Le due più antiche, Jahvista ed Elohista, così chiamate per il nome che danno a Dio. La J risale al periodo monarchico (X-IX sec. a.C.), mentre l'E risale all'VIII sec. ca. La D (VII sec.) la si ritrova essenzialmente nel Dt (però, aggiunte e rielaborazioni si trovano anche altrove). La fonte più recente sarebbe la P che di per sé risale all'epoca esilica e post-esilica, ma contiene a sua volta materiali antichissimi.
J: (X/IX sec. - Periodo monarchico)
Semplice e geniale al tempo stesso, lo J descrive con grande concretezza l'uomo e il suo mondo e con grande finezza psicologica (i conflitti, gli smarrimenti, le confusioni del cuore). L'uomo che lo J descrive non è, però, solo e disperato, ma vive quotidianamente col suo Dio, della cui attenzione e della cui volontà di salvezza è cosciente.
E questo Dio è vissuto concretamente da assumere sembianze umane, è antropomorfizzato: passeggia nel giardino, chiude l'arca, confeziona i vestiti, scende a vedere Babele, ecc. Troviamo tracce di
questa teologia in Gn, Es, Nm. Manca del tutto in Lv.
E: (VIII sec. - Regno del Nord)
E' una tradizione più tardiva e presto unita alla J, ha uno stile più didattico, meno spontaneo. I contatti diretti con Dio, le sue apparizioni, il suo intrattenersi sulla terra, sono ridotti. Vengono evitati gli antropoformismi; ciò perché la E ha una visione più trascendente di Dio: egli parla dal cielo, per mezzo di angeli, attraverso i sogni (che però solo Dio può svelare, aiutare ad interpretare), ed ama sottolineare l'aspetto appariscente dei miracoli.
D: (VII sec. - Regno del Sud)
Questa fonte si identifica soprattutto col Dt, per questo merita un posto a parte. Siamo nel VII secolo ed è identificata in parte col rotolo di Giosia (forse il nucleo centrale dell'attuale Dt: cc. 12-26) rinvenuto nel Tempio e che diede il via alla sua riforma religiosa. Vi predomina il concetto dell'Alleanza come elezione e della Legge come risposta personale a questa elezione.
Predomina inoltre lo stile didattico in funzione dell'osservanza della Legge. Inoltre, l'urgenza della risposta personale che deve toccare tutti in tutte le epoche è messa in risalto dal massiccio ricorso alle espressioni: voi, ora,oggi.
P:
E' molto facile da distinguere. Lo stile è nettamente didattico e molto scarno. Questa tradizione è il frutto della teologia di generazioni di sacerdoti (da tempi antichissimi). La sua forma finale le fu data nel postesilio. Ad essa è attribuita l'unione ed organizzazione delle diverse fonti che hanno dato vita alla forma finale del Pentateuco. Elementi fondamentali sono quelli Rituali e Liturgici (es. sacrifici e feste) e non c'è traccia di narrazioni vive come nella J. Ciò ha uno scopo: concentrare l'attenzione sulla rivelazione divina, su Dio e non sull'uomo. Ritroviamo la tradizione P, oltre che in Gn (però in minima parte), anche in Es e soprattutto in Lv e Nm. Sfondo di queste fonti è la tradizione orale (=dallo studio della Redaktion-geschichte) e il Sitz im Leben, l'esperienza d'Israele vissuta nella sua storia, che ha dato forma agli scritti (= Formgeschichte).
Più recentemente questa teoria documentaria è stata messa in discussione: Rendtorff, ad es., non parla di 4 fonti, ma individua nel Pentateuco cinque temi fondamentali che si sono evoluti fino a formare delle grandi unità. Le cinque unità sarebbero: 1) Storia delle origini; 2) Storia patriarcale; 3) Mosè/Esodo; 4) Sinai; 5) Deserto e conquista. Questi temi sarebbero quindi stati fusi fino a formare il Pentateuco.
Altre ipotesi:
- Narrazioni cristalizzate intorno ad avvenimenti importanti (es. Esodo)
- Narrazioni cristalizzate intorno ad un Capostipite di una tribù
- Narrazioni intorno agli eventi e al capostipite = Cicli di racconti
- Narrazioni intorno alle relazioni tra i gruppi = genealogie, fusione
di tradizioni e cicli.
Il problema rimane tuttora irrisolto.
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