La filosofia del dandy

un raffinato dandy francese dell'epoca
Si tinge i capelli di verde, il giovane Charles Baudelaire; inizia i discorsi dicendo "quando ho ammazzato mio padre...": sono tutte pose, le pose di un dandy.

Per Baudelaire l'artista che la massa dei "pizzicagnoli", borghesi o militari che siano, tende costantemente a soffocare, a schiacciare, a ridurre al proprio nulla. Il suo destino è quello della solitudine, dell'incomprensione. Sua arma di sopravvivenza, il distacco, il disprezzo della volgare comune regola di vita. L'artista è un dandy; ma la parola dandy ha per Baudelaire ben altro significato di quello odierno. Il dandysmo è una religione, un culto, una razionale regola di vita che "singolarizza" l'individuo, non solo nell'abbigliamento più o meno strano, ma anche sul piano morale, politico e sociale. Il dandy non è come gli altri uomini: è l'uomo superiore. Nell'importante saggio su Constantin Guys intitolato Il pittore della vita moderna, Baudelaire dedica un intero alla filosofia del dandy: "Il dandysmo è una istituzione vaga, bizzarra come il duello; antichissima perché Cesare, Catilina, Alcibiade ce ne forniscono esempi splendidi; generale perché Chateaubriand l'ha scoperta nelle foreste e sulle rive dei laghi del nuovo mondo. Il dandysmo che è un'istituzione al di fuori delle leggi, ha delle leggi rigorose alle quali sono rigorosamente sottoposti tutti i suoi soggetti, qualunque sia, d'altra parte, la foga e l'indipendenza sono del loro carattere. I romanzieri inglesi hanno, più che gli altri, coltivato il romanzo di high life, e i Francesi che, come de Custine, hanno voluto particolarmente scrivere dei romanzi d'amore, si sono innanzi tutto preoccupati, molto giudiziosamente di fornire i loro personaggi di ricchezze abbastanza vaste per poter pagare, senza scrupoli, tutti i loro capricci; inoltre li hanno esonerati da qualsiasi professione. Queste creature non hanno altro da fare se non coltivare l'idea del bello nella loro persona, di soddisfare le loro passioni, sentire e pensare. Cosi possiedono, a loro agio in vasta misura, il tempo e il denaro, senza le quali cose la fantasia, ridotta allo stato di una passeggera fantasticheria, non può tradursi in realtà. È purtroppo vero che, senza la libertà e senza il danaro, l'amore non può essere che un'orgia plebea o il compimento di un dovere coniugale. Invece di un capriccio bruciante o intessuto di sogno, diviene una ripugnante utilità. Se parlo dell'amore a proposito del dandysmo, è perché l'amore è la naturale occupazione degli oziosi. Ma il dandy non mira all'amore come a un fine speciale. Se ho parlato del danaro è perché il danaro è indispensabile alle persone che si fanno un culto delle loro passioni; ma il dandy non aspira al danaro come a una cosa essenziale; un credito indefinito gli potrebbe bastare: egli abbandona questa grossolana passione agli uomini comuni. Il dandysmo non è neppure, come molte persone poco riflessive sembrerebbero credere, uno smoderato gusto della toilette e dell'eleganza materiale. Queste cose sono per il perfetto dandy che un simbolo dall'aristocratica superiorità del suo spirito. Così, ai suoi occhi innamorati anzitutto della distinzione, la perfezione della toilette consiste nell'assoluta semplicità che è, in realtà, il modo migliore di distinguersi. Che cosa è dunque questa passione che, divenuta dottrina, ha creato degli adepti dominatori, questa istituzione non registrata che ha dato vita a una casta così orgogliosa ? Anzitutto è il bisogno ardente di crearsi un'originalità. E poi una specie di culto di se stesso, che può sopravvivere alla ricerca della felicità che si può trovare negli altri, nella donna, per esempio; che può sopravvivere anche a tutto quanto si chiama illusione. E' il piacere di meravigliare e la soddisfazione orgogliosa di non essere mai sorpreso. Un dandy può essere uno scettico, può essere un uomo sofferente; ma in quest'ultimo caso sorriderà come lo spartano sotto il morso della volpe. E' chiaro che, da alcuni lati, il dandysmo confina con lo spiritualismo e con lo stoicismo. …. Che questi uomini si facciano chiamare raffinati, bellimbusti, lions o dandys, tutti provengono da una sola origine; tutti partecipano del medesimo carattere di opposizione e di rivolta; tutti sono rappresentanti di quanto è di meglio nell'orgoglio umano, di questo bisogno, troppo raro presso gli uomini di oggi, di combattere e di distruggere la volgarità. Nasce così, nei dandys, quell'atteggiamento orgoglioso di casta, provocante anche nella sua freddezza. Il dandysmo appare particolarmente nelle epoche transitorie, in cui la democrazia ancore non è onnipotente, e l'aristocrazia in parte vacillante e avvilita. Nel tumulto di queste epoche alcuni uomini fuori di ogni classe, disgustati, oziosi, ma ricchi di forza nativa, possono concepire il progetto di fondare una specie di nuova aristocrazia, tanto più difficile a vincersi quanto più sarà fondata sulle facoltà più preziose e più indistruttibili, e su quei doni celesti che il lavoro e il danaro possono certo procurare. Il dandysmo è l'ultimo sprazzo di eroismo nei periodi di decadenza… il dandyismo è un sole che tramonta; come l'astro che declina, è superbo, privo di calore e pieno di tristezza. Ma via! La marea della democrazia, che sale, che tutto invade e tutto pareggia, sommerge giorno per giorno questi ultimi esponenti dell'orgoglio umano… I dandys diventano sempre più rari qui da noi, mentre presso i nostri vicini, in Inghilterra, la condizione sociale e la costituzione, lasceranno per lungo tempo ancora un posto agli eredi di Sheridan, Brummel e Byron."

(Da l'L'Arte romantica)

 

 

 

 

 

 

 

 

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