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La difesa dei collaboratori di giustizia

di Olga Capasso
magistrato della Direzione distrettuale antimafia di Palermo




Il Procuratore Nazionale Antimafia, in una non recente trasmissione televisiva, dati alla mano, affrontando le vaste problematiche relative ai collaboratori di giustizia e le critiche da più parti rivolte per il denaro che lo Stato spende per mantenere e proteggere dei criminali, nel sostenere la loro indiscussa utilità per la lotta contro il crimine - qualcuno disse che non erano un male necessario, ma un bene necessario - disse anche che buona parte di quei soldi era destinata agli onorari dei difensori dei collaboratori. Per l’esattezza il 48 per cento. Il che significa il 48 per cento annuo di una somma dell’ordine di miliardi. Si premette che si condivide appieno la tesi della utilità, non solo, dei collaboranti, ma addirittura, fino a tempi recentissimi, della loro indispensabilità. Solo chi è stato a Palermo dal 1992, o fin da prima, può capire ed affermare con certezza che senza i collaboratori di giustizia saremmo di molti anni indietro nella lotta alla criminalità organizzata. Se infatti oggi disponiamo di cognizioni tali sul fenomeno mafia che molti processi possono essere celebrati senza l’apporto delle loro dichiarazioni, è soprattutto perchè essi ci hanno offerto la chiave di lettura della struttura associativa che possiamo andare avanti da soli. Nei primi anni difendere un collaboratore è stato rischioso e faticoso. Stressanti viaggi fuori sede, possibile isolamento, almeno all’inizio, dai colleghi del proprio foro, scelta di campo pubblica e per ciò solo pericolosa per l’incolumità personale e la tranquillità professionale.

Ma come tutti i fatti umani
anche questa “nuova” professione ha subito delle involuzioni, non certo positive. I collaboranti si sono moltiplicati e con il diffondersi del fenomeno del pentitismo sono diminuiti anche i rischi connessi per i difensori, che sono così aumentati di numero in maniera considerevole, partendo da Palermo per poi distribuirsi in quasi tutte le città d’Italia. Fino a che la professione di difensore di collaboratori è diventata vantaggiosa, e per diversi motivi. Prima di tutto, anche in udienza, il difensore di un collaborante è notevolmente avvantaggiato dal lavoro del Pubblico Ministero che conduce l’esame. Il suo assistito è sempre confesso e l’intervento dell’avvocato si riduce di solito ad illustrarne la personalità per ottenere un’ulteriore diminuzione di pena. Il Servizio Centrale di Protezione paga. Magari in ritardo, ma paga sicuramente, a differenza di molti clienti. E questo è giusto. Meno giusto, se comparato a quanto viene retribuito un dipendente pubblico, è che paghi le trasferte senza limitazione di importo per quanto riguarda cene e pranzi fuori sede, categorie di alberghi, e soprattutto una diaria di 35.000 l’ora da quando il difensore lascia la propria abitazione a quando vi fa rientro. I costi che gravano sul Ministero dell’Interno - biglietto aereo, pasti, diaria, indennità di studio, presenza in aula - per ogni udienza che si tenga fuori della città di residenza del difensore sono notevolissimi. Tanto, come si è detto, da sfiorare la metà di tutto il badget previsto in bilancio per i collaboratori di giustizia.

Per arginarli, con provvedimento discutibile
, il Servizio ha cercato di risparmiare sulla presenza dei difensori agli interrogatori, considerandola attività di natura non processuale e pertanto non retribuendola. Ma ciò non è servito al dilagare di un fenomeno che lascia quantomeno perplessi coloro che nelle aule di giustizia ci stanno tutti i giorni. Premessa l’imprescindibile e doverosa osservazione che molti difensori di collaboranti sono degli ottimi professionisti, ai quali va il plauso per la scelta compiuta ed il lavoro che svolgono, e quindi senza volere assolutamente fare di tutta l’erba un fascio, è sotto gli occhi di tutti che molti di loro, e soprattutto quelli entrati nel circuito dietro la scia dei primi coraggiosi pionieri, si sono ben organizzati. Per faticare poco e vivere con quanto passa lo Stato. Si sono creati in tutta Italia degli studi associati collegati fra loro, con relative ed incrociate nomine di sostituti processuali. Per aggirare l’ostacolo costituito dal mancato pagamento dell’assistenza all’interrogatorio e dalla mancata corresponsione della diaria se si partecipa ad udienze nella propria città o in città limitrofe, si assiste a fatti come quelli qui sotto descritti.

All’interrogatorio di collaboratori
che hanno un difensore del foro di R… si presenta immancabilmente, in quella città, un avvocato del foro di P... Che, trattandosi di un piccolo centro, certamente non avrà un aereo di ritorno nella stessa giornata e quindi dovrà cenare e pernottare a R…, sempre con diaria oraria di 35.000 lire (più, naturalmente, rimborso del biglietto aereo e del taxi). Alle udienze a Palermo cui partecipa un collaborante difeso da un avvocato di C…(al quale per la vicinanza di quella città a Palermo non spetterebbe la diaria) si presenta quasi sempre un avvocato di R…, pur potendo esserci comoda sostituzione con uno dei tanti avvocati del foro di Palermo. Sempre alle udienze tenutesi a Palermo in un grande processo di mafia, per un anno intero si è presentato in aula un avvocato di M….(città all’altro capo d’Italia), in sostituzione di un collega di C…, persino in un’udienza alla quale ha partecipato solo per dichiarare…che aderiva alla proclamata astensione dei difensori (15.2.2000)!

E gli esempi potrebbero continuare
e si verificano in tutti i procedimenti e presso tutti i Tribunali. Se si tiene presente infine che nei maxi processi con centinaia di imputati e di omicidi e decine di collaboratori, le udienze utili per un determinato fatto e un determinato collaborante si riducono a tre o quattro, è lecito domandarsi cosa stiano a fare in aula certi difensori, per la maggior parte giovani giunti da tutte le parti della penisola, che oltretutto restano rigorosamente muti nel corso di decine e decine di udienze. Fatto presente il problema al Ministero della Giustizia è stato risposto che esso è irrisolvibile, in quanto la legge non pone nessuna limitazione al diritto di un difensore di farsi sostituire da un collega di sua fiducia. Se questo è vero, è pur vero che anche lo Stato ha diritto di non farsi prendere in giro.

Basterebbe, a mio parere, ridurre
al minimo l’onorario per la partecipazione alle udienze, o diminuire la diaria che nessun dipendente pubblico si è mai sognato di avere di quell’importo, o richiedere un’attestazione sui concreti interventi in aula, o rimborsare pranzi e cene e biglietti aerei al solo difensore nominato di fiducia e non anche al suo sostituto. Con questi od altri accorgimenti, nel rispetto del diritto di difesa e della legge, l’assistenza al“pentito” cesserebbe di essere, come lo è ora per molti, un comodo strumento di guadagno con scarso impegno professionale, e si darebbe soddisfazione a tanti onesti professionisti che con tali altrui comportamenti vedono, loro per primi, screditata la categoria. E tanto di guadagnato per le casse dello Stato e la collettività.
(Palermo, febbraio 2001)

Di Olga Capasso, vedi anche l'intervento sul giudizio abbreviato

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