La legenda dei Briganti

La legenda dei Briganti di  Andretta

Tutto è iniziato nel mese di giugno del 2001.Venimmo a conoscenza, per merito del prof. Michele Scanzano, di alcune grotte ad Andretta e precisamente sulla parete ovest del M. S. Giovanni  in località Torrettella. Ma quello che ha destato la nostra curiosità e ci ha spinto in seguito a  voler dare un occhiata da vicino a queste grotte, e stata sia la teoria sostenuta dal prof. Scanzano e da altri studiosi locali, sia la legenda del luogo raccontataci da egli stesso e confermata poi da altre persone del posto. Come  Totò, avrebbe detto : “o fatto è chisto, statemi a sentire” .La teoria che gli studiosi di Andretta  sostengono parla di  “dimore primordiali per antiche popolazioni”1, e ciò potrebbe definirsi anche attendibile visto che alla base delle grotte  scorre il torrente Sarda, ed è noto che gli insediamenti umani nascevano principalmente a ridosso  di corsi d’acqua e vicino a ripari naturali. La legenda invece narra che all’inizio del secolo scorso quei territori erano saccheggiati dai  Briganti i quali , puntualmente inseguiti dalle forze dell’ordine, trovavano rifugio nelle cavità di Monte San Giovanni ;  si racconta inoltre che alcune di queste grotte “addirittura avrebbero dei passaggi sotterranei estendentisi per lunghi tratti sotto l’attuale centro abitato di Andretta”2. Stimolati da tutto ciò nel mese di Luglio, con un caldo bestiale, ci trovavamo a metà mattinata  nel bosco sottostante  M. S. Giovanni, cercando un sentiero , una traccia o un qualsiasi percorso che ci portasse alla base delle grotte sia per osservarle più da vicino, sia per tentare eventualmente un ascensione fino alle prime cavità. Ma la  prima escursione non diede grandi risultati ;anche se il materiale acquisito fu notevole, cespugli di rovi barricavano in tutti i punti la nostra strada. Alle quattro circa del pomeriggio, abbattuti dal caldo e demoralizzati per essere arrivati molto vicini alle grotte ma  non aver potuto far altro che osservarle, decidemmo di ripiegare verso casa ripromettendoci di ritornare in autunno. Il 04 Novembre, terminati i nostri impegni con il corso di speleologia  e prima di prenderne nuovi con il corso di arrampicata, ci trovavamo di nuovo sotto  Monte S. Giovanni questa  volta però raggiungemmo più facilmente lo zoccolo che portava alle grotte avendo optato per un sentiero ben marcato il quale, partendo  a destra della strada che porta sulla sommità del monte,  costeggia un canalone ben visibile dall’alto. Arrivati sotto la parete ci accorgemmo subito che le condizioni della roccia non erano così favorevoli e in parte prevenuti dall’esperienza della volta precedente eravamo dotati tutti di casco che puntualmente indossammo. Decidemmo allora di formare due gruppi di lavoro. Io e Valerio avremmo tentato l’arrampicata diretta dello zoccolo della parete, gli altri componenti del gruppo si sarebbero occupati dei sopralluoghi nei dintorni per scoprire eventualmente altre cavità e raccogliere notizie sulla geologia, sulla flora e sulla fauna del luogo. Iniziai così la salita spostandomi  in traverso a destra per circa  quindici  metri  assicurandomi di volta in volta con fettucce agli alberelli di quercia  che lambivano il contorno dello zoccolo della parete. Muovendomi delicatamente  sugli appigli,   che Dino ha poi definito “usa e getta” per la loro caratteristica di estrema friabilità, arrivai  ad un alberello che poteva garantirci una sosta decente costruita con le insostituibili fettucce,  essendo impossibilitato  per la conformazione stessa della parete  ad usare chiodi, friends,  nuts, chiodi a pressione e altre diavolerie del genere. Valerio mi raggiunse in maniera solerte. Adesso ci trovavamo davanti al problema reale : una parete di circa trenta metri  bella dritta sulla quale  la difficoltà non sarebbe stata soltanto la mancanza di appigli stabili ma anche e principalmente l’impossibilità di assicurarsi decentemente a qualsiasi cosa possa essere chiamata albero o spuntone di roccia ecc., fino al raggiungimento, a circa ventidue metri di altezza,  di un albero abbastanza grande e sicuro per poter montare una sosta. Confesso di essere stato pervaso da un buon due minuti di paura, condizione umana solitamente quanto mai utile per non commettere eccessive imprudenze . Dopo aver studiato con calma altri potenziali percorsi di salita , io e Valerio prendemmo atto che quello rappresentava l’unico tracciato fattibile, essendo gli altri tutti strapiombanti. Messa da parte un po’ della sana paura, iniziai i miei movimenti lenti e delicati sulla parete fino a raggiungere , con estremo sollievo, una radice rinsecchita che se non garantiva i massimi standard di sicurezza almeno mi lasciava respirare. Valerio doveva di volta in volta scansare  le mitragliate di sassi che con i miei spostamenti facevo cadere. Misi un piede su di un appiglio che puntualmente si staccò e mi lasciò con un piede penzoloni nel vuoto mentre l’altro appiglio lasciava intravedere un possibile immediato distacco, essendo fuoriuscito dal suo incastro naturale. Cercando allora di controllare parte delle mie emozioni, risolsi rapidamente che prima sarei arrivato al prossimo “bonsai” e prima avrei ripreso a respirare. Ci riuscii quasi senza accorgermene. L’ultimo tratto era leggermente più appoggiato e, montata la sosta sul solido albero di cui ho accennato prima, potei far salire il mio secondo di cordata. Arrivammo alle prime grotte con una forte ansia di scoprire. Dopo aver visitato le prime grotte,  che risultavano essere cavità formatesi dall’erosione degli agenti atmosferici lunghe circa un metro, salimmo, grazie ad uno scivolo, ad alcune delle grotte del piano superiore. E qui la scoperta sbalorditiva signori miei. Le grotte erano abitate. Si abitate.....” Racconta un’ altra leggenda molto più recente che i briganti di Andretta erano protetti da una maga la quale aveva fatto su di loro un sortilegio per permettergli di fuggire raggiungendo i buchi  più alti delle grotte.  Così, puntualmente inseguiti dalle guardie, arrivati alla base delle pareti rocciose, essi si mutavano in rapaci e  a dispetto dei loro inseguitori  si nascondevano  su  al sicuro. Ma infine caddero in un tranello, poiché il comandante delle guardie fece catturare e uccidere la maga mentre le guardie inseguivano i briganti. Questi ultimi,  arrivati alla base della parete, si trasformarono in rapaci senza sapere dell’imminente cattura della maga e furono quindi condannati a rimanere così per sempre.”3 Le grotte sono abitate dai briganti-rapaci  tutt’ora. Però, dopo la trappola nella quale sono caduti, subiscono quotidianamente dei torti dagli uomini, i quali oltre a  disturbarli e imbrattare casa loro con  il lancio dall’estremità del monte di vecchie biciclette e motorini, ruote usurate, buste di immondizia e quant’altro, si divertono a  dargli la caccia e spaventarli,  così come facevano i gendarmi ma ora senza alcun motivo, con moderne  macchine sputafuoco che chiamano fucili.

Quando ero lassù con loro uno di essi avvicinandosi mi ha chiesto di dire a tutti i miei simili,  che una volta erano anche i suoi simili : “ vogliamo più rispetto, e se proprio tenete a quel bel posto che è M. S. Giovanni di Andretta, potrete anche venire a guardare le nostre piroette eleganti nell’aria, le nostre improvvise picchiate  e a studiare i nostri comportamenti ma senza costruire inutili edifici, e cercare invano  miniere d’oro e vanagloria ma lasciando tutto così com’è.”

 

Giovanni Sessa

1 N di Guglielmo, Testimonianze archeologiche ad Andretta, Vicum marzo-giugno 1986

2 Ibidem

3 La presunta legenda di cui nota è pura invenzione dell’autore per mettere in risalto il degrado della zona e i pericoli di un eventuale sfruttamento ai fini turistici sia per la flora che per la fauna locale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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