Difesa del suolo


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"UN RINNOVATO IMPEGNO PER LA SICUREZZA E

LO SVILUPPO DEL TERRITORIO"

Nel contribuire al programma di governo regionale e ad una nuova stagione di leggi e progetti finalizzati allo sviluppo e alla salvaguardia dell'ambiente, riteniamo che la politica del territorio, legata alla delicata questione della difesa del suolo, richieda una netta discontinuità con il passato.

 

Le radicali trasformazioni del territorio registrate negli ultimi 50 anni hanno condotto a graduali squilibri con uno sviluppo urbanistico che si è spesso sovrapposto indiscriminatamente ad un ambiente fisico vulnerabile senza operare una razionale e preventiva valutazione ed analisi conoscitiva (negli anni 80 la percentuale di case realizzate al Sud è stata pari al 46% e i casi di abusivismo edilizio nel 1999 sono pari al 20% del totale nazionale).

 

In Campania, la riduzione del verde nelle aree urbane, la smisurata espansione edilizia, l'erosione diffusa ed il ruscellamento selvaggio sui versanti, i sovralluvionamenti in pianura, l'inquinamento delle falde acquifere ed il prelievo puntuale ed indiscriminato dell'acqua, non regolarmente denunciato e regolarizzato da concessioni autorizzative emesse dagli Enti preposti, il forte impatto ambientale delle industrie, l'assenza di un piano di bonifica dei suoli dismessi, l'enorme sottrazione dei suoli agricoli per usi civili ed industriali (tra 1970 e il 1990, 123.637 ettari pari a circa il 10% della superficie regionale), sono tra i principali fattori di degrado che vanno immediatamente ridotti.

 

Minimizzare i problemi legati alle profonde alterazioni dell'ambiente fisico e alle diversificate situazioni di rischio è possibile solo predisponendo l'adozione di precauzioni tecniche che garantiscano un maggiore livello di sicurezza. 

Significativa è la svolta nella gestione del territorio introdotta con il D.L. n°180/98 convertito in Legge n°267/98, il D.P.C.M. 29.08.98 e il D.L. n°132/99 convertito in Legge n°228/99. Naturalmente è indispensabile che ogni forma di razionale prevenzione non escluda i piani di sviluppo formulati dall'uomo.

L'obiettivo da porsi è coniugare sviluppo delle comunità locali con l'attività conoscitiva del territorio e con la programmazione, la pianificazione ed l'esecuzione degli interventi tendenti ad attenuare i danni di un disastro naturale.

Ogni piano di salvaguardia dell'ambiente fisico non può prescindere dalle esigenze di una moderna società produttiva. Ecco quindi che nel processo cognitivo e di valutazione della pericolosità del territorio, attraverso studi ed approfondimenti tecnico-scientifici, è importante il coinvolgimento, oltre che di esponenti del mondo scientifico e professionale, di altri soggetti sociali in grado di contribuire alla valutazione del rischio; non ultimi i cittadini.

 

L'impostazione dei piani di bacino deve tener conto, con particolare riferimento al problema della sicurezza delle aree urbanizzate, di una serie di azioni che non escludono la necessità di vigilare costantemente su un territorio diffusamente antropizzato dove zone abitative, infrastrutture, aree sportive ed attività agricole sono state impiantate in aree sottratte al corso dell'acqua.

Pertanto, considerando che il rischio idrogeologico è difficile da minimizzare solo con interventi strutturali, è indispensabile programmare e progettare un percorso operativo articolato, che preveda anche azioni non-strutturali.

Per la progettazione di opere strutturali, ove necessarie, si ritiene che debba essere incentivato il ricorso a tecniche innovative a basso impatto come l'ingegneria naturalistica.

Le azioni non strutturali corrispondono ad un programma di attività finalizzate al controllo sistematico del territorio e alla promozione di azioni informative e previsionali.

E' indispensabile che ogni strategia di intervento preveda l'azione informativa. Si ritiene infatti che la validità e il grado di ricezione e di attuazione di un programma finalizzato alla mitigazione del rischio dipende dalla capacità di saper comunicare e diffondere in modo convincente scelte radicali, che indichino, con un'inversione di tendenza, una reale trasformazione culturale nella gestione del territorio.

Una politica che promuova, quindi, un modello di sviluppo non più rappresentato da un mosaico di iniziative e di interventi spesso sovrapposti e inopportuni, ma un'unica tutela attiva e responsabile che armonizzi disciplina urbanistica e disciplina ambientale. In quest'ottica ci si auspica che sia data massima attenzione alla promozione di progetti di informazione che, attraverso la comunicazione partecipata e a tutti i livelli creino occasioni di crescita e di sviluppo, riducendo così le lacerazioni tra cittadini e istituzioni.

 

Parte delle responsabilità dell'attuale situazione di grave rischio idrogeologico per l'intero territorio della Campania è attribuibile alle diversificate gerarchie decisionali che hanno reso a lungo inoperante la Legge 183/89. Le generazioni di amministratori di Istituzioni centrali e locali, hanno inibito la crescita di un modello di sviluppo attento alla qualità ambientale sottraendosi ai propri doveri di controllo e tutela (Province di Napoli e Salerno - 1988/1998 - emesse 32176 ordinanze di demolizioni di cui eseguite 669).

La memoria di una certa classe politico-amministrativa è selettiva; essa compie un'azione di filtro sottovalutando tutto ciò che, per una forma di fatalismo sconsiderato, riguarda la ciclicità degli eventi naturali rimandando all'infinito la tanto auspicata politica di prevenzione. La mancanza di un approccio ambientalista ai problemi legati al riassetto del territorio in senso ampio, che si traduca in una trasformazione culturale delle coscienze di chi ci amministra, rende complesso e tortuoso il cammino verso il ripristino di un equilibrio tra comunità e ambiente fisico.

 

Il territorio, quindi, va difeso e gestito operando in forma prioritaria ed escludendo ogni concezione di natura vincolistica che snatura e mortifica la realizzazione di nuove politiche del territorio aventi come obiettivo un sistema di interventi conoscitivi e manutentivi costanti, per garantire al massimo la sicurezza delle popolazioni. Naturalmente ciò deve attuarsi affidando la gestione a competenze effettive prefendole ad improvvisati burocrati del territorio e dell'ambiente.

 

Alla Regione è affidato anche il compito (Legge 225/92) di predisporre programmi che sintetizzino i dati che riguardano la protezione civile necessari alle Prefetture per approntare piani di emergenza. Ma anche in questi casi si è registrata la latitanza degli enti locali che avrebbero dovuto fornire i dati riguardanti la previsione e la prevenzione delle catastrofi naturali.

Il potere politico-amministrativo ha il dovere di far crescere nei cittadini una conoscenza ed una consapevolezza dei limiti del proprio territorio puntando prioritariamente sulla sicurezza con progetti di difesa del territorio da rischi idrogeologici. E' in quest'ottica di radicale trasformazione della politica di gestione del territorio che devono essere recepiti i Piani Straordinari per la rimozione delle situazioni di rischio idrogeologico più alto, redatti dalle Autorità di Bacino e pubblicati sul BURC del 29/11/99.

I Piani straordinari sono soltanto il primo tassello di un più articolato ed approfondito studio del territorio da prodursi entro il 2001-2002 con una rappresentazione cartografica in scala più adeguata (1:5000; 1:2000).

Le indicazioni dei Piani straordinari, attraverso un programma di azioni e norme d'uso finalizzate alla corretta utilizzazione del territorio, consentono di avviare un processo di tutela del territorio come scelta produttiva, come un'irrinunciabile opportunità di crescita economica ed occupazionale. "Il riassetto idrogeologico e la messa in sicurezza del territorio è la più grande opera pubblica nazionale e ciò è particolarmente vero per il Mezzogiorno" ha dichiarato il Presidente del Consiglio D'Alema.

Naturalmente ciò non solo a vantaggio del mondo delle professioni tecniche, dedite alla cementificazione ieri, cultori dell'ambiente oggi, ma soprattutto per promuovere ed incentivare forme di imprenditoria giovanile opportunamente formata e con l'impiego di soggetti attualmente parcheggiati in corsi di formazione per tecnici dell'ambiente.

 

La 183/89 ha rafforzato il concetto di una gestione unitaria del territorio in cui interagiscono, in un "ecosistema urbano", fattori naturali ed antropici la cui convivenza critica va evitata o, quanto meno, controllata e arginata con una corretta disciplina della destinazione d'uso del territorio.

Viene così riconosciuto che al di sopra di comuni, provincie, regioni i cui confini amministrativi non rientrano in una logica di pianificazione territoriale, l'unica unità di pianificazione significativa è il bacino idrografico.

La legge 183/89 però non scioglie il nodo che attualmente paralizza la gestione della difesa del suolo: la pianificazione territoriale, nel rispetto della normativa vigente, si sviluppa in forme articolate per approdare ad una confusa, disomogenea ed inutile sovrapposizione di livelli spesso incongruenti. Non è facile, infatti, individuare con esattezza l'Ente preposto per la risoluzione di questo o quel problema.

E' opportuno, pertanto, chiarire chi fa cosa e snellire il groviglio di competenze, vincoli e pareri che rallentano i percorsi amministrativi in un settore, quello della difesa del suolo, in cui il potenziale rischio a cui è sottoposto il nostro territorio non ammette ritardi.

 

 

In tale labirintica gestione del territorio indichiamo le inadempienze di un Ente, il Consorzio di bonifica, preposto prevalentemente ad attività manutentiva della struttura idraulica risalente alla Bonifica Borbonica.

Secondo l' art. 11 e 34 della Lg. n°183/89, recepiti dalla L.R. n°8/94 all'art. 16, le Regioni avrebbero dovuto predisporre un disegno di legge al fine di definire le funzioni e l'organizzazione dei consorzi di bonifica.

Si rende pertanto necessaria una regolamentazione, che a tutt'oggi manca, ridefinendo il ruolo operativo dei consorzi nella difesa del suolo attraverso compiti specifici loro affidati con contratti di programma con le provincie, sul modello previsto dal disegno di legge della Regione Lazio.

 

Infine, si ritiene che non sia più procrastinabile l'attivazione di mezzi e risorse per organizzare un'azione cognitiva ben coordinata e puntuale delle situazioni di rischio sia esso legato al dissesto idrogeologico, sia all'inquinamento del suolo e delle falde acquifere, attraverso la raccolta, archiviazione ed analisi dei dati territoriali.

In Campania è presente un mosaico di carte topografiche in scala 1:5000 e più raramente in scala 1:10000, realizzate in modo disomogeneo ed indipendente dalle comunità locali, in forma digitale spesso non georeferenziate. Ogni attività di pianificazione non potrà, quindi, prescindere dal dotarsi in forma prioritaria dell'indispensabile strumento che è la cartografia di base. Ci si auspica che si realizzi un progetto unico per un lavoro di raccolta e sintesi cartografica del territorio regionale secondo vari tematismi. Progetto che potrebbe essere realizzato da una sede Campana del Servizio Geologico Nazionale.

 

(gruppo difesa del suolo)

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