Ennio De
Giorgi, (Lecce 8 febbraio 1928, Pisa 25 ottobre 1996), uno dei più
grandi matematici italiani del secolo scorso, divenne noto nel mondo
scientifico quando, nel 1957, a soli 28 anni, risolse il XIX problema di Hilbert,
alla cui soluzione si erano dedicati per oltre mezzo secolo i più
importanti studiosi di matematica.
Docente alla Scuola Normale Superiore di Pisa dal 1959, con la sua
opera scientifica, dalle ricerche sulle equazioni alle derivate
parziali, al calcolo delle variazioni, alla teoria geometrica della
misura, fino agli ultimi studi di logica e fondamenti della scienza,
aprì prospettive prima inimmaginabili alla matematica mondiale.
Ricevette numerosi e prestigiosi premi e riconoscimenti tra i quali,
nel 1973, il premio Presidente della Repubblica dall'Accademia dei
Lincei e, nel 1990, il prestigioso Premio Wolf a Tel Aviv.
Fu socio, tra le altre, dell'Accedemia Nazionale dei Lincei, della
Pontificia Accademia delle Scienze e, dal 1995, dell'Académie des
Sciences e della Academy of Sciences degli Stati Uniti.
Oltre che un grande matematico fu un uomo di grande umanità, fede e
impegno civile. Grande era la sua disponibilità nei confronti di
chiunque avesse bisogno dei suoi consigli, del suo tempo o del suo
denaro. Dalla fede profonda, rifletté molto sul rapporto tra scienza
e fede. Sostenitore della responsabilità degli uomini di cultura nel
promuovere l'amicizia e la comprensione tra i popoli e nel prevenire
le guerre, riteneva la Dichiarazione Universale dei Diritti
dell'Uomo un documento internazionale di notevolissima importanza.
Dedicò notevole impegno alla difesa dei diritti dell'uomo (molti dei
suoi appelli e interventi sono raccolti in Ennio De Giorgi, Anche la
scienza ha bisogno di sognare, a cura di Franco Bassani, Antonio
Marino, Carlo Sbordone, Pisa, 2001). Quale socio di Amnesty
International fin dai primi anni settanta, si adoperò attivamente
per la liberazione di altri matematici quali il russo Leonid Pliusc
e l'uruguaiano José Louis Massera.
Bibliografia
(parziale)
[Riflessioni] E. De Giorgi, Riflessioni su
Matematica e Sapienza.
[Quaderni dell'accademia pontaniana], 18 (a cura di A. Marino e C.
Sbordone, accademia pontaniana, 1996.
Alcune sue riflessioni anche al
di fuori della matematica
Oggi vi sono uomini che hanno un
potere assai più grande del potere che aveva un re ai tempi di
Salomone, dobbiamo augurarci che tutti abbiano un'uguale umiltà e
desiderio di sapienza.
[Riflessioni, pag. 75]
All'inizio e alla fine abbiamo il
mistero. Potremmo dire che abbiamo il disegno di Dio. A questo
mistero la matematica ci avvicina, senza penetrarlo.
[Riflessioni, pag. ?]
Quello che non so e' quasi tutto.
Quello che so è qualcosa che, per quanto limitato, è però
importante.
[Riflessioni, pag. ?]
La divulgazione della Matematica è
difficile anche perché vi sono molte persone di buona cultura che
sono convinte di non essere in grado di capirla, nemmeno nelle sue
linee più generali. Fra gli stessi matematici molti non hanno
fiducia nella possibilità di comunicare ai non esperti problemi e
risultati del loro lavoro, e ritengono anche che la stessa
riflessione sul pensiero matematico nel suo complesso debba essere
riservata a pochi specialisti, logici, epistemologi, eccetera.
Penso che i matematici debbano reagire contro questa sfiducia.
[Riflessioni, pag. 46]
Posso solo ricordare che il primo dei
libri sapienziali della Bibbia, il Libro dei Proverbi, invita tutti
alla ricerca della sapienza, ci dice che la Sapienza ama chi la ama
e si fa trovare da chi la cerca.
(Prov. VIII, 17)
[Riflessioni, pag. 76]
Tratto da
"Città nuova", 6, 1997 e da:
http://it.wikipedia.org/wiki/Ennio_De_Giorgi
Ennio de
Giorgi (1928-1996) - I giovani e
la matematica (1979)
Da
Ennio De Giorgi tra scienza e fede,
a cura di D. Pallara e M. Spedicato, Edizioni Panico, Galatina 2007,
pp. 179-187.
A differenza
del ragazzo inclinato verso gli studi di fisica, ingegneria,
biologia, economia, filosofia, lo studente portato alla matematica
non trova nei giornali, nella televisione, nell’opinione pubblica
molto incoraggiamento a proseguire nello studio della Matematica,
che sembra un po’ lontana dallo sviluppo della cultura e della vita
contemporanea. Qualche incoraggiamento può venirgli dalla pratica
acquisita nel campo dei calcolatori che per lo più i giovani
imparano u maneggiare molto più rapidamente degli adulti. Ma anche
in questo campo resta un po’ un equivoco di fondo sui rapporti tra
matematica e informatica, la cui definizione è abbastanza difficile
così come è difficile definire con chiarezza i rapporti tra la
“Matematica pura” e la “Matematica applicata” o meglio ancora tra
Matematica e altri rami del sapere.
Penso che
tutte queste difficoltà derivino in parte dallo scarso interesse dei
mass-media per la matematica, in parte. da una certa sfiducia dei
matematici nel valore della loro scienza, nella possibilità di
comunicarla, nell’arricchimento umano che potrebbe venire a tutta la
società da questa comunicazione.
Gli stessi
matematici in fondo sono spesso rassegnati all’idea che la loro
disciplina sia troppo formale ed astratta per suscitare un vero
entusiasmo paragonabile a quello che possono suscitare la musica, la
pittura, quel vero interesse per la vita e i problemi quotidiani
degli individui, delle famiglie, dei popoli che è all’origine del
lavoro di un economista, un giurista, o uno storico.
Per questo
cercherò di segnalare alcuni aspetti di quello che io chiamo il
valore sapienziale della Matematica, intendendo la parola sapienza
nel suo significato più ampio, che comprende scienza e arte,
immaginazione e ragionamento, giustizia e misericordia, prudenza e
generosità, desiderio di comunicare le proprie idee e di comprendere
le idee altrui in una atmosfera di fraterna fiducia.
Da questo
punto di vista mi sembra importante il fatto che i matematici siano
riusciti a sviluppare un linguaggio e un sistema di idee facilmente
comunicabili tra persone di diverse nazioni, religioni, culture, che
forse i matematici, quasi senza accorgersene, siano riusciti a
superare tante barriere che ancora dividono gli uomini. Si può
aggiungere che in fondo ogni persona naturalmente dotata di
attitudine alla matematica può abbastanza rapidamente raggiungere
degli ottimi risultati anche se parte da basi culturali molto
limitate, che degli studi matematici di ottimo livello possono
essere condotti anche in paesi economicamente poveri e tecnicamente
arretrati, che la matematica meglio di altre discipline può essere
per così dire “innestata” su tutte le culture, può attrarre sia
persone con mentalità più pratica e più attiva che trovano nella
matematica un potente strumento di lavoro, una potente forza di
progresso, sia persone con mentalità più teorica e contemplativa che
in fondo trovano nella matematica le occasioni più ricche di
riflessione e di contemplazione del tutto disinteressate.
Si potrebbe
dire qualcosa di più: per esempio che tutta la matematica pura ed
applicata è un continuo passaggio dal concreto all’astratto e
dall’astratto al concreto, che le teorie rimandano agli esempi e gli
esempi rimandano alle teorie.
Potremmo dire
che, pur rispettando la varietà dei caratteri e delle doti naturali
delle diverse persone, una meditazione sulla matematica ci dice che
il mondo concreto e il mondo dei principi astratti non possono
essere separati, che la saggezza è soprattutto armonica intesa tra
persone più o meno portate all’azione o alla contemplazione, alla
concretezza o all’astrazione, ma ugualmente convinte della necessità
di capirsi e di collaborare.
Oltre ad una
reale possibilità di comprensione tra uomini dello stesso tempo
penso che la matematica offra singolari possibilità di comprensione
tra uomini di epoche diverse, che l’innovazione matematica è forse
la meno “distruttiva” tra le diverse forme di innovazione proprie di
altre discipline e di altre attività umane.
Dopo millenni,
i teoremi di Pitagora, Talete, Euclide, Archimede sono ancora
pienamente validi, anche se con il progresso della Matematica è
cambiato il linguaggio in cui vengono esposti e si è molto allargato
il quadro generale in cui vengono presentati. Egualmente la scoperta
delle geometrie non euclidee nulla ha tolto all’importanza della
geometria euclidea, anche se ha molto allargato il campo delle
realtà che la matematica cerca di esplorare. Avendo usato la parola
“realtà” si può aggiungere che gli enti considerati in matematica,
la loro natura, reale o ideale, convenzionale, attuale o potenziale
etc., sono sempre stati tra gli oggetti più interessanti della
riflessione filosofica e mi dispiace solo di non avere le cognizioni
necessarie per dare un’idea sintetica di tutto ciò che i maggiori
filosofi hanno detto su questo argomento. Mi mancano pure le
cognizioni necessarie per parlare della storia della matematica e di
tutto ciò che essa ci può insegnare. Mi limiterò solo ad osservare
che talvolta anche grandi matematici hanno commesso qualche errore
nella dimostrazione di un teorema o per lo meno hanno fornito
dimostrazioni incomplete e poco soddisfacenti, anche rispetto alle
esigenze dell’epoca in cui sono state scritte. È invece assai
difficile che un grande matematico enunci teoremi complicati,
oscuri, poco interessanti, che in ultima analisi non meritano
nemmeno lo sforzo di affaticarsi a stabilire se le dimostrazioni
proposte siano corrette o no. Dirci che in fondo l’arte del
matematico è in primo luogo l’arte del buon testimone che cerca di
esporre con chiarezza le cose che sa e che ritiene importanti e solo
in un secondo momento è l’arte del buon avvocato capace di
convincere chi lo ascolta della verità di ciò che afferma. Con
questo non voglio sottovalutare l’interesse delle dimostrazioni
matematiche; con esse il matematico collega tra loro affermazioni
apparentemente lontane, arrivando ad una più profonda comprensione
delle idee fondamentali di una teoria, ai accorge che un gruppo di
assiomi apparentemente abbastanza povero può rivelarsi molto più
ricco di conseguenze interessanti di quanto non appaia da una prima
affrettata valutazione. Naturalmente il discorso può anche essere
rovesciato, da parte di chi tenta di introdurre nuovi concetti
matematici. La valutazione delle conseguenze di un determinato
gruppo di assiomi può anche indurre ad abbandonare una impostazione
che si riveli meno interessante del previsto e scegliere nuove vie
che si spera portino più lontano e raggiungano mete più
interessanti.
Uno degli
insegnamenti della ricerca matematica che credo abbia un valore
umano oltre che tecnico è la disponibilità che il ricercatore deve
mantenere di fronte agli sviluppi più impensati del suo lavoro, la
disponibilità a quello che in altre occasioni ho chiamato “lo
sfruttamento dell’insuccesso”. Accorgersi che una congettura la cui
dimostrazione è stata tentata con molti sforzi e con grande fatica è
falsa non è una tragedia, ma può essere anzi una buona occasione per
scoprire nuove direzioni di lavoro a priori impensate. Accorgersi
dell’errore e riconoscerlo è un atto di onestà intellettuale
senz’altro apprezzabile. Partire da questo riconoscimento per
riprendere con maggiore slancio nella proprio ricerca muovendosi
verso direzioni nuove e più promettenti è un atto di intelligenza
attraverso cui in fondo il ricercatore più moderno si ricollega alla
sapienza più antica, a Socrate che diceva di sapere di non sapere, a
re Salomone che chiedeva al Signore la saggezza necessaria a
dirigere un regno per il cui governo non si sentiva abbastanza
esperto.
Dovendo dare
un consiglio ad un giovane a cui piace la ricerca matematica, gli
raccomanderei di mantenere sempre una grande disponibilità ad uno
sbocco inatteso del suo lavoro, a pensare che una vera ricerca è
sempre quella di cui a priori non si può prevedere la conclusione.
Nello studio
dei problemi più difficili consiglierei sempre la tattica del
lavorare su due fronti: cercare da una parte la dimostrazione che un
certo teorema ritenuto interessante, è vero, cercare di trovare
controesempi i quali provino che l’enunciato di cui si è cercata la
dimostrazione è falso; le difficoltà incontrate in una direzione si
trasformano allora in aiuti per procedere nella direzione opposta.
Naturalmente
non è da escludere che vi siano teoremi interessanti apparentemente
refrattari sia alla dimostrazione che alla confutazione, per esempio
vi è il classico “ultimo teorema di Fermat” (1) il quale afferma che
se n è un intero maggiore di 2 non esistono tre interi positivi a,
b, c tali che an = bn+cn . In questo caso occorre che il matematico
non si disperi di fronte ai ripetuti insuccessi ma sappia godere
accorgendosi di aver trovato un “bel problema” dove nel termine “bel
problema” includiamo due aspetti: un enunciato semplice, chiaro,
elegante ed una grande difficoltà nello smentire o confermare
l’enunciato stesso. Alla contemplazione del bel problema il
matematico può unire sia la ricerca intorno ad argomenti diversi
abbastanza interessanti e meno difficili, sia le possibili
variazioni sullo stesso tema, che possono consistere tanto nella
considerazione di qualche caso particolare significativo che in
quella di una classe più generale in cui rientra il problema
precedente considerato. Non si può in genere dare una regola
assoluta per stabilire a quale livello di generalità il matematico
debba fermarsi, in questo entra in modo determinante quella dote
indefinibile che è il gusto matematico, e che rende il lavoro del
matematico partecipe un po’ del lavoro dell’artista e di quello
dello scienziato sperimentale.
Al pari
dell’artista il matematico cerca le soluzioni ed i problemi “più
belli”, ed armoniosi, al pari dello scienziato sperimentale il
matematico deve essere pronto a modificare le proprie ipotesi di
lavoro sulla bade dei risultati via via ottenuti.
Queste
attitudini sono importanti sia per il matematico che ha poca
familiarità con i moderni calcolatori sia per il matematico che
invece ha imparato a usare il suo calcolatore con la maestria con
cui un musicista suona il suo strumento preferito. Per questo
matematico il calcolatore non sarà mai un surrogato della
immaginazione e della fantasia, ma potrà essere nello stesso tempo
quello che per un musicista è un violino o un pianoforte e per uno
scienziato sperimentale un qualsiasi moderno apparecchio
scientifico.
Naturalmente,
se i calcolatori non sostituiscono ma accompagnano l’immaginazione
matematica, essi possono costituire a loro volta oggetto di
riflessione o eh idealizzazione matematica. L’esempio più classico
di idealizzazione delle macchine calcolatrici. noto anche ai
matematici che come me hanno assai scarse informazioni nel campo
della logica e dell’informatica, è la cosiddetta macchina di Turing.
In sostanza si tratta di una macchina ideale a prima vista molto più
semplice e meno potente delle macchine reali, ma dotata della
proprietà preziosa di poter lavorare per tempi comunque lunghi. In
termini un po’ grossolani potremmo immaginare che una macchina di
Turing possa lavorare per miliardi di miliardi di secoli e che noi
abbiamo la possibilità di considerare i risultati che la macchina
conseguirà dopo un lavoro così lungo.
Questa ipotesi
informale fantascientifica può essere trasformata in assiomi
matematici perfettamente formalizzabili e da essi seguono molti
teoremi interessanti riguardanti la vera macchina di Turing, che è
un ente matematico ideale caratterizzato come tutti gli enti
matematici da alcuni postulati da cui a loro volta seguono vari
teoremi.
Il discorso
fatto sui rapporti tra matematica e informatica può in parte
ripetersi studiando le relazioni tra informatica, scienze
sperimentali, tecnica, arti, filosofia ecc: il matematico può trarre
molte ispirazioni da tutti questi rami del sapere, ma deve avere
piena libertà di svilupparle secondo la propria sensibilità, la
logica interna e la tradizione di questa scienza, senza sentirsi
vincolato a introdurre soltanto gli oggetti che hanno “significato”
fisico, economico, biologico, etc.
Per esempio,
nel calcolo delle variazioni hanno un notevole interesse i problemi
del tipo ricerche di superfici minime liberamente “ispirati” allo
studio della forma delle bolle di sapone. Alcuni dei risultati più
recenti ed interessanti sulle superfici minime riguardano le
superfici immerse in spazi ad otto dimensioni o un numero di
dimensioni più grande di otto. Evidentemente si tratta di risultati
che non hanno una immediata interpretazione fisica, almeno
nell’ambito delle bolle di sapone, che sono evidentemente
realizzabili solo nello spazio fisico usuale a tre dimensioni.
Tuttavia non
si può mai escludere che oggetti matematici di cui inizialmente non
si conoscevano interpretazioni fisiche possano successivamente avere
interpretazioni fisiche del tutto inattese.
Per esempio
quando Apollonio studiò le sezioni coniche (comprendenti ellissi,
iperboli e parabole), nessuno poteva immaginare che molti secoli
dopo Keplero avrebbe mostrato che i pianeti si muovevano su orbite
ellittiche. Se è importante per il progresso della scienza che il
matematico possa sviluppare liberamente le suggestioni che
provengono da altre discipline, è ugualmente importante che lo
studioso di discipline sperimentali o il tecnico possano liberamente
scegliere il modello matematico più adatto alla descrizione
matematica dell’oggetto da essi studiato, cambiare i modelli di cui
le esperienze mostrano l’inadeguatezza, modificare ove occorre i
modelli proposti dalla letteratura matematica.
Il fisico, il
biologo, l’economista debbono sapere che la letteratura matematica
descrive ciò che si sa oggi degli enti matematici ma non ciò che si
potrebbe sapere e forse si saprà domani, e che la realizzazione di
queste possibilità può anche essere favorita dalle domande degli
scienziati sperimentali, i quali chiedono se si possono immaginare
oggetti dotati di certe proprietà.
In altri
termini le relazioni più fruttuose tra matematica ed altri rami del
sapere si possono avere quando da tutte le parti vi sia l’amore per
la propria disciplina, la coscienza delle sue caratteristiche e
della sua logica interna, della sua autonomia, la coscienza che
nell’ambito di ogni disciplina ciò che conosciamo è una parte
piccolissima di ciò che esiste e di ciò che potremmo sapere, la
coscienza che tutte le forme del sapere umano sono rami dell’unico
albero della sapienza e conservano la loro bellezza e fecondità se
non vengono separati dal tronco comune.
Questa
coscienza mi sembra opposta a ogni forma di riduzionismo antico e
moderno che in forme diverse pretende di imporre l’egemonia di una
disciplina su tutte le altre, per esempio lo scientismo, che tendeva
a imporre l’egemonia delle scienze matematiche, fisiche e naturali
oppure lo storicismo, che tende ad imporre una analoga egemonia
delle scienze storiche.
Ovviamente
questa affermazione e tutte le altre contenute in questo articolo,
non pretendono di costituire delle “dimostrazioni”, nel senso
matematico della parola, ma di indicare alcune tra le tante
considerazioni umanamente importanti che a mio avviso sono suggerite
dalla esperienza matematica.
Del resto gli
stessi matematici che sono d’accordo sull’enunciato e sulla
dimostrazione di un dato teorema, ritenuto da tutti molto
importante, possono avere idee diverse sulle ragioni di tale
importanza. Per esempio il classico teorema di Gödel sull’esistenza
di proposizioni indecidibili in aritmetica può essere letto per così
dire sia in chiave pessimistica che in chiave ottimistica. Il
pessimista dirà che il teorema di Gödel prova la debolezza della
ragione umana, la sua incapacità di conoscere perfettamente perfino
un oggetto familiare da millenni come l’insieme dei numeri naturali;
l’ottimista si rallegrerà constatando che questo teorema prova le
infinite potenzialità della matematica, dimostra che sarà sempre
possibile senza distruggere le teorie tradizionali proporre nuovi
assiomi o nuovi teorie originali molto ricche e interessanti.
La meditazione
su questo teorema e più in generale su tutta la storia passata della
matematica e le sue potenzialità ancora inesplorate può alla fine
portarci a conclusioni abbastanza simili a quelle cui era giunto
Pascal che parlava insieme della grandezza e della miseria
dell’uomo, della forza e della debolezza della ragione, raccomandava
nello stesso tempo le virtù dell’umiltà e della speranza. Non
pretendo che le mie opinioni sul significato “sapienziale”, sul
“valore umano” della “matematica pura” siano condivise da tutti i
matematici, molti dei quali preferiranno mettere l’accento sul
valore delle applicazioni della matematica o della didattica della
matematica; nelle prime si può riconoscere più facilmente il
contributo che il matematico può dare alla soluzione di problemi
umani urgenti, malattie, povertà, inquinamento etc., nella seconda
si potrà vedere il difficile impegno necessario per evitare che lo
studio sia per molti ragione di delusione, fastidio, sfiducia in sé
stessi e diventi invece per tutti, sia per i più dotati che per i
meno dotati, fattore importante di crescita umana così che tutti
arrivino a comprendere e amare questa disciplina nella massima
misura consentita dalle loro naturali inclinazioni. D’altra parte
può accadere che un ragazzo dotato di spiccate attitudini
matematiche, ma poco favorito da altri punti di vista (per esempio a
causa di condizioni sociali ed economiche sfavorevoli, difficili
situazioni familiari, cattiva salute, carattere timido e introverso,
ambiente ostile o poco accogliente etc.) raggiunga nella matematica
un successo che difficilmente otterrebbe in altri campi. Tra
l’altro, pur sapendo che i matematici non sono privi di umane
debolezze e possono, come tutti gli altri uomini sbagliare più o
meno in buona fede nei loro giudizi, è indubbiamente possibile nel
giudizio sui meriti di un matematico una obiettività maggiore di
quella che si può avere in altri campi, e anche una persona a priori
poco nota può ottener ripidamente la stima e l’ammirazione della
comunità matematica se dimostra un teorema molto bello. Ciò che vale
per gli individui vale del resto anche per i popoli; nazioni la cui
storia è stata assai tragica possono in breve tempo raggiungere
nella matematica il livello delle nazioni che la storia ha più
favorito, e questo successo può essere un importante fattore di
prestigio, fiducia in sé stessi, progresso tecnico e umano.
Egualmente si può notare che l’insegnamento della matematica non è
facile neanche nel proprio paese, nella propria città, nel proprio
ambiente culturale: esso richiede sempre intelligenza, sensibilità,
cultura, ma che d’altra parte le difficoltà crescono meno che per
altre discipline quando si passa a un paese lontano per lingue,
tradizioni, mentalità e cultura.
Probabilmente
la matematica e uno dei settori in cui la cooperazione
internazionale può avere maggiore successo o per lo meno incontrare
difficoltà minori di quelle che si incontrano in altri campi.
Del resto è
sempre vivo in Cina il ricordo di un famoso missionario cattolico,
Matteo Ricci, che portò ai cinesi la scienza europea e raggiunse una
profonda comprensione della cultura cinese attraverso un dialogo con
i dotti cinesi che ebbe come punto di partenza il comune interesse
per le applicazioni della matematica alla astronomia e alla
geografia.
Naturalmente
mi auguro che anche altri, matematici e non matematici, vogliano su
questa stessa rivista esporre altre idee sul senso di questa
esperienza e altre interpretazioni, in modo che attraverso un
confronto su idee diverse possa meglio emergere il significato umano
della matematica, che a mio avviso è più ricco di quanto comunemente
si crede. Per esempio penso che un confronto con le idee di persone
più lontane dalla matematica aiuterebbe a superare il pregiudizio
per cui questa disciplina studia soltanto gli aspetti quantitativi
della realtà e non quelli qualitativi.
Chi ha una
familiarità sia pur modesta con la matematica moderna sa che ormai i
risultati di carattere qualitativo sono assai più numerosi di quelli
di carattere quantitativo, che, nello studio di molti fenomeni e già
importante poter disporre di un modello matematico avente proprietà
qualitative simili a quelle del fenomeno considerato, anche in casi
i cui non è possibile disporre di dati abbastanza precisi e di
metodi di calcolo abbastanza potenti per arrivare a delle previsioni
quantitative soddisfacenti.
Se nella
ricerca scientifica non va troppo lontano chi rinuncia allo
“sfruttamento dell’insuccesso”, si arresta ancora prima chi rinuncia
allo sfruttamento del successo e si propone solo problemi
difficilissimi che non possono essere affrontati con i metodi
conosciuti e richiedono invenzioni di metodi del tutto nuovi.
Occorre anche saper adoperare con intelligenza i metodi conosciuti
nello studio di problemi abbastanza belli di media difficoltà.
L’unica cosa da evitare sono i problemi “brutti”, inventati solo
perché si possiede un metodo atto a risolverli.
Note:
Tra i documenti di E.
De Giorgi è stato trovato l’inedito qui presentato (il titolo è del
curatore), scritto per la rivista di divulgazione «Angolo acuto,
Palestra per i Giovani appassionati di Matematica» (Firenze),
periodico mensile (a cura di Giuseppe Spinoso) fondato nel 1970 e
che ha cessato la pubblicazione nel 1979, data a cui probabilmente
risale questo scritto.
(1) L’ultimo teorema di
Fermat è stato dimostrato alcuni anni dopo la redazione del presente
articolo di Andrew Wiles, vedi: A. Wiles,
Modular elliptic curves and
Fermat’s last theorem, Ann. of Math. 141 (1995), pp. 443-551,
e R. Taylor, Ring-theoretic
properties of certain Hecke algebras, Ann. of Math. 141
(1995), pp. 553-572.
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