Intervista al poeta G. Majorino

 

Barbara Pietroni: Parli spesso riferendoti ad una strana concezione, che ciascuno sia un singolo di molti. Che cosa significa?

Giancarlo Majorino: "Singoli di molti" significa che ciascuno non è semplicemente un’entità completamente a sé. Sbaglia chi lo ritiene. Va incontro a un guaio oltretutto, proprio per la felicità, diciamo. Ma anche chi vi abbia reagito, come tutta l’ideologia, poniamo, umanitaria in genere, comunista, ecc. pensando che noi siamo solo parti di un tutto, tiene troppo in sott'ordine una cosa essenziale che è la persona in sé. Da qui questa concezione, nel mio caso davvero sperimentata, comprovata frequentemente. A volte raffiguro me stesso come una specie di vampiro buono. Ciascuno di noi quindi si è formato e si forma ininterrottamente attraverso altri. 

Purtroppo la filosofia e altre discipline trascurano ancora questo fatto, che a me sembra della massima importanza, perché ha conseguenze enormi, in vari ambiti. Pensa cosa potrebbero diventare l’odio e la guerra in una concezione del genere. Pura cretineria, pura assurdità. Con gli altri bisogna entrare in rapporto, non ucciderli o usare violenza. Chi usa violenza già sbaglia di per sé. Il dato veramente elementare, con grandi possibilità di sviluppo è che la vita di ogni singola persona potrebbe così diventare la base di tutto. E’ un segreto ancora... Partire da lì: ogni vita è degna, ogni persona è degna, ogni cosa che leda la singola vita, la vita di ciascuno, è colpevole. Pensa che cosa succederebbe dei bombardamenti, del terrorismo, degli assassini... Tutto sbagliato. Ma non puoi correggerli aumentando le misure di sicurezza. Si dovrebbe piano piano, spostandosi dalla ronda delle false soluzioni, far ruotare tutto intorno ad una cosa del genere. Naturalmente è complicato, perché non siamo abituati a questo e anche perché esistono interessi potenti che prosperano proprio su orrori del genere. 

Persino la morte, voglio dire, che è la cosa più tremenda, ineluttabile, può ricevere una luce parziale da tale concezione, perché ciascuno in realtà – anche dopo morto – continua a vivere, continua a vivere attraverso quello che ha fatto, che ha detto, i suoi gesti, i modi del vestirsi, qualunque cosa. Siamo tutti imitatori continui. Facciamo finta di no, perché ci sembra una cosa secondaria, derivata, invece è una cosa bella, fondamentale. Ci imitiamo in continuazione. Per esempio, è morto recentemente un mio amico carissimo, un filosofo, Luciano Amodio ed io mi accorgo continuamente di usare suoi gesti, di avere confrontato e di continuare a confrontare mie idee con le sue, a volte addirittura copio anche i toni di voce, eccetera, eccetera, eccetera. Questa grande trascuranza e noncuranza che aveva per le carriere e il successo si sono incrociate con le mie. Io sono così, ma sono stato rafforzato dal fatto che le avesse lui. Quindi non esiste solo – come è detto in maniera stupenda dal Foscolo – un’eredità d’affetti. Non è solo che si vive in coloro che si è amati e che ci hanno amati, ma proprio in tutti quelli che si sono incrociati con noi e viceversa. 

Ecco “l’unica vita” è un concetto – io uso “concetticona” più che “concetto”, perché mi pare che oggi siamo così abituati all’immagine, è così evidente l’aspetto iconico della realtà, che a me piace pensare che i pensieri per essere davvero tali non possano essere più soltanto pensati, scritti o letti, ma anche espressi in un’immagine in sé evidente. I miei versi credo che tendano conseguentemente a suscitare immagini impastate di pensiero. E non è una debolezza, credo. Quindi i “concetticona” sono questi concetti del pensiero, che però mostrano anche, non argomentano solo, mostrano. Ecco, “l’unica vita” è per me un concetticona altrettanto forte. Ho sempre pensato che esista un’unica vita; sono ateo. La conseguenza però è che ogni minuto dell’unica vita va valorizzato al massimo, proprio perché è l’unico. Questo momento, il 23/4/2003, è l’unico che abbiamo. Siamo ancora totalmente disabituati a questa cosa, che invece secondo me va incorporata. E' quello che mi sforzo di fare in ciò che scrivo, in ciò che dico, in ciò che insegno. Non un’unica vita per forza in senso ateo. Ci possono essere i religiosi, i non credenti, non è questo il problema...

 

 

 

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Barbara Pietroni: Ecco, su questo punto rimango sempre un po’ perplessa, devo confessarlo. Sono ormai anni che partecipo alle tue serate di lettura, alle tue conferenze, alle tue lezioni e posso dire di avere acquistato familiarità con questo concetto o concetticona, come lo chiami tu, eppure mi risulta sempre un po’ difficile. Difficile non da capire a livello logico, ma da "avvicinare". Che càpiti di assorbire modi di fare, di parlare di altre persone è indiscusso. Anche a me è capitato spesso. Quello che mi gira in testa sotto forma di un grande punto di domanda è relativo al grado di incidenza sul singolo individuo di questi elementi-staffetta (come li definisci tu) che passano da una persona all’altra. Molti, secondo me, sono profondi, altrettanti però sono superficiali, sono meteore che toccano e scompaiono. Ma forse questo mio pensare deriva dal fatto che non possiedo quella tua bellissima concezione della superficie...

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Giancarlo Majorino: Io credo che incida a diversi livelli, su diversa scala. Uno dei miei versi che girano da sempre è quello che “la superficie non è l’opposto della profondità, ma la sua vice”. La profondità è sempre collegata alla superficie. Allora come mai un gesto ha incidenza davvero? Perché un gesto vuol dire molto. Anche in questo caso non siamo abituati a fondo. Per esempio, Kafka, che è stato proprio un grande maestro della letteratura, ma non solo della letteratura, ha quasi sempre personaggi di cui non chiarisce mai che cosa pensano, ma fa vedere i loro gesti e a volte i loro vestiti, perché ritiene che siano delle spie profonde di quello che uno è. 

Per cui a volte sottovalutiamo cose enormemente decisive. Naturalmente ci vuole anche un’immaginazione libera e molto ricca. Per quello che questo tempo è veramente mortificante e soprattutto i giovani, ma anche gli adulti, non sono allenati ad usare l’immaginazione, che è una facoltà stupenda. Non vuol dire il sogno ad occhi aperti del distratto che casca in un tombino mentre legge o guarda per aria. Vuol dire che i possibili stanno intorno alla realtà, ci sono sempre. Io e te siamo qui, potremmo andare da un’altra parte, potremmo fare altre cose. Quindi, una realtà che ha cinque o sei possibili, diciamo, possibilità se preferisci. Tutta la realtà è fatta così. E l’immaginazione aiuta a generare e a riconoscere le possibilità. Uno tutto dritto che si mette uno scopo e lo compie, rimuove un’infinità di cose. Scegliendo uno, perde due, tre sette, perde dieci, perde venti.

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SEZIONE: intervista   STATUS: completo   TEMPI DI LAVORAZIONE: dal 4/2003 al 2/2004

 

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