Gn 15, 1-6: Dio promette una discendenza ad Abramo.
Gn 17, 19-21: ai tentativi di aggiustamenti umani, di dare ragionevolezza alla promessa, Dio risponde restringendo il campo delle possibilità: la discendenza è in Sara (tanti anni dopo; alla sterilità si è aggiunta la vecchiaia).
La storia della discendenza di Isacco si gioca nel rapporto di Abramo con la promessa divina:
1) Prima Abramo deve fidarsi dei modi di attuazione della promessa che sono propri di Dio, e non forzare questi compimenti;
2) una volta che la promessa è realizzata, il lettore deve capire che non si può confondere Dio con i suoi doni, in modo da assolutizzare questi ultimi.
La discendenza è Isacco, non Ismaele
Ismaele rappresenta la forzatura della realizzazione della promessa. La discendenza, in questo modo, non è il risultato del volere sovrano di Dio, ma del volere umano che è condizionato dall'incapacità di comprendere i modi divini di attuazione.
E' il tentativo di attribuire una ragionevolezza all'azione di Dio. Invece no. Isacco, figlio della sterilità, deve dire che solo da Dio si realizza qualcosa di umanamente assurdo, perché da Dio, che è fonte della vita, la vita passa e vince nonostante i segni di morte (vecchiaia e sterilità).
Isacco deve nascere da un ventre vecchio e sterile (proprio da Sara ) perché deve poter dire che Dio è Dio della vita e che porta alla vita nonostante la morte, nonostante il peccato, nonostante la maledizione, nonostante la pericolosa libertà di chi riceve la promessa, che può metterla a repentaglio (prima in Gn 12, 10-20 Abramo mette Sara in balia del faraone; poi al c. 16 decide di unirsi ad Agar e di escludere Sara dal progetto divino). Quindi, Dio mantiene la promessa: il figlio viene, ma una volta concesso, Dio chiama di nuovo Abramo per sacrificarlo.
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