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Poche sere fa, prima di entrare
nel cinema della mia zona, mi sono avventurato tra gli scaffali
di una piccola libreria che resta sempre aperta fino a mezzanotte.
Tra i libri di fotografia della Konemann (Aperture Masters
of Photography), ho scelto casualmente due nomi: Tina Modotti
e Manuel Alvarez Bravo. Il giorno successivo ho iniziato a leggere
le introduzioni (scritte in francese, inglese e tedesco) e con
meraviglia mi sono accorto che avevo acquistato due libri dedicati
a due grandi personaggi della storia artistica del Messico. Entrambi
hanno operato in quel Paese negli anni della rivoluzione comunista.
Si sono conosciuti di persona, nellatelier della Modotti
(emigrata dallItalia nel 1913), la quale ha fatto la prima
esperienza dellAmerica a Los Angeles, dove ha conosciuto
la fotografia ed il cinema (per qualche tempo ha recitato in numerosi
film ora dimenticati, divenendo anche unattrice famosa e
amata). Alvarez Bravo è invece originario del Messico; il suo
lavoro artistico si è contraddistinto soprattutto per aver partecipato
attivamente agli eventi politici che stavano sconvolgendo il suo
Paese. I due autori, lungo due strade diverse, hanno voluto immortalare
quella che era la realtà del Messico, non solo per illustrarlo
ai contemporanei, ma anche per farlo rivivere negli osservatori
di domani, con lopera di un talento nutrito dallesperienza
personale e da quella di una comunità, invece di essere estratta
dallesperienza di altri pittori, di altre epoche e di altre
culture, che formano le catene intellettuali tra le quali si afferma
larte non popolare (Alvarez Bravo).
Nelle fotografie della Modotti, il rapporto che lega i titoli
alle opere non ha nulla di metaforico o di allusivo: i titoli
si limitano semplicemente a connotare con più esattezza quello
che locchio già vede. Losservatore deve semplicemente
prendere atto di tutto ciò che locchio della fotografa ha
selezionato, ciò che ha sottratto alla realtà. La forte carica
connotativa coincide con la denotatività del bianco e nero, lapparente
immediatezza nel riconoscere la provenienza delle immagini viene
confermata dalla sostanza concreta dei titoli. A parte la ritrattistica
su commissione, le fotografie da laboratorio che tanto amava scattare
(soprattutto ai fiori) ci danno limpressione che lautrice
si sia sforzata di rendere concreta al massimo grado la sua interpretazione
visiva di porzioni della realtà, pur sapendo dellambiguità
della fotografia, arte concreta per la sua referenzialità ma anche
assolutamente astratta. Roses, del 1925, può rievocare
il profumo caratteristico delle rose, ma può anche darci la sensazione
tattile della loro freschezza e morbidezza. In Flor de manita,
1925, quellesemplare viene isolato per rendere evidente
un tipo di rievocazione: il fiore sembra una mano scolpita nellargilla.
La Modotti ha capito che basta riprodurre un particolare della
realtà in un certo modo, per scatenare nellintelligenza
di chi vede un fiume di sensazioni, di richiami alla memoria,
di impressioni. La fotografia (invenzione meccanica ed artificiale)
veicola così una grande verità: tra luomo e la natura cè
sempre una continuità di fondo che non potrà mai essere spezzata,
vige un rapporto sinestetico. Parallelamente troviamo nel libro
due esempi di fotografie da laboratorio dedicate ad oggetti ed
utensili; la prima è del 1928, Julio Antonio Mellas
typewriter, e la seconda è del 1927, Mexican sombrero
with hammer and sickle. Entrambe tendono a richiamare alla
mente attività propriamente umane: la scrittura innanzitutto.
Tina Modotti sceglie solo una piccola porzione di quella macchina
da scrivere; non inquadra il proprietario, ma si accontenta di
nominarlo nel titolo. Nellimmagine si nota una parte di
un foglio che sta uscendo dalla macchina, sul quale ci sono già
alcune righe di scrittura. Il nastro inchiostrato è consunto:
questo significa che lo scrittore usa molto spesso il suo strumento.
Tutti questi elementi, limmagine ed il titolo, caricano
loggetto di valori emotivi profondi, che permettono allo
spettatore di sentire quella macchina da scrivere
come uno strumento particolare, diverso da tutti gli altri, perché
appartiene a J. A. Mella in persona. Il gusto così spiccato per
il dettaglio ci porterebbe facilmente ad immaginare questa foto
stampata su di un cartellone pubblicitario. La seconda foto è
carica di valenze diverse: il titolo sottolinea semplicemente
ciò che stiamo vedendo, una composizione con sombrero, falce e
martello. La luce arriva da dietro, evidenzia gli effetti di texture
in modo tale da rendere percepibile ad una sorta di tatto
oculare il materiale di cui sono fatti. E in un secondo
momento che la sovrastruttura culturale ci permette di interpretare
limmagine in senso precisamente politico; interpretazione,
comunque, mai rigida ed univoca, data la lontananza dal realismo
socialista. La concezione politica accesa ed intuitiva della
Modotti, libera da gabbie teoriche, può farci apprezzare la sfumata
e diretta qualità di questa foto. Nel libro si ritrovano anche
numerose immagini che insistono sul tema delle tradizioni popolari.
Anzi, bisogna che si sottolinei un carattere fondamentale di entrambe
gli autori presi qui in considerazione: tutta la loro opera è
basata sulla presenza viva e costante del popolo. La lotta contro
la borghesia capitalista è sottesa, fa da sfondo intrinseco ad
un discorso quotidiano, privato di facili populismi e di retoriche
altisonanti. La lotta politica fa da collante tra gli individui.
Lapparecchio, dunque, si limita ad impressionare sulla pellicola
quei dati che locchio sceglie: in fotografie come Mexican
peasants reading El machete (1928) e Workers
parade (1926) domina un gusto compositivo che è anche documento:
qui si è fuori dal laboratorio, immersi nella vita concreta. Gli
operai prendono coscienza della loro condizione e dei loro diritti,
e di conseguenza agiscono manifestando lungo le strade della città.
Elemento dominante è il sombrero, che diventa decoro ironico ed
elemento catalizzatore della tensione. Nella foto dedicata alla
parata degli operai cè un notevole effetto di sfocatura,
che quasi amalgama tutte le figure in un singolo movimento verticale,
dal basso verso lalto. Non cè violenza, non ci sono
scene di pianto, di arresti, di scontri. Cè solo il popolo
che sciopera. In entrambe le foto locchio si pone in alto
rispetto ai soggetti, quasi a voler evitare ogni tipo di influenza
e disturbo: è dallalto che la fotografia può riportare fedelmente
loggettività, senza rinunciare a precise scelte estetiche
e compositive, provenienti da un gusto maturato allimpronta.
E poi ancora fotografie di operai al lavoro, di contadini, di
paesani in festa, di donne nerborute che allattano i loro figli
o che trasportano pesanti otri sulla testa. Il desiderio di indagare
altrove le possibilità estetiche del mezzo meccanico si riscontra
in opere come Interior of church e Stadium (1924
e 1927). Sembra che la Modotti si sia allontanata per un momento
dai traffici e dai problemi della città per lasciarsi trasportare
dal fascino dellastrazione. Linterno della chiesa
è assolutamente irriconoscibile come tale. Anche dopo molti minuti
di osservazione, locchio ancora non riesce a ricomporre
i dati della realtà, e ci si sente costretti ad accettare la semplice
presenza di ombre grigie. Nella seconda immagine la fotografa
ha scelto un punto di vista posto alla stessa altezza di uno spettatore,
che immaginiamo seduto sui gradoni di pietra dello stadio. E
assolutamente sola, lo spazio è vuoto: non ci rimane altro che
ammirare il silenzio che traspare dallimmagine, il naturale
gioco delle brevi ombre proiettate dal caldo sole di mezzogiorno.
Quando passiamo a sfogliare il libro con le fotografie di Alvarez
Bravo, notiamo anche in lui linteresse per la cultura popolare
locale, per i problemi politici, limmersione nella dimensione
cittadina quotidiana, lalternanza tra uno sguardo impreciso,
immediato e divertito, e laltro più attento, preciso, selettivo,
comunque mai serioso. Le opere riprodotte nel libro vanno dagli
anni 30 agli anni 80, tutte in bianco e nero. Parabola
ottica (1931) richiama subito alla mente certe illusioni
che tanto amavano i surrealisti, e in particolar modo il grande
Man Ray. Si tratta di una semplice riproduzione della vetrina
di un negozio di ottica. Lintervento consiste nello scegliere
linquadratura, posta lateralmente e inclinata verso lalto,
in modo tale da eliminare ogni dettaglio della strada e assolutizzare
i giochi illusionistici che animano lingresso del negozio.
Il surrealismo sta nel moltiplicarsi dei riflessi, nella presenza
di occhi disegnati ovunque e soprattutto nelle scritte rovesciate.
Particolari che suscitano il riso dello spettatore, non senza
aver prima mosso quello dellautore. Nel confronto tra Alvarez
Bravo e la Modotti, notiamo luso differente dei titoli.
Quelli di Manuel fanno frequentemente riferimento a piani della
realtà differenti rispetto a quelli rappresentati in fotografia,
e perciò aggiungono senso a quella porzione di mondo, che non
è più simile a se stessa ma trasformata in qualcosaltro.
Possono evidenziare un particolare (come in Las espinas,
del 1940), sottolineare una qualità delloggetto fotografato
(Instrumental, 1931, chiavi inglesi in primissimo piano),
decontestualizzare loggetto e portarlo su altri piani di
significato (Retrato de lo eterno, 1935), ironizzare
sulla religione e sulla morte (Los creadores los formadores,
1940; Retrato postumo, 1939), insistere sulle qualità
interiori delloggetto fotografato (El ensueno,
1931), o ancora giocare sulla metatestualità (come in Luz
restirada del 1947, dove un albero proietta la sua
ombra su un lenzuolo steso). In altre opere i titoli si limitano
a connotare nello spazio e nel tempo quello che losservatore
può vedere, non per limitare il gioco della fantasia, ma per sottolineare
le qualità immediate ed intime delloggetto. E il caso
di foto come Dia de todos los muertos (1933) e Trabajadores
del tropico (1944). In tutte le immagini di Alvarez Bravo
si avverte il dominio dellattimo, lattrazione improvvisa
per gli spazi, siano essi ristretti o aperti, semibui o ricolmi
di luce. Il bianco e nero sottolinea spesso momenti fatti di silenzio,
oppure è la scelta di una certa esposizione e di un certo contrasto
a dare il silenzio agli spazi rappresentati. Il carattere spregiudicato
del fotografo ha permesso al suo sguardo di posarsi liberamente
su tutto ciò che lo colpisse allimprovviso: un nudo di donna,
che in foto come Xipe e El trapo negro (1982
e 1986) non ha nulla di voluttuoso, ma sola domina la presenza
fisica di quei corpi senza volto felici di essere scrutati; una
pianta dalle forme particolari, con punte acuminate, larghe foglie,
o un semplice tronco dalbero bruciato da un fulmine. Sono
soprattutto le persone a dominare il mondo di Alvarez Bravo, la
gente del popolo, i lavoratori, gli amici che si prestano a ritratti
privi di posa, ma al contrario spontanei, sempre pronti a regalare
un sorriso allobbiettivo; il fotografo, lartista,
il politico, sa stare tra la gente, sa divertirsi e meravigliarsi
di tutto quello che vede; sa riprodurre in fotografia queste sensazioni,
sa riprodurre ciò che in lui ha suscitato il riso, sa cercare
e trovare il contatto con il suo pubblico. Una platea corale,
comunque, non il singolo spettatore. Mentre nelle immagini della
Modotti si sente il tocco dellosservatore allotrio, lo sguardo
curioso e indagatore, ma anche partecipe, di qualcuno che viene
da lontano, nelle foto di Manuel si avverte la sua appartenenza
diretta a quello stesso popolo. Troviamo allora i ritratti spassionati
di Rivera o di altri personaggi, che sembrano essere stati scattati
nel mentre di una piacevole conversazione; veniamo portati dentro
i luoghi di lavoro della gente, come la fabbrica di mattoni o
la salina; penetriamo nellintimità di quel popolo. Una foto
come Obrero en huelga, asesinado del 1934, ci dimostra
quanto lo sguardo di Alvarez Bravo sia lontano da ogni facile
populismo e da ogni retorica di partito: un operaio in sciopero
è stato assassinato. Non sappiamo da chi né tantomeno il perché.
Possiamo solo congetturare su ovvie risposte. Fatto sta che davanti
a noi cè il cadavere del giovane (fotografato alla sua stessa
altezza, e non dallalto, come impone il linguaggio giornalistico),
che sembra avere uno sguardo stranamente tranquillo e riposato.
Silenzioso, appunto. Lobbiettivo non si è rivolto al contesto,
ma solo al corpo: testimonianza sufficiente a farci sospettare
(grazie al titolo) che un operaio, un uomo, è stato ingiustamente
ucciso. Ma siamo ormai lontani da ogni interesse di tipo specificamente
politico: siamo nel campo dellarte.
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