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Il grano 

      Da oltre duemila anni, da quando il vomere dell'aratro era ancora 
      costituito da un cuneo di pietra naturale, esistevano già nel nostro 
      territorio alcuni appezzamenti a grano. Per la coltivazione del grano, 
      chiamato anche frumento, così come per quelle del miglio, della segale e 
      dell'orzo, i sistemi di lavorazione della terra erano praticamente 
      identici; inoltre non era necessaria alcuna pratica di irrigazione 
      artificiale, anche perché la stagione in cui avveniva la fase più 
      importante della vegetazione era l'inverno, al quale faceva seguito, in 
      marzo e aprile, la piovosa primavera.
      Fino al secolo scorso, tutti i lavori relativi alla coltura del grano, 
      dalla semina, al raccolto, alla trabbiatura, venivano eseguiti 
      manualmente. Ma all'inizio di questo secolo, anche se si continuò l'uso 
      della falce messoria per il raccolto, furono inventate le prime 
      rudimentali trebbiatrici, alle quali nei successivi decenni seguirono 
      mietitrici-legatrici, finché si arrivò all'impiego delle attuali moderne 
      mietitrebbiatrici.
      L'essiccazione veniva fatta sulla medesima aia che si utilizzava 
      normalmente per il riso e per il mais, ma raramente essa si rendeva 
      necessaria per il grano, in quanto si effettuava il raccolto nel periodo 
      più caldo dell'anno, tra la fine di giugno e la metà di luglio.
      Da diversi anni, ormai, in Lomellina la coltivazione del grano è divenuta 
      scarsamente remunerativa, ed ha lasciato il posto a quelle del riso e del 
      mais.

Il mais 

      Il mais fu introdotto in Italia da Cristoforo Colombo, che lo importò 
      dalle Americhe nel 1500; questo fatto diede un notevole impulso 
      all'agricoltura nella nostra zona, sia per l'abbondanza dei raccolti, sia 
      per la facilità di coltivazione anche in terreni non irrigabili, così come 
      avveniva per il grano e la segale.
      Con la farina di granoturco, di solito mescolata a quella del grano, si 
      incominciò ben presto a confezionare anche il pane, che i nostri antenati 
      apprezzarono subito, così come la polenta, altro alimento base di uso 
      quotidiano.
      I sistemi per la coltivazione del mais subirono numerose evoluzioni nel 
      corso dei secoli ed in modo particolare durante questi ultimi 
      cinquant'anni. Le pannocchie mature, che prima dell'introduzione degli 
      ibridi si presentavano molto più piccole di quelle odierne, si coglievano 
      a mano dalla pianta, si caricavano per mezzo di apposite ceste di vimini 
      su un carretto munito di sponde sui quattro lati, e poi si portavano 
      sull'aia, dove si rovesciavano in mucchio. Ultimato il raccolto, si 
      procedeva a scartocciarle, manualmente, lavorando fino a tarda sera, alla 
      luce di una lampada, con la collaborazione di componenti di famiglie 
      amiche alle quali poi si ricambiava l'aiuto o si dava un compenso in 
      natura, che poteva consistere in un certo quantitativo del prodotto 
stesso.
      La trebbiatura, che un tempo si effettuava solo a mano, in seguito venne 
      eseguita mediante una trebbiatrice azionata da un motore a scoppio. Si 
      procedeva infine all'essiccazione solare sull'aia, si insaccava e si 
      portava nel magazzino.
      Oggi invece anche il mais si raccoglie con moderne macchine 
      mietitrebbiatrici semoventi, si trasporta con appositi rimorchi agli 
      essiccatoi, quindi si immagazzina sciolto o si vende direttamente, senza 
      più fare uso dei sacchi di tela juta.

La pianura del riso 


      Il riso è una pianta della famiglia delle graminacee e proviene dai paesi 
      orientali con clima tropicale, per cui necessita di particolari condizioni 
      di temperatura ed umidità.
      Le prime notizie sulla coltivazione del riso in Lomellina risalgono alla 
      fine del quattrocento; in quel tempo, infatti, il marchese di Mantova 
      diede diversi sacchi di riso trasportati dall'oriente al suo cugino 
      milanese, Ludovico il Moro: da quel momento, il riso iniziò la sua 
      diffusione in terra lomellina. Alcuni studi affermano che la prima semina 
      di riso in Italia avvenne proprio nel nostro territorio, e precisamente 
      nel 1482 a Villanova di Cassolnovo, per iniziativa di Gian Galeazzo 
      Visconti; in seguito la coltivazione venne diffusa nelle fattorie degli 
      Sforza, nei dintorni di Vigevano. Tuttavia, anche se la particolare 
      conformazione del terreno, ricco di acque superficiali e poco profonde, si 
      è rivelata subito adatta alla coltivazione, la diffusione delle risaie in 
      Lomellina è stata limitata fino al sec. XVIII. Dall'ottocento, con la 
      costruzione del Canale Cavour, la coltivazione si è andata sempre più 
      affermando ed oggi copre buona parte del territorio coltivato con una 
      produzione decisamente superiore al passato (dai 18 ai 60 quintali per 
      ettaro).
      L'antico ciclo della coltivazione del riso (nella foto il sistema di 
      trebbiatura che veniva utilizzato), basato sul trapianto del cereale in 
      campi prima utilizzati per altre coltivazioni, con una continua rotazione, 
      e la pulizia ad opera delle mondine, è ormai solamente un ricordo. Ora il 
      cereale viene piantato a maggio direttamente nelle risaie, prima arate, 
      livellate e quindi allagate fino ai 10/20 cm per assicurare la protezione 
      termica del chicco. Qui le verdi piantine crescono, liberate dalle erbe 
      infestanti con diserbanti ed erbicidi, fino a trasformarsi, a settembre, 
      in lunghi steli con ricche spighe di chicchi dorati. Allora, le moderne 
      mietitrebbie scendono nelle risaie ormai asciutte con pesanti cingoli e 
      tagliano le piante, separando già i chicchi dalla paglia. I preziosi 
      chicchi, chiamati in questa fase risone, vengono quindi essiccati e solo 
      allora possono passare alle riserie per la raffinazione. Per essere 
      preparati al consumo alimentare, i chicchi di riso vengono prima sbramati, 
      poi sbiancati e, spesso, sottoposti anche alla brillatura, cioè alla 
      lucidatura per mezzo di talco e glucosio.
      Sull'argomento, è da segnalare un sito Internet molto interessante, da 
      titolo "mondine lomelline", dedicato alla figura umana e sociale delle 
      mondariso lomelline.

 

 

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