Racconto ambientato a San Mauro di Sorgono, scritto da Eliano Cau e contenuto nel libro “BALENTIAS” di Eliano e Tonino Cau. Eremitanu (1999) |
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Aveva appena concluso l’opera quotidiana di irrigare l’orto che il sole, fra cirri purpurei, si accomiatava nel ponente lontano. Allora Mauru si dirigeva, come sempre, a pregare il mite santo, prima del pasto frugale della sera, quel santo umile e silente, compagno di lunghe veglie e lunghi digiuni. Trascorreva buona parte dell’anno a vigilare il santuario, a difenderlo da mani blasfeme, a testimoniare la pia disposizione alla carità e al servizio per il prossimo, in attesa dell’immancabile festa di primavera, che, nello splendore sfavillante di fine maggio, decreta la fine del lungo inverno e prospera mostra la stagione dei frutti e dei fiori. Aveva lo stesso nome del santo: per questo, anche, gli era devoto. Non passava giorno che con la sua voce flebile, non cantasse, per sentirsi meno solo le lodi a S. Mauro “De romanos senadores naschistis santu diciosu; sende tantu virtuosu abborrestis sos favores, tenendelos pro dolores de sa divina amistade…”(1). Vinceva così la solitudine, operando, in quell’ariosa e sacra collina, come un mistico d’altri tempi, osservando il silenzio ed espiando. Mauru aveva un peccato, nel cuore, un grave peccato. Dimenticare no: non era possibile, e neppure rimuovere, allontanare da sé quella cupa, onnipresente sensazione di aver offeso gli uomini e il Signore. In un passato lontano, sui venticinque anni, quando davanti all’uomo, lusinghevole si schiude la vita, Mauru si macchiò di un’orrida violenza…. Ogni tanto, quando si presentavano dal fondo buio della coscienza i ricordi, s’eremitanu diveniva ancor più muto e triste. Si perdeva nelle immagini, solo stemperate dal tempo, rivedendosi come allora; e un pungolo acuto gli penetrava dentro, un tossico maligno gli occupava l’anima. Nennedda l’aveva amata di una passione non appagata, di un superbo desiderio rimasto nei meandri oscuri e torbidi della memoria. Non bastava, a distoglierlo dalla marea di quei viluppi, la coscienza di aver dato la morte per difendere la propria vita. E ne ebbe la convinzione: forse tutto il tempo vissuto da quel violento mattino era insufficiente a farlo sentire libero di colpa; né bastevoli erano, a salvargli l’anima, le opere di bene. Ossessiva e martellante, la memoria gli squassava le tempie, il petto; gli faceva fremere il sangue, circolante in quel corpo spento, in quelle membra apparentemente senza vita. …
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