LA FRATTA

La Toscana diverrà in Italia il luogo caratteristico della “Fattoria”: centro di una complessa organizzazione della grande azienda signorile appoderata, generalmente annessa ad una grande villa padronale ed a strutture per la lavorazione di alcuni prodotti. In questo processo ha avuto senz’altro un ruolo importante la realtà economica e sociale rappresentata dal “sistema della mezzadria”, già presente in Toscana ed anche in Valdichiana.
Si trattava di un’organizzazione che faceva riferimento ad una famiglia numerosa, con abitazione – il podere – destinata a residenza ed alle più semplici funzioni produttive necessarie per l’economia della famiglia, che è stata definita da alcuni storiografi come “unità organizzativa orientata alla produzione”.
Ma la Fattoria in Toscana non è stata solo un esempio di razionalizzazione produttiva delle campagne, determinato dall’unione tra il sistema mezzadrile preesistente e la presenza di nuovi investimenti economici nelle proprietà rurali da parte delle grandi famiglie signorili; è stato anche insieme alle veglie, alle feste locali, al mercato, alle fiere, un importante istituto di socializzazione e di costruzione di relazioni umane e sociali per gruppi di persone e famiglie anche molto numerosi, come appunto viene testimoniato dalla realtà rappresentata dalla Fratta.
Da più parti si sostiene che la genesi della Fattoria come organizzazione economica e territoriale di una proprietà agricola appoderata, dove il proprietario investiva una buona parte delle sue risorse finanziare e dove l’amministrazione prima, e le scelte gestionali e produttive poi, risultavano centralizzate, non si può far risalire oltre il xv/xvi secolo.
Prima di quel periodo, infatti, non solo è difficile ritrovare documenti di una contabilità aziendale come quella tipica della fattoria, ma gli stessi parlano ancora di “casa da Signore”, “pelago”, “villa”. Tra la fine del ’600 e gli inizi del ’700 sono osservabili diversi elementi di novità che furono senz’altro di stimolo alla riorganizzazione dell’agricoltura mezzadrile anche nelle nostre zone, secondo appunto il sistema della fattoria. I più rilevanti sono rappresentati dalla presenza di uno sviluppo del mercato agricolo su scala sempre più ampia, da una significativa crescita demografica e dall’avvio di un pur semplice processo di industrializzazione e meccanizzazione di alcuni processi lavorativi.
In Toscana era già avviata una piccola rivoluzione agricola grazie appunto all’ampia diffusione della mezzadria ed al collegamento con i mercati cittadini. Nel ’700 il dato nuovo consiste proprio nell’organizzazione ulteriore del sistema mezzadrile attraverso il sistema della fattoria e l’importanza crescente che in questa azienda signorile vengono ad assumere gli investimenti di capitale fisso.
Oltre alla congiuntura più favorevole che si era andata determinando, sia dal punto di vista della crescita demografica che dei mercati, occorre osservare che a favorire gli investimenti di una gran parte della nobiltà terriera nelle grandi aziende signorili, intervennero anche le significative riforme dei Lorena a partire proprio dai primi decenni del ’700. I Lorena, infatti, si orientarono verso interventi che facessero della Toscana un unico mercato, dove uomini, merci e capitali potessero muoversi senza ostacoli o privilegi e dunque si modificarono le precedenti condizioni e regole del regime fondiario teso fino ad allora ad un forte protezionismo a difesa dello status esistente. Il rinnovamento del regime fondiario voluto dai Lorena si concretizzò essenzialmente in tre direzioni: il ritorno ad una libera commerciabilità della terra; la possibilità di un suo frazionamento e la formazione di una piena proprietà individuale. A questo va aggiunto che la precedente dominazione francese aveva abolito le ultime signorie feudali. Una delle conseguenze di queste riforme fu un mutamento della classe dei proprietari terrieri: una media e piccola proprietà borghese si era gradualmente affiancata alla grande proprietà nobiliare e quest’ultima era sempre meno assente dalla terra, e, anzi, dava esempi notevoli di interessamento diretto all’agricoltura. I proprietari si rendono conto che di fronte alle nuove esigenze produttive ed agli stimoli del mercato non possono più lasciare le scelte di gestione della “azienda” ai contadini, ai quali sono affidati a mezzadria i singoli poderi, e dunque si rende necessario sempre più accentrare la direzione tecnica del processo produttivo che riguarda la fattoria nel suo complesso, anche per il tramite di intermediari quali Fattori ed Agenti che da questo momento assumo un ruolo sempre più rilevante. L’Accademia dei Georgofili, nata proprio a metà ’700, come vero supporto tecnico-politico del riformismo di Pietro Leopoldo, di fronte all’evidenza dell’impreparazione tecnica dei proprietari li invitava a dedicarsi allo studio dell’agricoltura e ad instaurare un rapporto attivo con la loro proprietà per il bene dei loro patrimoni privati e per il “vantaggio generale dello Stato”. Secondo i Georgofili i proprietari dovevano essere istruiti a dovere e loro stessi dovevano incaricarsi di formare agenti e fattori dai quali avere una collaborazione fattiva per tutte le scelte gestionali e soprattutto per i rapporti con il personale che a vario titolo lavorava nella fattoria.
Il processo di sviluppo del sistema della fattoria va avanti dunque con intensità nell’800 e poi nei primi decenni del ’900. I vantaggi che la classe dei proprietari vedeva nell’investimento di capitali nelle grandi aziende appoderate si può riassumere in tre ambiti essenziali: prima di tutto dal punto di vista della produzione, poi degli investimenti fondiari ed infine dal punto di vista ideologico. Tra le ragioni sottese ai vantaggi legati alla produzione dell’azienda, nel sistema della Fattoria insistono anche i problemi legati agli interventi di regimazione delle acque conseguenti alla Bonifica fortemente voluta da Pietro Leopoldo (anche alla Fratta, come abbiamo visto, questo elemento ha avuto un importante valore dal punto di vista delle scelte di gestione della fattoria). Dalla seconda metà dell’800, grazie agli interventi della Bonifica, le proprietà saranno spesso appoderate più intensamente per aver recuperato nuovi spazi alle colture ed anche per questo la forma di conduzione della fattoria rispondeva meglio alle necessità di una continua manutenzione della terra nelle zone bonificate, affinché gli effetti degli interventi si conservassero nel tempo. Un altro vantaggio legato all’appoderamento tipico nella fattoria toscana, è quello della coltura promiscua, che, pur essendo il principale limite rispetto alle forme più specializzate di produzione, praticate in altre realtà in particolare in presenza di estesi territori pianeggianti, che riuscivano a far fronte con maggiore competitività ad un mercato sempre più grande, nazionale ed anche internazionale, in realtà la coltura promiscua aveva dalla sua parte almeno due ordini di vantaggi. Da una parte, infatti, permetteva all’azienda ed alle famiglie di attutire meglio le cadute congiunturali legate ai singoli prodotti ed una maggiore flessibilità rispetto al modificarsi del mercato e, dall’altra, l’appoderamento nel sistema della fattoria toscana era caratterizzato da una serie di produzioni importanti anche qualitativamente che richiedevano, specialmente nella fase finale del prodotto, un processo di lavorazione tecnicamente più complesso che veniva svolto nei locali della fattoria da più mezzadri insieme o in alcuni casi da salariati dipendenti dell’azienda stessa. Alla Fratta, infatti, già nel 1850 dai dati della Statistica Industriale del Granducato, risulta la presenza di una filanda «... che fabbricava organzino della più fine qualità. Questa filanda alla lionese e bielle meccaniche e fornelli economici è stata costruita dal meccanico Vincenzo Petroni di Pescia»; dalla statistica pare che questi tessuti venivano anche venduti all’estero. Ma risulta anche segnalata la presenza di una fabbrica di “olio di sanse” che: «... fabbricato a perfezione è ridotto all’uso di illuminazione domestica».
Dal punto di vista, invece, dei vantaggi che ai proprietari derivavano dagli investimenti fondiari nelle aziende appoderate, bisogna osservare che questo non consisteva solo nell’acquisto di nuove terre, anzi più spesso serviva alla crescita del capitale investito nell’azienda stessa, attraverso il recupero del patrimonio edilizio con interventi di sistemazione dei poderi che sempre più venivano dotati di comodità: «La buona casa fa il buon contadino», sostenevano infatti i fautori del rinnovamento edilizio. Ma gli interventi riguardavano anche l’adeguamento ed ammodernamento dei locali della fattoria o l’acquisto di macchine e strumenti destinati ai processi lavorativi “industriali” legati al rinnovarsi delle tecniche di produzione e trasformazione dei prodotti stessi.
Conseguenza dunque di tutto ciò è stato l’accrescimento del valore fondiario immobiliare dell’azienda e di quello tecnico legato alla produzione molto spesso di qualità e quindi in grado di competere sui mercati.
Il terzo ambito in cui, come sopra abbiamo accennato, gli storiografi ritrovano un interesse dei proprietari nell’investimento di capitali nelle proprie fattorie è quello ideologico, determinato cioè dalle conseguenze di carattere sociale legate al “sistema della Fattoria”, che diviene così funzionale alla conservazione di un ordine sociale ottimale per la resa economica e sociale del sistema stesso.
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