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Psicoanalisi e Ricerca

 

 

   "VERITA’ BIOGRAFICHE E LORO CONSEGUENZE CLINICHE.  COMPRENDERE I RICORDI “INCORPORATI” IN UNA TERZA ANALISI CON UNA PAZIENTE TRAUMATIZZATA GUARITA DA UNA GRAVE  POLIOMIELITE"

 

 

di Marianne Leuzinger-Bohleber

 

L'autrice è analista didatta dell'Associazione Psicoanalitica Tedesca ed anche membro della Società Psicoanalitica Svizzera. E' Professore Ordinario di Psicologia Psicoanalitica all'Università di Kassel  e Direttore del "Sigmund Freud Institut" a Francoforte dul Meno. Si ringrazia l'autrice per aver concesso l'autorizzazione alla pubblicazione su Frenis Zero di questo articolo. La traduzione in italiano è di Giuseppe Leo.

Nella foto: Marianne Leuzinger-Bohleber

 

 

 

Abstract in English

 

 

The relationship between “narrative” and “historical- biographical truth” in psychoanalytic treatment has become the subject of many controversial debates in  recent years. Findings of contemporary memory research have lead to great scepticism as to whether therapists are able to objectively and reliably reconstruct biographical events on the basis of their observations in the therapeutic situation. Some authors even claim that psychoanalysts should concentrate  exclusively on  observing the here and now of the patient´s behaviour within the transference relationship to the analyst. In this paper it will be discussed whether the baby has been thrown out with the bathwater in this debate. Centered around the insights from a third psychoanalysis with a patient who suffered from a severe case of childhood polio, the hypothesis will be discussed, that working through the traumatic experience in the transference with the analyst, as well as the reconstruction of the biographical-historical reality of the trauma suffered, prove to be indispensable for a lasting structural change.

Integration of the trauma into one´s core self and identity is and remains one of the main aims of a psychoanalytic treatment with severely traumatized patients. The reconstruction of the original trauma is indispensable in helping the patient to understand the “language of the body” and to connect it with visualizations, images and verbalizations. The irreversable wounds and vulnerability of his body as the “signs of his specific traumatic history” have to be recognized, emotionally accepted and understood in order to live with them and not deny them any longer. Another important aspect in psychoanalysis is to develop the capability to mentalize, in other words to understand the intentions of central (primary) objects related to the trauma.

The concept of “embodied memory” might be helpful in understanding precisely in what way “early trauma is remembered by the body”. Observing in detail the sensory-motor coordinations in the analytic relationship enables one to decode the inappropriate intensity of affects and fantasies which match the original traumatic interaction and are revealed as inappropriate reactions in the present, new relationship to the analyst.

 

            

 

 

  

 

Rivista "Frenis Zero" - ISSN: 2037-1853

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RIASSUNTO

 

La relazione tra “verità narrativa” e “verità storico-biografica” nel trattamento psicoanalitico è diventata oggetto di molti dibattiti controversi negli anni recenti.  Le scoperte della ricerca contemporanea sulla memoria hanno portato ad un grande scetticismo sulla possibilità che i terapeuti possano ricostruire in modo obiettivo e affidabile gli eventi biografici sulla base delle loro osservazioni nella situazione terapeutica. Alcuni autori persino affermano che la psicoanalisi si dovrebbe concentrare esclusivamente sull’osservazione del qui ed ora del comportamento del paziente all’interno della relazione di transfert con l’analista. In questo articolo si discuterà se il bambino piccolo sia stato buttato insieme all’acqua sporca in questo dibattito. Centrata sulle intuizioni introspettive (insights) provenienti da una terza analisi con una paziente che soffriva di una forma grave di poliomielite ad insorgenza infantile, verrà discussa l’ipotesi secondo cui l’elaborazione (“working through”) dell’esperienza traumatica nel transfert con l’analista, come anche la ricostruzione della realtà biografico-storica del trauma patito, si dimostrino  indispensabili per un durevole cambiamento strutturale.

L’integrazione del trauma  nel cuore del Sé  e dell’identità di una persona è e resta uno degli scopi principali del trattamento psicoanalitico con pazienti gravemente traumatizzati. La ricostruzione del trauma originario è indispensabile nell’aiutare il paziente a comprendere il “linguaggio del corpo” ed a connetterlo con visualizzazioni, immagini e verbalizzazioni. Le ferite irreversibili e la vulnerabilità del suo corpo, in quanto “segni della sua specifica storia traumatica”, devono essere riconosciuti, accettati emotivamente e compresi al fine di convivere con essi e di non negarli più. Un altro importante aspetto della psicoanalisi  è sviluppare la capacità di mentalizzare, ossia di comprendere le intenzioni degli oggetti centrali (primari) correlati al trauma.

Il concetto di “memoria incorporata” (“embodied memory”) potrebbe essere utile nella comprensione fine di come “il trauma precoce venga ricordato dal corpo”. L’osservazione dettagliata delle coordinazioni senso-motorie nella relazione analitica rende la persona capace di decodificare l’intensità inappropriata degli affetti e delle fantasie che corrispondono all’originaria interazione traumatica e che si rivelano come reazioni inappropriate nella relazione presente e nuova con l’analista.

 

1.    Introduzione

 

Il dibattito politico altamente esplosivo sui “falsi ricordi” ha portato ad un grande scetticismo rispetto alla possibilità che i terapeuti siano in grado di ricostruire obiettivamente ed in modo affidabile gli eventi biografici, ad esempio in casi di abuso sessuale basati esclusivamente su osservazioni nella situazione terapeutica. Come abbiamo discusso dettagliatamente in altri articoli, condividiamo tale scetticismo (Leuzinger-Bohleber & Pfeifer 2002, 2006). Comunque, in questo articolo vorrei discutere sul fatto che il bambino sia stato gettato via insieme all’acqua sporca. Per citare solo un esempio: Fonagy e Target (1997) scrivono provocatoriamente: “… se esiste la verità storica e la realtà storica non è affar nostro come psicoanalisti o psicoterapeuti…”(p. 209).

Svariati ricercatori sul trauma  hanno espresso il loro disaccordo su questo minimizzare la funzione terapeutica  della ricostruzione  della realtà del trauma precoce (si veda anche Bohleber, 2000a, 2000b, 2007; Bokanowski, 2005; Fischer & Riedesser, 2006). Sono d’accordo con la loro posizione. Secondo la mia  esperienza clinica ed i risultati di  un ampio e rappresentativo studio di “follow up” sugli effetti a lungo termine della psicoanalisi e dei trattamenti psicoanalitici effettuato dall’Associazione Psicoanalitica Tedesca, il lavoro di elaborazione (“working through”) dei traumi nel transfert, come anche l’approccio ai traumi che hanno avuto luogo nella realtà, sono indispensabili per un effetto durevole del processo psicoanalitico (si veda ad es. Leuzinger-Bohleber, Stuhr, Rüger & Beutel, 2003). Molti dei pazienti intervistati hanno detto che la precisa comprensione della connessione tra le loro  reazioni psicosomatiche ed il trauma originario è stata essenziale per il cambiamento terapeutico. Una dettagliata ricostruzione biografica del trauma idiosincratico si è dimostrata anche indispensabile per accettare il trauma infantile e le sue perduranti conseguenze come parte della vita  e della biografia di una persona. Per dare solo un esempio: la Signora M. disse in un’intervista: “Era essenziale per me scoprire nell’analisi che non sono pazza, nonostante tutti i miei sintomi pazzi. Purtroppo, non sono  riuscita a cambiare molti di loro: ma almeno essi ora non hanno senso! Nei miei “flashbacks” ed incubi notturni la mia anima ricorda di essere stata sepolta nella nostra casa mentre bruciava a X. durante i bombardamenti della Seconda  Guerra Mondiale, quando avevo tre anni, ed io sentivo l’odore dei corpi umani bruciati e tutte quelle altre cose terribili… Questi sintomi sono diventati le voci della mia vera storia. Essi mi appartengono, devo conviverci”.

In questo articolo vorrei considerare un’altra osservazione correlata a questo tema: mi è sembrato che la tesi appena delineata non si applichi solo al gruppo dei pazienti traumatizzati, il cui trauma si correli a disastri “per opera dell’uomo” (ad esempio le vittime della Shoah, si veda tra le altre voci bibliografiche Bergmann, Jucovy & Kestenberg, 1982; Cournut, 1988; Faimberg, 1987; Keilson, 1979; Kogan, 2007, Krystal, 1968). Sosterrò che questo tema è anche rilevante per un altro gruppo di pazienti traumatizzati, ossia quelli che hanno sofferto di una grave malattia fisica nei primi anni di vita, un problema raramente discusso nella letteratura[1] psicoanalitica più recente. Nel contesto del già citato studio di “follow-up”, ho intervistato quattro pazienti che da bambini avevano sofferto di gravi infezioni da poliomielite. Tutti e quattro si lamentavano del fatto che la loro esperienza di sofferenti per la polio non fosse stata adeguatamente elaborata durante i loro trattamenti. Un paio di anni fa, a distanza di venti anni dopo due analisi finora riuscite, una paziente cominciò la sua terza analisi con me. Saltò fuori che il suo soffrire per la polio – come esperienza traumatica con effetti inconsci a lungo termine – era rimasto qualcosa che in larga parte non era stato trattato  ed ancora continuava a costituire una fonte  fondamentale di dissociazioni massicce e terrificanti che la paziente sperimentava. Il presente lavoro si focalizzerà sul riassunto relativamente  esteso di questo trattamento come punto di partenza per  discutere la tesi già delineata. Per comprendere gli stati dissociativi della paziente  si è dimostrato indispensabile decodificare  il “linguaggio del suo corpo” e connetterlo con visualizzazioni, immagini e verbalizzazioni nel transfert. Ma questo non è sembrato sufficiente  per un cambiamento strutturale  della sua personalità traumatizzata: in aggiunta è stata  necessaria una precisa  ricostruzione biografica dello specifico trauma allo scopo di integrare i traumi infantili nel cuore del suo sé e della sua identità. Ciò  ha anche significato percepire  ed accettare l’immodificabile vulnerabilità dovuta al precoce trauma per convivere con esso e non negarlo più, un processo davvero doloroso come cercherò di delineare.

A questo riguardo il concetto di “memoria incorporata”  ("embodied memory") si è dimostrato utile nella mia comprensione del modo preciso in cui “il trauma precoce sia ricordato dal corpo”. Molti autori impegnati nelle discussioni prima menzionate affermano che osservare i “ricordi procedurali” nella situazione psicoanalitica  apra una finestra per  la “conoscenza  immagazzinata”  delle esperienze  nel corso  dei primi anni di vita.  I ricordi procedurali, definiti ad un livello descrittivo  come una forma specifica  della memoria a lungo termine, comprendono compiti meccanici e corporei (come nel mangiare con coltello e forchetta). Al contrario della “memoria procedurale”, il concetto di “ricordi  incorporati” ("embodied memories") è molto più specifico, ed offre una più precisa comprensione della cosiddetta coordinazione senso-motoria del paziente traumatizzato nella relazione analitica. Questa inconsciamente – in situazioni veramente specifiche – porta alla precisa ri-costruzione delle sensazioni corporee, degli affetti  e delle fantasie che si confrontano con l’originaria interazione traumatica. La loro intensità e qualità si dimostra essere inappropriata  nella nuova ed attuale relazione con l’analista. Per il  paziente è essenziale decodificare nei dettagli gli stimoli specifici (senso-motori) che, a causa delle loro precise analogie, scatenano i “ricordi incorporati” delle esperienze traumatiche. Cercherò di illustrare  che questo significa  qualcosa di più del semplice  “comprendere  i  ricordi procedurali”, sebbene possa io introdurre il concetto di “ricordi incorporati” solo brevemente in questo lavoro. Lo abbiamo discusso dettagliatamente in altri articoli  (si veda ad esempio  Leuzinger-Bohleber & Pfeifer, 2002, 2006).

Sebbene la poliomielite sia diventata una malattia molto rara nei Paesi occidentali,  è stato suggerito che la cosiddetta  “Post-Polio Syndrome”(PPS) sia correlata alla sindrome da fatica cronica  (si veda ad es., Dalakas et al., 1995) e possa riapparire decenni dopo l’infezione poliomielitica acuta. Essa è molto più diffusa di quello che si pensasse finora. Quindi è possibile che persino oggi gli analisti abbiano pazienti  in trattamento psicoanalitico  che soffrano di  Post-Polio Sindrome. Inoltre, credo che sebbene i traumi dovuti  all’infezione poliomielitica siano specifici, come lo illustrerò, troveremo  e dovremo lavorare su analoghe resistenze e processi di diniego  nei pazienti che hanno sopportato altre malattie  estremamente dolorose ed in grado di minacciare la vita  nei primi anni di vita. Sulla base di un esame della letteratura sulla “Poliomielite” (con l’aiuto di PEP, “Psychoanalytic Electronic Publishing”) mi sembra che gli effetti a lungo termine della malattie somatiche nel corso dei primi anni di vita siano stati a mala pena considerati in associazione con lo stato dell’arte della ricerca contemporanea sul trauma, come discuterò nella seguente sezione.

 

2.   La poliomielite nella  letteratura psicoanalitica

 

Ad oggi si può ipotizzare che, a motivo della diffusa  immunizzazione nel corso dei decenni passati, la malattia virale della poliomielite sia praticamente scomparsa nelle nazioni industriali. L’ultima grande epidemia in Germania ebbe luogo nel 1960-1961. In seguito si stabilì un’immunizazzione di grande estensione. Perciò  nuove infezioni a stento possono verificarsi nei Paesi occidentali. D’altronde, si dovrebbe menzionare  che l’obiettivo dichiarato dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di estinguere la poliomielite dal 2002 non è stato raggiunto.

Dato questo  sfondo storico, è comprensibile come la polio  spesso sia apparsa come un argomento specifico nel lavoro psicoanalitico fino agli anni ’60. Eppure è sorprendente che le conseguenze psicologiche di questa grave malattia infantile siano solo raramente  diventate un esplicito focus di interesse dei lavori analitici. Una delle eccezioni è il dettagliato resoconto di un caso (“case report”) di un ragazzo di 6 anni e delle conseguenze della sua infezione poliomielitica, scritto da Bierman, Silverstein e Finesinger (1958), che innanzitutto si focalizzava sui problemi  depressivi del ragazzo. Fantasie di incorporazione orale, come anche un' angoscia di castrazione vi vengono menzionati come possibili fattori scatenanti della depressione che, in aggiunta, la malattia alimentava. Limentani (1982) ha fatto il resoconto di una terapia terminata precocemente da un paziente (Sig. C), che soffriva di conseguenze visibili della poliomielite. La gelosia viene vista come una possibile causa della cessazione del trattamento, ma non è stata posta nel contesto dello handicap fisico del paziente. Eisnitz (1974) ha studiato il fenomeno della noia nella sua discussione di Weiberger e Muller (1974). In questo caso egli si riferisce dettagliatamente ad un caso di polio e indica la presenza di una forte angoscia di castrazione e diffusi timori di ordine fisico così come anche questioni concernenti la stabilità delle rappresentazioni di sé come conseguenza della malattia poliomielitica sulla malattia mentale. Hammermann (1961)  analizza le fantasie di masturbazione di un giovane uomo di cui una delle gambe è accorciata per aver sofferto di polio all’età di 15 anni.  Le propensioni femminili del paziente sono considerate come l’effetto di una fissazione alla madre. Il trauma di soffrire di polio resta ampiamente non riconosciuto. Dall’altra parte, Jacobson (1959), riferendosi al lavoro di Freud sulle “Eccezioni”(1916), discute un’interessante e specifica elaborazione della malattia nel caso di due pazienti con polio. Entrambi i pazienti poliomielitici di Jacobson avevano sviluppato un’”immagine di sé di eccezione”, come descritto da Freud. Ciò tra le altre cose aveva portato al fatto  che nessuno dei due potesse accettare il principio di realtà. Comunque,  entrambi i pazienti avevano trascritto un’inconscia “fantasia  di eccezione” in modi differenti   nei loro  progetti di vita, a seconda delle loro relazioni  oggettuali più centrali durante  la loro malattia.

Non ho potuto trovare alcun articolo che tratti gli effetti del trauma sulla conseguente produzione di sintomi in tali pazienti, e che sia dedicato agli specifici problemi tecnici che si originano nell’interazione con questo gruppo di pazienti. Il paragrafo  seguente si concentrerà su un tale esempio clinico.

 

3.Studio di un caso/Esempio: “Mi si poteva risparmiare tanto dolore, a mio marito ed ai miei figli, se solo avessi avuto il coraggio di dare uno sguardo da vicino prima…” (Sig.ra B.)

 

a)   Motivazione per una terza analisi

 

La Sig.ra B., di 52 anni, ha deciso di fare un’altra “tranche” di analisi, poiché ancora soffre di gravi disturbi del sonno, come anche di crolli apparentemente psicotici nel corso di conflitti relazionali con il marito. Questi inspiegabili crolli sono un pesante fardello sia per lei  che per la sua relazione col marito. Ha già completato due analisi, delle quali  tutto sommato è molto contenta. Ha iniziato la prima analisi a 23 anni dopo un completo crollo che fece seguito alla morte del fratello portatore di handicap. Essa durò circa tre anni. “Non appena mi sentii meglio, saltai via dal divano e cercai di fare di nuovo tutto da me stessa…”. Pensò alla seconda analisi come ad una continuazione della prima, dato che la depressione ed i gravi sintomi di stanchezza avevano cominciato a ritornare ed avevano portato a gravi tentativi di suicidio. A 29 anni iniziò questa seconda analisi, che durò quasi cinque anni. Al trattamento attribuì il merito di “averle dato il coraggio di stabilire una nuova relazione con un (altro) uomo e di aspettare da lui una bambina. “La nascita di mia figlia (quando lei aveva 33 anni, N.d.A.) fu un punto di svolta nella mia vita – ho definitivamente sepolto le tendenze suicidarie, sebbene i pensieri suicidari ancora mi vengano in mente di tanto in tanto. A differenza delle volte precedenti, ora sono assolutamente sicura che riesco a controllare questi impulsi, perché non sto per fare qualcosa di simile a miei figli. Per questo sono grata alla psicoanalisi”. All’età di 38 anni aveva dato alla luce a due gemelli ed era molto felice di fare l’esperienza di crescere i suoi tre bambini. “Ero così incredibilmente contenta  che i miei figli fossero sani, cosa che, al contrario di mio marito, non era stato mai un dato di fatto per me. Ho sempre fatto i conti con la catastrofe e ho sempre reagito con panico se uno dei miei figli si ammalava o aveva un minimo incidente… Grazie alla mia analisi, sapevo che questi eventi riattivavano ricordi delle mie catastrofi infantili – non ci potevo far nulla! Per fortuna, mio marito controbilanciava bene queste mie paure, altrimenti molte cose sarebbero andate male…”.

La Sig.ra B. ha sempre lavorato. Ha diretto con successo una grande istituzione innovativa dedicata a bambini gravemente handicappati, ha scritto diversi libri sul suo lavoro ed è un’esperta a livello internazionale nel suo campo. “So che per il mondo esterno rappresento un modello di carriera. Sono molto ammirata, perché riesco a conciliare maternità, matrimonio ed una carriera professionale – ma ancora non riesco a liberarmi di questo  sentimento di base di vivere  come sull’orlo  di un grande abisso. Una catastrofe potrebbe succedere in qualsiasi momento … spesso di notte mi convinco che tutto sta crollando intorno a me. Allora io resto a letto sveglia, mi sento sprofondare in un attacco di panico e ho l’allucinazione di cadere in un buco nero e profondo. Ogni volta devo riuscire ad alzarmi, altrimenti non posso sopportare tale stato…”. Il peso maggiore è rappresentato dai “crolli improvvisi”, che la Sig.ra B. sperimenta in situazioni di conflitto col marito. “Essi si verificano in modo del tutto inaspettato, per lo più quando mi sento molto rilassata. Spesso, all’improvviso sento che mio marito è emotivamente inaccessibile e ritirato in se stesso, e mi convinco allora immediatamente che lui mi voglia lasciare. Mi lascio prendere  dal panico, dalla rabbia e lo aggredisco fisicamente, fuori da qualsiasi controllo. Tutto il mio corpo è un’unica ferita – tutto lo ferisce – uno stato insopportabile che solo io voglio far terminare. Per lo più in tale situazione voglio farla finita col suicidio, senza alcuna esitazione, e vorrei non pensarci più. In lacrime  e col sentimento di un’estrema freddezza alla fine striscio via in un angolo buio, rannicchiandomi come un embrione, di solito per ore. – Tutto questo è un incubo. Quando è finito, non sono per nulla capace di immaginare un tale stato. Allora mi vergogno terribilmente. Mi terrorizza il pensiero che posso essere una persona così diversa. È come una psicosi, e per mio marito  e me un orrore ripetuto mille volte, insopportabile. Spesso ho paura che a causa di ciò il nostro rapporto cada a pezzi… neppure l’analisi ha potuto cambiare nulla al riguardo…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




Note bibliografiche dell'Autrice:

[1] Al  Congresso dell’ IPA di Copenhagen (1967) un “Panel” trattò degli effetti delle malattie fisiche sullo sviluppo mentale  (si veda ad  esempio, Rodrigue, 1968).

 

 


 

 

 

(fine della prima parte - l'articolo nella sua completezza verrà pubblicato successivamente in un libro  delle Edizioni Frenis Zero)

 
 
 
 
   

Bibliografia

 

 

 

 

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