Massime |
“Hai
mai studiato la grammatica?” disse un saggio a un barcaiolo. L'altro rispose
di no. “Allora hai perduto metà della tua vita!” disse ancora il saggio.
Poco dopo il vento spinse la barca in un vortice.
Allora il barcaiolo, gridò al grammatico: “Sai nuotare un poco?”
“No!” - rispose il grammatico – “il nuoto non è affar mio.” “Allora
- replicò l’altro - tutta la tua vita è perduta!” E la barca affondò.
Un
predicatore un giorno salì sul pulpito e chiese agli auditori se sapevano di
che cosa egli volesse loro parlare. Alla risposta negativa, dichiarò che non
vedendo uno scopo al suo parlare se ne sarebbe andato.
Così infatti fece. Una seconda volta rivolse quindi la stessa domanda, e alla
risposta affermativa replicò che la predica era perfettamente inutile. Ma la
terza volta gli auditori si erano preparati bene alla solita domanda. Infatti
risposero: “Alcuni di noi lo sanno, ma altri no!”. Ma si sentirono
replicare: “Benissimo, quelli che sanno lo dicano a quelli che non lo
sanno!”.
Un
giorno un uomo bussò alla porta e disse al padrone di casa affacciatosi alla
finestra: “Scendi, ché ti devo comunicare una cosa molto importante!” Il
padrone di casa scese e si sentì chiedere l'elemosina.
Allora fece salire il povero, ma lo congedò subito, senza dargli nulla.
Il mendicante, deluso e irritato, gli chiese perché mai lo aveva fatto salire.
E il padrone di casa così rispose: “E tu, perché mi hai fatto scendere?”.
Un
giorno un ladro svaligiò una casa. Il padrone raccolse i pochi oggetti
rimastigli, corse dietro al ladro e fece per entrare nella casa di questi. Di
fronte allo stupore del ladro, il padrone chiese: “Non ci siamo forse
scambiate le case?”.
In
una notte d'inverno due sconosciuti litigavano sotto le finestre di una casa e
la disputa stava per trasformarsi in rissa. Cedendo a malincuore alle insistenza
della moglie, il padrone di casa, temendo un'esplosione
di violenza, si avvolse in una coperta e scese per calmare le ire dei
contendenti. Questi, dopo avergli strappato la coperta, se la diedero a gambe.
La moglie, che dal letto si compiaceva perché
il marito aveva fatto cessare la contesa, gli chiese perché mai litigassero. E
il marito, con noncuranza: “Oh niente! Litigavano per la mia coperta!”.
Mencio
disse a Sinen, principe di Ts'í: “Se uno dei tuoi ministri, dovendo partire
per un viaggio, affidasse moglie e figli
alle cure di un amico e, al ritorno, li trovasse estenuato dalla fame e dal
freddo, come dovrebbe comportarsi secondo te?”. “Dovrebbe ripudiare
l’amico!”. “E se il più alto fra i giudici si mostrasse incapace del suo
compito, come lo tratteresti?”. “Lo destituirei!”. “E se, dentro i
confini dello stato, ci fosse il malgoverno, cosa bisognerebbe fare?”. Il
principe capì la lezione.
Il
principe Wen di T’en domandò una volta a un saggio: “Il mio stato è
piccolo e se si estende fra quelli di Ts'i' e di C'u, a quale dei due devo
dichiararmi vassallo?”. Il saggio rispose: “Non approvo il tuo proponimento.
Io ti suggerirò una cosa sola. Scava più profondi i fossati, aumenta
l’altezza delle mura, difendi la città con i tuoi uomini, sii pronto ad
affrontare la morte e fa che il popolo non ti abbandoni.
Questo è il miglior vassallaggio”.
Penso
spesso che dovremmo applicare al nuovo la legge nuova e al vecchio la legge
vecchia. Quando i vecchi ufficiali della dinastia Manchu commettono un delitto
dovremmo fustigarli sul dorso.
Siut-tze
domandò a un saggio: “Confucio parlava spesso dell'acqua, lodandola. Perché
mai faceva questo?” Il saggio rispose: “Vi è l'acqua che zampilla dalla
sorgente, sgorga senza riposo giorno e notte, riempie ogni cavità, scorre, si
getta nei quattro mari. Questa è l’acqua di sorgente e questa riceveva lode
da Confucio. Ma vi è anche l’acqua che non viene dalla sorgente. Nei due mesi
delle piogge riempie canali e rigagnoli, poi, in breve tempo, si asciuga. In
egual modo l’uomo superiore si vergogna di una fama che supera i suoi
meriti”.
Quang-tze
pescava sulla riva di un fiume, quando gli si presentarono due dignitari inviati
dal re di C'u e gli dissero che il re desiderava che egli entrasse
nell'amministrazione dello stato. Quang-tze, senza deporre la canna e senza
voltarsi, rispose: “Nello stato C'u deve esserci una tartaruga sacra, morta già
da tre millenni, e che il re conserva nella sala degli antenati dentro a una
cesta ricoperta da un panno. Che cosa preferirebbe, secondo voi, quella
tartaruga? Vedere onorato il suo guscio superstite, oppure trascinare viva la
coda nel fango?”. I due dignitari si pronunciarono per la seconda ipotesi.
“Allora, andatevene pure, signori miei - riprese Quang-tze – anch’io
voglio trascinare la mia coda nel fango”.
La
sostanza dell’uomo è la stessa di quella del cielo e della terra. Il suo
cuore è il cuore del cielo e della terra. In nome della sua norma e della sua
materia, l’uomo è un tutto con il cielo e con la terra. Il cielo, la terra e
tutti gli esseri sono una sola cosa con me. Infatti io partecipo delle stesse
cose. Il cielo è mio padre, la terra è mie madre, gli uomini sono dunque miei
fratelli, tutti gli esseri viventi sono uniti, tutto l’universo è, con me, un
essere unico.
Vi
sono cose che vivono e cose che producono la vita; vi sono cose che hanno forma
e cose che la rendono tale. Ciò per cui la forma è forma, è la realtà; ciò
che rende tale la forma non si è mai manifestato; ciò per cui il suono è
suono, è l'udito; ciò che rende suono il suono non si è mai manifestato; ciò
per cui il colore è colore, è la vita; ciò che rende colore il colore, non si
è mai manifestato.
Non
salutare per forza il tuo focoso avversario perché, così facendo, ferisci il
tuo cuore. Non manifestare rispetto al tuo avversario con l’adulazione, perché
nel tuo corpo entrerà la vendetta. Mostrati sempre premuroso
e attivo con tutti e, se guadagni uno stelo di paglia, fallo diventare una
trave. Non avrai più nemici perché ti crederanno un potente e acquisterai
molti amici, timorosi di perderti per la tua potenza.
Quando
le cose e le piante sono vive sono flessibili e tenere; quando esse sono morte
diventano fragili e secche. Quindi la rigidità e la durezza sono compagne della
morte, la docilità e la morbidezza sono compagne
della vita. Perciò quando un esercito è ostinato perderà la battaglia, quando
un albero è duro sarà abbattuto. Il grande e il forte appartengono al basso,
gli arrendevoli e i deboli fanno parte della cima.
Preferisco
essere io stesso il mio servo. Se devo fare qualche cosa, mi servo del mio
corpo. A volte ciò è fastidioso, ma è sempre più facile che ottenere
obbedienza dagli altri. Se ho bisogno di camminare, cammino; questo mi affatica,
ma sempre meno che il dovere pensare a cavalli e selle, a buoi e carrozze.
Divido il mio corpo in due parti: le mani fungono da servitore, i piedi
da veicolo e sono docili oltre ogni dire. Il mio cuore, conoscendo ciò che il
mio corpo può sopportare, lo lascia riposare quando è stanco e lo adopera
quando è ristorato e pronto. Anche quando si serve di esso non ne abusa, ma
neppure lo lascia appesantirsi. D'altronde, giova alla salute camminare e
muoversi. Perché dunque perseverare in una pigrizia inutile?
Se
avete la saggezza di riconoscere una verità, ma non siete capaci di attenervi
ad essa, la perderete ugualmente, pur avendola scoperta; se avete la saggezza di
riconoscere una verità e la capacità di attenervi ad essa, ma non riuscite a
mantenere il decoro comparendo in pubblico, non vi guadagnerete il rispetto del
popolo. Se avete la saggezza di riconoscere una verità, la capacità di
attenervi ad essa e riuscite
a mantenervi decorosi nell'aspetto, ma non siete imbevuti dello spirito del Li o
della disciplina sociale, le vostre azioni e il vostro comportamento non saranno
soddisfacenti.
Arrivare
alla comprensione, chiedere all’essere di manifestare la sua vera natura.
Arrivare all’autenticità del proprio essere partendo dalla comprensione,
questo si chiama cultura. Ciò che è il proprio vero essere si
chiama comprensione, ciò che è comprensione trova quindi il suo proprio vero
essere. Dare l'impressione del vero essere impone l'espressione, l’espressione
diviene evidenza, l'evidenza diviene chiarezza e luminosità di sapere, la
chiarezza e la luminosità di sapere divengono attive, il sapere diviene la
forza e la forza diviene influsso che pervade.
La
predica del Loto è come un fuoco per i congelati, un vestito per gli ignudi,
una guida per la carovana, un padre per il bimbo, una barca per chi vuol
traghettare, una torcia per scacciare le tenebre. Chi, ascoltando la predica del
Loto, manifesta il suo plauso, avrà sempre l'alito soave come quello di un
loto, e le sue membra diffonderanno profumo di sandalo, mentre la fanciulla che
lo ascolterà una sola volta, dimenticherà
la sua vita di fanciulla e inizierà quella di donna. (la “predica del Loto”
è “la parola dell’amore”).
Eccovi
un grande palazzo vecchio di mille anni dalle tegole e dai mattoni sgretolati,
dalle travi e dalle pareti cadenti, - è invero ancora imponente, ma al primo
temporale crollerà. Tuttavia la gente che vi abita non se ne preoccupa e dorme
tranquilla come se non vedesse o non sentisse nulla. Anche coloro che si sono
accorti del pericolo sanno soltanto piangere amaramente e aspettare la morte in
un atteggiamento sconsolato, ma non pensano a porvi rimedio. Qualcuno più
capace degli altri si sforza di riparare le fessure e di tappare i buchi in modo
da potervi abitare comodamente, magari per breve tempo e con la speranza di un
miglioramento. Questi tre tipi di persone usano l'intelligenza in maniera
diversa, quando scoppierà la tempesta periranno insieme.
La
Cina è come una stanza dai muri invisibili contro i quali può capitare di
sbattere la testa. Vince l'uomo che è disposto a lottare contro questi muti e a
battervi la testa senza curarsi del dolore.
I
cinesi hanno solo due nomi per le razze straniere: uno è razza straniera,
l'altro è vostra maestà.
Quando
i cinesi sono al potere e vedono che gli altri non possono fare loro nulla, si
rivelano autocrati e non conoscono moderazione; quando cominciano a parlare di
moderazione sanno che devono essere moderati
e quando non sono favoriti dalla fortuna cominciano a parlare di destino. Si
contenterebbero anche di essere schiavi e si troverebbero in perfetta armonia
con l'universo.
Chi
dice che i cinesi non cambiano? Quando vengono introdotte cose nuove essi le
vogliono respingere, ma
quando incominciano a vedere che c'è qualche cosa di buono, cominciano a
cambiare. Ma non cambiano adattandosi alle cose nuove, ma adattando le cose
nuove a se stessi.
Dice
il Tao: “Lasciate che esista un piccolo paese con un numero piccolo di uomini
dove le scorte di beni siano dieci, cento volte maggiori di quante ne occorrano;
lasciate che questi uomini amino la vita che a loro è concessa e non mirino
lontano, sebbene abbiano battelli e carri e nessuno pensi a servirsi di essi;
lasciate che questi uomini facciano ancora nodi alle funi per contare, lasciate
che ai cibi prendano gusto, che trovino belli i loro vestiti e che nelle loro
case siano contenti e che dei loro costumi prendano diletto, che abbiano le
nuore vicine le une alle altre, cosicché si possano udire l’abbaiare dei cani
e il canto del gallo dei loro vicini e che gli uomini possano ritrovarsi fino
all'ultimo dì della loro vita”.