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Massimilla, L. Montani, A. Nunziante Cesaro, S.
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Tarantini, A. Zurolo.
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana: Confini della psicoanalisi
Anno/Year: 2012
Pagine/Pages: 382
ISBN: 978-88-903710-6-6
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AA.VV., Psychoanalysis
and its Borders, a cura di
G. Leo (Editor)
Writings by: J. Altounian, P.
Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D. Hinshelwood, J.P.
Jimenez, O.F. Kernberg, S. Resnik.
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana/Collection: Borders of Psychoanalysis
Anno/Year: 2012
Pagine/Pages: 348
ISBN: 978-88-974790-2-4
Prezzo/Price: € 19,00
"The Voyage Out" by Virginia
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Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
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Anno/Year: 2011
Pages: 672
Prezzo/Price: € 25,00
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"Vite soffiate. I vinti della
psicoanalisi" di Giuseppe Leo
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Preface: Alberto Angelini
ISBN: 978-88-903710-5-9
Anno/Year: 2011 (2nd Edition)
Prezzo/Price: € 18,00
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"Psicoanalisi e luoghi della negazione"
a cura di A. Cusin e G. Leo (Editors)
Writings by: J.
Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian, A. Cusin, N. Janigro, G. Leo,
B.E. Litowitz, S. Resnik, A. Sabatini Scalmati, G. Schneider, M. Šebek,
F. Sironi, L. Tarantini.
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
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Anno/Year: 2011
Pages: 400
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"Lebensruckblick"
by Lou Andreas Salomé
(book in German)
Author:Lou Andreas Salomé
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
ISBN: 978-88-97479-00-0
Anno/Year: 2011
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"Psicologia
dell'antisemitismo" di Imre Hermann
Author:Imre Hermann
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
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Anno/Year: 2011
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"Id-entità mediterranee.
Psicoanalisi e luoghi della memoria" a cura di Giuseppe Leo
(editor)
Writings by: J.
Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian, W. Bohleber, M. Breccia, A.
Coen, A. Cusin, G. Dana, J. Deutsch, S. Fizzarotti Selvaggi, Y.
Gampel, H. Halberstadt-Freud, N. Janigro, R. Kaës, G. Leo, M.
Maisetti, F. Mazzei, M. Ritter, C. Trono, S. Varvin e H.-J. Wirth
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
ISBN: 978-88-903710-2-8
Anno/Year: 2010
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"La Psicoanalisi e i suoi
confini" edited by Giuseppe Leo
Writings by: J.
Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D.
Hinshelwood, J.P. Jiménez, O.F. Kernberg, S. Resnik
Editore/Publisher: Astrolabio Ubaldini
ISBN: 978-88-340155-7-5
Anno/Year: 2009
Pages: 224
Prezzo/Price: € 20,00
"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi
Confini"
Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.
Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas,
Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi, Giuseppe Leo.
Publisher: Schena Editore
ISBN 88-8229-567-2
Price: € 15,00
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Introduzione.
Introduzione
in forma di confessione: lo storico della filosofia, il commentatore
di opere, provano una certa ripugnanza a evocare i rapporti esistenti
tra la malattia mentale e il pensiero filosofico. Il loro approccio al
pensiero, e in particolare a quello di Rousseau, avviene come sistema, al fine di valutarne la pertinenza e individuarne la
coerenza, lasciando alla massa sia le meschinerie biografiche sia
quella grettezza derisoria che getta discredito sul pensiero di un
Nietzsche o di un A. Comte, in nome della follia insita in esso. Viene
lasciato al clinico il problema di interrogarsi su quello che, nelle
opere di Althusser, potrebbe essere ritenuto premonitore del suo gesto
criminale futuro e che in questo modo verrà a rafforzare,
retrospettivamente, gli assunti del sapere psichiatrico. Il pensiero
è qualcosa di troppo importante per essere sottoposto a un giudizio
che, inevitabilmente, sarà riduttivo poiché deve piegarsi a necessità
istituzionali esterne (della psichiatria): la “doxa” per la massa
e la diagnosi per il medico. E, a seconda delle incertezze
nosografiche, si è sviluppata tutta una storia sulle diagnosi del
“caso Rousseau”, il cui soggetto è stato definito successivamente
malinconico, monomaniaco triste, psicoastenico, affetto da
“nevrastenia spasmodica ossessiva, arteriosclerosi e atrofia
cerebrale progressiva indotta da neuro-artrite”, schizofrenico,
“omosessuale latente con ossessioni e reazioni isteriformi”, fino
al verdetto finale di “delirio sensitivo di relazione”
(in parte discutibile rispetto alla definizione di Kretschmer).
Ciononostante,
l’inquietudine resta, sia essa celata o ostentata, contro la quale
si ergono le separazioni che, molto spesso, non hanno altro scopo se
non quello di mettere in salvo l’essenziale del pensiero filosofico
dal disastro della follia. Si procede allora a un periodizzamento del
pensiero (prima dell’apparizione dei sintomi e dopo), oppure si
tenta una demarcazione trasversale dell’opera, con lo scopo di
scindere il pensiero sano dalla produzione patologica. In questo modo
si evita di interrogarsi su ’ciò che è presente della follia in
un’opera grandiosa – lavoro occulto in generale, ma ’così
evidente nell’opera di Rousseau -; viene soppressa quindi ogni
positività nei confronti dell’emozione o dell’angoscia per
attenersi unicamente alla manifestazione eclatante di un pensiero
definitivamente insediato nell’ordine e nella pace
dell’universale. Ne scaturisce ignoranza e indifferenza reciproca
tra visioni che non possono trovare un punto di incontro.
Siamo
d’accordo! Quale beneficio concettuale possiamo trarre dalla
diagnosi inflitta a Rousseau? Si riempirebbero intere biblioteche se
si volessero mettere insieme tutte le monografie consacrate alla
paranoia di Rousseau, la minuzia di particolari che ci ha offerto sui
suoi temi di persecuzione e sull’intrigo dei suoi persecutori, senza
che ciò ci procuri il minimo progresso intellettuale sul suo
contributo all’edificazione delle scienze dell’Uomo e alle
questioni essenziali trattate da Rousseau: il Diritto, le istituzioni
politiche legittime, il male, la democrazia moderna, l’educazione,
etc. Gli eminenti lavori di J. Starobinski
– che ispirano buona parte di questo articolo – aprono prospettive
feconde sulla malattia di J.J. Rousseau e instaurano un lucido dialogo
tra clinica e filosofia, che ci permette di leggere la sua opera “in
tutti i sensi” – i suoi temi prediletti rimuginati all’infinito,
i sintomi filosofici, la struttura della dottrina vista come sutura di
una faglia soggettiva. E se esiste un filosofo (dopo Montaigne e
Descartes), il cui pensiero nasca dal sé più profondo, in uno
sdoppiamento riflessivo impossibile, fino alla scissione, questo è
proprio Rousseau, che si pone di fronte a Jean-Jacques per giudicarlo
– nelle Rêveries, nei Monuments
de ma vie, nelle Confessions,
e nei Dialogues,
opere che costituiscono altrettante manifestazioni eclatanti di questa
costante preoccupazione che lo riporta a sé,– e che nel contempo
sostiene – i temi fondamentali della sua dottrina (cfr.
l’opposizione dell’amore di
sé, passione naturale, primitiva e benefica che assicura la
familiarità con se stesso, e dell’amor
proprio, passione sociale, alienante poiché sottomette al
giudizio degli altri). E tutto l’epistolario di Rousseau è pervaso
dall’onnipresente preoccupazione di sfuggire all’incomprensione,
all’ostilità, al complotto di avversari tanto più efficaci in
quanto restano dissimulati, condannandolo a spingere indefinitamente
il masso di Sisifo della giustificazione.
L’origine del male
Tre
citazioni tra le molte: “La mia situazione è unica; il mio caso è
eccezionale da che mondo esiste (...) Tutti i provvedimenti sono stati
talmente presi che solo un miracolo della provvidenza potrebbe
smascherare gli impostori... Giovane donna, ascoltatemi: qualsiasi
cosa succeda e qualsiasi destino mi attenda, quando vi avranno
elencato i miei crimini, quando vi avranno mostrato le impressionanti
testimonianze, le prove
irrefutabili, la dimostrazione,
l’evidenza, ricordatevi
delle tre parole che hanno concluso il mio addio: IO SONO
INNOCENTE.” (Lettera a Mme Berthier). Un tema ricorrente: “Ebbi
modo di rendermi conto di quanto tutte le inclinazioni della natura,
senza eccettuare la beneficenza stessa, una volta portate nella società
senza prudenza e senza scelta, cambiano la loro natura e spesso
diventano tanto nocive quanto erano utili nella loro direzione
originaria.” (6° passeggiata, Fantasticherie).
Infine, una delle prime confessioni:
“Non avevo ancora la maturità sufficiente per capire quanto le
apparenze mi condannavano e per mettermi al posto degli altri. Mi
tenevo al mio posto e tutto ’ciò che sentivo era il rigore di una
punizione terribile per un crimine che non avevo commesso.”
Due
temi dominanti che qui si confondono: da un lato, le apparenze
imbastite dal calcolo, la riflessione degli altri, le costruzioni di
una ragione perversa, tutto contribuisce a tracciare un ritratto
ingannevole, il suo, che nasconde una realtà fatta di spontaneità,
di intenzioni oneste e d’innocenza. Dall’altro, una relazione
trasparente e pura con se stesso, traviata, trasformata, corrotta dal
momento in cui tenta di comunicare con l’esterno sociale
impenetrabile, artificiale, fatto solo di trame e intrighi.
Opposizione ben nota tra il naturale, in quanto fonte di spontaneità
e immediatezza, e il sociale, in quanto calcolo, riflessione e
mediazione, ma soprattutto come dispositivo terribilmente efficace di
estraniamento da sé. Rettitudine naturale contro deviazione razionale
e sociale (stretta identità tra le due). Tale è l’origine
paradossale del male che consiste nella perfettibilità
dell’uomo: tutta la storia dell’umanità – e Rousseau è il
primo pensatore moderno della Storia – si fonda sulla capacità
dell’uomo di perfezionarsi nelle conoscenze e nelle strategie che
gli servono per affrontare le necessità. L’umanità si allontana
dunque inesorabilmente da quel tempo originario (lo stato di natura),
in cui il divario tra sé e sé era inesistente, per avvicinarsi al
tempo funesto, nel quale aumenta la distanza con se stesso; e in
questo spazio vengono a infiltrarsi la mediazione razionale, gli
obblighi della vita sociale, il calcolo e la perfidia. “La prima
arte di tutti i cattivi è la prudenza, ossia la dissimulazione”,
e poiché ne ignora gli stratagemmi, Jean-Jacques è il bersaglio di
tutte le ostilità – ma allo stesso tempo è ciò che gli conferisce
la sua singolarità assoluta: solo, a essere ciò che è, in un mondo
di apparenze fredde e ostili e solo, pure, nel tentativo di liberarsi
da questo teatro di ombre e avviare dialoghi immaginari con gli
“esseri del suo cuore”. Due prese di posizione a mo’ di risposta
al male: essere il paradigma dello “uomo della natura” sotto la
minaccia permanente degli “uomini dell’uomo”, o fuggire in
avanti nella fantasticheria rassicurante, dove viene dato libero corso
alla foga dell’immaginazione e alle manifestazioni dell’affettività
(Rousseau all’origine del romanticismo). Tenersi all’esterno e
allo stesso tempo al centro di un cerchio dove si ritrovano tutti.
Descartes
aveva concepito la finzione di un dio ingannatore come leva per
raggiungere una certezza assoluta. In Rousseau, la finzione –
riconosciuta e designata come tale – costituirà la risposta alla
certezza di un inganno universale e il mezzo per accedere a una verità
difficile da decifrare (il famoso tema del “cominciamo col mettere
da parte tutti i fatti”).
Il paradosso fondamentale
Non
esiste altra condizione all’esercizio della riflessione che
l’universo della vita sociale, la presenza attiva degli altri –
nessun Logos senza dia-logos – e questo è il motivo per cui vi è,
secondo Rousseau, una coincidenza rigorosa tra i vizi dell’una e le
perversioni dell’altra. Si vedono cosi’ spuntare facilmente le
contraddizioni, denunciate qua e là con talento ineguale, il più
sovente con sarcasmo come nell’opera di Voltaire. Bisognava pure
ricorrere a tutti gli artifici della dissertazione, alle prodezze
ingannevoli della retorica, agli argomenti se non addirittura alle
sottigliezze del pensiero discorsivo, e piegarsi alle regole dei
principi editoriali per redigere, per esempio, la requisitoria contro
le scienze, le lettere e le arti. Vera e propria “contraddizione
performativa”, poiché il fatto stesso dell’enunciazione di
Rousseau rendeva nullo il contenuto delle sue tesi. Numerosi sono gli
studi critici dell’opera di Rousseau che mettono in luce le sue
contraddizioni insolvibili (“riprovevoli” secondo Voltaire), ma
solo alcuni ne hanno mostrato simultaneamente la fecondità teorica e
il loro valore di dramma soggettivo. Per provarlo si esamineranno due
esempi che rivelano la forma fondamentalmente paradossale del pensiero
di Rousseau e, allo stesso tempo, la struttura specifica del dramma
persecutivo insito in esso: l’educazione di Emilio e il Contratto
sociale.
Conosciamo
bene l’influenza di Rousseau sui precetti moderni dell’educazione.
“Secondo la natura”, questa educazione costruisce abili
dispositivi che permettono una libera espressione dell’affettività
del bambino. Il montaggio è di una perversità stupefacente: si può’
descrivere esattamente negli stessi termini della trappola nella quale
Rousseau si vede rinchiuso nella vita sociale - “Che creda sempre
(lui) di essere il padrone, ma che in realtà lo siate sempre voi. Non
ci può’ essere sottomissione più perfetta di quella che mantiene
l’apparenza della libertà; perché in questo modo si domina la
volontà stessa.”
Artificio supremo, capace di produrre una libertà simulata e che può’
essere giustificato unicamente dalla purezza delle intenzioni
dell’educatore. Occorre un singolare sforzo di calcolo e un genio
strategico raffinato per attaccare efficacemente – principio
fondamentale dell’educazione rousseauista – la riflessione che,
per definizione, è perniciosa. Le pagine dei Dialogues
abbondano di interminabili denunce di questo stesso meccanismo, di cui Jean-Jacques è la vittima: “Hanno fatto
in modo che, libero in apparenza in mezzo agli uomini, egli non avesse
con loro nessuna società reale (...) che non sapesse niente di ’ciò
che si fa, niente di ’ciò che si dice intorno a lui, niente
soprattutto di ’ciò che lo riguarda e lo interessa maggiormente,
che si sentisse dappertutto appesantito da catene delle quali non
potesse mostrare né vedere la minima traccia.“
Il rapporto tra queste due “trasparenze” è speculare, con, come
unica differenza il cambiamento di valore: benefico/malefico. Vi è in
atto il medesimo meccanismo: l’estraniamento causato da un sapiente
gioco riflessivo. L’orrore della riflessione giustifica un sistema
interpretativo identico: ’così come la spontaneità risulta dagli
artifici più abili dell’educatore, occorreva uno sguardo astioso
per penetrare Rousseau e renderlo ’così detestabile (la proiezione
è opera dei persecutori) – Emilio e Jean-Jacques, imprigionati
nelle tenebre dell’ignoranza sotto lo sguardo penetrante di
educatori che si distinguono unicamente per la qualità delle loro
intenzioni.
La soluzione del paradosso
Il
pensiero filosofico di Rousseau procede tramite cambiamenti di piani e
risolve idealmente i conflitti, non secondo lo schema banale di una
fuga dalla realtà (tema della fantasticheria), ma tramite
l’attuazione nel campo teorico della struttura dei conflitti
vissuti. In un brillante articolo, Althusser aveva messo in evidenza i
décalages
in quanto modo mediante il quale si trattano e si risolvono i problemi
sollevati dal pensiero politico di Rousseau. La struttura del
Contratto sociale ne fornisce l’illustrazione più eloquente:
“Trovare una forma di associazione (...) grazie alla quale ognuno,
unendosi a tutti, obbedisca tuttavia
solo a se stesso, e resti libero esattamente come prima.“
Formulazione, che è all’origine di tutte le inquietudini liberali,
che nasconde e allo stesso tempo risolve il paradosso di una genesi
contrattualista dell’ordine civile, poiché il “tutti” che
stipula un contratto con “ognuno” è precisamente la finalità del
contratto. Per giunta, occorrerebbe una fiducia irragionevole, per non
preoccuparsi di questo “tuttavia” che ha tutte le apparenze di un sotterfugio usato per
giustificare le tesi in apparenza più stravaganti - come: “chiunque
rifiuterà di obbedire alla volontà generale, vi sarà costretto da
tutto il corpo (politico)… sarà obbligato a essere libero.”
Orbene, tutta l’originalità di Rousseau risiede precisamente nel
fatto di aver concepito un’emancipazione sotto forma di
un’alienazione totale: che “ognuno scambi con tutti” equivale a
“tutti contrattano con loro stessi”. Non ci si allontana da sé,
per questo motivo si ritorna a sé senza difficoltà, e se, strada
facendo, si è persa la libertà naturale, si è guadagnata in cambio
la libertà civile. Da quest’operazione risulta la costituzione
della volontà generale, indistruttibile, “sempre retta, e tendente
immancabilmente verso la pubblica utilità”. Essa ignora tutto dei
parassitaggi degli interessi individuali, che costituiscono il destino
della politica quotidiana (è uno dei significati del partito preso di
escludere i fatti), e rappresenta la chiave di volta dell’ordine
delle istituzioni politiche legittime.
Michel
Foucault discerneva nel Contratto sociale una somiglianza di struttura
con il Panopticon
di J. Bentham (dispositivo carcerario il cui principio è, a partire
da un centro occultato – da dove ci sia, senza essere visti, la
visibilità assoluta della periferia – tutti sono permanentemente
suscettibili di essere visti). Nell’opera di Rousseau, tutti sono
offerti allo sguardo di tutti, dato che ognuno è parte integrante
della volontà generale ossia, nel Contratto
sociale, di questa volontà, principio e luogo d’identificazione
di tutte le singole volontà, che poggia sul bene comune. Sforzo
considerevole per annullare l’eterogeneità del corpo sociale e
sottoporlo all’unico ordine legittimo, quello dell’universalità
della legge, espressione della volontà generale.
Tale
era la condizione affinché Rousseau diventasse il “Newton delle
scienze morali” (Kant): concepire il principio di omogeneizzazione
del corpo politico - “l’obbedienza alla legge (universale) che ci
si è prescritta è libertà”. Questo consenso universale, in
principio, per il bene comune – avulso da ogni passione e interesse
individuale -, che assicura al pensiero politico la sua consistenza,
costituisce la stessa struttura di quella che rinchiude Jean-Jacques
in una “triplice cerchia di tenebre”. Con questa differenza,
caratteristica della sensitività: l’universalità della costruzione
politica (che significa una logica e una simbolizzazione) si è
trasformata in una costruzione delirante; sostituzione al “tutto”
(universale-astratto) di un “tutti” (immaginario) – con
l’ostilità che nutre: “tutti contro uno” -, questo “tutti”
che si federa, nell’esperienza di Jean-Jacques, unicamente prendendo
lui come contrappunto costituzionale.
Michel
Serres riteneva che “il Rousseau,
juge de Jean-Jacques rappresenta il suo secondo trattato di
diritto politico”,
in quanto Rousseau, alla fine della sua vita, aveva riconosciuto
dall’esterno l’esistenza di un contratto sociale sotto forma di un
patto di ostilità. La tesi è brillante e viene a rafforzare quella,
antropologica, della funzione della vittima espiatoria nella
formazione dei gruppi. Ma a questo punto si rischia, tuttavia, di
occultare la novità teorica della dottrina di Rousseau e il suo
valore di emancipazione politica, poiché essa definiva una nuova
fonte di legittimità riprendendo la questione degli Antichi: come
vivere (bene) insieme? E, in questo modo, curare definitivamente la
malattia della società.
Il
paradosso di Rousseau consiste nell’avere risposto.
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