A cura del
Gruppo di ricerca
storico-archeologica
del
Centro Culturale Anzolese
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Anzola Emilia
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Anzola
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Antico
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Anzola dell'Emilia, storia
e curiosità
Fino a una trentina d’anni fa, era abbastanza
diffusa la convinzione che il
paese avesse avuto degli insediamenti abitativi solo dopo la “centuriazione”
romana del territorio padano, e che il primo consistente villaggio
basso-Medievale si fosse aggregato all’interno della cinta muraria del
“castello di Unciola”, fra il X° e l’XI° secolo.
Per la verità, alcuni scavi effettuati dall’anzolese Torquato Costa (la cui
figura sarà tratteggiata più avanti) avevano riportato alla luce dei reperti
archeologici che presumevano degli insediamenti abitativi già in epoca
pre-romana, ma la casualità dei ritrovamenti non aveva consentito di
approfondire la loro datazione in modo più preciso, anche se l’intuizione che
nel territorio adiacente all’attuale via Emilia (Zona Palazzina di Sopra e
Palazzina di Sotto, zona Confortino e zona Cà Rossa ad Anzola) vi potessero
essere degli antichi villaggi dell’età del ferro (3.000-3.200 anni fa) veniva
presa in seria considerazione.
Ipotesi dell'antico
insediamento anzolese di 3000 -3200 anni fa |
Sarà solo negli anni fra il 1981 e il 1982, che alcuni ritrovamenti casuali
effettuati dagli anzolesi Claudio Chiarini, An
na Zucchelli, Stefano Veronesi, Giovanni Albertini
e Nadia Guidetti (ritrovamenti conseguenti alle opere di scavo delle fondamenta
dello stabile di via Calanchi - via XXV aprile e prontamente segnalati alle
Autorità competenti) creeranno i presupposti per una campagna di scavi iniziata
una decina di anni dopo.
L’area interessata dagli scavi fece riaffiorare una quantità molto consistente
di ceramiche, ed altre suppellettili, a testimoniare l’esistenza di un
insediamento abitativo da considerarsi come un vero e proprio“villaggio
terramaricolo”. Quindi, si possono oggi avanzare alcune ipotesi anche se un po’
ardite: la prima, che la via Emilia non sia stata costruita completamente dai
romani, ma che questi ultimi abbiano allargato, sistemato e resa agevole un
tracciato viario che, seppure in forma primitiva, probabilmente esisteva già. La
seconda, che l’abbandono delle terre anzolesi a nord della via Emilia sia stato
causato dalla grande crisi che seguì la caduta dell’Impero romano e
dall’invasione dei barbari provenienti dal nord Europa, nonchè dal progressivo
allagamento delle campagne dovuto alla non manutenzione dei corsi d’acqua e alla
particolarità del terreno pianeggiante ed argilloso. La terza, che il
progressivo ripopolamento della campagna dovuto all’opera di bonifica dei monaci
benedettini intorno all’anno Mille, abbia ridato vita e fertilità a zone abitate
fin dai primordi.
La
ricostruzione delle abitazioni dell’epoca è, chiaramente, su basi
ipotetiche, ricavata dall’analisi dei dati rilevati dagli scavi e dalla
posizione di ciò che si presume fossero i pali di sostegno delle capanne.
I villaggi avevano una dimensione iniziale di circa 2 ettari, aumentata
successivamente fino a 15/20 ettari per consentire la costituzione di
aggregati con un’economia più complessa e con maggiori possibilità di
difesa.
Gli insediamenti erano costituiti da abitazioni a probabile carattere
unifamiliare, di pianta quadrangolare, con lunghezze che variavano da 8/9
metri fino a 20 metri. La pavimentazione era di terra battuta, con pareti “a
graticcio” intonacato, e tetto di paglia sorretto da pali.
Una caratteristica di tutte le capanne era quella di essere sollevate da
terra, per meglio difendersi dagli animali, dall’umidità e dalle acque.
L’immagine di questa capanna è ricavata dalla ricostruzione di case della
Terramara di Montale, in provincia di Modena
Sistema di difesa: fossato e palizzata |
In questa ricostruzione
grafica è rappresentato il sistema difensivo dell’ipotetico villaggio di
Anzola, costituito da un fossato colmo di acqua che lo circondava
completamente. Vi era, inoltre, una palizzata che dava ulteriore sicurezza e
sorreggeva una delle grandi porte che regolavano l’accesso al villaggio.
Da considerare che questo antico sistema di organizzazione e difesa degli
insediamenti abitativi umani, durerà fino agli anni in cui l’avvento delle
artiglierie renderà obsoleti i castelli protetti da mura possenti (secolo
XVII d.C.).
La ricostruzione del sistema fossato-terrapieno-palizzata-porta d’ingresso,
è ricavata dal parco archeologico di Montale, in provincia di Modena |
Questa immagine popone la
ricostruzione ambientale dell’area prospiciente il villaggio terramaricolo
di Anzola. E’ vista da nord-ovest (cioè dall’attuale borgata Martignone).
Il sostentamento alimentare era garantito dalla caccia e dalle prime
organizzate forme di sfruttamento agricolo del terreno, che si avvaleva di
attrezzi per dissodare il terreno (aratri e vomeri) composti da legno e
corna di animali come il cervo, nonché degli animali (bovini) largamente
utilizzati nell’aratura dei campi.
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I terreni adatti alle coltivazioni venivano ricavati dal disboscamento di
ampie zone con boschi o foreste, utilizzando il legname per la costruzione
dei villaggi e destinando le radure alle coltivazioni dei cereali (quali
grano, orzo e miglio) e degli ortaggi.
L’attività agricola si avvaleva di tecniche che
entreranno nella plurimillenaria tradizione colonica locale, quali lo
sfruttamento intensivo dei terreni attraverso l’uso di strumentazioni (seppure
primitive) adatte alle singole colture (falcetti, picconcini, zappe…), e la
rotazione periodica delle specie seminate. Quest’ultima tecnica, ancora oggi
largamente usata nelle campagne, consentiva di mantenere elevata la produttività
del terreno.
L’alimentazione era integrata anche dal consumo dei frutti selvatici, come le
mele selvatiche, le ciliegie e le more, che nascevano in modo spontaneo.
Accanto allo sviluppo dell’agricoltura nascono le prime, seppure rozze e
primitive, tecniche per trasformare i semi dei cereali in farine commestibili,
attraverso l’uso di grandi “macine in pietra” che trituravano i semi tramite il
loro ripetuto schiacciamento. E questo poteva avvenire all’esterno della
famiglia per grandi quantità, o all’interno di essa per modiche quantità. Ancora
oggi, presso i popoli più primitivi, l’attività delle donne è largamente
dedicata a questo aspetto della nutrizione familiare.
Gli scavi attuati nella
zona archeologica hanno riportato alla luce oggetti ornamentali composti da
ceramiche o da gusci di molluschi fossili, nonchè parti di attrezzi per il
lavoro dei campi, ed oggetti di uso domestico, ottenuti dalla lavorazione
delle corna degli animali selvatici che in quel tempo popolavano la zona
(quali cervi, ed altri ungulati…).
Ma la quantità più ampia e interessante dei reperti è costituita da migliaia
di manufatti ceramici, composti da argilla lavorata a mano, essiccata e
cotta con il calore del fuoco, che costituiscono il vero “tesoro” degli
scavi anzolesi. I pezzi ritrovati integri, o parzialmente integri, sono
pochissimi, ma costituiscono una gamma talmente vasta ed eloquente degli usi
etnici e tribali dell’età del Bronzo, che se attentamente studiati
rappresentano un interessantissimo quadro dei costumi e delle tecniche degli
anzolesi di 3.000 anni fa.
I prodotti ceramici dell’epoca si dividevano essenzialmente in due grandi
categorie, e ognuna rispondeva ad usi molto diversi. Vi erano i vasi
destinati al consumo di cibi e bevande, ottenuti con un’impasto argilloso
fine, sottile, ben levigato e destinato a caratterizzare le scodelle, le
tazze, le ciotole, i boccali e le altre suppellettili del desco familiare o
collettivo. |
Oggetti rinvenuti negli scavi |
Gli orci, gli orcioli, i
tegami, i vasi, i pentolini e le scodelle usate per la cottura o conservazione
dei cibi e delle bevande, presentavano un’impasto più grossolano e superfici
molto più grezze.
Una caratteristica importante, e variamente assortita, è costituita dalle
decorazioni che abbellivano i vari tipi di ceramiche, differenziandosi in
abbellimenti grossolani, o molto fini, a seconda dell’uso a cui era destinato il
manufatto di terracotta.
Le decorazioni, inoltre, erano legate alla tradizione artigianale della tribù e
potevano variare molto fra una comunità e l’altra. Le “bugne” (grossi rilievi
posti sulla superficie esterna), parimenti ai “cordoni” che si intrecciavano in
motivi variamenti decorativi, erano caratteristici delle ceramiche ad impasto
grossolano, mentre le ceramiche più fini erano decorate con solcature (o
incisioni) ottenute usando le unghie, un piccolo ciottolo o strumenti di legno
od osso.
Ma la più ampia varietà di ceramiche ritrovate ad Anzola riguarda le anse delle
suppellettili in terracotta (cioè le loro impugnature, o più volgarmente, i
manici), che spaziano dalle forme più semplici a quelle più strane e decorative.
Esse potevano esse a nastro o a nastro rialzato, così come potevano assumere le
forme più varie e artisticamente complesse, con appendici o sopraelevazioni
plastiche che le abbellivano e le caricavano di significati tribali attinenti
alla caccia, ai bovini e al loro uso per rendere fertili i campi con l’aratura.
Un ipotetico capo di vestiario |
l ritrovamento ad Anzola di
numerosi “pesi” e fusaiole (in pietra e terracotta) utilizzati nei telai
primitivi, congiuntamente ad aghi e pettini da telaio in osso, fanno
presumere che in quella società primitiva si praticasse già la tessitura dei
filati, utilizzando largamente la lana.
Per la verità, i materiali organici come i tessuti non si ritrovano quasi
mai, se non in condizioni climatiche particolari (assenza dell’ossigeno che
ne favorisce la decomposizione, condizioni di grande aridità o in casi di
congelamento plurimillenario), quindi occorre ricostruire in modo
scientifico questo aspetto della vita primitiva.
La veste, o più propriamente il mantello, che presentiamo qui a lato, è
detto “abito di Muldbyerg” ed è chiaramente una ricostruzione ad uso
didattico. Comunque, la tessitura operata nel villaggio ritrovato ad Anzola
era su telaio verticale, e la tensione dei fili che componevano la trama del
futuro tessuto era ottenuta appendendo ai vari fili dei pesi di forme e
misure variabili, con un tipo di intreccio e lavorazione successiva che,
seppure modernizzato, si è praticato nelle campagne fino al secolo scorso.
Così come è importante il ritrovamento delle “fusaiole”, che avendo un buco
centrale che facilitava la bilanciatura e regolarità del fuso, testimoniano
come nella manifattura delle nostre campagne la tradizione avesse radici
addirittura pre-romane |
Camillo Costa, da tutti
conosciuto come Torquato, è stato il primo studioso e ricercatore anzolese
ad avere legato il proprio nome alle prime ricerche archeologiche nel nostro
territorio.
Nato ad Anzola il 28 luglio 1854 e morto il 19 marzo 1932, fu diversissimo
dal nonno e dal padre, che erano dei sagaci amministratori ed uomini
d’affari, e fin da ragazzo ebbe una spiccata sensibilità artistica e una
decisa volontà di conoscere tutto ciò che riguardava il passato delle nostre
terre, interessandosi con impegno e passione ai primi studi
sull’archeologia.
All’età di 16 anni si interessava già di antichità, raccogliendo frammenti
di coccio e di selci, e successivamente individuò ed esplorò diverse
terremare. O, quanto meno, quelle che egli definì terremare, non
dimenticando che purtroppo incorse in un errore nella loro datazione e li
descrisse come insediamenti dei Galli Boi.
Comunque, i reperti ritrovati lo spinsero ad intensificare le ricerche ed
approfondire gli studi sui ritrovamenti di altri ricercatori dell’epoca,
collaborando con essi dal 1873 (epoca che sotto l’aspetto archeologico era
ancora largamente pioneristica) al 1927, in qualità di membro effettivo
della Regia Deputazione di Storia Patria.
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Camillo Costa |
Il Periodo Romano: La costruzione della Via Emilia, La
centuriazione del territorio, gli insediamenti abitativo
Intorno al 1200 a.C., gli abitanti delle terremare abbandonarono lentamente le
nostre zone, forse in seguito a qualche mutamento geologico avvenuto altrove che
rese inospitale il territorio e lo trasformò in una zona semi-paludosa fino agli
anni dell’occupazione romana. E i recenti ritrovamenti archeologici ci dicono
che non vi furono successivi insediamenti significativi, o di una certa
consistenza, relativi alla civiltà villanoviana (età del Ferro, IX secolo a.C.
circa) o a quella degli etruschi.
Pietre miliari |
E’ solo con la “romanizzazione “ del territorio padano che avvengono anche
ad Anzola i primi sostanziali cambiamenti territoriali e sociali, poiché
dopo la fondazione della colonia chiamata Ariminum (Rimini), avvenuta nel
268 a.C. e trasformata nel punto di arrivo dell’antica via Flaminia (fatta
costruire dal censore Gaio Flaminio nel 220 a.C. collegando Roma a Rimini),
l’espansionismo romano si volse verso il nord fondando Placentia (Piacenza)
e Cremona (anno 190 a.C.), poste a controllo dei guadi più importanti sul
fiume Po.
Già nell’anno 187 a.C. il console Marco Emilio Lepido aveva dato inizio alla
rapida costruzione di una strada che proseguisse il tracciato della via
Flaminia dall’Adriatico al Po, con un tracciato che attraversava
completamente la valle Padana. Questa via Aemilia era una strada larga,
rettilinea, ben lastricata, adatta al rapido spostamento delle truppe e dei
carriaggi, e uscendo da Bononia verso Modena attraversava il territorio che
oggi compone il Comune di Anzola dell’Emilia.
Nell’immagine sono riprodotti due “miliari”, che altri non erano se non dei
cippi in pietra che venivano collocati ai lati della strada ogni milium
(corrispondente a circa 1478 metri). Essi recavano incisa la distanza di
quel punto da Roma, o da altre località, e il nome dell’imperatore, o
magistrato, che aveva fatto costruire la strada stessa.
Il miliario più piccolo ha incisa la distanza da Roma (pari a 268 miglia) e
il nome di Marco Emilio Lepido, e quello più grande (ritrovato nei pressi
del fiume Reno) riporta una lunga iscrizione che ricorda il riassetto della
via consolare da Rimini al fiume Trebbia, avvenuta nell’anno 2 a.C.
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L’espansionismo romano non
portò sulle nostre terre solo la dominazione militare, ma impose un riassetto
del territorio che interessò in modo principale le campagne e le terre
abbandonate e incolte.
Il disegno attuato fu quello di organizzare lo sfruttamento agricolo delle
campagne per fornire autosufficienza a queste ultime e a creare risorse per le
città, mentre queste ultime divennero dei grandi centri di servizi per il
contado.
Il metodo impiegato fu quello, già adottato con successo altrove, della
centuriazione, che consisteva nella divisione dei terreni mediante un reticolo
ortogonale (detto limites) che creava una maglia quadrata di circa 710 metri per
lato. Le aree venivano ulteriormente suddivise in parcelle da circa 2 jugeri
l’una ed assegnate alle famiglie coloniche per lo sfruttamento agricolo. E’
chiaro che le zone principalmente interessate furono quelle adiacenti alla via
Emilia, e le tracce dell’antico reticolo romano sono ancora oggi visibili in
molte divisioni poderali anzolesi.
Soggetti privilegiati di queste assegnazioni di terreni furono i legionari
veterani, che dopo vent’anni di servizio avevano diritto a un lotto coltivabile.
Nell'immagine a fianco sono
indicate le tracce della presenza romana nella zona dell’odierna via
Terremare, e in particolare nell’area che oggi costituisce il parcheggio del
supermercato Coop.
Nella zona già interessata dagli scavi archeologici sono state ritrovate le
tracce di un fossato romano contenente materiali di quel periodo, così come
sono riaffiorati i resti di due pavimenti in “opus signinum” (una specie di
palladiana dell’epoca) nel terreno oggi occupato dal giardino pubblico “A.Fantazzini”.
La campagna di scavi ha inoltre riportato alla luce un pozzo con un piano di
frammenti di laterizi (fra le ultime abitazioni e l’argine del torrente
Martignone) e un cumulo di laterizi di copertura (coppi e tegole),
identificati come ciò che restava dal probabile crollo di un’abitazione
strutturata in legno.
A puro titolo di curiosità,
indichiamo che l’attuale fonte battesimale della chiesa parrocchiale del
capoluogo pare non sia nato come tale, ma adattato a questa funzione da un
reperto artistico molto antico, forse risalente al periodo tardo-romano.
Infatti, esso è una delle pochissime cose che rimangono dell’antichissima
chiesa plebanale di Anzola, della quale si parla già nel secolo XII° e
ricostruita a partire dal 1638, e la foggia artistica del fonte battesimale,
così come l’assenza nelle sculture di simboli della liturgia cristiana,
tende ad avvalorare questa ipotesi. Che è, ripetiamo, solo un’ipotesi.
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Il Medioevo dal X° al
XIV° secolo: Il Castello,
la Chiesa, La famiglia Orsi
In questa antica mappa dei
primi anni dell’Ottocento, sono integralmente riportate le strutture
dell’antico castello d’Anzola, con le tracce del fossato (indicate con i
numeri 259,256 e 267), il complesso della chiesa parrocchiale (indicata con
le lettere A,B,D), una delle quattro torri (indicata con il numero 268),
l’edificio dell’Ospitale del castello (oggi casa Costa ed indicato con il
numero 261), e le antiche scuderie (indicate con il numero 264).
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Le origini del castello sono in parte documentate e in parte molto legate
alla fantasia popolare, ma resta il fatto che di esso si fa menzione in un
documento dell’anno 888, anche se in quel tempo esso era probabilmente
costituito da una semplice piazzaforte fortificata.
La costruzione del castello in muratura, nella classica tipologia dei
manieri difensivi medioevali, pare risalga al XIII secolo e comprendeva la
prima chiesa, il palazzo del castellano, le abitazioni dei soldati,
l’edificio oggi rimasto e denominato Ospitale o Palazzazzo, e quattro torri
delle quali ne è rimasta una sola. |
Nei documenti d’epoca
Medievale, il castello è sempre indicato come “castello d’Unciola”, e il
Calindri indica l’antico toponimo come riferito all’usanza di dividere i fondi
agricoli in “once”, o parti di once – cioè onciole .
Questa unità di misura
lineare, nel XIX secolo costituiva ancora una frazione della “pertica
bolognese”.
Un’altra curiosità è costituita dal fatto che fino al XVI secolo il toponimo non
era scritto nella vulgata volgare di Unciola, ma era ancora indicato con la
grafia di origine latina che al posto della iniziale lettera U, poneva la
lettera V. Questo era causato dall’assenza della lettera U nell’alfabeto latino,
e parole come Università, Ugolino e Unciola le si indicavano con una V che si
esprimeva foneticamente come “uì”.
Questa ricostruzione
grafica di fantasia, eseguita dalla signora Luisa Malaguti del Centro
Culturale Anzolese, presenta quella che presumibilmente era la struttura
originaria del castello di Anzola.
Sono presenti le quattro torri, il muro perimetrale e la chiesa plebanale,
anche se quest’ultima è rappresentata con il campanile nella posizione che
occupava dopo la ricostruzione della chiesa avvenuta dell’anno 1638.
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Ricostruzione grafica di fantasia eseguita dal signor Antonio
Guarnotta, già responsabile del Gruppo di Ricerca Storico-Archeologica, e
dipinta dalla signora Luisa Malaguti del centro Culturale Anzolese. |
La strada che attraversa il complesso fortificato è l’odierna via Giovanni
Goldoni.
La Chiesa di Anzola da un
disegno del 1578 |
Questa immagine, ricavata
da un disegno redatto nell’anno 1578 dal padre domenicano Pellegrino Danti,
rappresenta la chiesa di S.Pietro d’Anzola com’era prima della sua
ricostruzione. La posizione del campanile indica che originalmente essa era
stata edificata seguendo la regola per cui l’abside doveva essere sempre
posizionata ad oriente (tipico delle chiese edificate fra il X e XIV secolo:
vedi i successivi disegni relativi alle chiese di S.Maria in Strada e
di Confortino), perché secondo la tradizione simbolica dell’epoca il
sole che sorge ad oriente rappresenta il Cristo che porta la Luce e scaccia
le Tenebre.
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Quindi, siccome le
absidi erano prevalentemente rifinite con delle finestre vetrate (o con
l’apertura centrale a forma circolare, posta superiormente alla volta detta
“catino absidale”), e architettonicamente collocate sopra al presbiterio e
all’Altare Maggiore, i raggi del sole che al mattino entravano dalle
finestre illuminavano l’altare e il Tabernacolo, creando un grande effetto
scenografico e simbolico.
Si può inoltre osservare, che mentre la posizione
del campanile conferma l‘ipotesi sopradescritta, l’ingresso è però collocato
sulla strada maestra e ad est, e questo a causa dei lavori di
ristrutturazione dell’edificio eseguiti nell’anno 1567, che praticamente
“voltarono” la chiesa e le diedero la conformazione che sarà poi confermata
nella riedificazione dell’anno 1638. |
La Chiesa di S. Maria in
Strada da un disegno del 1578 |
Abbiamo già spiegato come
le prime notizie relative al castello d’Anzola
risalgono al IX secolo, anche se in quel tempo
si trattava probabilmente di un semplice bastione fortificato e niente più.
E’ negli anni delle grandi lotte fra i guelfi bolognesi e i ghibellini
modenesi che aumenta l’importanza del castello, perché il suo controllo
militare costituiva in pratica il controllo della via Emilia che conduceva a
porta Stiera (oggi porta S.Felice) e a Bologna. Quindi, per anni il governo
bolognese contestò inutilmente ai Vescovi il possesso del castello, anche se
in pratica ne ottenne l’amministrazione militare e quella relativa alla
pubblica sicurezza, che veniva esercitata da cavalieri fedeli alla città e
al Senato felsineo.
I primi “castellani” furono probabilmente degli esponenti della famiglia
bolognese dei Guastavillani, il cui stemma nobiliare era costituito da due
serpenti attorcigliati su sé stessi e da due cerchi in campo azzurro, e fu
(sempre probabilmente…) compito loro sovraintendere alla trasformazione del
castello in un bastione in muratura fra il XII e il XIII secolo. Il frate
Cherubino Ghirardacci, nella sua opera “Della historia di Bologna”, scrive
che nell’anno 1300 morì un: “…bolognese detto Martinetto Guastavillani, che
già edificò l’hospitale di Anzola…” Va detto che l’edificio in oggetto è
oggi Casa Costa. |
Stemma Famiglia Guastavillani |
Ma i più noti “castellani” anzolesi furono gli esponenti della famiglia
bolognese Orsi, il cui stemma era costituito da un orso rampante in campo
azzurro, circondato da 12 “bisanti” d’oro, rappresentanti la ricchezza, o
l’abbondanza.
L’attuale stemma comunale di Anzola dell’Emilia deriva chiaramente da quello
degli Orsi.
Stemma della famiglia
Orsi |
Stemma del Comune di Anzola |
Il passaggio
dell’amministrazione del castello di Anzola dai Guastavillani agli Orsi, avvenne
molto probabilmente nella prima metà del XIII secolo e si consolidò certamente
dopo l’anno 1249.
Infatti, il rappresentante di quest’ultima famiglia che godette in quel tempo di
maggiore rinomanza storica, fu il cavaliere Michele degli Orsi, che con altri
compagni fece prigioniero il giovane re Enzo (figlio dell’imperatore tedesco, e
re di Sicilia, Federico II di Svevia) nella battaglia della Fossalta (piccola
località posta sulla via Emilia e alle porte di Modena) nell’anno 1249, e lo
detenne nella torre del castello di Anzola fino alla ultimazione dei lavori
negli appartamenti bolognesi che lo ospitarono fino alla morte.
La torre conosciuta come
“di re Enzo”, deve il nome all’essere stata il temporaneo luogo di
detenzione (o, meglio, di custodia…,) del giovane figlio dell’imperatore
Federico II, sconfitto e catturato dai bolognesi dopo la battaglia della
Fossalta.
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Egli fu ospite coatto nella torre dal 18 al 24 agosto 1249, per poi essere
trasferito nel palazzo bolognese in cui visse in dorata detenzione fino alla
morte.
Delle quattro torri di cui pare fosse dotato il castello di Anzola, questa è
l’unica sopravissuta alla distruzione pressochè totale avvenuta nell’anno
1630, dopo l’ennesimo scontro per il suo possesso e controllo militare.
Alla base è ancora visibile la porta d’accesso al castello, murata
probabilmente sul finire del Seicento o nei primi anni del secolo
successivo, allorchè la costruzione della nuova chiesa, e l’aumentato
traffico commerciale verso il mercato di S.Giovanni Persiceto, indusse i
barrocciai a percorrere un nuovo stradello che lambiva l’antica torre e
consentiva di superarla senza essere costretti a transitarvi sotto. Infatti,
la distruzione di ciò che restava delle sue mura aprì uno spazio fra la
torre e la nuova chiesa, e non essendovi ostacoli di sorta diventò una
normale strada di transito. Essa fu anche oggetto di lavori di sistemazione
e inghiaiazione nei primi anni dell’Ottocento, allorchè fu costruita la
prima parte del “vecchio” cimitero di via Goldoni, del quale rimangono le
mura perimetrali.
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I lavori di sistemazione
della casa annessa alla torre, già abitazione della maestra Renata Costa ed
oggi residenza della famiglia Bussoli-Gnudi, hanno riportato alla luce uno
dei passaggi di comunicazione fra la torre e il camminamento delle
sentinelle sulle mura.
Nel XIII secolo, il
castello e la chiesa di Anzola costituiscono il nucleo di una comunità
locale che presenta già una notevole importanza economica e militare.
A testimonianza di tutto ciò, l’archivio di Stato di Bologna è ricco di
documenti che, direttamente o indirettamente, interessano la nostra comunità.
Essi spaziano dalle questioni legali o politiche che riguardavano
i diritti di possesso del castello (sempre conteso fra il Vescovo e il
Comune di Bologna) alle controversie legali su chi avesse il diritto di
incamerare i proventi delle imposte che gravavano sulla popolazione rurale. Vi
sono poi atti riguardanti l’amministrazione della giustizia all’interno del
castello, e rogiti notarili su compravendite di case, o terreni, nel contado
di Anzola. |
Atto notarile del 1252 a cura del notaio "Albertus
filius Guidocti" |
Il primo atto che mostriamo, a titolo di curiosità, risale al 10 marzo 1252
e registra la vendita di terra fra i signori Guidolini e Nascimbeni, alla
presenza del notaio …” Albertus filius Guidocti…” di Anzola, il cui
contrassegno notarile è costituito dal disegno posto in alto a sinistra.
Oggi sarebbe il timbro personale del notaio.
La Chiesa, sia come luogo
di culto che come istituzione, ha sempre rappresentato un importante punto di
riferimento popolare non solo sotto l’aspetto religioso, ma anche in quanto
centro di aggregazione sociale, economica ed amministrativa. Quindi, non è
dovuto al caso se i borghi come Anzola sono nati intorno ad essa, e ancora oggi
sono largamente diffusi i modelli di vita che traggono origine dalla civiltà
cristiana, e cattolica in particolare.
L’organizzazione interna della Chiesa, e il suo essere contemporaneamente un
centro di vita sociale e religiosa, risponde largamente ad un modello
istituzionale che ha avuto il massimo punto di codificazione negli anni del
Concilio di Trento (1545-1563). Esso, infatti, non fu solo la risposta della
Chiesa romana alla Riforma protestante, ma rappresentò la fase iniziale di
quella grande riorganizzazione della vita liturgica ed ecclesiale che ci
consente di documentare, e spiegare ai giovani e vecchi anzolesi, molti aspetti
della vita sociale e religiosa del XVI secolo.
Dal XV°
al XVII° secolo: Le visite pastorale dei Vescovi, la nuova
Chiesa, il Borgo si sposta sulla Via Emilia
I deliberati conciliari
tridentini che maggiormente ci aiutano nella ricostruzione della vita
anzolese dell’epoca sono: l’istituzione dei registri in cui vengono annotati
i momenti principali dell’arco di vita dei parrocchiani (dal ricevimento dei
Sacramenti – battesimo, comunione, cresima, matrimonio…- alla registrazione
dell’atto di morte) e i verbali redatti dopo le periodiche “visite
pastorali” dei Vescovi bolognesi.
Cardinale Gabriele
Paleotti |
Per quanto riguarda i primi, è inutile soffermarci nel valorizzarne
l’importanza documentale, mentre vorremmo spendere due parole sulle “visite
pastorali”, per la verità cominciate agli inizi del Quattrocento ma più
approfonditamente conosciute dopo la metà del Cinquecento, con l’istituzione
degli appositi registri nelle parrocchie.La prima visita documentata alla
“Pieve di S.Pietro di Anzola” avviene nel 1425 da parte del cardinale Nicolò
Albergati, Vescovo di Bologna dal 1417, le cui risultanze furono trascritte
in atti notarili difficilmente consultabili. Lo stesso vale per la visita di
monsignor Agostino Zanetti, avvenuta nel 1543 in quanto vicario del
cardinale Alessandro Campeggi.
Le prime notizie veramente dettagliate sulla Pieve di Anzola, e sulla vita
religiosa della parrocchia, sono del padre gesuita Francesco Palmio che ne
fece un dettagliato resoconto nell’anno 1555.
Ma il principale riformatore della vita religiosa e sociale della diocesi fu
il cardinale Gabriele Paleotti, del quale proponiamo l’immagine
tratta da un’antica stampa, ordinato vescovo di Bologna nel 1566. Egli
riorganizzò in modo capillare e profondo tutto il governo della diocesi,
imponendo l’adozione di tutte le riforme deliberate dal Concilio di Trento
ed eliminando sia gli abusi del clero che lo strapotere delle numerosissime
Confraternite religiose
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Un’altro celeberrimo
vescovo bolognese fu il cardinale Prospero Lambertini, che resse la diocesi
dal 1731 al 1740, allorchè fu eletto al soglio pontificio con il nome di
Benedetto XIV. Egli conosceva bene Anzola per avere ripetutamente
soggiornato nel palazzo (di proprietà della Mensa arcivescovile) conosciuto
come la “Tomba del Vescovo”, ancora oggi esistente al termine di via
G.Garibaldi.
E che conoscesse bene il nostro paese lo si arguisce anche da
una battuta che Alfredo Testoni, autore nel 1905 della commedia “Il
cardinale Lambertini”, fa dire al futuro papa a chi intende carpirne la
buona fede: “oh, non sono micca il curato d’Anzola!”, intendendo con questo
mettere il risalto l’ingenuità che caratterizzava molti preti di campagna.
Prospero Lambertini era nato a Bologna nel 1675 e morì a Roma nel 1758. Si
recò in visita pastorale ad Anzola l’anno stesso in cui fu nominato vescovo,
e precisamente il 12 ottobre 1731, quando era arciprete della parrocchia don
Anton Giulio Vanti che l’amministrò dal 1717 al 1743.
I Lambertini erano una delle più antiche e blasonate famiglie bolognesi, e
il leone dello stemma originale fu sostituito nel 1390 per concessione della
casa regnante d’Aragona (Spagna). Infatti, il cavaliere Aldraghetto
Lambertini portò alla vittoria gli spagnoli a Valenza e nelle isole Baleari,
ed ebbe l’onore di fregiarsi dei colori dello stemma nazionale catalano
(giallo e rosso) che da allora (in bande verticali) costituirono lo stemma
della famiglia dei principi Lambertini.
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Cardinale Prospero
lambertini fu poi papa Benedetto XIV |
Il territorio di Anzola,
e i suoi principali punti di riferimento, sono disegnati nella “Carta della
Giurisdizione di Bologna”. Essa è un affresco facente parte di un ciclo
geo-iconografico realizzato tra il 1580 e il 1582 sotto la direzione del padre
domenicano Egnazio Danti, e si trova nella “Galleria delle carte geografiche” in
Vaticano.
In essa sono indicati il “passo di S.Giacomo (del Martignone)”, il “ponte” sul
Samoggia, il palazzo detto la “Tomba del vescovo”, il grande palazzo che si
trovava (e si trova tutt’oggi) al centro della Tenuta detta “il Confortino” (per
metà in parrocchia di Anzola e per metà in parrocchia di Calcara) e l’antica
Abbazia (o Badia) di S.Maria in Strada.
Non si fa alcun cenno né su Anzola né sulla chiesa, probabilmente perché nella
seconda metà del XVI secolo quello che oggi costituisce il borgo capoluogo si
limitava alla presenza di tre palazzotti sulla via Emilia (fra i quali
un’osteria, che non avrebbe certo trovato posto in un affresco del genere…), il
castello viveva ormai la fase finale del suo declino e la chiesa era una normale
Pieve della campagna bolognese.
Anzola, fino alla prima metà del secolo scorso, era poca cosa sotto l’aspetto
urbanistico, e la sua relativa importanza era costituita unicamente dall’essere
posta sulla via Emilia e dalla campagna circostante. Diversamente da altri paesi
confinanti, anche di piccole proporzioni, da noi non c’era un “centro”, o una
“piazza”, in cui identificare il borgo e la sua gente, e il punto principale di
aggregazione sociale era la chiesa: con i suoi riti, le sue tradizioni, le sue
festività ricorrenti che la gente celebrava insieme.
Questi quattro disegni rappresentano la ricostruzione grafica di come si
presentava Anzola ad un viaggiatore della seconda metà dell’Ottocento
l’antica “via della Chiesa”, o “via d’Anzola”, con l’ala di ponente del
palazzo in cui era la sede municipale
(recentemente abbattuto e completamente ricostruito), ed è
visibile il cancello d’ingresso al cortile interno del Comune |
ricostruzione del borgo centrale come lo avrebbe visto un viaggiatore
proveniente da Modena (la freccia indica l’allora sede municipale)
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Qui è
visibile il complesso di fabbricati con la sede municipale, le
abitazioni sulla via Emilia e l’osteria e locanda del capoluogo
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Ricostruzione del
borgo centrale visto dall’alto. Come si può facilmente notare, i fabbricati
che si affacciavano sulla via Emilia erano la parte centrale (con abitazione
padronale) di complessi agricoli che si sviluppavano all’interno del paese
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Oggi la
Chiesa di Anzola continua ad
essere un punto di riferimento importante per la Comunità. Con la recente
costruzione della Casa dell'Accoglienza, la comunità anzolese si è aperta
maggiormente ai bisogni delle famiglie locali ed immigrate dando il necessario
sostegno per superare i momenti di difficoltà. Le tensioni nate
durante gli anni del fascismo che videro la popolazione locale divisa tra
attivisti del partito fascista e partigiani, ancora vive fino a pochi decenni
orsono si stanno lentamente esaurendo lasciando spazio alla cordialità e
socializzazione.(ndr)
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