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Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte

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     "SCENARI E COSE DEI SERVIZI RIABILITATIVI" di Giuseppe Riefolo

 

 

 

    

 

 

 

 


“il sangue, il battito che anima costantemente le cose

che ci circondano s’era per un istante fermato”(Musil)

                                                                                                                                .

 

 

 

            

 

   

 

Rivista "Frenis Zero" - ISSN: 2037-1853

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Writings by: A. Cusin, J. Kristeva, A. Loncan, S. Marino, B. Massimilla, L. Montani, A. Nunziante Cesaro, S. Parrello, M. Sommantico, G. Stanziano, L. Tarantini, A. Zurolo.

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana: Confini della psicoanalisi

Anno/Year: 2012 

Pagine/Pages: 382

ISBN: 978-88-903710-6-6

Prezzo/Price: € 21,00

 

AA.VV., Psychoanalysis and its Borders, a cura di G. Leo (Editor)


Writings by: J. Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D. Hinshelwood, J.P. Jimenez, O.F. Kernberg,  S. Resnik.

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana/Collection: Borders of Psychoanalysis

Anno/Year: 2012 

Pagine/Pages: 348

ISBN: 978-88-974790-2-4

Prezzo/Price: € 19,00


 

 

"The Voyage Out" by Virginia Woolf 

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-97479-01-7

Anno/Year: 2011 

Pages: 672

Prezzo/Price: € 25,00

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"Vite soffiate. I vinti della psicoanalisi" di Giuseppe Leo 

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Preface: Alberto Angelini

ISBN: 978-88-903710-5-9

Anno/Year: 2011 (2nd Edition)

Prezzo/Price: € 18,00

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"Psicoanalisi e luoghi della negazione" a cura di A. Cusin e G. Leo (Editors)

Writings by: J. Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian,  A. Cusin, N. Janigro, G. Leo, B.E. Litowitz, S. Resnik, A. Sabatini Scalmati, G. Schneider, M.  Šebek, F. Sironi, L. Tarantini.

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-903710-4-2

Anno/Year: 2011

Pages: 400

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"Lebensruckblick"

by Lou Andreas Salomé

(book in German)

Author:Lou Andreas Salomé

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero 

ISBN: 978-88-97479-00-0

Anno/Year: 2011

Pages: 267

Prezzo/Price: € 19,00

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"Psicologia   dell'antisemitismo" di Imre Hermann

Author:Imre Hermann

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero 

ISBN: 978-88-903710-3-5

Anno/Year: 2011

Pages: 158

Prezzo/Price: € 18,00

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"Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria" a cura di Giuseppe Leo (editor)

Writings by: J. Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian, W. Bohleber, M. Breccia, A. Coen, A. Cusin, G. Dana, J. Deutsch, S. Fizzarotti Selvaggi, Y. Gampel, H. Halberstadt-Freud, N. Janigro, R. Kaës, G. Leo, M. Maisetti, F. Mazzei, M. Ritter, C. Trono, S. Varvin e H.-J. Wirth

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-903710-2-8

Anno/Year: 2010

Pages: 520

Prezzo/Price: € 30,00

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OTHER BOOKS

"La Psicoanalisi e i suoi confini" edited by Giuseppe Leo

Writings by: J. Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D. Hinshelwood, J.P. Jiménez, O.F. Kernberg, S. Resnik

Editore/Publisher: Astrolabio Ubaldini

ISBN: 978-88-340155-7-5

Anno/Year: 2009

Pages: 224

Prezzo/Price: € 20,00

 

"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi Confini" 

Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.

Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas, Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi, Giuseppe Leo.

Publisher: Schena Editore

ISBN 88-8229-567-2

Price: € 15,00

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Introduzione. Il dispositivo dei servizi.

 

Premetto, sullo sfondo del mio intervento, una posizione di cui mi sono occupato a più riprese (Riefolo 2001; 2004; Boccara, De Sanctis, Riefolo, 2005; Ferruta, Riefolo, 2012)  e che rappresenta la base della mia posizione  di analista che lavora nelle istituzioni territoriali. Considero  le mie competenze analitiche una felice opportunità che mi permette di sostenere la fatica, la complessità e spesso la complicazione degli eventi che si realizzano all’interno dei servizi, nella convinzione, comunque,  che stanza di analisi e servizi siano essenzialmente contesti specifici, con proprie caratteristiche che un analista può solo e continuamente usare al fine di organizzare setting  adeguati a permettere  processi di cura. In sostanza non considero il metodo analitico come necessario, ma come prezioso dispositivo che permette a me di  “navigare” nel mare, spesso molto mosso, dei servizi. Questa posizione mi permette di essere continuamente analista aiutandomi a non dover “fare per forza” l’analista, ovvero, di “… essere e di restare in qualche modo psicoanalista ‘in ogni circostanza’, comprese quelle situazioni dove apparentemente è impossibile restarlo, se non nell’arte sottile di cessare psicoanaliticamente di esserlo” (Cahn, 2002, 8).  Si tratta di cogliere le domande dei pazienti e il loro bisogno di cure dal vertice delle “possibilità” e non dal vertice delle “necessità”. Pertanto suggerisco che si eviti di mettere a confronto la “miseria” del territorio rispetto alla “potenza” della stanza di analisi perché, inevitabilmente, emergerebbe la inutile semplificazione che i processi nella stanza di analisi siano più  raffinati e potenti che nei servizi. 

Su un altro piano voglio sottolineare la posizione rigorosamente “psicologica” che un operatore deve avere e curare all’interno del sistema del servizio territoriale in cui lavora. La mia posizione è che ogni operatore, qualunque sia la sua competenza professionale e la propria formazione, si ponga in una posizione intermedia fra le facili e sterili polarità di aderire ad una posizione “psicoterapeutica” o, al polo opposto, a una posizione “sociale”[1]: i servizi in cui con grande fatica, ma anche con grande passione, lavoriamo sono dispositivi che hanno la loro specificità come servizi in cui le difficoltà concrete della vita che i disturbi psicologici generano e su cui si organizzano, possono avere una soluzione – in qualche modo – essenzialmente e sostanzialmente psicologica che deriva dal rispetto, da parte nostra, della realtà concreta delle situazioni in cui tali disturbi si organizzano ed i pazienti vivono. Ovvero, ribadisco la competenza e la speficità “psicologica” dei nostri servizi per i quali gli elementi concreti che riempiono o, alcune volte, inondano la nostra vita e gli stessi scenari dei servizi, hanno lo statuto di elementi concreti su cui lavorare, ma la cui disponibilità non necessariamente risolve il disagio psichico. Altri servizi sono deputati  a risolvere – sicuramente con maggior competenza dei nostri -  le “miserie umane” attraverso soluzioni di sostanziale assistenza concreta, ma la funzione dei nostri servizi rimane, se non altro, anche nella più difficile delle situazioni,  quella di poter “trasformare la miseria (psicologica) in infelicità comune” (Freud, 1892-95, 437). Ciò che conta è la capacità dei contesti di accogliere storie che un analista possa continuamente riportare a scenari di trasformazioni intrapsichiche dei pazienti che curiamo come anche degli operatori che vi lavorano.

 

Scenari e paesaggi

 

Gaburri e Ambrosiano (2003) in un libro che, pur non occupandosi espressamente di servizi, fornisce molte suggestioni utili per la posizione terapeutica nei contesti istituzionali, sottolineano la posizione di “solitudine” in cui l’analista deve operare al fine di permettere processi terapeutici. La solitudine comporta la possibilità di cogliere i mille fantasmi e personaggi (Ferro, 2002; 2010) che pian piano vengono a popolare la stanza: “lo psicoanalista lavora isolato nel suo studio… ecco, il paziente dice qualcosa che lo stupisce e lo spaventa o lo preoccupa o lo incuriosisce… Lo studio si va popolando di presenze, di tante presenze di coloro che sono concretamente assenti. Nella condizione di isolamento in cui lavora, lo psicoanalista ha bisogno di sentirsi connesso con la comunità dei colleghi, partecipe di un gruppo con cui condivide la tensione conoscitiva e terapeutica…” (Gaburri, Ambrosiano, 2003, 93). Questo passo, a mio parere descrive bene la condizione di fondo in cui sia nella stanza di analisi che in un servizio territoriale un analista può organizzare il proprio lavoro, nella continua tensione verso configurazioni psichiche che emergono nel campo terapeutico e parallelamente nella garanzia di appartenenza al gruppo di colleghi con i quali condivide la fatica e la passione per quel tipo di ricerca. Alla fine, la posizione di un operatore nei servizi non può che essere la posizione evolutiva suggerita da Winnicott (1957), di poter “essere soli”, ma nella garanzia della “presenza di altri” colleghi perché i tempi del nostro lavoro non possono essere accelerati o rallentati a nostro piacimento, ma devono sintonizzarsi col passo possibile di quei pazienti, in quel determinato contesto, in quella particolare fase della vita dell’istituzione. Si tratta di una particolare forma di solitudine che soprattutto gli psicoanalisti cercano come condizione negativa che permetta di cogliere possibilità creative emergenti. La particolarità (e la difficoltà) del lavoro nei servizi che si occupano di riabilitazione è che i tempi sono lunghi, i passi brevi, e servono molte energie per ottenere piccoli traguardi. Penso che il primo obiettivo di un operatore che lavori in un servizio territoriale, ma soprattutto riabilitativo, sia di curare continuamente la propria posizione in un contesto difficile che tende alla concretezza, alla routine e allo spegnimento dei processi vitali: “compresi che cos’era la solitudine del maratoneta in corsa attraverso la campagna… contento di come andavo perché mi faceva bene e mi permetteva di pensare… senza darmi la minima pena” (Sillitoe, 1959, 69-71). Nel contesto dei servizi, rispetto alla stanza di analisi, gli scenari  che si popolano di fantasmi e di personaggi sono particolarmente vivi e complessi. Le figurazioni e le personificazioni sono introdotte dagli operatori che – volenti o nolenti –  permettono di popolare uno spazio vuoto con una serie di personaggi che, come per il coro delle tragedie greche – raccontano l’evoluzione di passioni ed affetti. Un analista, sebbene sia fuori dal contesto della stanza di analisi, può cogliere comunque questi scenari come rappresentazioni di trasformazioni e di processi dell’ordine terapeutico.  Se manca la funzione analitica, questi scenari, così ricchi, possono inevitabilmente perdersi e rimanere come cronache dell’ordine concreto poiché la psicosi, soprattutto quando stabilizzata nelle configurazioni che chiamiamo di cronicità “sembra indurre una sensazione penosa e angosciante di concretezza, che non ammette repliche, e fa sembrare ogni attività non diretta immediatamente alla soddisfazione dei suoi bisogni come superflua, astratta” (Correale, 1991, 193).

 

E’ importante che il servizio si popoli di tanti personaggi[2] – in questo caso la vittima, l’eroe, il persecutore, gli offesi,… perché significa che è divenuto urgente un livello conflittuale e al tempo stesso creativo fin’allora sopito o solo potenziale. Tale livello conflittuale da un lato impone al soggetto nuove scelte e nuove definizioni del proprio Sé rispetto al gruppo di appartenenza e dall’altro cimenta il gruppo e il singolo verso nuovi “compiti” che il processo di crescita impone. L’angoscia di disintegrazione che coinvolge tutti impone la presenza di personaggi nello spazio istituzionale perché si compia la battaglia in praesentia (Freud, 1899) e si compia la tragedia. Ogni cambiamento è tragico, nel senso che chiede la morte di un capo e parallelamente l’emergenza di un mistico (Bion, 1970) che se ne assuma la responsabilità. Ovviamente il capo è una funzione fin’allora sospesa e delegata dal gruppo ad una istanza esterna. Il mistico, suggerito da Bion (1970, 87) come istanza inderogabile di trasformazioni, è anch’esso una funzione ed è al tempo stesso un componente del gruppo il quale diviene un personaggio a rischio nella misura in cui non riconosce di essere portatore di un pensiero non suo. Un mistico che non sia  capace di una tale posizione di lutto diventerà inevitabilmente un tiranno perché si sentirà autorizzato al governo attraverso una interpretazione falsa e narcisisticamente determinata dell’evento attribuendosi il merito del superamento del evento/capo eliminato. La personificazione degli elementi affettivi è necessaria ed inevitabile per i cambiamenti come gli eroi e i tiranni per le rivoluzioni.  Nella realtà, come nella storia, è triste per questi personaggi scoprire di essere delle figure mosse dalle tensioni del gruppo. Un analista che vive ed osserva queste tensioni all’interno di un campo istituzionale (Correale, 1991) potrà coglierle perché i pazienti possano utilizzarle come rappresentazioni di movimenti interni. Pertanto, ogni operatore, all’interno di un servizio, ha necessariamente – che lo voglia o meno – il duplice statuto di soggetto con una propria storia e di personaggio chiamato a rappresentare storie che tutti i personaggi del gruppo tessono insieme continuamente. Questa capacità di cogliere le storie che si tessono nello scenario del servizio è funzione della capacità che il gruppo sia colto come un fattore di una funzione sognante. La presenza di analisti all’interno del gruppo può permettere che questa funzione sognante diventi, a vari livelli di intensità, un dispositivo di cura psicologica per i pazienti (ma anche per gli operatori). Un importante fattore di questa capacità del gruppo degli operatori a “sognare” gli eventi (Ferro, 2010; Ogden,  2005) si realizza particolarmente durante le discussioni cliniche, magari quando condotte da un supervisore esterno. Alcuni gruppi, hanno una particolare difficoltà a “sognare” ciò che accade nello scenario del servizio e  fanno una grande fatica ad usare la discussione clinica come aiuto, anzi la ‘reificano’ aspettandosi e chiedendo ‘suggerimenti operativi’. Si tratta di situazioni in cui il supervisore deve particolarmente avere interesse per il funzionamento del gruppo, e tenere magari sullo sfondo il contenuto clinico in senso stretto. Trattandosi di una difesa, è utile che il supervisore proponga anche indicazioni operative, sapendo che si sta muovendo in una zona molto regredita di funzionamento in cui il massimo delle possibilità di uso del dispositivo analitico è solo di tipo imitativo e il gruppo può non avere capacità di assumersi responsabilità psichica rispetto al proprio funzionamento. Preciso, comunque, che la presenza di analisti nei gruppi di lavoro delle équipe istituzionali non è per se stessa una garanzia di funzionamento analitico – che ho chiamato capacità a sognare i fatti concreti – dell’istituzione; in alcuni casi può persino esserne di ostacolo. La psicoanalisi è per me una opportunità potente per il funzionamento dei servizi territoriali, ma, non la considero necessaria, né sufficiente per ogni tipo di servizio: è una opportunità che è possibile usare.

 

In quersta nota cercherò di concentrare la mia analisi sulle modalità di funzionamento dei servizi e degli operatori rispetto all’ambito molto complesso, anzi “complicato”, degli interventi che comunemente descriviamo di “riabilitazione”. Non credo molto all’utilità di dover definire fino a che punto si tratti di  processi “terapeutici” o di percorsi di “recupero” poiché con ogni paziente siamo sempre chiamati a sostenere le trasformazioni rispettando le difese regressive. Volendo dare il primato al vertice dei servizi, voglio considerare “riabilitativi” quegli interventi che si compiono nei nostri “servizi riabilitativi” distinti dagli interventi più a carattere “psicoterapeutico” che si compiono negli ambulatori territoriali. In sostanza cercherò di occuparmi di alcune categorie “classiche” che organizzano in modo potente i setting e gli scenari di quelli che chiamiamo “servizi riabilitativi”. Cercherò di analizzare queste categorie non solo nella linea delle ovvie progressioni patologiche, quanto soprattutto nella linea delle potenzialità evolutive che esse offrono – non solo sul piano funzionale, ma soprattutto strutturale – per l’evoluzione psicologica dei pazienti. Mi occuperò della “cosiddetta cronicità” e del dispositivo delle “cose”. Nel primo caso cercherò di sostenere come la cronicità sia un continuo processo che si muove fra la rassicurazione coesiva della regressione e la possibilità fertile del rischio delle “crisi”. Sull’altro piano mi occuperò delle complesse potenzialità della funzione degli oggetti concreti che chiamo “cose”[3]. Sullo sfondo colloco necessariamente lo scenario del servizio per come ho cercato di descriverlo in modo sintetico fino ad ora.

 



[1] Stefano Bolognini, in un articolo di qualche anno fa apparso sul Manifesto (Bolognini, 2000), sostiene la originalità della psichiatria psicoanalitica a fianco delle due psichiatrie  più storicamente riconosciute quali la “neuro/tecno/biologica” e la “socio/anti-psichiatrica”.

[2] Assumo questi “personaggi” come sedimentazioni figurate dei  “multipli stati del Sé” (Bromberg, 1998; 2006; 2010; Riefolo 2011; 2012a; 2012b; Boccara, Gaddini, Faccenda, Riefolo, 2012) che si cimentano in un continuo e possibilmente crescente dialogo dissociativo fisiologico nel Campo Relazionale condiviso (BCPSG, 2011).

[3] Trovo interessante che l’ultimo Festival della filosofia che si è tenuto a Modena il 14-16 settembre scorso sia stato intitolato alle Cose; come pure segnalo un interessante testo di qualche anno fa di Remo Bodei (2009), curatore scientifico del Festival.

 

 


 

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(fine della prima parte - il testo nella sua interezza verrà pubblicato in un libro delle Edizioni Frenis Zero dal titolo "Psicoanalisi e luoghi della riabilitazione")

 

 

 

 
 
 
 
   

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
 

 

   
   
 

 

   
   
   
 

 

   
   
   
   
   
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
   
 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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