Flora

  In generale l'ecosistema dei Monti Sibillini è caratterizzato da un'organizzazione per fasce sovrapposte, rispondenti ai seguenti piani altitudinali:

1.Piano collinare dai 600 ai 1.000 mt

2.Piano montano dai 1.000 ai 1.800 mt

3.Piano sommitale dai 1.800 ai 2.400 mt

In queste zone si individuano caratteri climatici, morfologici, biotici differenti e spesso influenzati anche dall'attività antropica. Si passa pertanto dai suoli agrari e argillosi delle colline, alle zone boschive del piano montano, ai pascoli aridi delle superfici sommitali e ai versanti detritici in fase di colonizzazione vegetale, con qualche affioramento di pareti e creste rocciose.

  

  

 
 

      STRUTTURA DELLA VEGETAZIONE E SUA EVOLUZIONE PER L'AZIONE ANTROPICA  

  EVOLUZIONE DEL PAESAGGIO   Prima dell'intervento antropico, la vegetazione forestale ricopriva quasi interamente tutto il territorio marchigiano a partire dalle zone di fondovalle fino ad un'altezza massima intorno ai 1800 m, corrispondente al limite naturale del bosco; facevano eccezione solo alcuni ambienti particolari come le pareti rupestri, le paludi, ecc.
 

 

 

 

 

 

Superiormente alla vegetazione forestale si estendeva un orizzonte abbastanza contenuto di arbusti e ancora più in alto si aveva il dominio dei pascoli di altitudine.

L'ambiente naturale risulta oggi molto diverso, rispetto alle condizioni climatogene originarie, perché è stato fortemente modificato dalla presenza plurimillenaria dell'uomo che con le sue attività ha provocato modificazioni profonde rispetto alla copertura vegetale originaria.

L'entità degli interventi e il grado di trasformazione sono stati molto diversi a seconda delle zone e delle condizioni (altimetria, esposizione dei versanti, acclività, tipo di substrato). Il grado di antropizzazione è stato elevatissimo nella fascia costiera e nelle zone pianeggianti di fondovalle, dove  grazie alla morfologia dolce del territorio e alle condizioni favorevoli si è registrata una notevole presenza demografica per unità di superficie, con la conseguente eliminazione della vegetazione primaria a favore delle coltivazioni o di infrastrutture di vario genere; per cui il paesaggio attuale conserva solo scarsissime tracce del manto vegetale originario (Ballelli S., Biondi E., Cortini Pedrotti F., Francalancia C., Orsomando E., Pedrotti F., 1981; Francalancia C., 1987; Biondi E., Allegrezza  M., 1996).

Nelle aree collinari l'alterazione è stata meno intensa o per lo meno ci ha lasciato delle testimonianze più consistenti della vegetazione primaria; in questo caso il paesaggio prevalente è quello delle coltivazioni, interrotte da lembi boschivi più o meno circoscritti con vegetazione spontanea o da aree più o meno estese di pascoli secondari (in quanto ricavati a seguito della eliminazione del bosco). Nel settore montano l'uomo ha da sempre esercitato la pastorizia e lo sfruttamento del bosco; per cui il paesaggio è caratterizzato ancora da estese zone di bosco alternate a pascoli e prati-pascoli di origine secondaria.

Alle altitudini più elevate le trasformazioni sono state via via meno accentuate fino ad arrivare alla fascia alto-appenninica, sopra del limite potenziale della vegetazione arborea (circa 1800 metri) dove dominano ancora gli ambienti naturali con vegetazione primaria: i pascoli di altitudine. Nonostante la morfologia del territorio così varia e articolata gli ecosistemi originari erano riconducibili ad alcune unità fondamentali abbastanza definite, buona parte di esse permangono ancora allo stato attuale, ma le loro condizioni di conservazione sono molto diverse a seconda del grado di antropizzazione sia per quanto riguarda l'estensione che la composizione specifica e strutturale. In qualche caso si possono solo ritrovare degli elementi residui o rare testimonianze (Ballelli S., Pedrotti F.,  1992)

Da quanto sopra esposto analizziamo le principali tipologie di paesaggio che caratterizzano il territorio marchigiano.

 

  I FONDOVALLI   Il fondovalle é costituito dalle alluvioni terrazzate dei principali corsi d'acqua marchigiani con andamento est-ovest perpendicolari alla linea di costa. Da tempo il fondovalle riveste un'importanza agricola primaria, per l'elevata produttività dei suoli, per la disponibilità d’acqua, per la favorevole morfologia pianeggiante e per la consistente presenza di infrastrutture.
   

 

 

 

 

All'interno delle pianure alluvionali si possono distinguere alcune differenti tipologie di unità di paesaggio:
per quanto riguarda la vegetazione naturale é possibile soltanto tentare di ricostruire le formazioni vegetali preesistenti sulla base delle scarsissime testimonianze rimaste. Originariamente le aree di fondovalle erano occupate dalle foreste planiziali. Si tratta di fitocenosi per le quali é difficile risalire alle caratteristiche reali, perché considerata la fertilità dei suoli sono state distrutte dall'uomo a favore delle colture agricole.
Nelle zone di fondovalle di conseguenza il paesaggio agrario costituiva fino a qualche decennio fa una forma quasi esclusiva di utilizzazione territoriale. Attualmente esso, è stato molto ridimensionato dai sistemi insediativi e infrastrutturali che sono diventati prevalenti nelle zone a maggiore presenza antropica. La vegetazione ripariale si insedia lungo le rive dei fiumi e dei corsi d'acqua ed é rappresentata da ontaneti, pioppeti e saliceti.
Spesso queste cenosi ripariali sono frammiste a vari elementi arborei ed arbustivi di origine antropica quali la robinia (Robinia pseudo-acacia). Della vegetazione ripariale restano delle sottili strisce per lo più lungo i corsi d'acqua più importanti.
Nonostante l'esiguità e l'estrema riduzione, questa vegetazione igrofila svolge una notevole funzione per la protezione degli alvei fluviali ed assume anche un'importante funzione estetica nel caratterizzare il paesaggio di fondovalle.

                   

 

Stato attuale e ipotesi d'intervento

L’urbanizzazione è stata molto elevata anche nelle zone di fondovalle dove ha comportato una notevole sottrazione dei suoli agricoli più produttivi; in queste aree si è avuta anche una notevole alterazione delle forme tradizionali del paesaggio agrario con distruzione in diversi casi degli elementi diffusi (siepi, filari alberati, querce isolate, ecc). Per quanto riguarda gli aspetti botanico-vegetazionali, presupponendo che le aree di fondovalle saranno sempre più gravate dagli impatti derivanti dalle attività dell'uomo, una strategia realistica è quella di conservare i pochi elementi naturali ancora esistenti quali i boschetti residui di roverella, le grosse querce isolate, le siepi poderali. Allo stesso modo vanno preservati i pochi elementi, legati alle antiche tradizioni rurali come i gelseti e i resti delle alberate, sopravvissuti alle moderne tecniche agricole.
Particolarmente importante è la tutela della vegetazione ripariale, non solo per la funzione paesaggistica, ma soprattutto per la funzione di sostegno e stabilità degli argini.
In sostanza questa politica di tutela e di conservazione del paesaggio rurale dovrebbe essere affiancata da una politica di intervento per l'allestimento a verde soprattutto delle aree di contatto tra città e campagna e tra quest'ultima e le zone infrastrutturali.
Per svolgere funzioni ornamentali e di mitigazione degli impatti (conseguenti alle opere infrastrutturali) dovrebbe essere dato carattere prioritario alle essenze autoctone, che contribuiscono a rendere il paesaggio più uniforme e più armonico con le testimonianze residue dei suoi caratteri originari. Riguardo al cambiamento di destinazione d'uso di alcuni essenze vegetali (esempio i gelsi legati alla passata pratica della gelsicoltura), sarebbe auspicabile un'interruzione delle inutili e antiestetiche potature di tali alberi o quantomeno turni di interventi meno  frequenti.

 

  LA FASCIA COLLINARE   La fascia collinare marchigiana normalmente presenta una morfologia dolcemente degradante verso il mare; tuttavia non mancano fenomeni franosi e manifestazioni erosive come i calanchi.
La vegetazione forestale che ricopriva le colline basali è stata quasi ovunque soppressa a favore dei campi coltivati. In collina é il paesaggio agrario che prevale nettamente su ogni altra forma di utilizzazione territoriale. Esso appare più uniforme e spoglio di elementi arborei diffusi nelle zone basso-collinari mentre si caratterizza per una maggiore frammentarietà degli appezzamenti a quote più elevate, dove i campi sono arricchiti da grossi esemplari di roverella, quali ultime testimonianze degli originari querceti.
 

 

 

Uno degli elementi più caratteristici e suggestivi del paesaggio rurale marchigiano è dato dalle cosiddette "alberate", cioè  dalle viti isolate, "maritate" agli olmi o agli aceri, che però costituiscono una pratica in via di abbandono, soppiantata oramai da vigneti specializzati.
 Nelle colline basali restano due preziose testimonianze di bosco che per la loro unicità rivestono grandissimo interesse naturalistico: la Selva dell'Abazia di Fiastra e la Selva di Castelfidardo. Entrambe sono tutelate come Aree Floristiche ai sensi della Legge Regionale.

Nella fascia di media e alta collina la superficie forestale è più estesa e alcune aree di bosco assumono grande rilievo. In questo ambiente però la fisionomia prevalente è quella del paesaggio agrario, arricchito da elementi diffusi (alberi isolati e siepi), posti al limitare delle proprietà, lungo le strade di campagna o al margine dei fossi. In questi ultimi  decenni si è avuta la tendenza ad eliminarli a causa della meccanizzazione delle pratiche agricole, con il risultato di un paesaggio vegetale più  spoglio e più monotono.

Nei settori di bassa e media collina, soprattutto nei versanti più assolati, la vegetazione prevalente era costituita originariamente da querceti di roverella. Queste formazioni si succedevano alle foreste planiziali e potevano arrivare a circa 1000 m di altezza. Prevalentemente sono insediati su terreni  marnosi e argillosi, ma a quote più elevate si possono rinvenire anche su terreni calcarei (Francalancia C., Galli P., Marconi D., 1993).
La specie dominante è la roverella (Quercus pubescens) a cui si associano varie specie arboree e arbustive quali l'acero campestre, (Acer campestre), l'acero minore (Acer monspessulanum), la sanguinella (Cornus sanguinea), il corniolo (Cornus mas),  il sorbo (Sorbus domestica).
Pure i querceti di roverella sono stati in buona parte soppressi, dal momento che si estendevano in territori attualmente destinati ad uso agricolo.


Nei casi in cui il bosco si è  potuto conservare, esso è  ridotto quasi sempre a una boscaglia rada, dove si sono sviluppati cespugli di ginestra (Spartium junceum), biancospino (Crataegus monogyna), prugnolo (Prunus spinosa), ginepro (Juniperus communis), ecc.
Tuttavia, come è stato già accennato, nei campi é facile osservare individui arborei isolati, a testimonianza delle originarie foreste di roverella.Nella media e alta collina i boschi più diffusi sono gli ostrieti che ricoprono le pendici dei versanti più freschi e acclivi e con substrato di tipo calcareo, che sono state risparmiate sovente dal disboscamento perché meno adatte per un utilizzo agro-pastorale.

Dal punto di vista potenziale gli ostrieti interessano il settore calcareo dalla media alla zona pedemontana dei Sibillini, anche per quelle aree utilizzate attualmente come pascolo o come campi coltivati.

 

Infine nell'alta collina e nelle zone pedemontane (S. Martino di Fiastra, di Montemonaco, Alta valle del Tronto) su substrati di tipo subacido con affioramenti di arenarie, si rinvengono  boschi di castagno (Castanea sativa) e di cerro (Quercus cerris) (Francalancia C., 1987).
Al margine dei boschi si rinvengono spesso aree denominate "mantelli di vegetazione", colonizzate a seconda dei casi, da vari arbusti tra cui: ginestra (Spartium junceum), coronilla (Coronilla emerus), vescicaria (Colutea arborescens), citiso a foglie sessili, (Cytisus sessilifolius), ginestra dei carbonai (Cytisus scoparius), biancospino (Crataegus monogyna), prugnolo (Prunus spinosa), ginepri (Juniperus communis, J. oxycedrus), rosa selvatica (Rosa canina). Alcuni di essi sono frequenti anche all'interno di boschi degradati o di boscaglie rade come nel caso di molti querceti.

Nella zona collinare e in quella montana esistono anche dei rimboschimenti, con conifere;  essi sono stati eseguiti per la riforestazione delle aree abbandonate, che una volta venivano sfruttate come pascoli o come campi coltivati. Per il loro impianto sono state utilizzate quasi sempre delle conifere ed in particolare il pino nero (Pinus nigra). Negli ultimi decenni sono stati messi a dimora anche latifoglie autoctone .

I rimboschimenti a conifere hanno permesso di ampliare la vegetazione forestale e di consolidare il terreno in molte aree degradate.  Però la loro struttura arborea non armonizza con quella dei boschi cedui spontanei a causa dell'utilizzo di specie non autoctone. Inoltre la presenza di resine nelle foglie aghiformi e nel fusto costituisce un fattore di rischio per gli incendi durante l'estate.

 

Stato attuale e ipotesi d'intervento

La fascia collinare ha risentito meno dei fenomeni di urbanizzazione, ma in essa sono presenti processi di erosione dovuti a fenomeni di calanchizzazione e alla distruzione delle sistemazioni idraulico agrarie per l’abbandono delle tecniche agricole tradizionali e per la distruzione degli elementi diffusi, tra cui in primo luogo le siepi.
Va sottolineato che in questi ultimi decenni nelle zone più impervie dell'alta collina si è assistito ad un notevole cambiamento delle pratiche agricole dato che molti coltivi sono stati abbandonati e molte aree di pascolo che vengono sempre meno sfruttate. Non è deprecabile una strategia che disincentivi l'attività agricola nelle aree marginali e ad accentuata acclività della collina. In queste condizioni infatti la produttiva dei terreni è solitamente molto scarsa a causa del suolo impoverimento e la continuazione della lavorazione dei campi aumenta il rischio di erosione. Oltre ad una maggiore stabilità del terreno e ai vantaggi generali derivanti da una espansione della vegetazione boschiva, non va trascurato l'aspetto economico del bosco, quale risorsa utilizzabile e riproducibile.

Nelle linee generali partendo da un area post-colturale, si può ipotizzare una successione dinamica, che dopo l'abbandono, vedrà in prima fase la trasformazione del campo in un incolto erbaceo, che in condizioni di scarso suolo sarà colonizzato anche da specie suffruticose. Man mano ci sarà un'ingressione di arbusti (ginestra, ginepro, prugnolo) che si propagheranno sempre di più fino a formare un arbusteto, intercalato qua e là da specie arboree spontanee. A loro volta queste ultime si affermeranno sempre di più e la vegetazione assumerà la fisionomia e la struttura di un bosco vero e proprio.

 

Questi processi dinamici ovviamente hanno un andamento molto diverso a seconda delle condizioni ambientali e la loro evoluzione dipende da una molteplicità di fattori, quali profondità del suolo, acclività, esposizione, contiguità di arbusteti e boschi spontanei, ecc. (Francalancia C., Galli P., 1995). Da ricerche effettuate su questi temi è stato osservato che nelle aree a scarsa acclività, con  suolo profondo e poste in vicinanza di aggruppamenti arborei e arbustivi adulti, si è avuto un ingresso considerevole di entità arboree già dopo dieci anni. Nelle situazioni di maggiore degrado, si è costatato un scarsissimo ingresso di specie arbustive anche dopo quaranta anni di abbandono.

Il processo di recupero da parte del bosco può essere favorito ponendo a dimora essenze autoctone identificate sulla base della essenze spontanee vegetanti nei boschi attigui.
Per le aree collinari nelle quali il bosco già esiste vanno fatte quanto meno alcune distinzioni fondamentali.
I boschi misti insediati sulle pendici fresche presentano di norma una  struttura soddisfacente e una buona capacità di rinnovamento nonostante le periodiche ceduazioni.
La stessa cosa non può dirsi per i boschi che ricoprono i versanti a prevalente esposizione Sud; il loro stato di conservazione è di solito molto più degradato e spesso appaiono ridotti in una condizione di boscaglia con strato arboreo diradato, con corteggio floristico nemorale di sottobosco quasi inesistente e con suolo impoverito.
 

 

 

 

In queste situazioni andrebbero interrotte per lunghi periodi le ceduazioni e, ove si reputi di poterle effettuare, andrebbero regolamentate con turni molto lunghi e con entità di intervento molto lievi. Un caso a parte è quello dei rimboschimenti con conifere; nei quali occorre esaminare con attenzione il tipo di rinnovamento e valutarne l'evoluzione. Infatti in molti vecchi impianti si è verificato un considerevole rinnovamento di arbusti e di essenze arboree autoctone, che però non riescono a progredire a causa delle chiome delle conifere sovrastanti.
In questo caso si rende opportuno uno sfoltimento graduale delle conifere impiantate dall'uomo per favorire l'affermazione delle caducifoglie e favorire la conversione del rimboschimento in un bosco spontaneo di caducifolglie. 

La zona montana si sviluppa lungo l’asse occidentale della regione ad orientamento, grosso modo, nordovest-sudest. Raggiunge la sua massima espressione con il M. Vettore con i suoi 2476 m.s.m.
Originariamente la fascia montana doveva essere ricoperta da una vegetazione forestale abbastanza omogenea, costituita da faggeti, che a partire circa da 1000 metri di quota arrivavano nei punti più elevati anche oltre i 1700 metri. Ancora oggi conserva ampie superfici boschive perché l'uomo in questo caso ha soppresso il bosco in misura minore rispetto al fondovalle e alla fascia collinare. Attualmente si caratterizza con l'alternarsi di boschi ed aree di pascolo, in cui a volte permangono grossi esemplari isolati di faggio, le cosiddette "meriggie", lasciate per il riparo delle greggi durante la calura estiva. 
I pascoli secondari sono situati al di sotto del limite potenziale del bosco e vengono così definiti proprio perché ricavati dall'uomo che ha soppresso il bosco originario. In base alle loro caratteristiche floristiche e strutturali possono possono essere di vario tipo. Nelle zone più pianeggianti e con suolo più profondo si insediano dei mesobrometi, pascoli con cotico erboso compatto, mentre nei versanti più acclivi si rinvengono aggruppamenti a cotica erbosa meno densa e spesso discontinua come i seslerieti e gli xerobrometi.
Tra i mesobrometi particolarmente suggestivo è il paesaggio dei prati-pascoli. Si rinvengono in alcune aree poco acclivi, come Ragnolo (Francalancia C., Hruska K, Orsomando E., 1981) e Passo Galluccio e si caratterizzano per un corteggio floristico molto vario e nutrito. Tra le specie più vistose ricordiamo:  la viola di Eugenia (Viola eugeniae), i sonaglini (Briza media), la salvia comune (Salvia pratensis), l'asfodelo bianco (Asphodelus albus), la campanula agglomerata (Campanula glomerata), la fritillaria dell'Orsini (Fritillaria tenella), il fiordaliso (Centaurea triunfetti), la  peonia (Paeonia officinalis), vari trifogli (Trifolium pratenseT.campestreT. repens) e diversi tipi di orchidee (Orchis sambucina, Gymnadenia conopsea) (Francalancia C., Hruska K., Orsomando E., 1981). Nella maggior parte dei casi questi prati-pascoli vengono prima sfalciati e successivamente utilizzati come pascoli.
 Una vegetazione particolare è quella dei piani carsici (Pedrotti, F., 1976) dove si formano dei prati inondati e palustri con caratteristiche diverse a seconda del periodo di inondazione e del conseguente ristagno dell'acqua. I piani carsici costituiscono degli ambienti molto interessanti per la loro conformazione morfologica, per la tipologia fitocenotica e per la varietà  floristica in genere. Basti citare l'ofioglosso  (Ophioglosum vulgatum), una graziosissima felce piuttosto rara  (presente al Piano di Montelago), il ranuncolo vellutato  (Ranunculus velutinus), che colora vivacemente di giallo le aree periodicamente inondate o l'erioforo a foglie larghe  (Eriophorum latifolium), presente nelle zone più ricche di acqua e tipico per i suoi
pennacchi bianchi.
I Sibilini sono quelli che conservano di più la propria fisionomia originaria, dal momento che più limitati sono stati gli interventi dell'uomo, o per lo meno tali da non stravolgere radicalmente le caratteristiche degli ecosistemi primari.
   Originariamente il passaggio dalla vegetazione forestale a quella dei pascoli primari era graduato da una fascia di arbusti contorti, così detti a causa della loro forma bassa e prostrata, che si innalzava per circa un centinaio di metri.
 


Questo tipo di vegetazione, è stato ora quasi completamente eliminato a favore dei pascoli e le specie che lo costituivano sono divenute sempre più rare. Nei Sibillini ne restano scarsissime tracce, con rare stazioni di uva ursina (Arctostaphylos uva-ursina), di ranno alpino (Rhamnus alpinus), di ginepro nano (Juniperus nana) e di mirtillo nero (Vaccinium myrtillus), come sulle pendici del Vettore, della Valle di Pilato, del M. Sibilla, di Pizzo Regina.
I settori più elevati dei Sibillini e della Laga sono quelli che conservano di più la fisionomia originaria, grazie all'asprezza del territorio e alla presenza di luoghi difficilmente accessibili. Più limitati, sono stati gli interventi dell'uomo o per lo meno tali da non stravolgere le caratteristiche degli ecosistemi primari, mantenendo molti habitat abbastanza integri.
In queste zone cacuminali  si rinviene  la vegetazione climatogena dei pascoli di altitudine, che assumono caratteristiche strutturali molto diverse a secondo delle condizioni ecologiche. Nei versanti più scoscesi, si sviluppano dei seslerieti a sesleria dell'Appennino (Sesleria tenuifolia) e dei festuceti a pettenaccio (Festuca dimorpha).
Questi ambienti sono molto interessanti dal punto di vista floristico, dal momento che vi si rifugiano molte delle specie rare e a rischio di estinzione della flora marchigiana, come ad esempio la stella alpina appenninica (Leontopodium nivale), la nigritella (Nigritella nigra), la gentiana maggiore (Gentiana lutea), la gentiana  appenninica (Gentiana dinarica), la gentiana primaticcia (Gentiana verna) e la gentiana nivale (Gentiana nivalis).
Nelle zone sommitali si possono si rinvengono degli ambienti particolari come le pareti rocciose e le vallette nivali. Nelle vallette nivali si rinvengono delle entità specializzate a compiere il loro ciclo vegetativo nei pochi mesi liberi da neve; tra queste: il salice erbaceo (Salix herbacea), il salice retuso (Salix retusa), il ranuncolo alpestre (Ranunculus alpestre).
Molte delle specie protette della flora marchigiana provengono da questi ambienti di altitudine; basti pensare alla stella alpina appenninica, che nelle Marche si trova solo nei Sibillini, alle sassifraghe endemiche (Saxifraga australisS. porophyllaS. moscata).
Un'esempio di ambiente cacuminale, nel quale si trovano raggruppate molte specie di notevole importanza fitogeografica è la cima del Vettore, dove sono presenti, la stella alpina dell'appennino, il ranuncolo amplestre (Ranunculus alpestris), il millefoglio dei macereti (Achillea oxyloba), la canapicchia glaciale (Gnaphalium supinum) e diverse altre. Tra i relitti alpini ricordiamo la driade (Dryas octopetala), che insieme alla isatide di allioni (Isatis allionii), colonizzano i ghiaioni nell'alta valle del Lago di Pilato.
Nei versanti calcarei più assolati come nelle Gole del Fiastrone, della Valnerina, permangono degli aggruppamenti di vegetazione mediterranea relitta risalente a periodi climatici caldi del post-glaciale, in cui la specie dominante è il leccio (Quercus ilex).

 
 

Stato attuale e ipotesi d'intervento

Nelle zone montane si è assistito per contro ad un esodo della popolazione a seguito dell’abbandono o della diminuzione delle attività agro-silvo-pastorali, ma fondamentalmente dobbiamo distinguere i problemi relativi ai boschi (faggeti) da quelli dei pascoli secondari. 
Nel primo caso il problema principale é quello di non indebolire la struttura del bosco con ceduazioni troppo intense. Un esempio eclatante è costituito dal faggeto nella Valle del Fargnio, nei Sibillini, vicino al paese di Bolognola, insediato in un versante molto acclive.

 
Il bosco è stato distrutto per una largo tratto da una valanga; si trattava di un faggeto ceduo giovanissimo costituito da esili polloni che non avevano la capacità di sostenere la massa nevosa.
Per i pascoli secondari il problema è quello di un utilizzo non intensivo riguardo al carico del bestiame e di una riduzione dell'attività di pascolo se non addirittura di una sua cessazione nel caso di versanti molto acclivi e con cotico erboso discontinuo.
Resta evidente che in simili situazioni debbono essere evitati gli interventi che, danneggiando il manto erboso, possono innescare fenomeni erosivi.
Attualmente si sta assistendo ad un utilizzo più scarso dei pascoli rispetto ai passati decenni. Questo cambiamento d'uso, dovuto alla diminuzione del bestiame allevato all'aperto, è da valutare positivamente perché l'istaurarsi di successioni dinamiche della vegetazione potrà con il tempo portare ad un incremento del bosco spontaneo, con tutti i vantaggi che ne conseguono.
Nelle zone alto-appenniniche, la strategia di gestione del territorio è in sostanza quasi esclusivamente di tipo conservativo. Si tratta di ambienti primari importantissimi che debbono essere tutelati e debbono essere conservati riguardo alla struttura e alla composizione floristica, alle caratteristiche dei suoli, alla geo-morfologia. Possono essere consentite attività turistiche e ricreative rivolte unicamente ad una fruizione dell'ambiente senza che ne vengano che non ne pregiudicate le caratteristiche .
Il discorso della fragilità dei versanti acclivi in questo caso diventa fondamentale, perché i danni il più delle volte appaiono irreparabili.
  FLORA ׀ PIANO COLLINARE ׀ PIANO MONTANO  ׀ PIANO SOMMITALE