CITTADINANZA, MAFIE E MEMORIA Di Marcelle Padovani*
Il perché delle mafie. L’Italia è stato un paese
dove i clan, le logge e le mafie si sono sviluppate, e a volte radicate, per
difendere degli interessi singoli, mettendo in pericolo l’interesse generale e
la stessa unità del paese. Le mafie in quanto anti-interesse generale e
anti-Stato riflettono la carenze dello Stato centrale, uno Stato, non lo si
ripete mai abbastanza, che è nato da un’unità recente. Storicamente si
spiega in questo modo la moltiplicazione abnorme - rispetto ad altri paesi
equivalenti - dei gruppi di interesse corporativo. Le mafie hanno acquisito ad
hanno ancora una grande capacità a mimetizzarsi e ad usare l’intimidazione
(più l’intimidazione che la violenza, più le tante piccole violenze
quotidiane che i grandi spettacolari delitti). Le mafie sono tante - cosa
nostra, la camorra, la n’drangheta, la sacra corona unita - ma sono
paradossalmente tutte l’espressione di un bisogno di Stato. Le mafie si sono costruite
contro lo sviluppo. Hanno saputo e sanno sfruttare i più piccoli interstizi che
lo stato lascia senza controllo, dai grandi finanziamenti a fondo perduto alle
gare pubbliche passando per gli appalti e subappalti. L’Italia è ormai attrezzata
per combattere le mafie. Anzi: la sua legislazione (art. 416 bis del Codice
penale, la legge sui collaboratori di giustizia, l’art 41 bis) e l’efficacia
delle sue forze dell’ordine in materia di crimine organizzato, suscitando
l’ammirazione degli altri paesi europei, e non solo. L’Italia ha dimostrato
di saper reprimere e di saper riconquistare il monopolio dell’esercizio della
violenza che è caratteristica degli Stati
moderni. Ma al di là della repressione, uno Stato efficiente è la
migliore risposta alla mafia, perché si dimostra in grado di assicurare e
rispetto dei diritti. Se non c’è bisogno del mafioso per ottenere un
certificato di nascita, un appuntamento con uno specialista o un posto di
lavoro, se lo Stato è capace di assicurare sviluppo, la mafia vede il suo
terreno di coltura svanire paurosamente. Per una vera lotta alla mafia,
bisogna anche cambiare mentalità, e non solo nel meridione. La mentalità del
“ognuno per i fatti suoi”, dell’individualismo, dell’incivismo, del
corporativismo, del rifiuto della solidarietà. Bisogna che ognuno impari, il più
presto possibile, a difendere dei valori e non solo dei consumi, e sia convinto
per esempio, che costruire senza permesso è fare un regalo allo spirito di
mafia. La scuola in quest’ambito è
insostituibile. Soltanto lei può insegnare il rispetto
degli altri e la cultura della legalità. La scuola è la prima
istituzione a poter esigere il rispetto della legalità nel proprio
funzionamento quotidiano, perché nella scuola le regole valgono per tutti. La
scuola può promuovere un’etica laica basata sui principi del vivere comune. Soltanto così vince la
democrazia contro la mafia e lo spirito di mafia, che ci minaccia tutti. * Marcelle Padovani, corrisponde
del Nouvel Observateur e autrice del libro “Cose di cosa nostra” La mafia è nata nella zona
tipica del feudo, nel cuore dell'Isola. Questa zona può tuttora essere
individuata: comprende l'entroterra delle province di Palermo, Trapani e
Agrigento, ed è delimitata, verso oriente, dai confini delle province di
Caltanissetta ed Enna. Cosa Nostra nasce nella Sicilia
occidentale ed è l'unica che ha una struttura molto particolare: rigida e
verticistica. E' una struttura piramidale, ben organizzata su base territoriale:
soldati, capi decina, capi mandamento, capifamiglia, commissioni. Essa ha regole
fisse, un proprio esercito, propri canali di finanziamento, proprie strutture,
possimo dire, "di governo". La 'Ndrangheta è invece una
organizzazione di tipo orizzontale, questa differenza è determinata da
condizionii geografiche, in quanto, essendo la Calabria divisa in due dagli
Appennini, le comunicazioni sono difficili. La 'Ndrangheta nasce come
associazione dei capifamigli dei paesi che si legano insieme per difendere
greggi, coltivazioni e capi dagli aggressori dei paesi vicini, una forma di
difesa che lo Stato non dà; pur evolvendosi la 'Ndranghata mantiene queste
condizioni di divisione e di distanza dallo Stato, al contrario di Cosa Nostra
che ha sempre cercato e ottenuto legami con chi esercita il potere. La Camorra ha invece una
struttura di carattere pulviscolare, è un isieme di associazioni che si
combattevano, si dividevano, si univano ed è piuttosto difficile fare una mappa
delle famiglie campane. Essa ha le caratteristiche del fenomeno carsico: nel
momento del pericolo è in grado di interrarsi e, apparentemente, scomparira,
per sgorgare di nuovo quando le condizioni migliorano. Un proverbio siciliano
dice: "Calati junco che passa la china" calati, giunco, che passa la
piena,ed esprime in modo molto chiaro la filosofia mafiosa... Sono stati poi individuati tre
fronti su cui si muove l'organizzazione mafiosa: criminale, economico e
politico, tutti estremamente importanti. Basti pensare, per quanto riguarda il
fronte criminale, alle stragi degli ultimi anni; per quello economico all
imponente giro di affari della mafia, calcolato approssimativamente in circa 69
mila miliardi e la sua grande capacità di diffusiome sul territorio; per quello
politico, sono ormai noti gli stretti legami tra mafia e politica, ed è stato
più volte sottolineato dai relatori come la lotta alla mafia ha avuto un
andamento ondulatorio: al grande omicidio seguiva la reazione dello Stato (per
esempio, dopo l'omicidio La Torre passo la legge sul sequestro dei beni; dopo
l'omicidio Dalla Chiesa nacque l'Alto Commissariato Antimafia; e l'elenco di
questi fatti potrebbe essere lungo),passato l’impatto emotivo tutto tornava
come prima; c’è stata quindi in passato una mancanza di volontà politica
nella lotta alla mafia, anche quello odierno è un momento difficile, si è
perso molto tempo a difendere quello che già esisteva, per esempio il 41 bis e
la legge sui collaboratori di giustizia, perché una parte del mondo politico
attaccava questi strumenti legislativi. Quanto detto ci fa capire che la
lotta alla mafia deve essere combattuta su diversi fronti, non solo quello
militare e giuridico, ma anche politico ed economico. Togliere il potere
economico ed isolare il mafioso costituiscono due armi a disposizione dello
Stato per combattere la mafia. Lo Stato deve scegliere delle
linee di politica criminale, e cioè le strategie da porre in essere per far
fronte alla criminalità. Per esempio contro il terrorismo lo Stato nel 1979 con
una legge sui collaboratori istituì il cosiddetto doppio binario: aumento di
pena per chi commette reati e sconti di pena per chi si dissocia. Per quanto riguarda la mafia nel
1982 il 416 bis stabilì le specificità del reato di associazione a delinquere
di stampo mafioso e poi negli ultimi quattro anni sono state emanate leggi per
la protezione dei collaboratori di giustizia, il 41 bis per rendere più
efficace l’isolamento dei detenuti, ed altri importanti provvedimenti. Oltre alle strategie legislative
lo Stato si è dotato di strutture operative efficaci e nel corso degli ultimi
anni sono nati: nel campo giudiziario le 26 Procure Distrettuali antimafia e la
Procura Nazionale Antimafia (Superprocura); nell’ambito delle investigazioni
la D.I.A (Direzione Investigativa Antimafia), il R.O.S (Reparti Operativi
Speciali dei Carabinieri), lo S.C.O (Servizio Centrale Operativo della polizia)
e il G.I.C.O (Gruppo Investigativo sulla Criminalità Organizzativa della
Guardia di finanza). Gli strumenti quindi ci sono,
deve comunque esserci la volontà di farli funzionare. Più volte è stata
ribadita l’importanza dei collaboratori di giustizia nella lotta alle mafie,
sono state evidenziate due motivazioni che sottostanno alle polemiche e alla
campagna di delegittimazione dei
collaboratori: 1) essi hanno alzato il velo sui centri di potere che non avevano
alcun interesse ad essere scoperti (es., le logge massoniche); 2) hanno messo in
luce i rapporti tra mafia e politica. Essi hanno costituito la chiave di accesso
ai segreti Cosa Nostra. La lotta elle mafie non’è un
impegno che deve assumere solo lo Stato come istituzione, ma anche l’insieme
di cittadini, deve essere un impegno anche della società civile. La nostra è una società di
contraddizioni, aperti ai valori a parole, ma poi spesso chiusa nei fatti.
L’”Italia dei però”, come la definisce Don Giulio Ciotti. “Non sono
razzista, però…” è una frase che spesso sentiamo ed altre simili; ci sono
parole usate, anche troppo: antimafia, giustizia, solidarietà, legalità, ecc.,
quello che fa, la differenza è quella parolina, “però”. E insieme ha
questo uso discriminatorio dell’avversativo abbiamo un occultamento del
“perché” , si tende a non andare mai a fondo di un problema, non si
conosce. E invece educare significa anche conoscere, leggere i cambiamenti,
leggere le trasformazioni, noi abbiamo un dovere di informazione e di conoscenza
verso i giovani, questa è una società che sta facendo un furto di futuro ai
giovani, il nostro impegno deve avere come obiettivo la creazione di una società
dove i valori positivi trovino spazio e affermazione; è quindi importante
“uscire dal proprio recinto e mettersi in gioco in gioco in prima persona.
Dobbiamo tutti prendere coscienza delle false verità che esistono rispetto al
problema mafia: 1) la collocazione territoriale, la mafia è un problema
siciliano; 2) la mafia è una entità
invincibile; 3) il sequestro economico non è fondamentale nella lotta alle
mafie; 4) la risposta alle mafie deve essere solo militare e giuridica. Queste false verità toccano
tutti, anche noi che viviamo nel Lazio, zona fino a poco tempo fa non ritenuta a
rischi, ma sulla quale sono ormai indiscutibilmente emerse verità e situazioni
allarmanti.
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WEBMASTER: SARA GHEDIN Aggiornato il 12/06/01 |