Eneide

Virgilio, per ordine di Augusto, scrisse un poema intitolato "Eneide", il quale voleva richiamare il popolo romano alle sue origini, riportando alla memoria il destino di Roma, rievocando attraverso il mito i fondamentali della sua grandezza. L'Eneide dunque è sostanzialmente un poema celebrativo, dove però la celebrazione non è fatta direttamente narrando le gesta di Augusto, ma attraverso la dimostrazione di come tutta la storia di Roma fosse destinata a realizzarsi a pieno solo con Augusto, l'apportatore della pace e il resturatore dei valori tradizionali, con il quale si attuava compiutamente il grande disegno voluto dagli dei. Virgilio risale al mitico Enea, di stirpe divina perchè figlio di Venere, il quale viene ritenuto il progenitore di Augusto e della casa Giulia e il primo fondatore della potenza di Roma. Come tale egli appare nel poema come l'incarnazione delle virtù fondamentali del cittadino romano: la pietas, cioè il rispetto incondizionato del volere degli dei, la consapevolezza dei propri doveri e la perseveranza nel portarli a compimento anteponendoli ai propri sentimenti personali. Nella sua struttura compositiva l'Eneide si riallaccia ai poemi omerici: si ispira all' Odissea, in cui sono narrate le peregrinazioni di Enea dalla caduta di Troia fino all'arrivo alle coste del Lazio, il racconto fatto in prima persona dall'eroe di una parte delle sue avventure, la discesa agli Inferi; si ispira all' Iliade dove è narra delle vicende di guerra per la conquista del Lazio. La narrazione inizia nel momento in cui la flotta che trasporta Enea e i profughi troiani è dispersa da una tempesta suscitata da Giunone e approda faticosamente sulle rive africane, presso Cartagirone, dove gli esuli sono accolti dalla regina Didone. Su richiesta di questa, Enea racconta le vicende che lo hanno condotto fino a lei, cominciando con l'inganno del cavallo di legno con cui i greci sono riusciti a impadronirsi di Troia e con la narrazione della notte in cui la città fu incendiata. La fuga portò i superstiti alla ricerca della "antica madre", cioè la terra che il Fato aveva stabilito come loro dimora definitiva, passando per Creta, l'Epiro, la Sicilia, finchè una tempesta li fece approdare a Cartagirone. Per intervento di Giunone e di Venere, Didone è presa da grande passione per Enea, che, unitosi alla regina, rimane per vari mesi presso di lei, finchè Giove richiama l'eroe ai doveri a lui predestinati dal Fato e gli ordina di partire. Enea dunque salpa con i suoi, seppur addolorato, e Didone disperata si uccide. I troiani giungono in Sicilia là dove l'anno precedente era morto il padre di Enea, Anchise, e in sua memoria celebrano giochi solenni. Partiti dalla Sicilia essi giungono a Cuma, in Campania, dove Enea interroga la Sibilla sul suo futuro e si fa da lei accompagnare nell' Ade, dove l'ombra del padre Anchise gli rivela il futuro glorioso di Roma e gli mostra le anime dei futuri illustri romani. Giunto finalmente alle foci del Tevere, Enea risale per un tratto il fiume e accolto benevolmente dal re Latino che, in nome di un antico oracolo, gli offre in moglie la figlia Lavinia. Giunone scatena la guerra contro i Troiani, aizzando i popoli latini a capo dei quali si pone Turno, re dei Rutuli, che desiderava sposare Lavinia. Enea va in cerca di aiuti che ottiene dagli Arcadi di Evandro e dal re degli Etruschi. In sua assenza però il campo troiano è assediato e i troiani si difendono valorosamente; nel tentativo di avvisare Enea, i giovani Eurialo e Niso fanno una sortita ma sono sorpresi e uccisi dai nemici. Al ritorno di Enea la situazione si equilibra, ma vi sono feroci combattimenti, durante uno dei quali Turno uccide il giovane Pallante, figlio di Evandro, ed Enea giura di vendicarlo. Le sorti volgono a favore dei troiani, cosicchè Turno accetta la proposta dei capi latini di risolvere la guerra con un duello tra i due capi nemici. Turno ed Enea si scontrano in duello e Turno viene ucciso. La vittoria dei troiani, sancita da Giove e accettata da Giunone, chiude il poema.