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Il pubblico, una volta che è entrato
già in sala, ha tutto il diritto di divertirsi ma non di essere
imboccato: lattore, il regista, il drammaturgo non sono
la sua mamma e non gli raccontano le favole.
C'è sottinteso un grosso equivoco:
che la comunicazione teatrale debba essere chiara e diretta, comprensibile
a tutti, quasi divulgativa, come La storia d'Italia a fumetti
di Biagi o il Gesù di Nazareth di Zeffirelli, come i
romanzi condensati del Reader's digest. Il punto di riferimento
del teatrante, tanto nella fase di composizione che in quella
dellallestimento non può essere il più umile ma perlomeno
il medio, non è accettabile né rispettabile ed anzi è decisamente
offensiva una civiltà teatrale il cui spettatore implicito
sia lo scemo del villaggio.
Lo
spettacolo vero, quello nuovo ogni sera, quello che potrebbe significare
qualcosa, è il pubblico, rispetto al quale quanto avviene sulla
scena è al meglio un elaborato e geniale contrappunto. Dovrebbe
esserlo ma non lo è: quel pubblico che per la natura collettiva
stessa del teatro dovrebbe avere un potere immenso sull'attore,
non lo esercita più; la platea è diventata il parcheggio degli
spiriti mosci, dei cervelli disattenti , degli applausi cortesi
e distratti o, per eccesso contrario, il mattatoio di addetti
ai lavori sempre più disincantati, algidi, nocivi; un pubblico
insomma col più grande dei ruoli ed il più piccolo talento.
Un teatro popolare non è una soluzione ma non lo è neanche un
Kammerspiel da chiudersi in una élite di pochi illuminati;
bisogna fare ciò che è necessario: illuminare in qualche
o in tutti i modi lo spettatore, chiuso al buio incatenato alla
seggiola, stimolare positivamente le sue capacità di concentrazione,
resucitarlo e rimettergli in mano le redini dello spettacolo.
Basta ammiccamenti, basta carità, premure e strizzatine docchio
ad un pubblico morto, resuscitarlo, solo questo importa ed il
resto è un po come le ariette sdolcinate del melodramma
per il compositore: una scorciatoia per essere amati dai sordi,
dai distratti, dagli imbecilli. Non
dovranno esistere più sordi, né distratti, né imbecilli.
In Che cosa sono le nuvole? di
Pasolini, di fronte ad una rappresentazione di Otello, il pubblico
partecipa attivamente all'azione; dapprima solo emotivamente,
poi disapprovando ad alta voce e alla fine sale direttamente sul
palco, salva Desdemona, lincia Otello e Iago: sembra un esperimento
di Moreno sul Teatro di conflitto e sullo psicodramma! Senza esagerazioni
dico che è questo il mio modello di pubblico, il pubblico modello:
un pubblico vivente che interagisca vitalmente con uno spettacolo
vivente.
Attualmente, se si escludono
fenomeni di fanatismo adolescenziale tipo TakeThat o Pokémon,
il maggiore esempio di una simile interazione sfortunatamente
è un cattivo esempio che, però, forse ci offre il solo pubblico
non individuale e non critico, partecipe ancora di una
comunanza collettiva. Quello dello stadio: il tifoso. Testo modello
è la partita di pallone. Tutto il resto è piano bar. Sottofondo.
Daniele
Timpano
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