Tanto per
ricordarci, e lo dirà diverse volte nell’intervista,
che sappiamo poco e quel poco che sappiamo dobbiamo comunicarlo
ricordando che la danza non è solo un soggetto di
ricerche ma anche un piacere condiviso. “La danza
popolare non trova il suo senso in quello che lo sguardo
vede ma in quello che il danzatore prova”. Parole
sue.
Yvon
Guilcher. Laureato in Ethno-histoire (con una tesi sulla
cultura e danza tradizionale in Francia), aggregato dell’Università
Paris-4 Sorbonne, membro fondatore dell’A.D.P.(di
cui parleremo nell’intervista), autore di diverse
ricerche e pubblicazioni (di cui riporterò qualche
titolo in conclusione), è conosciuto da molti in
Italia sia per la sua sporadica attività d’insegnante
di differenti repertori di danze, sia per la passata attività
di musicista con il gruppo dei Melusine. Con il padre, insigne
studioso, ha respirato fin da piccolo l’atmosfera
un po’ rarefatta, ma tanto ricca della ricerca sul
campo.
Lo incontriamo
a Milano, impegnato in uno stage/incontro su “La storia
della Danza attraverso la Danza” organizzato dal Comitato
Danze Popolari del circolo ARCI-Bellezza. Un incontro in
cui raccontare, con esempi pratici (le danze), una storia
impegnata non solo ad arricchirci di conoscenze ma a fare
tabula rasa di certezze false e ingenue.
Speriamo
di avere riportato nella trascrizione dell’intervista,
che subisce nel suo confezionamento diversi aggiustamenti
e nella quale ho integrato alcune frasi esplicative registrate
nello stage, correttamente il pensiero di Yvon. Temi come
quelli trattati avrebbero bisogno di molto più spazio.
Ci impegniamo fin d’ora a riprenderli con lui e con
altri studiosi in un prossimo futuro.
D: Tu sei un insegnante di danza, un ricercatore, sei queste
due cose assieme...Racconta come vivi queste due anime...
R: Spero
di riuscire veramente ad essere queste due cose insieme.
Ma una cosa non sono. Non sono un danzatore tradizionale,
non sono stato formato da una tradizione popolare. Nessuno
lo può più essere. Ma sono un danzatore, cioè
danzo perché mi piace la danza, danzo per piacere
e , per la stessa ragione, cerco di condividere questo piacere
con altri diventando un insegnante. E poi, in quanto questa
danza mi interessa, mi faccio delle domande, approfondisco
la storia. E allora divento un ricercatore.
D:
Puoi spiegarci la situazione della ricerca in Francia? Tu
spesso hai parlato di diversi modi di avvicinarsi, di condurre
una ricerca,...Esistono, in Francia, correnti, diverse opinioni,
nei ricercatori?
R: Io farei
volentieri una distinzione fra tre categorie di ricercatori.
Ci sono quelli che riflettono sulla danza senza fare ricerca...Sono
in molti a farlo. Tutti i “folcloristi” dell’inizio
secolo l’hanno fatto: si rifletteva sulle forme della
danza, sull’origine, la storia,...E lo si fa ancora,
ci sono ancora “folcloristi” che dicono che
il clima o il paesaggio, o altre cose di questo tipo, devono
avere avuto la loro influenza sulle danze... Riflettono,
solo riflettono.
C’è
un altro tipo di ricercatore, invece, che fa ricerca sui
libri. Un esempio è Curt Sachs. Un uomo molto colto,
erudito, dunque un uomo che sa un sacco di cose ma a cui
non interessa andare sul posto, vedere, parlare con le persone.
Mai l’ha fatto! Solo ricerca sui libri.
Ma c’è
una terza categoria ed è composta dai ricercatori
che vanno a conoscere i contadini anziani, a chiedere delle
cose, a informarsi. Ma in questa categoria si devono ancora
distinguere due diversi personaggi. Quelli che fanno “collectages”,
che s’interessano in modo particolare di un repertorio
di danza, che vogliono approfondirne la conoscenza, trasmetterlo,
insegnarlo, e quelli che fanno dell’ “enquête
ethnologique”. In quest’ultimo caso il ricercatore
si fa delle domande all’inizio della sua indagine
e cerca delle risposte a queste domande, arrivando presto
a occuparsi della storia della danza, dei suoi aspetti sociologici,
antropologici,....
D:
Come ricercatore sei più interessato a scoprire archetipi
universali tra culture coreutiche diverse con una visione
storiografica della danza o ad approfondire la conoscenza
di un repertorio specifico?
R: All’inizio,
né l’uno né l’altro. In me c’era
solo curiosità rispetto la danza, cercavo di conoscere
un repertorio per poter danzare sempre di più. Ma,
allora, quando ho cominciato a fare questa ricerca e a incontrare
i contadini che danzavano il mio interesse cambia, il repertorio
m’interessa sempre meno, ciò che mi interessa
ora è la “qualità” della danza
particolare. Quando è danzata da un contadino non
è la stessa danza che danziamo noi, lui ha qualcosa
di diverso, il movimento non ha lo stesso gusto, sapore.
E’ qualcosa che non mi sapevo spiegare e allora mi
sono chiesto perché lui danzava così. Ero
costretto ad interessarmi della società che “fabbricava”
un danzatore come questo, a scoprire, dunque, il problema
dei rapporti tra la mentalità sociale e la danza,
le sue forme, il modo in cui la danza è vissuta da
questo tipo di gente.
Da questo
interesse sono poi naturalmente portato a vedere dei rapporti
archetipici, come tu dici, tra forme di danze differenti...Sì,
m’interessa anche questo, ma non è l’oggetto
della mia curiosità. Sono portato piuttosto a farmi
domande sull’ambiente che ha creato questo tipo di
danza, che ne ha fatto quello che è adesso. Questa
è la problematica che più m’interessa,
per cui sono alla ricerca di risposte.
D:
Dicevi prima che stai scrivendo un libro sulla storia della
danza tradizionale...
R: E’
un libro che mi è stato ordinato, commissionato.
E io ho detto di sì. Ho accettato subito perché
da sempre, quando faccio una conferenza, vedo persone che
mi chiedono dove si possono trovare libri che parlano di
tutto questo. Non ci sono. Ho sempre avuto voglia di farne
uno. C’era già la mia tesi , ma è un
lavoro diverso, universitario, un po’ complicato.
Questa è un’occasione che mi è stata
data dal Ministero della Cultura francese e che mi costringe
a riflettere su una “formulazione” accessibile
a tutti, per il grande pubblico.
All’inizio
il Ministero della Cultura voleva solo fare una lista di
tutti i film esistenti sulla danza in Francia. Ci siamo
trovati in molti a riflettere su questo progetto. Progetto
che poi si è trasformato in altro quando il Ministero
ha chiesto che ci fosse un libro a spiegazione e a commento...
D:
Quale Ministero, quest’ultimo o quello precedente
alle ultime elezioni?
R: E’
praticamente lo stesso per noi perché, pur non essendoci
lo stesso Ministero, l’infrastruttura è rimasta
: ci sono assolutamente le stesse persone.
D:
Dunque scriverai un libro sulla danza. Prima tu parlavi
dell’esistenza in Francia di diverse tipologie di
ricercatori con, immagino, differenti modi di vedere e pensare
la danza tradizionale... Io mi chiedo, relativamente allo
studio storico e dei repertori, quale è l’impostazione
prevalente di oggi?
R: Riguardo
alla ricerca non saprei dire, perché la ricerca è
abbastanza nascosta. Però si può dire qualcosa
a partire dal fenomeno del revival. La riscoperta di queste
danze ha dietro come un proprio discorso , una propria ideologia
che si può riassumere dicendo che la tradizione popolare
è vivente, continua a vivere e noi siamo gli strumenti
di questa vita come musicisti, come danzatori. Tutti dicono
che la tradizione non ha mai smesso di vivere. Io so che
è falso, so che è un discorso ideologico non
vero, ma è interessante il fatto che hanno bisogno
di dirlo, hanno bisogno di richiamarsi ad una tradizione
popolare e, insieme, di essere moderni.
D:
Perciò per te non ha senso il concetto di “tradizione
vivente”....
R: Dipende
da quello che vogliamo dire con il termine “tradizione”.
Qualcuno volendo può anche intendere per “tradizione”
la trasmissione di un repertorio tradizionale... Quello
che non esiste più oggi è un ambiente, una
società che abbia una cultura particolare, originale.
Per esempio, in Bretagna la gente aveva un modo proprio
di vestirsi, costumi non da palcoscenico, ma costumi per
la vita normale. Gli armadi, il mobilio, tutto era caratteristico,
si vedeva di primo acchito che un armadio di un certo tipo
era bretone. Costume, mobilio, danza,...Tutto questo fa
una cultura particolare. La società ha fabbricato,
“segregato” una cultura particolare, ma questo
non esiste più. Adesso hanno tutti lo stesso blue-jeans
e la gente impegnata nel revival dice che tutto questo è
normale, che la tradizione è sempre diventata qualcosa
di nuovo. Quello che facciamo oggi sarebbe uno sviluppo
della tradizione.
D:
E tu non sei d’accordo...
R: No, perché
io dico che il blue-jeans non è un’evoluzione
del costume bretone, è qualcos’altro. Non c’è
continuità, siamo tutti borghesi d’oggi, cittadini
o contadini, ma siamo completamente diversi rispetto alla
società che ha fatto tutto questo. Basta vedere,
tanto per rimanere in Bretagna, quello che è oggi
una Fest Noz. Nella tradizione erano l’incontro di
gente che aveva lavorato insieme. Dieci, venti, trenta persone
al massimo. Persone che si conoscevano da sempre, che avevano
sempre fatto tutto insieme : la danza era la continuazione
di questo spirito comunitario. Oggi è il contrario,
andiamo alle Fest Noz non per ritrovare il contesto del
lavoro, i colleghi, ma per dimenticarlo. E’ ormai
un ballo borghese, cioè una festa dove vado per danzare,
spesso con persone che non conosco affatto. Non è
raro trovarsi con molti stranieri, a volte anche migliori
danzatori dei bretoni presenti. E’ un altro mondo,
un’altra società, un’altra comunità.
Ma riguardo
a questa discussione sulla continuità o rottura o
quant’altro della tradizione io ti posso dire che
a me non interessa rimanere a riflettere sulla tradizione.
L’unica cosa importante è osservare. Certo,
si può anche parlare di continuità o rottura
ma allora ho bisogno di andare a vedere. Non è lo
stesso dappertutto. Bisogna osservare bene. Anche in tutti
i tempi non è stato o in un modo o nell’altro.
L’uomo !... No, non esiste l’ “uomo”,
non esiste “in tutti i tempi”... Bisogna fare
i conti con questa società, a questo punto della
storia, ho bisogno proprio di osservare, di descrivere quello
che vedo. La sintesi la farò dopo o mai la farò
se non ne sarò capace.
D:
Il modo di pensare di Curt Sachs è desueto, abbandonato
da tutti, o c’è ancora qualcuno che la pensa
come lui?
Un’altra
domanda : tuo padre, stimato studioso, che tipo di ricercatore
è ?
R: Partiamo
dalla prima domanda. Sì, ci sono ancora diverse persone
come Curt Sachs, soprattutto nei gruppi folcloristici. Mio
padre, all’inizio, non era un ricercatore, voleva
danzare e, come tutti, credeva a ciò che diceva Curt
Sachs. Ha cominciato poi le sue ricerche, ma con molte differenze
rispetto a queste persone...Lui è naturalista e questo
è molto importante. Dice sempre che bisogna avere
al posto delle teorie esplicative la spiegazione dei fatti.
Ha avuto, insomma, l’impostazione, l’atteggiamento
del naturalista che cerca di capire come sono le cose, che
fa ipotesi e vuole vedere se queste ipotesi possono essere
verificate o no.
D:
Per comprendere meglio il tuo discorso ti faccio una domanda
più specifica. In Francia molti insegnanti di danza,
uno dei più conosciuti è, ad esempio, Bernard
Coclet, inventano nuove bourrée. Secondo te è
una cosa corretta? Posto che non c’è la continuità
di cui parlavamo, è giusto riprendere una bourrèe,
danza tradizionale, e inventare nuove coreografie?
R: Prima
di tutto devo dire che io stesso ho “fabbricato”
centinaia di nuove bourrée. Ne ho fatte alcune che
sono ballate da gruppi folcloristici che, addirittura, non
ne conoscono la vera origine.
Ma vorrei
parlare anche di Bernard Coclet. E’ un uomo molto
onesto e intelligente. Lui sa quello che fa, non pretende
di essere un danzatore tradizionale. Chiede sempre : “Chi
ha visto danzare una bourrée tradizionale?”.
Nessuno può averlo fatto. E ha ragione. Io faccio
dei week-end da lui per mostrargli le bourrée che
ho fatto. Dunque su questo punto sono assolutamente d’accordo.
Se ho voglia d’inventare questa figura inglese sul
passo di bourrée, questa forma tedesca, lo faccio,
ma non pretendo di creare qualcosa di tradizionale. Ci sono
due diverse cose di cui tener conto: la ricerca, dove devi
essere assolutamente esigente e dire le cose come sono,
e il piacere di danzare, di inventare, che è un’altra
cosa.
D:
Ma poniamo che tu insegni a noi una bourrée nuova.
Tu sai che anche qui ci sono persone che insegnano danze.
E’ possibile che uno che la impara da te, domani la
insegni in un suo corso senza ricordare che non è
tradizionale. Questa non è una cosa negativa?
R: Sì,
è una cosa negativa. Ma il problema è che
tutto quello che si fa in una bourrée è coreografia.
Non conosciamo niente della bourrée del Berry, tutto
quello che si fa in queste danze arriva dall’inventiva
di un uomo, Pierre Panis. Lui non nasconde di avere inventato
tutte le figure coreografiche. La sua ricerca si svolge
durante l’occupazione tedesca, negli anni ‘40.
Aveva un gruppo folcloristico e aveva bisogno di figure,
di strutture: il passo gli pareva troppo povero. Ha inventato
la bourrée d’Issoudun, la bourrée du
Pays Forts, la bourrée de la Grande Poterie... Tutto
questo con sue coreografie. Ho visto un film sulla Tournante
de la Grande Poterie. Non ha niente a che vedere con quello
che lui ha insegnato. E’ molto più semplice
: avanti, avanti, valzer. Lui ne ha fatto qualcosa d’altro.
Tutto ciò che facciamo è assolutamente falso.
D:
Un ricercatore, parlo della ricerca seria, quanto può
andare in profondità ? Quanto può scavare
nella storia per scoprire l’origine di una danza ed
in particolare di queste?
R: Parliamo
di mio padre che ha iniziato le sue ricerche nel ‘45.
Allora era ancora possibile vedere persone che erano nate
nel 1860, come anche la generazione dopo e quella, l’ultima,
dopo ancora. E su tre generazioni era molto interessante
vedere come le cose erano cambiate, ma già allora
non era possibile andare più lontano di queste date.
Oggi si possono conoscere persone novantenni che avevano
20 anni nel 1920, ma è già tardi, è
un altro mondo. Può essere solo interessante per
conoscere bene il periodo tra le due guerre, per capire,
ad esempio, che si è di fronte a una società
post-tradizionale. E’ anche interessante chiedersi
come avviene ancora la trasmissione in un ambiente che non
è quello che ha creato queste danze.
Ma riguardo
a origini più lontane non si può dire nulla,
né persone, né libri...O per lo meno bisogna
affrontare diversi problemi, necessita una critica particolare,
prudente, delle fonti, un approccio storiografico...Si può
dire, ad esempio, che i primi libri che indicano il nome
di bourrée riguardo a danze sono del XVII° secolo,
abbiamo anche un testo normanno che riporta una melodia
con parole. Ma sono parole barocche e la musica niente ha
a che fare con quella che è per noi la bourrée
oggi. Su queste danze ognuno ha detto quello che la sua
soggettività gli indicava, ma, in realtà,
non sappiamo nulla.
D:
Avvicinandoci alle tematiche di questo incontro milanese
e a proposito di storia e origini, puoi dirci qualcosa dell’incontro
nel ‘300/’400/’500 tra cultura coreutica
e musicale dei contadini e la musica e danza di corte?
R: Direi
che prima di questo periodo non sappiamo niente. Ma, a dire
il vero, il modo in cui poni il problema è problematico.
Per quanto sappiamo, la cultura prima del ‘200 è
una cultura condivisa, senza profonde separazioni.
Ma le cose
cambiano a partire dal ‘300...Il ‘300 è
un secolo di separazione totale di culture: la cultura colta,
coltissima (con il gotico, l’Ars Nova,...) e la cultura
popolare. Ma di questa cultura popolare non sappiamo niente
e non c’è nessuna immagine di danza tradizionale...Arriveranno
quest’ultime solo alla fine del secolo o all’inizio
del ‘400, arriveranno in un momento in cui c’è
un ambiente colto che cerca di staccarsi dal mondo popolare.
Tutte queste immagini, io penso, sono immagini ideologiche,
per dipingere in senso dispregiativo il mondo contadino.
La rappresentazione della danza colta, invece, è
molto bella. A partire da questo momento c’è
comunque uno sguardo, un osservazione costante della danza
del popolo che è di difficile interpretazione, anche
perché sarà un’attenzione diversa da
quello che si avrà nel ‘600/’700/’800.
Sarà sempre uno sguardo straniero con il quale poter
osservare l’influenza di una classe sull’altra.
Ragionando in questi termini si scoprono molte cose interessanti.
Si vede, ad esempio, che certi ambienti popolari hanno preso
qualcosa dagli ambienti colti. Ma resta da vedere chi, che
cosa, come.
D:
Anche, all’inverso, in ambienti colti è stato
preso qualcosa dal mondo popolare...
R: Questo
è affermato da molti autori, ma non è mai
stato dimostrato. Io non ho niente pro o contro questa tesi,
non mi interessa assolutamente. Solamente non vedo nessun
esempio di tutto questo. Non lo vedo e gli esempi che mi
sono stati dati non mi hanno mai convinto.
D:
Alleggeriamo un poco questi discorsi tornando al personale.
Io ti conoscevo anche come musicista dei Melusine. Suoni
ancora?
R: No, non
è più possibile. Suono solo per piacere, per
un ballo, con i miei amici, con mio figlio (ho tre figli).
Non ho mai cercato di passare la mia vita su un palcoscenico,
ho cercato di fare qualcosa di sociale che vivesse di vita
propria.
D:
Come vivi?
R: Sono professore
di tedesco. Ma la danza mi interessa molto di più.
D:
Abbiamo accennato, nella presentazione di questa intervista,
all’A.D.P., ma credo che molti lettori ancora non
conoscono questa sigla...
R: L’A.D.P.
(Atelier Danse Populaire) è un’associazione
nata dall’incontro di persone che volevano lavorare
su queste tematiche. Musicisti, danzatori, ricercatori perché
ci pareva importante lavorare tutti insieme. Lo scopo di
questa associazione è di mettere la danza nella vita
della gente per il piacere comune, condiviso, rifiutando
l’idea dello spettacolo.
D:
Quando è nata?
R: E’
stata ufficialmente fondata nel 1981.
D:
Mi pare che in Francia c’è un collegamento
tra le diverse associazioni che si occupano di cultura tradizionale...
R: Sì,
c’è la F.A.M.D.T. (Federations des Associations
Musicales et Danses Traditionelles). Questo collegamento
è stato deciso dal governo che ha chiesto a tutte
le associazioni di lavorare insieme. E’ proprio in
questa situazione che è nata l’idea di fare
il libro di cui abbiamo parlato.
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