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La controriforma della giustizia
Primi appunti sulle proposte del ministro Castelli
e un commento di Gian Carlo Caselli
Il ministro della Giustizia Roberto
Castelli ha presentato il suo piano per riformare la giustizia
italiana. In attesa di più meditate riflessioni, vale
la pena di abbozzare almeno qualche primo appunto a proposito
degli obiettivi proposti dal ministro e dei mezzi indicati
per raggiungerli.
A seguire, un intervento su questi temi di Gian Carlo Caselli
1. Rendere più rapidi i processi civili.
Obiettivo assolutamente condivisibile. Ma il mezzo proposto
è l'affidamento alle parti della fase intruttoria delle
cause civili: una privatizzazione della prima parte del processo,
che lascia al giudice la sola decisione sulla base del materiale
raccolto dalle parti. Con il rischio di favorire la parte più
forte (che può disporre di avvocati migliori e di mezzi
maggiori), lasciando che la più debole arrivi meno preparata
davanti al giudice.
2. Rendere più rapidi i processi penali.
Obiettivo anche questo del tutto condivisibile, per assicurare
la certezza della pena. Ma quali mezzi sono messi realmente
in campo affinché l'imposizione di tempi perentori
per la celebrazione dei processi non si riduca a un'appello
impotente? Non si è davvero capito. E pensare che la
strada per assicurare la certezza della pena è semplice:
eliminare il giudizio d'appello, o almeno rendere esecutiva
la sentenza di primo o di secondo grado; introdurre regole
che impediscano le manovre dilatorie della difesa (la difesa
dal processo che spesso si sostituisce alla difesa
nel processo); abolire l'istituto della prescrizione
dei reati.
3. Depenalizzazione e maggior ricorso a pene alternative.
Questo punto (come il seguente), se ben articolato potrà
essere un efficace strumento per snellire il lavoro dei tribunali.
Si dovrà vigilare affinché le depenalizzazioni
non si trasformino però in sconti e regali a particolari
categorie di imputati (per esempio i colletti bianchi, i politici,
gli amministratori pubblici...), con il conseguente effetto
d'ingiustizia nei confronti di altre categorie più
deboli.
4. Più precisa determinazione dei motivi d'appello
e di Cassazione.
Anche questo punto (come il precedente) potrà essere
un efficace strumento per abbreviare i tempi della giustizia:
dovranno essere fissati i motivi che permettono il ricorso
in appello o in Cassazione, per impedire ricorsi che non hanno
motivazioni di giustizia, ma soltanto dilatorie (in attesa
della prescrizione del reato in giudizio).
5. Affidare le investigazioni alla sola polizia giudiziaria.
I magistrati, cioè le procure della Repubblica, non
sarebbero più la guida della polizia giudiziaria durante
la fase delle indagini penali, ma interverrebbero soltanto
a indagini concluse, ricevendo dalla polizia gli esiti delle
investigazioni. Questo è un obiettivo non condivisibile
ed è il punto più pericoloso della riforma,
capace da solo di trasformarla in una controriforma: ma come,
uno dei pochi punti positivi del nuovo codice è stato
l'affidamento ai magistrati della guida delle indagini, come
è dimostrato, per esempio, dai risultati delle inchieste
su corruzione e mafia. Perché smantellare una riforma
che ha dato buoni risultati? Forse proprio per questo: per
togliere alla magistratura uno strumento di controllo della
legalità che si è dimostrato efficace. Inoltre
la presenza della magistratura offre agli indagati garanzie
di legalità certamente maggiori di quelle che possono
essere offerte dalle polizie; e garanzie di indipendenza certamente
più grandi di quelle che possono essere assicurate
da strutture sottoposte al diretto controllo del governo.
Come mai un governo che si dice, a parole, garantista, propone
poi una riforma che va in direzione della Stato di polizia?
I liberisti e liberali al governo preferiscono le caserme
di Bolzaneto alle procure della Repubblica?
6. Divisione delle carriere (inquirenti-giudicanti) dei magistrati.
Vecchia bandiera dei politici (e imprenditori) che vogliono
tagliare le unghie ai magistrati d'accusa, ridurne l'autonomia
con la speranza di arrivare, un giorno, a sottoporre la pubblica
accusa al controllo del governo. Vedremo come sarà
attuata, questa separazione. In un Paese normale non ci sarebbe
nulla di male ad avere due percorsi diversi per i magistarti
dell'accusa e per i giudici. Ma perché rendere difficili
o addirittura impossibili i passaggi tra l'una e l'altra funzione?
È evidente che l'esperienza di magistrato inquirente
è certamente preziosa a chi deve giudicare, e viceversa.
7. Riforma del sistema elettorale del Csm.
L'elezione con sistema maggioritario del Consiglio superiore
della magistratura è indicata come mezzo per superare
le correnti interne al Csm. In realtà, il suo risultato
sarebbe che le correnti (che comunque non sono illegittime)
resterebbero, mentre più difficile sarebbe garantire
la rappresentanza di tutte le opinioni in un organo delicatissimo,
che deve garantire l'indipendenza della magistratura e il
suo autogoverno.
8. Cambiamento delle norme per il falso in bilancio.
È un'altro dei punti forti della controriforma. Il
falso il bilancio da reato di pericolo, diventa
reato di danno. Se non arreca danno patrimoniale
a soci e creditori ha pene ridotte (massimo 1 anno e 6 mesi)
e nel caso riguardi una società non quotata in Borsa
non sarà perseguibile dufficio, ma soltanto per
querela di parte. Inoltre le indagini diventeranno più
difficili: non potranno più essere disposte intercettazioni
telefoniche, i termini per la prescrizione sono accorciati,
le informazioni omesse o false dovranno essere rilevanti
(ma come sarà stabilita la soglia della rilevanza?).
In più, non ha mancato di suscitare perplessità
la soluzione trovata per i processi in corso: il deputato
Niccolò Ghedini (avvocato di Silvio Berlusconi nei
tre procedimenti in cui il presidente del Consiglio è
accusato di falso in bilancio) ha fatto approvare in Commissione
un emendamento che stabilisce di affidare al governo (cioè
a Berlusconi) la definizione delle norme transitorie per i
processi penali in corso.
Più in generale, il falso in bilancio in una società
civile non può essere considerato un reato che colpisce
soltanto soci e creditori della singola azienda colpita: impedendo
la trasparenza delle comunicazioni societarie, il falso in
bilancio è un colpo mortale alla correttezza del mercato
che danneggia (seppure in misura diversa) la comunità
degli affari, il sistema delle imprese, i concorrenti e, in
ultima analisi, tutti i cittadini.
Stupisce che chi continua a ripetere la verità secondo
cui senza libero mercato non c'è democrazia, poi tolleri
gli attacchi al libero mercato - magari per interesse personale.
Ogni indebolimento degli strumenti per il controllo di legalità
nel campo economico e finanziario, inoltre, abbassa le soglie
di contrasto alla corruzione (ogni tangente si alimenta da
fondi neri, generati da falsi in bilancio), alla finanza grigia,
alla finanza criminale e al riciclaggio (concretamente: chi
si assumerà il rischio di presentare una querela di
parte contro una società infiltrata o controllata dalla
mafia?).
(gianni barbacetto, 30 luglio 2001)
La nuova giustizia secondo il centrodestra
di Gian Carlo Caselli
IN OGNI tempo, il modo di sentire della maggioranza contingente
tenta di affermarsi imponendo una "tavola di valori". Naturalmente
dei "suoi" valori. Dove la parola "suoi" acquista un significato
tutt'affatto particolare ogni volta che la maggioranza sia
non solo quella espressa dai sondaggi ma soprattutto quella
che egemonizza i microfoni e l'informazione. Segno qualificante
di questi tempi è la progressiva perdita di valore
del "collettivo". Bruttissimo segno, se ne deriva l'esaltazione
del benessere individuale e del successo personale come unici
valori degni. Ricadute evidenti di questa concezione si registrano
anche nell'ordinamento penale, mediante una riscrittura della
tavola dei valori - appunto - che tende ad espellere (o minimizzare)
le fattispecie di reato che non siano finalizzate esclusivamente
o prevalentemente alla tutela di diritti individuali.
Molti, purtroppo, sono gli esempi che si possono fare.
Si sono inasprite le pene per i furti domiciliari e gli scippi,
cercando risposte soprattutto alla percezione soggettiva dei
problemi della sicurezza, più che ad un'effettiva esigenza
di maggior efficienza collettiva. Contemporaneamente si percorre
la strada dell'abolizione di alcuni reati societari e di una
nuova disciplina del falso in bilancio, con la prospettiva
di mega prescrizioni a beneficio di interessi individuali
e con il rischio di rendere sempre più difficile l'accertamento
del danno erariale, ovvero alla collettività, che spesso
si nasconde dietro i falsi in bilancio. Mentre l'abuso d'ufficio
per finalità non patrimoniali da qualche tempo ormai
non è più reato. Ciò che ha rinnovato i fasti
delle pratiche di clientelismo, nepotismo e lottizzazione
delle istituzioni: con alterazione del gioco democratico in
favore di chi utilizza le pubbliche funzioni per costruire
- abuso dopo abuso - una propria base di consenso clientelare.
Sul versante, poi, della minimizzazione normativa dei
reati preposti alla tutela dei beni collettivi, emblematica
è l'entità risibile della pena prevista per
il reato di turbata libertà degli incanti. La condotta
prevista da questo reato è lo strumento principe per
l'eventuale pilotaggio illegale di pubblici appalti. Se i
partecipanti alla gara si accordano tra loro sulle percentuali
di ribasso e ciascuno - a rotazione - si aggiudica un appalto
alle condizioni più favorevoli, si realizza un illecito
che è difficilissimo accertare: perché la documentazione
presentata è sempre ineccepibile; perché i partecipanti
alla gara sono legati da un patto, come dire, di solidarietà,
traendo ciascuno, a turno, vantaggio dal sistema; perché
la pena prevista per il reato (reclusione sino a due anni)
non consente di disporre intercettazioni telefoniche o ambientali.
Ove poi accada (e accade raramente) che il reato sia accertato,
una pena di tale modesta entità rende sempre possibile
la salvifica prescrizione: perciò si può tranquillamente
escludere che sia idonea a fungere da deterrente.
I costi collettivi di questa situazione possono essere
devastanti: dalla mortificazione della libera concorrenza
e dello sviluppo imprenditoriale (il mercato rischia di trasformarsi
in un feudo di cordate e comitati d'affari), alla lievitazione
complessiva dei costi delle opere pubbliche. Per finire con
la prospettiva di un permanente sottosviluppo economico. Se
poi entrano in campo (e l'esperienza insegna che è
ben possibile...) organizzazioni mafiose, tutto si complica.
La mafia è fortemente interessata ai ribassi minimi,
perché se l'aggiudicatario guadagna di più,
maggiore sarà la tangente che l'organizzazione potrà
pretendere. Se poi qualche imprenditore volesse mostrarsi
"renitente" e non soggiacere alle "regole" stabilite, si sa
che la mafia possiede - purtroppo - mezzi di "convincimento"
non indifferenti.
Potrebbe dunque essere un segnale importante di attenzione
alla tutela dei beni collettivi (e al tempo stesso un contributo
allo sviluppo di una miglior democrazia economica) rivedere
la pena edittale del reato di cui all'articoo 353 del codice
penale. Sia per una maggior controspinta all'agire illegale,
sia per potere utilizzare strumenti investigativi adeguati
(le intercettazioni). Ovviamente, coi tempi che corrono c'è
poco da illudersi. Ma se persino i vescovi italiani, in un
loro recente documento, parlano di "eclissi del senso morale",
vale la pena ritornare su certi temi. Rassegnarsi all'oggi,
contrassegnato com'è da una forte tendenza ad innalzare
la soglia dell'impunità e dei privilegi, sarebbe sbagliato.
E controproducente per gli interessi collettivi.
(La Repubblica, 11 agosto 2001)
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