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Scienze della Mente, Filosofia, Psicoterapia e Creatività
Mind Sciences, Philosophy, Psychotherapy and Creativeness 

  N. 3, anno 2, gennaio 2005 

"SCRIVERE DA DENTRO"

"IL POTERE PSICHIATRICO"

 

Recensione di P.-H. Castel

 

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Pierre-Henri Castel è psicanalista, membro dell'ALI (Association Lacanienne Internationale), ricercatore al CNRS (Philosophie des sciences, IHPST-Université Paris 1) ed associato al CESAMES (Centre de Recherche Psychotropes, Santé mentale et Société, CNRS-Université de Paris 5). Tra le numerose pubblicazioni ricordiamo il libro "La métamorphose impensable" (Gallimard, Paris, 2003). Alcuni suoi contributi disponibili su internet sono riportati in bibliografia.

 

Vai alla prima parte della recensione apparsa sul sito A.S.S.E.Psi.

 

 

 

Ora certamente, trent'anni dopo, armati delle ricerche di Robert Castel, di Marcel Gauchet e di Gladys Swain,  di Jacques Postel, di Claude Quétel, di Roy Porter, di Ian Goldstein o di Juan Rigoli, è facile volgersi con ironia sulle lacune storiche della tesi di Foucault, e di giudicare che, per mancanza di materiali plausibili, egli non valga più un granché. Ma si tratterebbe così di perdere di vista l'esigenza propriamente foucaultiana della costruzione del problema ( dall'alienismo alle origini della psichiatria e delle sue conseguenze sociali) di cui tali eminenti storici hanno tutti tenuto in gran conto. Su questo piano, si è meno facilmente liberi, ed ogni critica del corso (che sia ) un pò sicura è debitrice del suo metodo e dei suoi concetti, non soltanto dei suoi contro-esempi.

Preparandosi dunque ad una tale critica di fondo, si comincia a mettere in ordine ciò che, dal punto di vista puramente storiografico, urta ogni lettore attuale di tale corso. Un primo fatto salta all'attenzione: è costantemente questione <<di>> manicomi, come se ciò che gli alienisti hanno potuto senza dubbio sognare non fosse mai esistito nei fatti, al punto di cadere, per la scappatoia del discorso disciplinare, in controllo effettivamente moderno, individualizzato, della follia e delle condotte devianti. Ma <<i>> manicomi non hanno mai semplicemente potuto esercitare il tipo di controllo disciplinare radicale, articolato col trattamento morale, che ci è descritto, per la semplice ragione che la scelta razionale di un tale tipo di controllo incontrava nei fatti un ostacolo enorme: la resistenza della provincia conservatrice, preoccupata del livello locale dell'onore delle famiglie, cattolica dunque ostile ai Lumi, (oculata) economa dei denari dipartimentali affinché non fossero dilapidati in ospedali la cui sola finalità repressiva diretta le importasse. Senza spingere troppo lontano il paradosso, sarebbe ben sorprendente che la combinazione di trattamento morale e di istituzione totale che Foucault decifra nei testi sia mai esistita all'infuori della clinica d'Ivry (anticamente al giardino des Plantes) che Esquirol diresse con Mitivié. Il 'placement d'office' stravolse rapidamente quei manicomi costruiti a malincuore, privando, come si indovina facilmente, gli alienisti della clientela più accessibile ai loro ideali terapeutici (giovani, benestanti, colti, ecc.). A questo riguardo le analisi di Robert Castel1 ,  costruite intorno al motivo classico ideologia/realtà politica e sociale, diranno più chiaramente che l'età d'oro dell'alienismo non è mai esistita: il trionfo dell'alienismo, rinnovato curiosamente da Foucault, consiste nell'esser riuscito a far credere che era la norma della ragione quella a cui tutto il resto doveva essere comparato, al punto che il suo programma era interamente sovvertito in pratica secondo finalità brutali (le <<pinélières>> figurando come luoghi peggiori delle prigioni nell'immaginario contmporaneo). Ora ciò si basa sull'interpretazione foucaultiana del trattamento morale. Accettando del tutto la provocazione che consiste nell'invertire la lettura tradizionale di un Leuret travisando l'umanesimo di Pinel e di Esquirol, Foucault accentua fino all'estremo i germi di repressione soft che egli smaschera nei Padri Fondatori. Ad un grande prezzo: poiché le molteplici versioni che bisogna allora produrre del trattamento morale divengono reciprocamente incompatibili man mano che il corso si svolge. Opponendo Pinel a Mason Cox, Foucault comincia a rimarcare la cesura che sarebbe consistita nell'abbandonare il gioco ambiguo della <<verità nel delirio e del delirio>> (pag. 36) per sostituire ad essa questa <<pressione puntiva al contempo minuscola e continua>> (pag. 53), da cui il <<soggetto>> della <<funzione-psy>> va finalmente emergendo, non ttraverso la psicologizzazione dei corpi, ma mediante una normalizzazione che affonda fin nella forza della volontà. Ma il caso leggendario del processo finto che allevia il delirante che si auto-accusava resta interamente sovrapponibile tanto in Mason Cox che in Pinel. Foucault lo sa (da pag. 129 a 131): è necessario, di colpo, per salvare l'edificio, far precipitare Pinel dal lato del suo predecessore; poiché il trattamento morale è ben stato, dalle origini, un procedimento di <<verificazione>> del delirio. E' ciò, si sa,  che aveva ricordato Hegel e tutta l'Europa colta. Ma se si va troppo lontano in questa direzione, la continuità Pinel-Leuret crolla... e insieme la genesi alienista dell'ordine disciplinare. In breve, resta difficile riscrivere il <<trattamento morale>> in un meccanismo disciplinare incoativo, mascherato dall'umanesimo razionalista. Si ritrova piuttosto il gesto che aiuta un autore a sostenere l'inverso delle sue posizioni storiche, impasse che è stata rimarcata da Marcel Gauchet a proposito delle idee di Esquirol sulle passionidel tutto incompatibile con la concezione neo-disciplinare di Robert Castel.

Ciò significa dire che non esiste alcun <<potere psichiatrico>>, nessun <<ordine disciplinare>> ? Sicuramente no. Ma la difficoltà permanente dell'argomento di Foucault è di costruire un'alternativa vitale al concetto filosofico-sociologico di norma. L'imposizione di <<normalità>>, che è un gesto sociale autoritario, non coincide sempre esattamente con la <<pretesa normativa>> intrinseca di altri gesti sociali che non sono necessariamente autoritari. Diciamo così: c'è stata senza dubbio una pretesa normativa degli alienisti a dire ciò che era nel loro diritto in tema di follia. Ma ogni uso del concetto di norma, ed è questo che si oppone all'idea foucaultiana di potere-sapere, implica giustamente che si possa realmente non seguirla. E' esattamente ciò che oramai sappiamo dai contemporanei: il movimento dei folli letterari riscoperto da Juan Rigoli ha issato all'altezza del fatto sociale il rifiuto armato della nuova disciplina alienista dell'individuo <<sano di spirito>>3. Gli antipsichiatri non sono mai stati dei critici in ritardo; essi sono stati generati da quella stessa norma che pretende di imporsi, e questo dal 19° secolo. Non è affatto in questa sola direzione che la norma esercita il suo effetto. Essa tocca anche la pratica normativa per eccellenza, quella che riguarda direttamente la follia: il poter rendere ragione dei suoi atti e dei suoi pensieri. Si può trattare interamente come nullo e non avvenuto il tentativo di elaborazione clinica positiva che fa la storia della psichiatria nel 19° secolo ? Dato che è accertato che la sua mediocrità ordinaria è servita a degli interessi repressivi extra-sanitari. Ma la difficoltà di ridurla unicamente a ciò si impone quando, per metterlo in evidenza, è una contro-clinica, una contro-psichiatria che Foucault mette in moto: egli si avventura così ad opporre il folle che dice <<sì>> a tutto all'idiota che dice <<no>> (pag. 213), o a trattare come illusoria l'evoluzione di tipo demenziale di certe sindromi (pag. 253). Note fugaci, ma rivelatrici: poiché tengono in poco conto la discussione che fu tanto lunga a strutturarsi e da cui sono emersi dei quadri classici di cui ci si dovrebbe sorprendere dl fatto che siano sopravvissuti con tanta precisione ai mutamenti radicali dell'istituzione manicomiale (si veda la storia della paranoia, dalla questione posta da Lélut delle follie <<lucide>>, ecc.). Certi alienisti si sono al contrario posti in modo contraddittorio il problema clinico dei limiti della ragione e pertanto si potrebbe ammirare la loro capacità di accumulare un certo sapere in materie in cui restano curiosamente insuperati. Ma Foucault a tanto più difficoltà ad identificare ciò che finisce per idealizzare simmetricamente il progresso della medicina generale dell'epoca. La palla al piede delle congetture azzardate de La naissance de la clinique fa risuonare la sua andatura, portandolo ad immaginare delle rotture in seno alla continuità che egli trascura, e soprattutto, a confondere dei programmi scientifici, o meglio delle utopie, con le realtà del tempo4. Senza dubbio è questa un'altra storia che si mostra preoccupata dello sfasamento tra il dire e le azioni, e non della produzione di fatti a partire dalle <<modalità discorsive>> che li suscitano. Non resta che lo scivolamento permanente del potere-sapere dal suo lato normativo alla sua dimensione di vincolo causale finemente ed inconsciamente strutturante, che lascia il lettore perplesso. Se il potere disciplinare avesse la forza antropologica che gli viene prestato, come si sarebbe potuta produrre l'insurrezione del 1860 contro la legge del 1838 ? Che ci fossero degli effetti panoptiques alla Bentham (pag. 79) nell'orizzonte ambizioso degli inventori del manicomio o degli educatori di bambini disabili mentalmente, questo è certo. Ma lo stesso periodo storico, notava Habermas, vede anche nascere lo <<spazio pubblico>> borghese e liberale, ed un potere della stampa che ne inverte la struttura: dato ormai che coloro che sorvegliano sono anche sorvegliati (senza dubbio per quanto ci si assicuri che sorveglino correttamente!)5. Profondamente diffidente rispetto alle teorie della storia come storia della ragione (la regione, per il Foucault degli anni 70 è soprattutto la razionalizzazione a posteriori della microfisica del potere-sapere), il corso delinea con superbia, al punto da farle dimenticare, le concezioni alternative dell'individualismo forgiate all'epoca (Tocqueville, Marx), quand'anche ne ritrovi allusivamente certi elementi (il paradigma della <<disciplina>> militare). Ma è una parte affascinante de L'histoire de la folie <<prima lettura>>, ebbe a dire Robert Castel, che ne soffre: dato che se essa sfuggiva al relativismo, è perché la storia della psichiatria non era la storia delle illusioni sulla follia, ma al contrario la storia della sua conquista obiettiva, e degli effetti della verità sui corpi e sulle cose. Perciò, bisognava ancora considerare la forza della ragione in se stessa.

Tale indecisione concettuale tra normalizzazione e normatività in psichiatria, che sarebbe presuntuoso di credere di levare con un colpo di bacchetta magica, porta in ogni caso a questo strano risultato, che il manicomio foucaultiano è concepito ne Le pouvoir psychiatrique a mò di una <<macchina per influenzare>> più spaventosa ancora che in Tausk. Impalpabile, sfuggente a qualsiasi denuncia, che essa converte piuttosto a proprio vantaggio, che guarda ciascuno nella sua più intima intimità e che lo sopraindividualizza prendendolo come bersaglio dei suoi effetti segreti, tale macchina controlla le intenzioni stesse, e quindi ogni <<possibile agire>> (come c'è in Kant una teoria trascendentale della <<esperienza possibile>>). E' anche in questo che Le pouvoir psychiatrique è una scatola degli attrezzi il cui interesse oltrepassa largamente la massa di tutto ciò che ci fa scoprire: propone implicitamente i modelli di una <<macchina per non lasciarsi influenzare>>, da mettere all'opera, forse, nel presente della nostra storia.

 

Note dell'autore:

(1) Robert Castel, L’ordre psychiatrique : L’âge d’or de l’aliénisme, Minuit, 1976.

(2) Marcel Gauchet et Gladys Swain, La pratique de l'esprit humain : L'institution asilaire et la révolution démocratique, Gallimard, 1980.

(3) Juan Rigoli, Lire le délire : Aliénisme, rhétorique et littérature en France au XIXe siècle, Fayard, 2001.

 

(4) Othmar Keel, L’avènement de la médecine clinique moderne en Europe, 1750-1815, politiques, institutions et savoirs, Presses Universitaires de Montréal, Québec, 2001.

(5)Jürgen Habermas, L'espace public : Archéologie de la publicité comme dimension constitutive de la société bourgeoise, 1962, trad. franç. Payot, 1978.

 


Pubblicazioni di Pierre-Henri Castel su internet:
"Freud: Le moi contre sa sexualitè"  (http://www-ihpst.univ-paris1.fr/r4/r4textes/r4textes_castel/CastelPDF/Freud2002intro.pdf.
La fraude de Freud : les glissements polémiques de M. Borch-Jacobsen (http://dogma.free.fr/txt/PHC-Fraude.htm).

 

Le rêve de Freud est-il un cauchemar théorique ?

Réponse à deux objections d'Adolf Grünbaum.
(Communication au colloque de Rennes, "Le rêve... cent ans après")

(http://www.psychanalyse.lu/articles/CastelReveCauchemar.htm).

 

 

 

 

 

 

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