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     "LA TERAPIA DI J.-J. ROUSSEAU" di Daniel Saadoun

 

 

Ho molto di più che semplici prove, ho la certezza (Monuments de l’histoire de ma vie, p.75)[1]

Se mi avessero dato di un altro uomo le idee che di me sono state date ai miei contemporanei, non mi sarei comportato con lui come loro fanno con me. (Rousseau juge de Jean-Jacques, p.378)1



[1] Rousseau : Œuvres complètes - l’Intégrale (Opere complete), ed. Seuil, Vol. 1

 

    

 

 

 


Nel trecentesimo anniversario della nascita di Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) vogliamo festeggiare il filosofo svizzero con la pubblicazione di questo testo di Daniel Saadoun, nella traduzione in italiano di Silvia Bertocci. Si ringraziano sentitamente l'autore e la traduttrice per l'autorizzazione a pubblicare su Frenis Zero.

                                                                                                                                .

 

 

 

            

 

   

 

Rivista "Frenis Zero" - ISSN: 2037-1853

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Writings by: A. Cusin, J. Kristeva, A. Loncan, S. Marino, B. Massimilla, L. Montani, A. Nunziante Cesaro, S. Parrello, M. Sommantico, G. Stanziano, L. Tarantini, A. Zurolo.

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Anno/Year: 2012 

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Writings by: J. Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D. Hinshelwood, J.P. Jimenez, O.F. Kernberg,  S. Resnik.

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

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Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

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Anno/Year: 2011 (2nd Edition)

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"Psicoanalisi e luoghi della negazione" a cura di A. Cusin e G. Leo (Editors)

Writings by: J. Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian,  A. Cusin, N. Janigro, G. Leo, B.E. Litowitz, S. Resnik, A. Sabatini Scalmati, G. Schneider, M.  Šebek, F. Sironi, L. Tarantini.

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

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Anno/Year: 2011

Pages: 400

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"Lebensruckblick"

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Author:Lou Andreas Salomé

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero 

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Anno/Year: 2011

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"Psicologia   dell'antisemitismo" di Imre Hermann

Author:Imre Hermann

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Anno/Year: 2011

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"Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria" a cura di Giuseppe Leo (editor)

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Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

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Anno/Year: 2010

Pages: 520

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"La Psicoanalisi e i suoi confini" edited by Giuseppe Leo

Writings by: J. Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D. Hinshelwood, J.P. Jiménez, O.F. Kernberg, S. Resnik

Editore/Publisher: Astrolabio Ubaldini

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"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi Confini" 

Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.

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Introduzione.

 

Introduzione in forma di confessione: lo storico della filosofia, il commentatore di opere, provano una certa ripugnanza a evocare i rapporti esistenti tra la malattia mentale e il pensiero filosofico. Il loro approccio al pensiero, e in particolare a quello di Rousseau, avviene come sistema, al fine di valutarne la pertinenza e individuarne la coerenza, lasciando alla massa sia le meschinerie biografiche sia quella grettezza derisoria che getta discredito sul pensiero di un Nietzsche o di un A. Comte, in nome della follia insita in esso. Viene lasciato al clinico il problema di interrogarsi su quello che, nelle opere di Althusser, potrebbe essere ritenuto premonitore del suo gesto criminale futuro e che in questo modo verrà a rafforzare, retrospettivamente, gli assunti del sapere psichiatrico. Il pensiero è qualcosa di troppo importante per essere sottoposto a un giudizio che, inevitabilmente, sarà riduttivo poiché deve piegarsi a necessità istituzionali esterne (della psichiatria): la “doxa” per la massa e la diagnosi per il medico. E, a seconda delle incertezze nosografiche, si è sviluppata tutta una storia sulle diagnosi del “caso Rousseau”, il cui soggetto è stato definito successivamente malinconico, monomaniaco triste, psicoastenico, affetto da “nevrastenia spasmodica ossessiva, arteriosclerosi e atrofia cerebrale progressiva indotta da neuro-artrite”, schizofrenico, “omosessuale latente con ossessioni e reazioni isteriformi”, fino al verdetto finale di “delirio sensitivo di relazione”[1] (in parte discutibile rispetto alla definizione di Kretschmer).

Ciononostante, l’inquietudine resta, sia essa celata o ostentata, contro la quale si ergono le separazioni che, molto spesso, non hanno altro scopo se non quello di mettere in salvo l’essenziale del pensiero filosofico dal disastro della follia. Si procede allora a un periodizzamento del pensiero (prima dell’apparizione dei sintomi e dopo), oppure si tenta una demarcazione trasversale dell’opera, con lo scopo di scindere il pensiero sano dalla produzione patologica. In questo modo si evita di interrogarsi su ’ciò che è presente della follia in un’opera grandiosa – lavoro occulto in generale, ma ’così evidente nell’opera di Rousseau -; viene soppressa quindi ogni positività nei confronti dell’emozione o dell’angoscia per attenersi unicamente alla manifestazione eclatante di un pensiero definitivamente insediato nell’ordine e nella pace dell’universale. Ne scaturisce ignoranza e indifferenza reciproca tra visioni che non possono trovare un punto di incontro.

Siamo d’accordo! Quale beneficio concettuale possiamo trarre dalla diagnosi inflitta a Rousseau? Si riempirebbero intere biblioteche se si volessero mettere insieme tutte le monografie consacrate alla paranoia di Rousseau, la minuzia di particolari che ci ha offerto sui suoi temi di persecuzione e sull’intrigo dei suoi persecutori, senza che ciò ci procuri il minimo progresso intellettuale sul suo contributo all’edificazione delle scienze dell’Uomo e alle questioni essenziali trattate da Rousseau: il Diritto, le istituzioni politiche legittime, il male, la democrazia moderna, l’educazione, etc. Gli eminenti lavori di J. Starobinski[2] – che ispirano buona parte di questo articolo – aprono prospettive feconde sulla malattia di J.J. Rousseau e instaurano un lucido dialogo tra clinica e filosofia, che ci permette di leggere la sua opera “in tutti i sensi” – i suoi temi prediletti rimuginati all’infinito, i sintomi filosofici, la struttura della dottrina vista come sutura di una faglia soggettiva. E se esiste un filosofo (dopo Montaigne e Descartes), il cui pensiero nasca dal sé più profondo, in uno sdoppiamento riflessivo impossibile, fino alla scissione, questo è proprio Rousseau, che si pone di fronte a Jean-Jacques per giudicarlo – nelle Rêveries, nei Monuments de ma vie, nelle Confessions, e nei Dialogues[3], opere che costituiscono altrettante manifestazioni eclatanti di questa costante preoccupazione che lo riporta a sé,– e che nel contempo sostiene – i temi fondamentali della sua dottrina (cfr. l’opposizione dell’amore di sé, passione naturale, primitiva e benefica che assicura la familiarità con se stesso, e dell’amor proprio, passione sociale, alienante poiché sottomette al giudizio degli altri). E tutto l’epistolario di Rousseau è pervaso dall’onnipresente preoccupazione di sfuggire all’incomprensione, all’ostilità, al complotto di avversari tanto più efficaci in quanto restano dissimulati, condannandolo a spingere indefinitamente il masso di Sisifo della giustificazione.

L’origine del male

Tre citazioni tra le molte: “La mia situazione è unica; il mio caso è eccezionale da che mondo esiste (...) Tutti i provvedimenti sono stati talmente presi che solo un miracolo della provvidenza potrebbe smascherare gli impostori... Giovane donna, ascoltatemi: qualsiasi cosa succeda e qualsiasi destino mi attenda, quando vi avranno elencato i miei crimini, quando vi avranno mostrato le impressionanti testimonianze, le prove irrefutabili, la dimostrazione, l’evidenza, ricordatevi delle tre parole che hanno concluso il mio addio: IO SONO INNOCENTE.” (Lettera a Mme Berthier). Un tema ricorrente: “Ebbi modo di rendermi conto di quanto tutte le inclinazioni della natura, senza eccettuare la beneficenza stessa, una volta portate nella società senza prudenza e senza scelta, cambiano la loro natura e spesso diventano tanto nocive quanto erano utili nella loro direzione originaria.” (6° passeggiata, Fantasticherie). Infine, una delle prime confessioni[4]: “Non avevo ancora la maturità sufficiente per capire quanto le apparenze mi condannavano e per mettermi al posto degli altri. Mi tenevo al mio posto e tutto ’ciò che sentivo era il rigore di una punizione terribile per un crimine che non avevo commesso.”

Due temi dominanti che qui si confondono: da un lato, le apparenze imbastite dal calcolo, la riflessione degli altri, le costruzioni di una ragione perversa, tutto contribuisce a tracciare un ritratto ingannevole, il suo, che nasconde una realtà fatta di spontaneità, di intenzioni oneste e d’innocenza. Dall’altro, una relazione trasparente e pura con se stesso, traviata, trasformata, corrotta dal momento in cui tenta di comunicare con l’esterno sociale impenetrabile, artificiale, fatto solo di trame e intrighi. Opposizione ben nota tra il naturale, in quanto fonte di spontaneità e immediatezza, e il sociale, in quanto calcolo, riflessione e mediazione, ma soprattutto come dispositivo terribilmente efficace di estraniamento da sé. Rettitudine naturale contro deviazione razionale e sociale (stretta identità tra le due). Tale è l’origine paradossale del male che consiste nella perfettibilità dell’uomo: tutta la storia dell’umanità – e Rousseau è il primo pensatore moderno della Storia – si fonda sulla capacità dell’uomo di perfezionarsi nelle conoscenze e nelle strategie che gli servono per affrontare le necessità. L’umanità si allontana dunque inesorabilmente da quel tempo originario (lo stato di natura), in cui il divario tra sé e sé era inesistente, per avvicinarsi al tempo funesto, nel quale aumenta la distanza con se stesso; e in questo spazio vengono a infiltrarsi la mediazione razionale, gli obblighi della vita sociale, il calcolo e la perfidia. “La prima arte di tutti i cattivi è la prudenza, ossia la dissimulazione[5]”, e poiché ne ignora gli stratagemmi, Jean-Jacques è il bersaglio di tutte le ostilità – ma allo stesso tempo è ciò che gli conferisce la sua singolarità assoluta: solo, a essere ciò che è, in un mondo di apparenze fredde e ostili e solo, pure, nel tentativo di liberarsi da questo teatro di ombre e avviare dialoghi immaginari con gli “esseri del suo cuore”. Due prese di posizione a mo’ di risposta al male: essere il paradigma dello “uomo della natura” sotto la minaccia permanente degli “uomini dell’uomo”, o fuggire in avanti nella fantasticheria rassicurante, dove viene dato libero corso alla foga dell’immaginazione e alle manifestazioni dell’affettività (Rousseau all’origine del romanticismo). Tenersi all’esterno e allo stesso tempo al centro di un cerchio dove si ritrovano tutti.

Descartes aveva concepito la finzione di un dio ingannatore come leva per raggiungere una certezza assoluta. In Rousseau, la finzione – riconosciuta e designata come tale – costituirà la risposta alla certezza di un inganno universale e il mezzo per accedere a una verità difficile da decifrare (il famoso tema del “cominciamo col mettere da parte tutti i fatti”).

Il paradosso fondamentale

Non esiste altra condizione all’esercizio della riflessione che l’universo della vita sociale, la presenza attiva degli altri – nessun Logos senza dia-logos – e questo è il motivo per cui vi è, secondo Rousseau, una coincidenza rigorosa tra i vizi dell’una e le perversioni dell’altra. Si vedono cosi’ spuntare facilmente le contraddizioni, denunciate qua e là con talento ineguale, il più sovente con sarcasmo come nell’opera di Voltaire. Bisognava pure ricorrere a tutti gli artifici della dissertazione, alle prodezze ingannevoli della retorica, agli argomenti se non addirittura alle sottigliezze del pensiero discorsivo, e piegarsi alle regole dei principi editoriali per redigere, per esempio, la requisitoria contro le scienze, le lettere e le arti. Vera e propria “contraddizione performativa”, poiché il fatto stesso dell’enunciazione di Rousseau rendeva nullo il contenuto delle sue tesi. Numerosi sono gli studi critici dell’opera di Rousseau che mettono in luce le sue contraddizioni insolvibili (“riprovevoli” secondo Voltaire), ma solo alcuni ne hanno mostrato simultaneamente la fecondità teorica e il loro valore di dramma soggettivo. Per provarlo si esamineranno due esempi che rivelano la forma fondamentalmente paradossale del pensiero di Rousseau e, allo stesso tempo, la struttura specifica del dramma persecutivo insito in esso: l’educazione di Emilio e il Contratto sociale.

Conosciamo bene l’influenza di Rousseau sui precetti moderni dell’educazione. “Secondo la natura”, questa educazione costruisce abili dispositivi che permettono una libera espressione dell’affettività del bambino. Il montaggio è di una perversità stupefacente: si può’ descrivere esattamente negli stessi termini della trappola nella quale Rousseau si vede rinchiuso nella vita sociale - “Che creda sempre (lui) di essere il padrone, ma che in realtà lo siate sempre voi. Non ci può’ essere sottomissione più perfetta di quella che mantiene l’apparenza della libertà; perché in questo modo si domina la volontà stessa.”[6] Artificio supremo, capace di produrre una libertà simulata e che può’ essere giustificato unicamente dalla purezza delle intenzioni dell’educatore. Occorre un singolare sforzo di calcolo e un genio strategico raffinato per attaccare efficacemente – principio fondamentale dell’educazione rousseauista – la riflessione che, per definizione, è perniciosa. Le pagine dei Dialogues abbondano di interminabili denunce di questo stesso meccanismo, di cui Jean-Jacques è la vittima: “Hanno fatto in modo che, libero in apparenza in mezzo agli uomini, egli non avesse con loro nessuna società reale (...) che non sapesse niente di ’ciò che si fa, niente di ’ciò che si dice intorno a lui, niente soprattutto di ’ciò che lo riguarda e lo interessa maggiormente, che si sentisse dappertutto appesantito da catene delle quali non potesse mostrare né vedere la minima traccia.[7]“ Il rapporto tra queste due “trasparenze” è speculare, con, come unica differenza il cambiamento di valore: benefico/malefico. Vi è in atto il medesimo meccanismo: l’estraniamento causato da un sapiente gioco riflessivo. L’orrore della riflessione giustifica un sistema interpretativo identico: ’così come la spontaneità risulta dagli artifici più abili dell’educatore, occorreva uno sguardo astioso per penetrare Rousseau e renderlo ’così detestabile (la proiezione è opera dei persecutori) – Emilio e Jean-Jacques, imprigionati nelle tenebre dell’ignoranza sotto lo sguardo penetrante di educatori che si distinguono unicamente per la qualità delle loro intenzioni.

La soluzione del paradosso

Il pensiero filosofico di Rousseau procede tramite cambiamenti di piani e risolve idealmente i conflitti, non secondo lo schema banale di una fuga dalla realtà (tema della fantasticheria), ma tramite l’attuazione nel campo teorico della struttura dei conflitti vissuti. In un brillante articolo, Althusser aveva messo in evidenza i décalages[8] in quanto modo mediante il quale si trattano e si risolvono i problemi sollevati dal pensiero politico di Rousseau. La struttura del Contratto sociale ne fornisce l’illustrazione più eloquente: “Trovare una forma di associazione (...) grazie alla quale ognuno, unendosi a tutti, obbedisca tuttavia solo a se stesso, e resti libero esattamente come prima.[9]“ Formulazione, che è all’origine di tutte le inquietudini liberali[10], che nasconde e allo stesso tempo risolve il paradosso di una genesi contrattualista dell’ordine civile, poiché il “tutti” che stipula un contratto con “ognuno” è precisamente la finalità del contratto. Per giunta, occorrerebbe una fiducia irragionevole, per non preoccuparsi di questo “tuttavia” che ha tutte le apparenze di un sotterfugio usato per giustificare le tesi in apparenza più stravaganti - come: “chiunque rifiuterà di obbedire alla volontà generale, vi sarà costretto da tutto il corpo (politico)… sarà obbligato a essere libero.” Orbene, tutta l’originalità di Rousseau risiede precisamente nel fatto di aver concepito un’emancipazione sotto forma di un’alienazione totale: che “ognuno scambi con tutti” equivale a “tutti contrattano con loro stessi”. Non ci si allontana da sé, per questo motivo si ritorna a sé senza difficoltà, e se, strada facendo, si è persa la libertà naturale, si è guadagnata in cambio la libertà civile. Da quest’operazione risulta la costituzione della volontà generale, indistruttibile, “sempre retta, e tendente immancabilmente verso la pubblica utilità”. Essa ignora tutto dei parassitaggi degli interessi individuali, che costituiscono il destino della politica quotidiana (è uno dei significati del partito preso di escludere i fatti), e rappresenta la chiave di volta dell’ordine delle istituzioni politiche legittime.

Michel Foucault discerneva nel Contratto sociale una somiglianza di struttura con il Panopticon[11] di J. Bentham (dispositivo carcerario il cui principio è, a partire da un centro occultato – da dove ci sia, senza essere visti, la visibilità assoluta della periferia – tutti sono permanentemente suscettibili di essere visti). Nell’opera di Rousseau, tutti sono offerti allo sguardo di tutti, dato che ognuno è parte integrante della volontà generale ossia, nel Contratto sociale, di questa volontà, principio e luogo d’identificazione di tutte le singole volontà, che poggia sul bene comune. Sforzo considerevole per annullare l’eterogeneità del corpo sociale e sottoporlo all’unico ordine legittimo, quello dell’universalità della legge, espressione della volontà generale. 

Tale era la condizione affinché Rousseau diventasse il “Newton delle scienze morali” (Kant): concepire il principio di omogeneizzazione del corpo politico - “l’obbedienza alla legge (universale) che ci si è prescritta è libertà”. Questo consenso universale, in principio, per il bene comune – avulso da ogni passione e interesse individuale -, che assicura al pensiero politico la sua consistenza, costituisce la stessa struttura di quella che rinchiude Jean-Jacques in una “triplice cerchia di tenebre”. Con questa differenza, caratteristica della sensitività: l’universalità della costruzione politica (che significa una logica e una simbolizzazione) si è trasformata in una costruzione delirante; sostituzione al “tutto” (universale-astratto) di un “tutti” (immaginario) – con l’ostilità che nutre: “tutti contro uno” -, questo “tutti” che si federa, nell’esperienza di Jean-Jacques, unicamente prendendo lui come contrappunto costituzionale.

Michel Serres riteneva che “il Rousseau, juge de Jean-Jacques rappresenta il suo secondo trattato di diritto politico”[12], in quanto Rousseau, alla fine della sua vita, aveva riconosciuto dall’esterno l’esistenza di un contratto sociale sotto forma di un patto di ostilità. La tesi è brillante e viene a rafforzare quella, antropologica, della funzione della vittima espiatoria nella formazione dei gruppi. Ma a questo punto si rischia, tuttavia, di occultare la novità teorica della dottrina di Rousseau e il suo valore di emancipazione politica, poiché essa definiva una nuova fonte di legittimità riprendendo la questione degli Antichi: come vivere (bene) insieme? E, in questo modo, curare definitivamente la malattia della società.

Il paradosso di Rousseau consiste nell’avere risposto.

 

 



[1] J. Starobinski : La transparence et l’obstacle (La trasparenza e l’ostacolo), p.430 e segg..

Sono stati citati nell’ordine Esquirol, Möbius, Janet, Demole - autore di “Analyse psychiatrique des Confessions” -, Laforgue, e il riferimento a Kretschmer.

[2] J. Starobinski : La transparence et l’obstacle, cap. VIII

[3] Rousseau : Fantasticherie di un passeggiatore solitario, Monumenti della storia della mia vita, Le confessioni, Dialoghi o Rousseau giudice di Jean-Jacques

[4] Les confessions (Le confessioni), Vol. I, p.127

[5] Rousseau : Rousseau juge de Jean-Jacques, secondo dialogo.

[6] Rousseau : Émile (Emilio o Dell’Educazione),Vol. II

[7] Rousseau: Rousseau juge de Jean-Jacques, Dialogo 1.

[8] Althusser: Sur le Contrat social (in Cahiers pour l’Analyse, n° 8 : L’impensé de J.J. Rousseau)

[9]Rousseau : Du contrat social (Il Contratto sociale), Libro I, cap. 6

[10] Cfr, soprattuttot, B. Constant : De la liberté chez les modernes, p.272 (ed.Pluriel Hachette)

[11] M. Foucault : prefazione di Panopticon di J. Bentham : L’œil du maître.

[12] M. Serres : Le parasite (Il parassita), p.159 (ed. Grasset)

 

 

 

 

 


 

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