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In generale l'ecosistema dei Monti Sibillini è
caratterizzato da un'organizzazione per fasce sovrapposte, rispondenti ai
seguenti piani altitudinali:
1.Piano collinare dai 600 ai 1.000 mt 2.Piano montano dai 1.000 ai 1.800 mt 3.Piano sommitale dai 1.800 ai 2.400 mt In queste zone si individuano caratteri climatici, morfologici, biotici differenti e spesso influenzati anche dall'attività antropica. Si passa pertanto dai suoli agrari e argillosi delle colline, alle zone boschive del piano montano, ai pascoli aridi delle superfici sommitali e ai versanti detritici in fase di colonizzazione vegetale, con qualche affioramento di pareti e creste rocciose. |
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STRUTTURA DELLA VEGETAZIONE E SUA EVOLUZIONE PER L'AZIONE ANTROPICA |
EVOLUZIONE DEL PAESAGGIO | Prima dell'intervento antropico, la vegetazione forestale ricopriva quasi interamente tutto il territorio marchigiano a partire dalle zone di fondovalle fino ad un'altezza massima intorno ai 1800 m, corrispondente al limite naturale del bosco; facevano eccezione solo alcuni ambienti particolari come le pareti rupestri, le paludi, ecc. | ||
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Superiormente alla vegetazione forestale si estendeva un orizzonte abbastanza contenuto di arbusti e ancora più in alto si aveva il dominio dei pascoli di altitudine. L'ambiente naturale risulta oggi molto diverso, rispetto alle condizioni climatogene originarie, perché è stato fortemente modificato dalla presenza plurimillenaria dell'uomo che con le sue attività ha provocato modificazioni profonde rispetto alla copertura vegetale originaria. L'entità degli interventi e il grado di trasformazione sono stati molto diversi a seconda delle zone e delle condizioni (altimetria, esposizione dei versanti, acclività, tipo di substrato). Il grado di antropizzazione è stato elevatissimo nella fascia costiera e nelle zone pianeggianti di fondovalle, dove grazie alla morfologia dolce del territorio e alle condizioni favorevoli si è registrata una notevole presenza demografica per unità di superficie, con la conseguente eliminazione della vegetazione primaria a favore delle coltivazioni o di infrastrutture di vario genere; per cui il paesaggio attuale conserva solo scarsissime tracce del manto vegetale originario (Ballelli S., Biondi E., Cortini Pedrotti F., Francalancia C., Orsomando E., Pedrotti F., 1981; Francalancia C., 1987; Biondi E., Allegrezza M., 1996). Nelle aree collinari l'alterazione è stata meno intensa o per lo meno ci ha lasciato delle testimonianze più consistenti della vegetazione primaria; in questo caso il paesaggio prevalente è quello delle coltivazioni, interrotte da lembi boschivi più o meno circoscritti con vegetazione spontanea o da aree più o meno estese di pascoli secondari (in quanto ricavati a seguito della eliminazione del bosco). Nel settore montano l'uomo ha da sempre esercitato la pastorizia e lo sfruttamento del bosco; per cui il paesaggio è caratterizzato ancora da estese zone di bosco alternate a pascoli e prati-pascoli di origine secondaria. Alle altitudini più elevate le trasformazioni sono state via via meno accentuate fino ad arrivare alla fascia alto-appenninica, sopra del limite potenziale della vegetazione arborea (circa 1800 metri) dove dominano ancora gli ambienti naturali con vegetazione primaria: i pascoli di altitudine. Nonostante la morfologia del territorio così varia e articolata gli ecosistemi originari erano riconducibili ad alcune unità fondamentali abbastanza definite, buona parte di esse permangono ancora allo stato attuale, ma le loro condizioni di conservazione sono molto diverse a seconda del grado di antropizzazione sia per quanto riguarda l'estensione che la composizione specifica e strutturale. In qualche caso si possono solo ritrovare degli elementi residui o rare testimonianze (Ballelli S., Pedrotti F., 1992) Da quanto sopra esposto analizziamo le principali tipologie di paesaggio che caratterizzano il territorio marchigiano.
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I FONDOVALLI | Il fondovalle é costituito dalle alluvioni terrazzate dei principali corsi d'acqua marchigiani con andamento est-ovest perpendicolari alla linea di costa. Da tempo il fondovalle riveste un'importanza agricola primaria, per l'elevata produttività dei suoli, per la disponibilità d’acqua, per la favorevole morfologia pianeggiante e per la consistente presenza di infrastrutture. | ||
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All'interno delle pianure alluvionali si possono distinguere alcune
differenti tipologie di unità di paesaggio:
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Stato attuale e ipotesi d'intervento
L’urbanizzazione è stata molto elevata anche nelle zone di fondovalle dove
ha comportato una notevole sottrazione dei suoli agricoli più produttivi; in
queste aree si è avuta anche una notevole alterazione delle forme
tradizionali del paesaggio agrario con distruzione in diversi casi degli
elementi diffusi (siepi, filari alberati, querce isolate, ecc).
Per quanto riguarda gli aspetti botanico-vegetazionali, presupponendo che le
aree di fondovalle saranno sempre più gravate dagli impatti derivanti dalle
attività dell'uomo, una strategia realistica è quella di conservare i pochi
elementi naturali ancora esistenti quali i boschetti residui di roverella,
le grosse querce isolate, le siepi poderali. Allo stesso modo vanno
preservati i pochi elementi, legati alle antiche tradizioni rurali come i
gelseti e i resti delle alberate, sopravvissuti alle moderne tecniche
agricole.
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LA FASCIA COLLINARE |
La fascia
collinare marchigiana normalmente presenta una morfologia dolcemente
degradante verso il mare; tuttavia non mancano fenomeni franosi e
manifestazioni erosive come i calanchi. La vegetazione forestale che ricopriva le colline basali è stata quasi ovunque soppressa a favore dei campi coltivati. In collina é il paesaggio agrario che prevale nettamente su ogni altra forma di utilizzazione territoriale. Esso appare più uniforme e spoglio di elementi arborei diffusi nelle zone basso-collinari mentre si caratterizza per una maggiore frammentarietà degli appezzamenti a quote più elevate, dove i campi sono arricchiti da grossi esemplari di roverella, quali ultime testimonianze degli originari querceti. |
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Uno degli elementi più caratteristici e suggestivi del paesaggio rurale
marchigiano è dato dalle cosiddette "alberate", cioè dalle viti isolate,
"maritate" agli olmi o agli aceri, che però costituiscono una pratica in via
di abbandono, soppiantata oramai da vigneti specializzati. |
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Nella fascia di media e alta collina la superficie forestale è più estesa e alcune aree di bosco assumono grande rilievo. In questo ambiente però la fisionomia prevalente è quella del paesaggio agrario, arricchito da elementi diffusi (alberi isolati e siepi), posti al limitare delle proprietà, lungo le strade di campagna o al margine dei fossi. In questi ultimi decenni si è avuta la tendenza ad eliminarli a causa della meccanizzazione delle pratiche agricole, con il risultato di un paesaggio vegetale più spoglio e più monotono. | |||
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Nei settori di bassa e media collina, soprattutto nei versanti più assolati,
la vegetazione prevalente era costituita originariamente da querceti di
roverella. Queste formazioni si succedevano alle foreste planiziali e
potevano arrivare a circa 1000 m di altezza. Prevalentemente sono insediati
su terreni marnosi e argillosi, ma a quote più elevate si possono rinvenire
anche su terreni calcarei (Francalancia C., Galli P., Marconi D., 1993). |
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Nei casi in cui il bosco si è potuto
conservare, esso è ridotto quasi sempre a una boscaglia rada, dove si
sono sviluppati cespugli di ginestra (Spartium junceum), biancospino
(Crataegus monogyna), prugnolo (Prunus spinosa), ginepro (Juniperus
communis), ecc. Dal punto di vista potenziale gli ostrieti interessano il settore calcareo dalla media alla zona pedemontana dei Sibillini, anche per quelle aree utilizzate attualmente come pascolo o come campi coltivati. |
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Infine nell'alta collina e nelle zone pedemontane
(S. Martino di Fiastra, di Montemonaco, Alta valle del Tronto) su substrati
di tipo subacido con affioramenti di arenarie, si rinvengono boschi di
castagno (Castanea sativa) e di cerro (Quercus cerris) (Francalancia
C., 1987). Al margine dei boschi si rinvengono spesso aree denominate "mantelli di vegetazione", colonizzate a seconda dei casi, da vari arbusti tra cui: ginestra (Spartium junceum), coronilla (Coronilla emerus), vescicaria (Colutea arborescens), citiso a foglie sessili, (Cytisus sessilifolius), ginestra dei carbonai (Cytisus scoparius), biancospino (Crataegus monogyna), prugnolo (Prunus spinosa), ginepri (Juniperus communis, J. oxycedrus), rosa selvatica (Rosa canina). Alcuni di essi sono frequenti anche all'interno di boschi degradati o di boscaglie rade come nel caso di molti querceti. |
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Nella zona collinare e in quella montana esistono anche dei rimboschimenti, con conifere; essi sono stati eseguiti per la riforestazione delle aree abbandonate, che una volta venivano sfruttate come pascoli o come campi coltivati. Per il loro impianto sono state utilizzate quasi sempre delle conifere ed in particolare il pino nero (Pinus nigra). Negli ultimi decenni sono stati messi a dimora anche latifoglie autoctone . I rimboschimenti a conifere hanno permesso di ampliare la vegetazione forestale e di consolidare il terreno in molte aree degradate. Però la loro struttura arborea non armonizza con quella dei boschi cedui spontanei a causa dell'utilizzo di specie non autoctone. Inoltre la presenza di resine nelle foglie aghiformi e nel fusto costituisce un fattore di rischio per gli incendi durante l'estate.
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Stato attuale e ipotesi d'intervento
La fascia
collinare ha risentito meno dei fenomeni di urbanizzazione, ma in essa sono
presenti processi di erosione dovuti a fenomeni di calanchizzazione e alla
distruzione delle sistemazioni idraulico agrarie per l’abbandono delle
tecniche agricole tradizionali e per la distruzione degli elementi diffusi,
tra cui in primo luogo le siepi. |
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Nelle linee generali partendo da un area
post-colturale, si può ipotizzare una successione dinamica, che dopo
l'abbandono, vedrà in prima fase la trasformazione del campo in un incolto
erbaceo, che in condizioni di scarso suolo sarà colonizzato anche da specie
suffruticose. Man mano ci sarà un'ingressione di arbusti (ginestra, ginepro,
prugnolo) che si propagheranno sempre di più fino a formare un arbusteto,
intercalato qua e là da specie arboree spontanee. A loro volta queste ultime
si affermeranno sempre di più e la vegetazione assumerà la fisionomia e la
struttura di un bosco vero e proprio.
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Questi processi dinamici ovviamente hanno un andamento molto diverso a seconda delle condizioni ambientali e la loro evoluzione dipende da una molteplicità di fattori, quali profondità del suolo, acclività, esposizione, contiguità di arbusteti e boschi spontanei, ecc. (Francalancia C., Galli P., 1995). Da ricerche effettuate su questi temi è stato osservato che nelle aree a scarsa acclività, con suolo profondo e poste in vicinanza di aggruppamenti arborei e arbustivi adulti, si è avuto un ingresso considerevole di entità arboree già dopo dieci anni. Nelle situazioni di maggiore degrado, si è costatato un scarsissimo ingresso di specie arbustive anche dopo quaranta anni di abbandono. |
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Il processo di recupero da parte del bosco può essere favorito ponendo a
dimora essenze autoctone identificate sulla base della essenze spontanee
vegetanti nei boschi attigui. Per le aree collinari nelle quali il bosco già esiste vanno fatte quanto meno alcune distinzioni fondamentali. I boschi misti insediati sulle pendici fresche presentano di norma una struttura soddisfacente e una buona capacità di rinnovamento nonostante le periodiche ceduazioni. La stessa cosa non può dirsi per i boschi che ricoprono i versanti a prevalente esposizione Sud; il loro stato di conservazione è di solito molto più degradato e spesso appaiono ridotti in una condizione di boscaglia con strato arboreo diradato, con corteggio floristico nemorale di sottobosco quasi inesistente e con suolo impoverito. |
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In queste situazioni andrebbero interrotte per lunghi periodi le ceduazioni
e, ove si reputi di poterle effettuare, andrebbero regolamentate con turni
molto lunghi e con entità di intervento molto lievi.
Un caso a parte è quello dei rimboschimenti con conifere; nei quali occorre
esaminare con attenzione il tipo di rinnovamento e valutarne l'evoluzione.
Infatti in molti vecchi impianti si è verificato un considerevole
rinnovamento di arbusti e di essenze arboree autoctone, che però non
riescono a progredire a causa delle chiome delle conifere sovrastanti. |
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La zona
montana si sviluppa lungo l’asse occidentale della regione ad orientamento,
grosso modo, nordovest-sudest. Raggiunge la sua massima espressione con il
M. Vettore con i suoi 2476 m.s.m. Originariamente la fascia montana doveva essere ricoperta da una vegetazione forestale abbastanza omogenea, costituita da faggeti, che a partire circa da 1000 metri di quota arrivavano nei punti più elevati anche oltre i 1700 metri. Ancora oggi conserva ampie superfici boschive perché l'uomo in questo caso ha soppresso il bosco in misura minore rispetto al fondovalle e alla fascia collinare. Attualmente si caratterizza con l'alternarsi di boschi ed aree di pascolo, in cui a volte permangono grossi esemplari isolati di faggio, le cosiddette "meriggie", lasciate per il riparo delle greggi durante la calura estiva. I pascoli secondari sono situati al di sotto del limite potenziale del bosco e vengono così definiti proprio perché ricavati dall'uomo che ha soppresso il bosco originario. In base alle loro caratteristiche floristiche e strutturali possono possono essere di vario tipo. Nelle zone più pianeggianti e con suolo più profondo si insediano dei mesobrometi, pascoli con cotico erboso compatto, mentre nei versanti più acclivi si rinvengono aggruppamenti a cotica erbosa meno densa e spesso discontinua come i seslerieti e gli xerobrometi. |
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Tra i mesobrometi particolarmente suggestivo è il paesaggio dei prati-pascoli. Si rinvengono in alcune aree poco acclivi, come Ragnolo (Francalancia C., Hruska K, Orsomando E., 1981) e Passo Galluccio e si caratterizzano per un corteggio floristico molto vario e nutrito. Tra le specie più vistose ricordiamo: la viola di Eugenia (Viola eugeniae), i sonaglini (Briza media), la salvia comune (Salvia pratensis), l'asfodelo bianco (Asphodelus albus), la campanula agglomerata (Campanula glomerata), la fritillaria dell'Orsini (Fritillaria tenella), il fiordaliso (Centaurea triunfetti), la peonia (Paeonia officinalis), vari trifogli (Trifolium pratense, T.campestre, T. repens) e diversi tipi di orchidee (Orchis sambucina, Gymnadenia conopsea) (Francalancia C., Hruska K., Orsomando E., 1981). Nella maggior parte dei casi questi prati-pascoli vengono prima sfalciati e successivamente utilizzati come pascoli. | |||
Una vegetazione particolare è quella dei piani carsici (Pedrotti, F., 1976) dove si formano dei prati inondati e palustri con caratteristiche diverse a seconda del periodo di inondazione e del conseguente ristagno dell'acqua. I piani carsici costituiscono degli ambienti molto interessanti per la loro conformazione morfologica, per la tipologia fitocenotica e per la varietà floristica in genere. Basti citare l'ofioglosso (Ophioglosum vulgatum), una graziosissima felce piuttosto rara (presente al Piano di Montelago), il ranuncolo vellutato (Ranunculus velutinus), che colora vivacemente di giallo le aree periodicamente inondate o l'erioforo a foglie larghe (Eriophorum latifolium), presente nelle zone più ricche di acqua e tipico per i suoi | |||
pennacchi bianchi. I Sibilini sono quelli che conservano di più la propria fisionomia originaria, dal momento che più limitati sono stati gli interventi dell'uomo, o per lo meno tali da non stravolgere radicalmente le caratteristiche degli ecosistemi primari. Originariamente il passaggio dalla vegetazione forestale a quella dei pascoli primari era graduato da una fascia di arbusti contorti, così detti a causa della loro forma bassa e prostrata, che si innalzava per circa un centinaio di metri. |
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Stato attuale e ipotesi d'intervento
Nelle
zone montane si è assistito per contro ad un esodo della popolazione a
seguito dell’abbandono o della diminuzione delle attività
agro-silvo-pastorali, ma fondamentalmente dobbiamo distinguere i problemi
relativi ai boschi (faggeti) da quelli dei pascoli secondari. |
Il bosco è stato distrutto per una largo tratto da una valanga; si trattava di un faggeto ceduo giovanissimo costituito da esili polloni che non avevano la capacità di sostenere la massa nevosa. Per i pascoli secondari il problema è quello di un utilizzo non intensivo riguardo al carico del bestiame e di una riduzione dell'attività di pascolo se non addirittura di una sua cessazione nel caso di versanti molto acclivi e con cotico erboso discontinuo. Resta evidente che in simili situazioni debbono essere evitati gli interventi che, danneggiando il manto erboso, possono innescare fenomeni erosivi. Attualmente si sta assistendo ad un utilizzo più scarso dei pascoli rispetto ai passati decenni. Questo cambiamento d'uso, dovuto alla diminuzione del bestiame allevato all'aperto, è da valutare positivamente perché l'istaurarsi di successioni dinamiche della vegetazione potrà con il tempo portare ad un incremento del bosco spontaneo, con tutti i vantaggi che ne conseguono. Nelle zone alto-appenniniche, la strategia di gestione del territorio è in sostanza quasi esclusivamente di tipo conservativo. Si tratta di ambienti primari importantissimi che debbono essere tutelati e debbono essere conservati riguardo alla struttura e alla composizione floristica, alle caratteristiche dei suoli, alla geo-morfologia. Possono essere consentite attività turistiche e ricreative rivolte unicamente ad una fruizione dell'ambiente senza che ne vengano che non ne pregiudicate le caratteristiche . Il discorso della fragilità dei versanti acclivi in questo caso diventa fondamentale, perché i danni il più delle volte appaiono irreparabili. |
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FLORA ׀ PIANO COLLINARE ׀ PIANO MONTANO ׀ PIANO SOMMITALE |