghi si sviluppano più di quanto sia avvenuto in un intero 
      millennio. Molte famiglie nobili milanesi scelgono, sull'esempio della 
      corte ducale, di costruirsi una residenza in campagna: sorgono così 
      numerosi palazzi signorili.
      Sotto Francesco e Galeazzo Maria Sforza avviene la solita inevitabile 
      ridistribuzione dei feudi, ma l'epoca è tale che ogni feudo diviene una 
      piccola, splendida corte, sempre prescindendo dalla gran dimora di 
      Vigevano, ove vivono e governano i duchi incoronati. Queste nuove 
      infeudazioni comprendono: Alagna, ai Malaspina di Fortunago (1466); Cairo, 
      agli Isimbardi di Milano (1467); Candia, ai Fisorini di Alessandria, poi 
      ai Barbiano di Belgioioso, infine ai Gallarati Scotti, signori di Cozzo 
      (1465); Castellaro dè Giorgi, confermato ai Biraghi (1454); Cozzo, ai 
      Gallarati Scotti (1465); Frascarolo, direttamente agli Sforza; Gropello, 
      ad un Visconti (1470); Lomello, ai Crivelli (1450); Mortara, a Ludovico il 
      Moro, nominato conte di Mortara ancora fanciullo (1467); Ottobiano, prima 
      ai Dè Rossi, poi ai figli di Galeazzo Maria Sforza (1467) i quali lo 
      vendono ai Biraghi (1481) e a questi rimarrà fino all'avvento dei Savoia; 
      Palestro, ai Borromeo (1452); Pieve del Cairo, ai Crotti; Sannazzaro, ai 
      Malaspina (1466); Sartirana, al segretario ducale Cicco Simonetta (1452), 
      poi a Bonifacio Guasco (1494); Semiana, direttamente agli Sforza (1454).
      Durante il ducato di Ludovico Maria Sforza detto il Moro (nato nel 
      castello di Vigevano), nuove colture vengono introdotte in Lomellina, in 
      particolare quella del riso, già tentata da Galeazzo Maria attorno al 
      1470. Grande diffusione ha la coltura del gelso, le cui foglie sono 
      indispensabili per l'allevamento del baco da seta, anch'esso introdotto in 
      età sforzesca. La produzione serica acquista rapidamente importanza, 
      diventando, per quasi quattro secoli, la maggiore fonte economica della 
      zona. Proprio a seguito di questo sviluppo dell'agricoltura vengono 
      costruiti nuovi complessi rurali, le cascine, per i quali si utilizza la 
      classica tipologia "a corte chiusa".


      Le dominazioni straniere (1500-1700) 

      Nel 1500 Luigi XII re di Francia, sceso in Italia per combattere contro 
      Ludovico il Moro, lo sconfigge nella battaglia di Novara, prendendo 
      possesso anche della Lomellina, che unisce al regno francese fino al 1512. 
      E proprio quando Milano cade sotto l'urto di Gian Giacomo Trivulzio, 
      comandante delle armate francesi di Luigi XII, l'alta nobiltà Lomellina è 
      tutta favorevole al sovrano d'oltralpe; questi viene fastosamente accolto 
      dai Gallarati Scotti a Cozzo; Gambolò è governata prima dai Trivulzio, poi 
      dal cardinale di Sion Mattia Shiner e poi dai Litta Visconti di Arese; 
      Bonifazio Guasco si affretta a vendere il dominio di Sartirana al 
      governatore francese, il cardinale Rohan d'Amboise.
      Dai primi di maggio alla fine di giugno di quell'anno i francesi, 
      incalzati dai veneziani e dagli svizzeri, devono abbandonare le fortezze 
      del milanese. Solo il novarese rimane nelle loro mani ed il 6 giugno 1513 
      si scontrano con gli svizzeri di Massimiliano Sforza e vengono sconfitti. 
      I francesi si prendono la rivincita dopo due anni. Morto infatti Luigi 
      XII, gli succede Francesco I, di 22 anni, che conduce personalmente la 
      guerra in Italia. A Melegnano, nel 1515 contro gli svizzeri, vince la 
      cosiddetta "battaglia dei giganti" e riconquista col trono d'oltralpe 
      anche le terre lomelline.
      Il fiscalismo francese riduce rapidamente il popolo del Ducato di Milano 
      alla estrema miseria. Approfitta della situazione l'imperatore Carlo V, 
      che raduna un esercito composto da truppe imperiali e pontificie, 
      comandato da Prospero Colonna, presso Reggio Emilia. Il 9 novembre 1521, 
      superando a Cassano d'Adda il ponte tenuto dai francesi, li mettono in 
      fuga e liberano Milano.
      Il 4 aprile 1522 Francesco II Sforza riprende possesso delle sue 
      proprietà, ma l'impero considera ormai devoluto a sé il Ducato di Milano. 
      La Francia ritenta l'occupazione del Ducato nel 1523 mandando un esercito 
      che occupa Novara e assedia Milano, ma a metà novembre è costretto a 
      ritirarsi ad Abbiategrasso. Gli imperiali, dopo alcuni mesi di 
      logoramento, decidono di passare il Ticino e si stanziano a Gambolò. I 
      francesi occupano allora Vigevano e Mortara dove possono ricevere le 
      vettovaglie dal Monferrato e da Novara. Il duca Francesco Maria di Urbino 
      con soldati veneziani, collegati con gli imperiali di Carlo V, avanza 
      allora verso Garlasco con lo scopo di interrompere l'affluire delle 
      vettovaglie all'esercito imperiale; ne assalta il castello e lo saccheggia 
      dopo aver fatto prigionieri 500 francesi. Poi avanza verso San Giorgio, 
      piegando successivamente verso Pieve del Cairo per accostarsi a Sartirana, 
      in posizione volta ad impedire l'arrivo delle vettovaglie agli imperiali. 
      Forte di 2.000 fanti e dell'artiglieria ne espugna la rocca difesa da 600 
      fanti. I francesi si muovono per soccorrere Sartirana, ma nel cammino 
      intendono quanto accaduto e si fermano a Mortara. Di qui, considerato 
      l'incalzare dei nemici, si ritirano prima a Novara e poi in terra di 
      Francia, protetti dagli svizzeri. La spedizione, durata sette mesi, ha 
      dato risultati negativi, ma la guerra viene ripresa l'anno successivo e 
      questa volta conclusa definitivamente con la sconfitta dei francesi a 
      Pavia e la prigionia dello stesso re Francesco I.
      Questi fatti non portano nulla di nuovo in Lomellina, se non la cessione 
      del castello di Sartirana agli Arborio di Gattinara, conti di Sartirana, 
      che lo terranno fino al 1934.
      Nel 1530 Francesco II Sforza ottiene da Carlo V l'annessione di Vigevano 
      al ducato di Milano e da papa Clemente VII l'elevazione del borgo a rango 
      di città e la creazione della diocesi di Vigevano. Anche questo fatto 
      riguarda solo la città sforzesca e l'amministrazione religiosa di Mortara 
      e di Gambolò; per il resto la Lomellina continua ad essere parte della 
      diocesi di Pavia e, per piccole porzioni di territorio, delle diocesi di 
      Novara e Vercelli.
      L'andirivieni degli eserciti di Francesco I di Francia e di Carlo V 
      d'Asburgo causa qualche guasto in Lomellina, ma sono scaramucce alle quali 
      la nostra terra è da sempre abituata. Nel 1524 Garlasco, tenuta dai 
      francesi, è presa e distrutta dagli spagnoli; Mortara è saccheggiata dai 
      francesi nel 1527. Nel contempo, Carlo V infeuda le terre di Tromello ai 
      conti Stampa di Milano e quelle di Velezzo ai Biglia, pure milanesi 
      (1535); poco più tardi il castello di Villanova passerà ai Gonzaga di 
      Mantova.
      Nel 1535 il ducato, e con esso la Lomellina, con la morte di Francesco II 
      passano definitivamente agli spagnoli e rimangono a quella monarchia per 
      quasi due secoli, fino al 1713. In questi due secoli si ripete, 
      pressapoco, la stessa situazione di mille anni prima, all'epoca dei 
      Longobardi: benché la Lomellina sia stabilmente inglobata in uno stato (il 
      ducato spagnolo di Milano), la sua posizione di marca di confine la espone 
      ai continui passaggi di eserciti tra spagnoli, francesi, piemontesi e poi 
      austriaci.
      Le condizioni economiche del ducato sono disastrose. Nell'inverno del 1529 
      una relazione di ambasciatori veneziani annota che "tra Vercelli e Pavia 
      per cinquanta miglia tutto è deserto, i campi sono tornati selvaggi. 
      Vigevano è un deserto, Pavia fa pietà". Da segnalare che, nel corso delle 
      sue visite di carità, S. Carlo Borromeo visita la parrocchia di Mortara 
      nel 1578.
      Nel 1612, alla morte di Francesco Gonzaga, duca di Mantova e marchese del 
      Monferrato, il duca di Savoia, Carlo Emanuele I, avanza pretese di 
      successione; si accorda con Enrico IV re di Francia, ed ottiene il suo 
      impegno militare contro la Spagna in Italia. Dal canto suo, il governatore 
      di Milano, il conte Fuente de Ezevedo, raccoglie un forte esercito in 
      Lomellina. Ne viene una guerra che si conclude nel 1617, lasciando il 
      tutto come prima. Ne va di mezzo solo Palestro, che è investita dalle 
      truppe savoiarde nel 1614. Queste scorribande di eserciti nella Lomellina 
      dal 1614 al 1617 spiegano la presenza in questo periodo di molti disertori 
      spagnoli e napoletani.
      La seconda guerra di successione per il Monferrato, nel 1627, che vede 
      invertite le parti, non è nemmeno registrata in Lomellina, e nulla cambia. 
      Più pesanti gli effetti della guerra, ormai endemica, tra Francia e 
      Spagna. Nel settembre 1629 l'esercito alemanno, proveniente dalla 
      Valtellina, si congiunge a quello spagnolo a Milano. Il capitano Rambaldo, 
      con i tedeschi, assale Mantova e il capitano Spinola, con gli spagnoli, 
      Casale. Questi, con 16.000 fanti e 4.000 cavalieri mescolati di spagnoli, 
      tedeschi, napoletani e lombardi, dirigendosi nel Monferrato, sostano in 
      Lomellina e vi lasciano la peste. Anche la Lomellina viene quindi colpita 
      dalla peste del 1630, descritta dal Manzoni nel romanzo "I Promessi 
Sposi".
      Nel 1635 il duca Vittorio Amedeo di Savoia stringe, con la Francia, 
      un'alleanza con i duchi di Parma, di Modena e di Mantova. A lui viene dato 
      il comando di tutto l'esercito alleato, ma non ottiene che 8.000 uomini 
      dalla Francia. Sapendo che gli spagnoli sono bene armati, vorrebbe 
      desistere, ma il Richielieu riesce ad indurlo ad aprire le ostilità il 20 
      settembre 1635. I due eserciti si fronteggiano a Valenza, e parecchie 
      volte i francesi scendono in Lomellina ad occupare o demolire fortezze e 
      castelli. Memorabile l'assedio avvenuto tra il 27 ed il 30 marzo 1638 con 
      cui gli spagnoli assalgono e mettono in fuga 1.000 cavalieri francesi 
      asserragliati nella fortezza di Breme; a metà maggio dello stesso anno la 
      flotta spagnola sbarca a Finale 2.000 soldati napoletani, che si dirigono 
      in Lombardia impadronendosi di Valenza e Mortara.
      Nel 1644 i francesi occupano Vigevano. Due anni dopo questa viene 
      espugnata dagli spagnoli che devono accorrere a Mede contro francesi, 
      savoiardi e parmigiani che la stanno mettendo a sacco. Palestro viene 
      incendiata dai francesi nel 1639 e nel 1655; quando i franco-piemontesi 
      pongono l'assedio a Pavia, mezza Lomellina è interessata dal passaggio 
      degli eserciti; Celpenchio viene assediato dal duca di Modena, alleato dei 
      franco-piemontesi, nel 1658; nello stesso anno, Langosco viene devastata 
      dai francesi e, nel 1659, dagli spagnoli; truppe delle diverse parti si 
      accampano a Sannazzaro; Semiana subisce il saccheggio dei piemontesi nel 
      1655.
      Nel 1656 Valenza cade di nuovo in mano ai francesi, ma i ripetuti 
      tentativi dei franco-piemontesi di entrare in Lomellina attraverso 
      Frascarolo fortificata, vengono respinti dagli spagnoli. Il 28 maggio 1658 
      il generale piemontese Villa ritenta l'impresa. Il governatore spagnolo di 
      Milano, il conte Fuensaldagna, non avendo forze sufficienti per 
      difenderle, distrugge tutte le fortificazioni lomelline affinché il nemico 
      non le prendesse.
      La pace dei Pirenei, del 7 novembre 1659, pone fine alla guerra tra 
      francesi e spagnoli, durata 23 anni; come conseguenza, Valenza e Mortara 
      ritornano agli spagnoli, che restituiscono ai piemontesi Vercelli.
      La desolazione della Lomellina, percorsa per quasi mezzo secolo da 
      eserciti in guerra, si aggrava talmente da determinare forti correnti 
      emigratorie; Lomello conta nel 1689 solo 550 abitanti. Nello stato 
      spagnolo si possono distinguere il Contado di Vigevano ed il Principato di 
      Pavia da cui dipende la Lomellina. Fra le nobili famiglie lombarde che vi 
      hanno possedimenti vanno citate i Gattinara a Dorno, i Crivelli a Lomello, 
      gli Stampa a Parona, i Confalonieri a Ferrera, i Cattaneo a Mortara, i 
      Maino a Mede e i Della Pergola a Mortara.
      La Provincia di Lomellina è amministrata da una congregazione eletta da 25 
      comuni e composta da un Sindaco generale sedente presso il Governo di 
      Milano, un Sindaco forense, quattro Consiglieri - di cui uno di Mortara - 
      e un Cancelliere. Nel 1675 comincia ad uscire una gazzetta regolare.
      In seguito alla vendita di Casale, possesso di Carlo Gonzaga, nel 1688 
      scoppiano le ostilità fra la "lega d'Austria", costituita da Inghilterra, 
      Spagna, Olanda, Svezia ed Austria, contro la principale potenza di allora: 
      la Francia di Luigi XIV, il "re sole". Il duca di Savoia, Vittorio Amedeo 
      II, che allo scoppio della guerra si era posto sotto la protezione 
      francese, nel 1690, temendo l'ingerenza francese, con politica 
      spregiudicata cambia campo e si schiera con le potenze della lega. Avuta 
      poi Casale dal re di Francia, gli si allea per gettarsi contro gli 
      spagnoli; Langosco, nel 1696, è di nuovo campo di battaglia e Luigi XIV è 
      costretto ad abbandonare la partita italiana. Il celebre ed inutile 
      trattato che il 7 ottobre 1696 i diplomatici francesi e austriaci firmano 
      a Vigevano presso il convento domenicano rappresenta la prima sconfitta 
      subita dal grande re. La Francia deve cedere Pinerolo ai Piemontesi e 
      smantellare la fortezza di Casale, mentre gli spagnoli e gli austriaci si 
      impegnano a ritirare le proprie truppe dall'Italia.


      I Savoia (1700-1789) 

      Trattato inutile, quello del 7 ottobre 1696, perchè già l'anno successivo, 
      mentre il trattato di Rijswijk suggella la pace di Vigevano, scoppia la 
      guerra di successione spagnola, che segna l'apparire sul teatro italiano 
      dell'Austria e, ancora una volta, l'inversione delle alleanze: questa 
      volta Piemonte, Francia, Spagna e Baviera si uniscono contro la nuova 
      potenza, cui si uniranno, successivamente, Inghilterra e Olanda. In Italia 
      Vittorio Amedeo II ottiene il comando dell'esercito 
      franco-ispano-savoiardo, ma i generali francesi si rifiutano di 
      obbedirgli. Il re entra astutamente di nuovo in trattative con l'Austria 
      che, in un trattato segreto firmato a Torino l'8 settembre 1703, gli 
      promette Valenza e la "provincia che dicesi Lumellina". Una delle 
      condizioni è però che le fortificazioni di Mortara siano rase al suolo a 
      spese del duca.
      Nel 1706 i franco-ispanici si accingono ad occupare una dopo l'altra le 
      fortezze piemontesi e pongono l'assedio a Torino. Al comando degli 
      imperiali scende in Italia, in aiuto a Vittorio Amedeo II, il principe 
      Eugenio di Savoia; marciando alla destra del Po, mira a congiungersi con 
      le milizie del duca. Francesi e spagnoli, muovendo con la cavalleria da 
      Pavia per Gropello, Lomello e Mede passano il Po a Valenza con 
      l'obbiettivo di difendere la linea del Tanaro. Abbandonano però questo 
      piano ed il 23 agosto muovono su Torino. L'esito della gloriosa battaglia 
      del 7 settembre 1706, combattuta sotto le mura di Torino, vede infine 
      vincitore il principe Eugenio. Questi, il 28 settembre 1706, assedia il 
      castello di Milano (cadrà il 20 marzo 1707): è la fine del dominio 
      spagnolo in Italia e la fine dell'alleanza franco-piemontese, perchè i 
      Savoia, sempre attenti ad estendere il proprio stato, comprendono che è 
      meglio appoggiarsi ai nuovi venuti che agli antichi alleati. Inizia così 
      la dominazione austriaca.
      Il distacco del Piemonte dalla coalizione franco-spagnola ha il prezzo 
      sancito con il trattato del 1703 con l'Austria: la cessione al Piemonte di 
      alcune terre dell'ex ducato milanese e cioè Alessandria, Valenza, la 
      Lomellina e la Valsesia. La nobiltà pavese protesta presso il principe 
      Eugenio, che in un rapporto del 23 febbraio 1707 all'imperatore d'Austria 
      si fa portavoce di questa opposizione. Le carte dell'antico principato 
      ticinese vengono portate dai decurioni pavesi a Gropello e solo con l'uso 
      della forza consegnate a Torino. Nei primi mesi del 1707 l'Austria 
      consegna a Vittorio Amedeo II la Lomellina ed il 18 marzo le comunità 
      lomelline prestano giuramento di fedeltà e omaggio al nuovo signore. Al 
      momento del pagamento della cambiale, Vittorio Amedeo di Savoia alza il 
      prezzo: si aggiungano Vigevano, il Vigevanasco e terre nel Novarese. Le 
      trattative finiscono a Vienna, perché i Milanesi sono tutt'altro che 
      disposti a privarsi di così fertili terre. Da Vienna le trattative tornano 
      a Milano e la materia del contendere è proprio il Vigevanasco: la 
      conferenza diplomatica si apre nel gennaio 1712 a palazzo Marino, sono 
      previste tre sedute settimanali. Dopo sei mesi il Savoia la spunta: 
      Vigevano e la Lomellina passeranno allo stato sabaudo, il che diventerà 
      effettivo dopo la firma del trattato di Utrecht, del 17 aprile 1713, per 
      quanto concerne la Lomellina (Mortara ne è il naturale capoluogo); 
      tuttavia, malgrado la promessa, Vigevano rimane all'Austria.
      Passano vent'anni e una nuova guerra quella di successione di Polonia, 
      sconvolge l'Europa e l'Italia; questa volta Carlo Emanuele di Savoia si 
      schiera contro l'Austria, sperando in qualche acquisto: per quasi tre anni 
      (1733-1736) Milano è governata dai franco-piemontesi, poi tornano gli 
      austriaci. L'ultima guerra di successione, quella austriaca, scoppiata nel 
      1740, dà modo a Carlo Emanuele III di Savoia di togliere all'Austria 
      l'ultima "foglia di carciofo" (così era definita la politica sabauda) 
      lombarda ad ovest del Ticino: con il trattato di Worms, del 13 settembre 
      1745, anche Vigevano passa alla casa Savoia.
      Dopo l'unione con il Piemonte, la Lomellina mantiene per lungo tempo i 
      suoi statuti. Una congregazione di cittadini, tra i più qualificati della 
      regione, si raduna nel castello a Mede e stabilisce le imposte. Questo 
      sistema economico-finanziario dura fino al 1775, quando viene soppressa la 
      congregazione e la Lomellina viene aggregata per la parte amministrativa 
      all'Intendenza di Alessandria fino all'anno 1779. Poi, fino al 1814, fa 
      parte del Dipartimento di Agogna e, cessato il governo francese in Italia, 
      viene aggregata all'Intendenza di Novara.
      Sotto i Savoia può svolgersi un'illuminata politica riformistica. Quella 
      più importante di Vittorio Amedeo II in campo economico è la perequazione 
      del tributo fondiario, da conseguirsi con la compilazione del catasto. 
      L'opera, terminata nel 1730, viene estesa alla Lomellina nel 1770. Il 30 
      ottobre 1723 viene inoltre istituito nella Lomellina l'ufficio 
      dell'"insinuazione", ovvero del registro. A regolare questa istituzione 
      sono stabiliti tanti piccoli centri, detti luoghi di "tappa" a cui devono 
      far capo i paesi limitrofi. Tappe sono istituite a Lomello, Mede, Pieve 
      del Cairo, Gropello, Garlasco, Dorno e Ottobiano. Con un successivo 
      decreto dell'11 febbraio 1743 vengono tutte concentrate nell'unica tappa 
      di Mortara.
      Dal 1745 al 1747 eserciti franco-ispanici e austro-savoiardi percorrono di 
      nuovo la Lomellina. I primi, forti di 70.000 uomini, scendono 
      dall'Appennino e puntano su Tortona, i secondi tentano, senza riuscirci, 
      di passare il Po a Frascarolo, per entrare in Lomellina "paese grasso e 
      fertile, donde si forniscono di vettovaglie" come si annota. La pace di 
      Aquisgrana del 18 ottobre 1747 pone fine alle ostilità e per le terre 
      lomelline seguono 44 anni di pace, che permettono finalmente di vedere 
      campi razionalmente coltivati, l'aprirsi di nuovi canali ed il netto 
      miglioramento delle condizioni di vita della popolazione.


      La rivoluzione francese (1789-1820) 

      La bufera rivoluzionaria, scatenatasi nel 1789 in Francia, ha una grave 
      ripercussione anche in Italia, specialmente nella regione piemontese; la 
      prima conseguenza è quella di spaventare i sovrani d'Europa, logico quindi 
      che i nemici di un tempo diventassero alleati di fronte al pericolo 
comune.
      Il re Vittorio Amedeo III viene spinto dai fuoriusciti francesi a 
      rifiutare l'invito alla dichiarazione di neutralità; l'alleanza tra questi 
      e l'imperatore d'Austria Francesco II è firmata a Milano il 22 settembre 
      1792. L'assemblea legislativa francese ordina allora al generale 
      Montesquieu di invadere la Savoia e al generale Anselme di occupare Nizza. 
      In quest'ultima milita il capitano d'artiglieria Napoleone Bonaparte. In 
      ambedue queste provincie i piemontesi sono obbligati a cedere terreno ed 
      immensa è la costernazione per le disfatte militari subite.
      Arrivano intanto a rinforzo alcuni reggimenti austriaci dalla Lombardia e 
      parecchi cittadini corrono volontariamente alle armi costituendo milizie 
      urbane. La Lomellina dà 1.200 volontari incorporati nel reggimento Casale. 
      Viene nominato comandante delle truppe piemontesi il generale Colli di 
      Vigevano, che è al servizio dell'Austria. Nel 1794 le truppe repubblicane 
      si impadroniscono dei versanti delle Alpi verso la Savoia e giungono fino 
      al colle di Tenda.
      Al principio del 1795 le condizioni del Piemonte sono molto gravi: 
      l'erario esausto, il popolo scontento e l'esercito abbattuto e sfiduciato. 
      Il re, più che mai avverso alla Francia, impone la tassazione del 6% su 
      tutti i contratti di affitto, colpendo in questo modo le masse degli 
      agricoltori. Si aggiunge un'imposta sul focatico e sui servi e si procede 
      alla vendita dei benefici semplici di nomina regia e dei beni delle 
      confraternite.
      Si riprendono però le azioni militari e la campagna d'Italia viene 
      affidata a Napoleone, che, malgrado i suoi 27 anni, riesce a marciare 
      rovesciando sperimentati feld-marescialli e soldati veterani. Napoleone 
      riporta la vittoria di Mondovì, cui segue l'armistizio di Cherasco del 27 
      aprile 1796, col quale il re, abbandonando l'alleato austriaco, concede 
      alla Francia la libera disponibilità delle strade e delle fortezze del 
      Piemonte. Il 10 maggio è la giornata di Lodi, cioè la vittoria di 
      Napoleone nella prima campagna d'Italia. La Lomellina viene percorsa dai 
      francesi mandati a rafforzare l'esercito in Italia. Assicurata poi la pace 
      con l'Austria col trattato di Campoformio del 26 ottobre 1797 e inaugurata 
      a Milano la repubblica Cisalpina il 9 luglio dello stesso anno, pare ai 
      francesi giunta l'ora di far crollare il trono della casa Savoia. Le 
      truppe francesi, su ordine del Direttorio, iniziano ad occupare 
      militarmente tutto il Piemonte il 27 novembre 1798. Il re Carlo Emanuele 
      abdica il 9 dicembre 1798 ed in Piemonte viene costituito un governo 
      provvisorio, dapprima di 15, poi di 20, ed infine di 25 membri. In realtà 
      il comando rimane nell'ambasciata di Francia. Tutta l'amministrazione 
      viene organizzata sul sistema francese, ed il Piemonte, perdendo la sua 
      indipendenza, è aggregato alla Repubblica.
      La Lomellina fa parte del Dipartimento dell'Agogna. In ogni paese viene 
      piantato l'"albero della libertà" e sono abbattuti a colpi di martello 
      tutti gli stemmi reali degli uffici pubblici. La regione più dissanguata 
      dalle taglie, requisizioni e sequestri da parte dei francesi è la 
      Lomellina. Tra i pionieri delle nuove teorie politiche in Lomellina 
      troviamo l'ingegnere Magenta di Zerbolò, l'avv. Corbella di Mortara, 
      l'avv. Pollini di Alagna e i vigevanesi Cotta Morandini, Fusi e Ferrari 
      Prosa, tutti futuri rappresentanti del Dipartimento di Alagna ai comizi di 
      Lione.
      I governanti si adunano il 1° febbraio 1799 e, dopo lunga discussione, 
      deliberano di raccogliere i voti per l'annessione del Piemonte alla 
      Francia. Si ottiene la risposta affermativa di oltre 800 comuni, quelli di 
      Lomellina compresi. Il Piemonte viene diviso dal commissario francese 
      Musset in quattro dipartimenti: Eridano, Sesia, Stura e Dora. Nel 
      frattempo, mentre Napoleone è in Egitto, Russia e Austria si alleano e 
      spediscono un esercito di 52.000 soldati in Italia, comandati dal generale 
      Suvarov. Battuti i francesi in marzo e aprile tra l'Adige ed il Mincio, e 
      battuti ancora a Cassano d'Adda, questi si ritirano concentrandosi tra 
      Casale e Valenza. Il 28 aprile 1799 gli austro-russi entrano in Milano e 
      raccolgono forze in vista dell'attacco decisivo; il 5 maggio 1799 un corpo 
      di truppe russe comandato dall'arciduca Costantino è accampato presso 
      Dorno e Lomello. Intanto un corpo di truppe alleato ha passato il Sesia e 
      dalla Lomellina entra nel vercellese, e un altro corpo passa alla destra 
      del Po. Il generale Moreau, comandante dell'esercito francese, ridotto a 
      20.000 uomini, si ritira verso Genova. Alla notizia della sconfitta della 
      battaglia di Novi del 15 agosto 1799, il commissario Musset arresta 57 
      aristocratici sospetti di cospirazione. Tra questi il marchese di Breme, 
      che viene tradotto prima a Grenoble, poi a Digione quale ostaggio.
      Nella primavera del 1800 Napoleone, di ritorno dall'Egitto, con una marcia 
      inusitata fino ad allora nella storia militare, dal 15 al 20 maggio, 
      superate le Alpi, invece di cercare le truppe del generale austriaco Melas 
      disseminate nel basso Piemonte, punta su Milano e, dopo la vittoria di 
      Turbigo, la occupa il 2 giugno. Nel castello di Lomello si tiene un 
      consiglio di guerra presenti il feld-maresciallo autriaco Mulas, il 
      generale russo Suvarov ed il principe russo Costantino. Napoleone, passato 
      il Po, si scontra con gli austriaci nella pianura di Marengo il 14 giugno 
      1800, riportando una memorabile vittoria, che lo rende padrone dell'Italia 
      fino al Mincio e pone fine alla presenza austro-russa in Italia.
      In quegli anni l'aspetto della Lomellina è miserabile: una carestia e le 
      rapine dei soldati l'hanno ridotta in estrema miseria. Si aggiunge anche 
      una prolungata siccità per cui, come si trova nelle testimonianze d'epoca, 
      si è "poco prodotto o quasi niente la meliga o i fagioli ed il raccolto 
      del grano è stato scarsissimo".
      Napoleone il 7 novembre 1800 ordina il distacco dal Piemonte di tutto il 
      territorio a sinistra del Sesia, Lomellina compresa, e l'unione di queste 
      province alla Repubblica Cisalpina, che dopo i comizi di Lione, in cui fu 
      approvato dai delegati italiani lo statuto napoleonico, prende il nome di 
      Repubblica Italiana. Ai comizi sono delegati 8 membri della Lomellina fra 
      cui il marchese di Breme, che è presidente del Consiglio del Dipartimento 
      di Agogna. La Lomellina viene staccata dal Piemonte con decreto del 2 
      aprile 1801 e segue le sorti della Repubblica Italiana, fino a che 
      Napoleone assume il titolo di imperatore dei francesi e re d'Italia il 15 
      marzo 1805. E' questo un periodo di tranquilla floridezza.
      Napoleone, sconfitto il 4 maggio 1814, fugge all'isola d'Elba e gli 
      austriaci occupano Milano il 25 maggio 1814. Vittorio Emanuele I ritorna a 
      Torino e la Lomellina e Vigevano, che prima fanno parte del Regno Italico, 
      tornano a riunirsi al Piemonte.
      L'Austria, dopo la caduta di Napoleone, fa attraversare alle sue truppe il 
      Ticino ed occupa la Lomellina e poi il Piemonte. Da alcuni documenti si 
      viene a sapere l'intenzione dell'Austria di annettersi le province alla 
      sinistra del Sesia e solo un'abile politica diplomatica presso la Russia 
      permette il ritorno al Piemonte delle provincie di Novara e della 
      Lomellina.
      L'Austria tiene a lungo una guarnigione in Piemonte, nei paesi prossimi al 
      Ticino. Le sue truppe causano i soliti guai e gravi danneggiamenti. Non 
      mancano le proteste del re piemontese ed i reclami presso le potenze 
      estere ottengono che le truppe sgombrassero finalmente nel marzo 1816 il 
      territorio del regno.
      In Lomellina dopo il trattato di Vienna e fino al 1817 imperversa una vera 
      carestia e miseria generale dovuta all'inclemenza del clima e 
      all'imprevidenza dello stato.
      Il re sabaudo chiede al pontefice che il confine ecclesiastico coincida 
      con quello politico del suo stato, ovvero che le 69 parrocchie della 
      Lomellina siano staccate dalla diocesi di Pavia dalla quale dipendono e 
      unite a quella, minuscola, di Vigevano. Ciò viene concesso nel 1817. Si 
      compie così un processo di "piemontesizzazione" della Lomellina (anche la 
      diocesi di Vigevano, generata da Milano, è inserita nella metropolitana 
      piemontese di Vercelli) che, se da una parte lascia maggior libertà ai 
      fautori dell'imminente Risorgimento, dall'altra rallenta lo sviluppo 
      economico della regione.


      Verso l'unità d'Italia (1820-1860) 

      Dopo i moti rivoluzionari del 1821 gli austriaci, per desiderio del re, 
      mantengono guarnigioni su una linea militare che, passando per Voghera, 
      Tortona, Valenza e Casale e terminando a Vercelli, mantengono le 
      comunicazioni col Lombardo-Veneto per Vigevano e Pavia. In tutto sono 
      12.000 soldati pagati dal Piemonte a partire dal 21 luglio 1821.
      Nell'ottobre dello stesso anno Carlo Felice ritorna in Piemonte e l'anno 
      seguente stipula una convenzione con l'Austria per l'evacuazione del 
      proprio territorio dalle truppe austriache. Sono anche ristabilite le 
      confraternite.
      Nel periodo storico che giunge alle guerre di indipendenza lo stato di 
      floridezza delle finanze permette a Carlo Alberto di incominciare nel 1854 
      la costruzione della ferrovia Genova-Milano attraverso la Lomellina. 
      Mortara, Vigevano e i paesi per cui passa ne sono notevolmente 
      avvantaggiati.
      Degno di nota il Congresso Agrario di Mortara, promosso da Cavour nel 
      1846, di carattere più politico che agrario, perché vi possono partecipare 
      anche i lombardi possessori di terre in Piemonte. Gli auguri e le promesse 
      che si scambiano alla chiusura del congresso, il 9 settembre 1846, sono il 
      primo atto di intesa fra gli italiani delle due sponde del Ticino. Dopo le 
      gloriose cinque giornate di Milano, dal 18 al 23 marzo 1848, Carlo Alberto 
      fa passare alle sue truppe il Ticino a Pavia. Le sfortunate vicende 
      belliche successive costringono il re a ritirarsi a Vigevano ed a chiedere 
      l'armistizio del 6 agosto 1848.
      L'anno successivo, scaduto l'armistizio, vengono riprese le ostilità: dopo 
      un primo scontro a Cava Manara, le truppe austriache comandate dal vecchio 
      generale Radetzky sconfiggono i piemontesi in due sanguinose battaglie, 
      alla Sforzesca (il 21 marzo) e a Sant'Albino di Mortara (il 22 marzo). 
      L'infausta giornata di Novara determina l'abdicazione di Carlo Alberto il 
      23 marzo 1849.
      Il "decennio di preparazione", capolavoro del genio politico di Cavour, 
      meriterebbe una lunga trattazione: la Lomellina, infatti, era destinata ad 
      essere il terreno del primo e decisivo scontro tra le armate 
      franco-piemontesi e austriache, perciò era più che logico che a questa 
      terra venissero dedicate da Torino cure particolari. Il Cavour incrementa 
      la pioppicultura e la risicultura con un doppio scopo: quello di 
      migliorare il livello economico della regione e quello di creare naturali 
      difficoltà agli eserciti nemici; in vista delle future operazioni, il 
      Cavour fa costruire la ferrovia tra Mortara e Novara.
      Dopo la campagna di Crimea del 1855 e l'alleanza fra il Piemonte e la 
      Francia sancita dagli accordi di Plombiers nel 1858, iniziano l'anno 
      successivo i preparativi bellici contro l'Austria.
      Il 22 aprile 1859 l'Austria invia al Piemonte un "ultimatum" perché metta 
      l'esercito su piedi di pace e licenzi i volontari. Cavour lo respinge, 
      mentre la Francia avvisa l'Austria che avrebbe considerato come 
      dichiarazione di guerra il passaggio del Ticino da parte di truppe 
      austriache. Il 29 aprile l'armata austriaca invade il Piemonte varcando il 
      Ticino a Boffalora, a Bereguardo e a Pavia, mentre le prime colonne 
      dell'armata francese arrivano a Susa e di là scendono a Torino. In quello 
      stesso giorno, a Zinasco, avviene il primo scontro fra i due eserciti 
      contrapposti, quando alcuni cavalleggeri piemontesi si scontrano con gli 
      usseri austriaci: gli italiani perdono un uomo, gli austriaci, che dovono 
      ritirarsi, tre. Il 30 aprile gli avamposti austriaci sono schierati a 
      Mortara, Novara e Vercelli, mentre il quartiere generale è a Garlasco. Il 
      1° maggio uno squadrone di usseri irrompe a Mede, abbandonandosi al 
      saccheggio, e catturano il sindaco.
      Tutto fa credere che il comandante supremo dell'esercito austriaco, il 
      generale Giulaj, punti su Torino. Un tale colpo di mano avrebbe messo 
      Napoleone III in condizioni tragiche. Cavour già pensa di organizzare il 
      trasporto degli archivi di stato da Torino a Genova. Per diversi motivi, 
      quali l'inondazione della Lomellina, ordinata dal Cavour per ritardare il 
      cammino degli austriaci, il cielo con le piogge, la piena dei canali in 
      Lomellina e nel vercellese e l'impreparazione dei comandanti austriaci, 
      l'avanzata non avviene. Prima ancora che dai cannoni, gli austriaci sono 
      fermati dall'acqua. Infatti, in quell'occasione, l'ingegnere direttore 
      generale del Roggione di Sartirana, che sarà poi progettista del canale 
      Cavour, dà l'ordine di raddoppiare l'acqua immessa nei canali, in maniera 
      che interi distaccamenti austriaci si trovano con l'acqua sino alla 
      cintola. "Grazie alla grande opera di inondazione" - dirà poi il Cavour 
      alla Camera - "l'esercito potè raccogliersi e ordinarsi, occupare 
      formidabili posizioni e le truppe francesi poterono giungere in aiuto".
      Il 12 maggio l'imperatore Napoleone III arriva a Genova. Il principe di 
      Savoia-Carignano muove incontro all'ospite illustre accompagnato dal conte 
      Nigra, ministro della Casa Reale, e dal marchese di Breme.
      Primo fatto d'arme notevole è l'occupazione di Montebello da parte dei 
      franco-piemontesi il 20 maggio 1859, mentre gli austriaci si ritirano al 
      di là del Po, in Lomellina. Mentre gli austriaci stanno raccolti nelle 
      terre lomelline e l'attenzione del loro comandante è attratta dalla 
      minaccia verso l'ala sinistra, il 27 maggio il re Vittorio Emanuele II 
      ottiene dall'imperatore francese che tre divisioni piemontesi, rinforzate 
      dal 3° Reggimento Zuavi, si rechino sull'ala destra a Palestro, ove, tra 
      il 30 ed il 31 maggio, avviene la famosa e cruentissima battaglia con cui 
      i piemontesi, forti di 10.800 fanti e 100 cavalleggeri, sconfiggono 
      duramente gli austriaci. La Lomellina è sgomberata.
      L'esercito vittorioso è trasportato col treno ed il 4 giugno Napoleone III 
      piomba di nuovo sugli austriaci, attaccandoli a Boffalora ed occupando 
      Magenta; l'8 giugno 1859 Vittorio Emanuele II e Napoleone III entrano in 
      Milano. Dopo la vittoria di Magenta e la pace di Villafranca, nel giugno 
      del 1859, l'armata degli alleati piemontesi e francesi stanzia in 
      Lomellina fino ai primi di settembre; l'alloggio di questi militari è 
      l'ultimo dei gravosi tributi sostenuti della comunità lomellina. Il 23 
      ottobre di quell'anno, ricostituita la provincia di Pavia, la Lomellina, 
      con l'Oltrepò, torna a far parte della provincia di Pavia. Nel 1878 anche 
      la diocesi di Vigevano ritorna in seno alla Chiesa Ambrosiana.
      Originari della Lomellina sono i Cairoli di Gropello, celeberrima famiglia 
      di patrioti del Risorgimento.
 
 Personaggi famosi della Lomellina 

       
      Alessandro V
      Pietro Filargo o Filargeto, francescano, antipapa. Nasce a Candia nel 1340 
      e rimane ben presto orfano dei genitori, venendo quindi allevato da un 
      dotto religioso dei padri conventuali di San Francesco; studia ad Oxford e 
      Parigi, diventa professore dell'università di Pisa e quindi entra alla 
      corte di Gian Galeazzo Visconti con funzione di ambasciatore. Viene 
      nominato arcivescovo di Milano nel 1402 e cardinale nel 1405. E' uno dei 
      protagonisti del concilio di Pisa, che, per mettere fine allo scisma 
      d'occidente, depone i due pontefici, quello romano e quello avignonese, e 
      lo elegge (il 26 giugno 1409) papa con il nome di Alessandro V, istituendo 
      così una terza obbedienza; da taluni è considerato papa legittimo. Muore a 
      Bologna il 3 maggio 1410; il suo breve pontificato non riveste grande 
      rilievo.

       
      CAIROLI (fratelli)
      Sono cinque fratelli, patrioti italiani originari di Pavia, che si sono 
      distinti nei moti rivoluzionari ottocenteschi: Benedetto (1825), Ernesto 
      (1832), Luigi (1838), Enrico (1840) e Giovanni (1842). Nel 1859 i primi 4 
      fratelli si arruolano nei "Cacciatori delle Alpi" organizzati da 
      Garibaldi, mentre Giovanni, troppo giovane, rimane a casa. Dei fratelli, 
      solo Benedetto non si immolerà per l'unità d'Italia. Ernesto cade a Varese 
      nel 1859, combattendo contro gli austriaci; Luigi muore di tifo a Napoli 
      nel 1860 mentre si sta congiungendo alla spedizione dei Mille, cui 
      partecipa Benedetto a capo della VII Compagnia, composta da pavesi e 
      lomellini; Enrico cade in combattimento, a Villa Glori, nel 1867; Giovanni 
      muore due anni dopo a seguito delle ferite riportate nello stesso 
      combattimento di Villa Glori.
      Benedetto, tra il 1861 ed il 1870, viene eletto deputato al Parlamento del 
      neocostituito Regno d'Italia nelle file della sinistra; diventa in seguito 
      primo ministro dal marzo al dicembre 1878, e dal luglio 1879 al maggio 
      1881, in alternanza con il senatore vogherese Agostino Depretis. Tra le 
      riforme interne più significative portate a termine da Benedetto è da 
      segnalare l'introduzione dell'obbligo dell'istruzione elementare dal 1879. 
      Rimproverato di aver seguito una politica estera assai lesiva degli 
      interessi dell'Italia, specialmente nei confronti della Francia, nel 1881 
      si dimette e si ritira a vita privata. Benedetto, medaglia d'oro al valor 
      militare, si spegne a Capodimonte (Napoli) il giorno 8 agosto 1889, ospite 
      del re Umberto I, cui ha salvato la vita il 17 novembre 1878, ricevendo 
      una pugnalata diretta al sovrano. E' sepolto nella tomba di famiglia, 
      assieme ai suoi fratelli, a Gropello.

       
      Eleonora DUSE
      Nasce a Vigevano il 3 ottobre 1858. Considerata una delle migliori attrici 
      di tutti i tempi, fin dalla giovanissima età ricopre il ruolo di 
      protagonista nella compagnia teatrale del padre, Alessandro Duse, e di 
      Cesare Rosaspina. A sedici anni ottiene un buon successo all'Arena di 
      Verona, recitando nel ruolo di Giulietta in "Giulietta e Romeo" di 
      Shakespeare. Diventa celebre nel 1878, quando si esibisce a Napoli nei 
      Fourchambault di Emile Augier. L'anno successivo, il celebre attore Cesare 
      Rossi la vuole come prima attrice, e con la sua compagnia prima, e, dal 
      1886, da sola, la Duse diventa famosa in tutto il mondo. Interpreta le 
      opere dei più grandi drammaturghi dell'epoca, tra cui Hermann Sudermann, 
      Giovanni Verga, Henrik Ibsen. Nel 1897 inizia la sua relazione con 
      Gabriele d'Annunzio, e da allora si dedica soprattutto a recitare e a 
      promuovere i drammi del letterato italiano. Nel 1909 la salute malferma 
      costringe l'attrice al ritiro, ma dopo qualche anno, nel 1921, è 
      costretta, per motivi finanziari, a tornare in scena. Per tre anni, fino 
      alla morte, la Duse è in tournée in Italia, in Inghilterra e negli Stati 
      Uniti. Muore a Pittsburgh il 21 aprile 1924.

       
      Giacomino e Pantaleone
      Originari di Confienza, vissuti entrambi nel XV secolo. Giacomino è priore 
      del Collegio medico di Torino, mentre Pantaleone acquista rinomanza quale 
      lettore di medicina, dapprima all'università di Pavia, poi allo "Studium" 
      torinese; è anche il medico di corte di Ludovico il Moro.

       
      Pietro GROCCO
      Nasce ad Albonese nel 1856. Insigne clinico e senatore del Regno d'Italia, 
      a lui si deve, tra l'altro, la "scoperta" delle virtù termali di 
      Montecatini. Muore nel 1916 a Courmayeur.

       
      padre Francesco PIANZOLA
      Grande cultore della storia Lomellina, ed in particolare di Sartirana, in 
      cui ha i propri natali, sacerdote Oblato della Diocesi, valente 
      predicatore, ottimo scrittore, ardente apostolo tra i giovani negli 
      oratori e nelle associazioni. Il giorno 8 maggio 1919 fonda a Mortara 
      l'istituto religioso delle Suore Missionarie Immacolata Regina Pacis.
      Le prime suore vengono formate ad una missione particolare nelle campagne 
      della Lomellina, dove più calda è la lotta dei lavoratori sfruttati ed 
      oppressi. Inviate nei cascinali più lontani dai centri urbani, visitano ed 
      incontrano la gente più umile ed emarginata. Particolare attenzione viene 
      rivolta alle giovani e alle donne. Oggi questo ordine religioso è ancora 
      molto attivo in Lomellina, in diverse parti d'Italia, in Francia, ed anche 
      in luoghi di missione, in particolar modo in Africa (Costa d'Avorio, Mali 
      e Burkina Faso) e in Brasile (San Paolo, Goias e Pernambuco).

       
      Silvio PIOLA
      Nasce a Robbio il più grande cannoniere del calcio italiano. Centravanti 
      di sfondamento, protagonista dal 1930 al 1954, si impone grazie alla 
      notevole prestanza fisica ed alle doti acrobatiche. Disputa 536 partite 
      nel campionato in serie A, segnando la cifra record di 274 reti sul totale 
      di 395 fatti nella sua carriera. Milita nelle fila di Pro Vercelli, Lazio, 
      Torino, Juventus e Novara, senza mai riuscire a conquistare uno scudetto. 
      In compenso si aggiudica per due volte la classifica dei cannonieri (nel 
      1937 e 1942, sempre con 21 reti). E', soprattutto, il bomber della 
      nazionale azzurra campione del mondo in Francia nel 1938, dove ha modo di 
      esaltarsi a fianco di un altro grande del calcio italiano, Giuseppe 
      Meazza. Segna 5 gol, tra cui due decisivi in finale contro l'Ungheria. Tra 
      le sue reti storiche, ce n'è una segnata astutamente di mano, che permette 
      all'Italia di pareggiare 2-2 con l'Inghilterra, a Milano, nel 1939. Muore 
      a Vercelli nel 1996.

       
      Ludovico Maria SFORZA, detto "il Moro"
      Nasce nel castello di Vigevano, nel 1452; figlio di Francesco Sforza e di 
      Bianca Maria Visconti. Alla morte del fratello Galeazzo Maria, duca di 
      Milano, Ludovico cerca di estromettere dalla carica il giovane nipote, il 
      duca Gian Galeazzo, ma il tentativo fallisce ed egli viene esiliato in 
      Toscana. Nel 1480, dopo tre anni di lontananza, ottiene di poter rientrare 
      a Milano, e riesce a farsi nominare tutore di Gian Galeazzo; nel 1494, 
      alla morte di questi, Ludovico venne insignito ufficialmente del titolo di 
      duca. Incoraggiato anche dalla moglie Beatrice d'Este, diventa un grande 
      mecenate e accoglie alla sua corte artisti e studiosi di straordinario 
      talento, fra cui Leonardo da Vinci; grandiose, tra l'altro, sono le opere 
      che ha fatto costruire a Vigevano. Le sue iniziative politiche, tuttavia, 
      sono disastrose per l'Italia: alleato inizialmente con il re Ferdinando I 
      di Napoli, teme poi che il matrimonio tra Gian Galeazzo e una nipote di 
      Ferdinando (avvenuto nel 1489) possa costituire una minaccia per il suo 
      potere e muta posizione; relega Gian Galeazzo a Pavia, e nel 1494 sostiene 
      Carlo VIII re di Francia nei suoi progetti di conquista del regno di 
      Napoli. Nel 1495, però, preoccupato delle mire espansionistiche dei 
      francesi, Ludovico si unisce a Venezia e riesce a scacciare gli invasori. 
      Nel 1499, il re Luigi XII, succeduto a Carlo sul trono di Francia, scende 
      nuovamente in Italia e conquista Milano. Ludovico allora fugge in 
      Germania; torna in Italia un anno dopo con nuove truppe, ma viene 
      catturato e portato come prigioniero in Francia, dove muore, a Loches, nel 
      1508.
 
 

 

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