la chiesa di S. Vito a Morsasco

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A cura di

arch. Antonella Caldini

arch. Grazia Finocchiaro

dott. M.Cristina Ruggieri



Indice 

Il Progetto

Datazone

Indagine storica

Analisi  degli affreschi

Restauro degli affreschi

Rilievi Termoigrometrici

Consolidamento


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Morsasco


Sommario della Sezione:

Principi di Restauro

Il Laboratorio

Schede  tecniche

Ricettario

Glossario

 

LA CHIESA DI SAN VITO A MORSASCO.
INDAGINE STORICA.

La chiesetta di San Vito a Morsasco è il più antico edificio religioso presente sul territorio, probabilmente precedente lo stesso insediamento abitato, da cui dista circa un chilometro. La sua fondazione è ragionevolmente attribuibile all'età romanica, mentre non è possibile datarla con maggior precisione, vista la totale assenza di fonti documentarie precedenti l'epoca contro-riformistica e i continui rimaneggiamenti cui l'edificio è stato sottoposto nel corso dei secoli. L'analisi architettonica della piccola costruzione, e in particolare dell'abside, consente però di effettuare interessanti confronti tipologici e stilistici con edifici analoghi esistenti nella zona, che rendono giustificabile una datazione compresa tra la fine dell'XI secolo e la metà del successivo.

Per quanto riguarda, invece, l'analisi documentaria, è stato possibile desumere qualche informazione, relativamente al periodo compreso tra la fondazione e la seconda metà del Cinquecento, dalle complesse e tormentate vicende storiche che caratterizzano le terre del Monferrato. Le prime notizie certe relative a Morsasco risalgono infatti al 1224, anno in cui la Repubblica di Genova, allora proprietaria del feudo, ne cede metà ai marchesi del Bosco. È verosimile che a tale data la chiesa di San Vito esista già, come lascia credere sia il titolo, antichissimo (chiese e cappelle dedicate al santo sorgono in tutto il Settentrione a partire dall'XI secolo), sia le fonti documentarie attestanti come questa sia la primitiva chiesa parrocchiale.

 

San Vito e San Vittore

A proposito dell'intestazione della chiesa, va notato che, sebbene essa sia inequivocabilmente dedicata a San Vito, già attorno al Quattrocento si manifestano le prime confusioni con la figura e il culto di San Vittore, particolarmente venerato in tutta la regione lombarda e soprattutto a Milano, dalla cui diocesi dipendeva quella di Acqui. L'equivocato culto potrebbe essere stato agevolato sia dal fatto che in Piemonte i due martiri sono oggetto di una forte devozione popolare e, soprattutto, contadina (il primo invocato contro numerose malattie, tra cui l'idrofobia e l'isterismo; il secondo, protettore dei carcerati e degli esuli, è scongiurato per tenere lontani gli animali feroci dalle stalle e dai luoghi abitati), sia dall'affinità fonetica tra i due nomi pronunciati in dialetto ("Vito" e "Vitor"). In ogni caso, se il patrono della popolazione di Morsasco è San Vito, la sua festa, "per voto antico di comunità", cade l'8 maggio, canonicamente giorno di San Vittore.

Considerato il luogo leggermente sopraelevato su cui essa sorge, in corrispondenza di un bivio della strada che collega Morsasco a Cima Malfatta, difficilmente questa originaria chiesa campestre avrebbe potuto essere più grande o molto differente da quella attuale, ma sarebbe arduo stabilire il suo iniziale aspetto. Si può pensare che avesse un'aula di dimensioni contenute, con poche e strette aperture laterali (forse su un solo lato), oltre alle tre feritoie absidali, una copertura non voltata, nessun portico né torre campanaria.

Nel corso dei secoli successivi, la chiesa subisce vari interventi di piccola ristrutturazione, come testimonia la conformazione della tessitura muraria, con evidenti segni di saldature, aggiunte, ammorsature. In particolare, la zona absidale è interessata da uno o più grandi crolli, che hanno potuto provocare una risistemazione anche massiccia dell'edificio religioso, forse prolungato nelle sue pareti laterali: la cortina muraria interna dell'emiciclo absidale, più o meno sino all'altezza delle strette aperture monofore, è costituita da grossi e lunghi conci di pietra arenaria, disposti secondo corsi abbastanza regolari in senso orizzontale; al di sopra di questo livello, e soprattutto in corrispondenza dell'affresco centrale, il materiale e la tecnica costruttiva palesano indubbiamente un intervento edilizio posteriore (materiale di recupero, rari pezzi di mattoni con scaglie o pietre di piccola pezzatura in abbondante malta).

 

Tale operazione precede certamente la fine del XV secolo, epoca cui si può far risalire con buona approssimazione l'esecuzione delle raffigurazioni ad affresco ancor oggi visibili che in parte coprono la zona absidale ricostruita. Da quel che resta della loro originaria disposizione si può ipotizzare che rivestissero l'intero catino absidale, proseguendo la decorazione negli sguanci a doppia strombatura delle finestre e nella nicchia degli arredi sacri, dove permangono alcune tracce d'intonaco colorato.

L'immagine principale, per la cui realizzazione è stata tamponata l'apertura monofora centrale, rappresenta la Madonna e, presumibilmente, San Giovanni ai piedi della Croce, tra Sant'Antonio Abate ed un santo cavaliere d'incerta identificazione (San Bovo o San Vittore). Sullo sfondo si scorgono le mura turrite di Gerusalemme, mentre la base del monte Calvario, come pure l'immagine di Giovanni e il cielo sovrastante, sono scarsamente leggibili.

L'altro affresco superstite, alla sinistra dell'altare, ritrae una Madonna in trono col Bambino in braccio, la cui conservazione versa oggi in condizioni leggermente migliori.

Di questi interessanti lacerti di una estesa decorazione d'età tardogotica, però, non si trovano che vaghi riferimenti nei documenti d'archivio reperiti.
Il primo atto d'archivio recuperato, relativo alla pieve di San Vito, è datato al 10 giugno 1585, quando il visitatore apostolico monsignor Monsiglio si trova a passare per il feudo di Morsasco, allora appartenente ai conti di Gavi. L'edificio, non più parrocchiale come un tempo, è in un tale stato di degrado che il vescovo consiglia alla comunità un urgente intervento di restauro delle mura, della pavimentazione e della copertura. È ragionevole pensare che, avendo la chiesa perso gradualmente importanza in seguito all'edificazione dell'attuale parrocchia di San Bartolomeo (edificata non prima del XVI secolo), i danni provocati dalle condizioni meteorologiche, non più arginati da una ordinaria manutenzione, l'avessero resa pressoché inservibile. Della decorazione interna non si fa alcun cenno ed anzi si raccomanda di imbiancare totalmente le murature interne.
L'assenza di un qualsiasi riferimento agli affreschi è singolare, sia perché nel corso dei secoli successivi essi vengono generalmente notati e descritti, sia in considerazione del tipo di esame cui chiese, cappelle e parrocchie vengono sottoposte dai visitatori apostolici negli anni del Concilio Tridentino. Particolarmente, poi, le zone valligiane e premontane sono oggetto delle indagini più accurate perché più soggette a contaminazioni religiose e spirituali lontane dall'ortodossia cattolica. Per questo motivo, immagini sacre dipinte o scolpite sono a maggior ragione osservate e controllate, sin nei minimi dettagli, affinché rispondano pienamente a quello che sta diventando il repertorio iconografico ufficiale della Chiesa di Roma. E dunque, in attesa di chiarimenti che potrebbero provenire da altra documentazione e da un'analisi scientifica degli affreschi, non resta che pensare che, se nel 1585 monsignor Monsiglio non descrive il corredo figurativo della "chiesa di San Vito campestre altre volte parrochiale", probabilmente è perché non ha potuto vederlo.

Nel corso del XVII secolo, il Monferrato è uno dei più animati teatri delle lotte tra Spagna e Francia per il predominio della penisola italiana. Morsasco assiste al passaggio e, sempre più spesso, all'acquartieramento delle truppe straniere, la cui stanziale presenza provoca carestie, distruzioni ed epidemie, come testimoniano sia i libri parrocchiali che i verbali del consiglio comunale. In anni tanto bellicosi la chiesa "parrocchiale antica" di San Vito rimane abbandonata a se stessa: gli inviti dei vari visitatori apostolici a provvedere al suo ripristino sono puntualmente disattesi e, già nell'aprile 1600, l'edificio è definito "minacciante ruina". La porta d'ingresso principale è priva di serratura e l'altare è privo di arredi, ma sono il tetto e il pavimento a soffrire i guasti maggiori, e non solo a causa delle cattive condizioni meteorologiche. A partire da questa data, infatti, è attestata la presenza di un cimitero contiguo alla chiesa di San Vito, anch'esso, però, in pessime condizioni: le ripetute visite del vescovo non mancano di sottolineare come la cattiva manutenzione del piccolo sepolcreto sia pericolosa non solo per uomini e animali, ma per la stessa costruzione. Nel 1610 è documentata una parziale ristrutturazione: la "chiesa s'è restaurata nelle mure fenestre e parte pavimento porta conforme", ed è stata realizzata un'adeguata recinzione del cimitero, con cancello e "fossa attorno tanto grande che le bestie non vi possino entrare". Ma la soluzione è affatto temporanea perché, durante gli anni della terribile epidemia di peste nera, i decessi in Morsasco aumentano al punto che l'antico cimitero non può più contenere i defunti, che devono essere seppelliti fuori e dentro l'antica parrocchiale. Gli scavi continui, gli interramenti e gli sterri ripetuti sia all'interno che all'esterno della costruzione, assieme al pessimo stato di conservazione delle murature, la rendono sempre più pericolante. Nel 1660, sono presenti "alcune fissure nel frontespicio"; nel 1676, la chiesa è ridotta al solo uso cimiteriale; nel 1688, San Vito è "chiesa vecchia mal nell'ordine": il tetto è prossimo alla rovina e presso lo scalino dell'altare sono visibili "quattro fosse di morti". In breve, la situazione è tale da costringere il visitatore apostolico a vietarvi la celebrazione delle messe sinché non venga "aggiustata, e provista".
Si è visto come l'interesse delle autorità ecclesiastiche nei confronti della piccola costruzione sia continuamente ribadito per tutto il corso del Seicento. Il suo stato di conservazione desta preoccupazione non solo perché dipende praticamente dalla generosità dei fedeli, ma anche perché la chiesetta è meta delle principali processioni religiose che si svolgono annualmente nel paese. Le fonti d'archivio illustrano spesso queste cerimonie locali, durante le quali la sacra reliquia di San Vito, custodita ancor oggi nella parrocchiale di San Bartolomeo Apostolo, viene portata in processione sino all'omonima chiesa, dove viene solennemente officiata la messa. In più casi si accenna alla "divotione particolare" di cui è oggetto l'edificio da parte della popolazione di Morsasco, sia per il culto del santo patrono che per la sacralità conferitagli dal vicino cimitero. Per tutte queste motivazioni, il fatto che la chiesa di San Vito resti abbandonata a se stessa, fatiscente, "senza volta e senza suolo", sprovvista degli arredi idonei alla celebrazione liturgica risulta oramai intollerabile alla stessa comunità morsaschese.
D'altro canto, gli anni Novanta del XVII secolo sono ancora anni di disordini e di battaglie per il territorio di Morsasco, almeno sino al 1697, quando si conclude un armistizio tra la Francia e gli stati coalizzati attorno alla Lega di Augusta. Per il paese significa soprattutto la tanto sospirata partenza degli "Alemanni", che la cittadinanza aveva dovuto ospitare per decenni. La pace durerà poco, in realtà, ma è probabile che proprio durante questa calma passeggera vengano cominciati i primi lavori di risistemazione della chiesa di San Vito. 

Nel libro dei Convocati e Congregati di Morsasco, alla data del 30 maggio 1699, troviamo la decisione di destinare 80 fiorini dell'imposta camerale in favore della chiesa campestre: la somma non è modesta, per il tempo, e potrebbe far pensare ad un intervento di ristrutturazione non esteso ma sicuramente consistente.
A tale proposito, è possibile addurre alcune ipotesi.
La prima di queste si basa sul rinvenimento di un secondo atto, datato 10 giugno 1706, relativo all'acquisto, per la cifra di 40 fiorini, di "duecento coppi per il tetto del portico della chiesa di San Vito". Ora, poiché il numero dei coppi appare del tutto insufficiente per la copertura del portico intero, di cui questa è, per altro, la prima menzione documentata, è probabile che si tratti di un intervento di semplice risanamento del tetto. Non è da escludersi, pertanto, che anche gli 80 fiorini del 1699 fossero motivati da una necessità dello stesso genere e che l'effettiva costruzione del pronao risalga ad un'epoca precedente (è difficile credere che simile somma riuscisse a coprire le spese di edificazione di un portico e che simile intervento non fosse meglio specificato e discusso nella delibera consigliare).
Un'altra indicazione utile per capire di che tipo di intervento si sia trattato proviene poi dalla relazione della visita apostolica effettuata, nell'agosto dello stesso anno 1699, da monsignor Gozani. Il vescovo visita per la terza volta l'edificio ma non riferisce di nessun intervento edilizio di riguardo, invitando anzi il rappresentante comunale a "fare ogni possibile [e] provedere che detta chiesa si reduchi a meglior stato". Ora, dato che undici anni prima lo stesso ecclesiastico aveva dovuto vietare l'accesso alla cappella di San Vito (1688), e considerato che in quest'ultimo rapporto afferma che "se li va molte volte a dir messa" e che vi "si fa festa il giorno di detto santo", potrebbe anche darsi che la spesa effettuata dalla comunità pochi mesi prima sia stata impiegata per rendere quanto meno fruibile, se non per risanare, l'antico edificio religioso.
Nonostante l'assenza di indicazioni cronologiche più precise, il ritrovamento dei suddetti atti d'archivio consente di stabilire che, attorno alla fine del XVII secolo, la chiesa di San Vito assume definitivamente le dimensioni che ha oggi.

L'erezione del portico voltato comporta il rifacimento della facciata, le cui aperture vengono modificate in modo da adeguarsi al nuovo aspetto. L'altezza del prospetto esterno viene infatti ridotta, il che giustifica la tamponatura della finestra centrale a mezza luna, riaperta qualche centimetro più in basso e con un leggero spostamento verso destra. Analogamente, le due finestrelle laterali sono murate e quindi reinserite più o meno simmetricamente ai lati della porta principale. Per quanto riguarda, invece, l'incatenamento metallico del portico, non è possibile dire con assoluta certezza se esso sia stato messo in opera contestualmente ai lavori di realizzazione della struttura o in seguito. La disposizione abbastanza regolare in senso verticale dei bolzoni capochiave, e particolarmente di quelli relativi alla catena interna, fa però propendere per la prima ipotesi.
Le attività edilizie di inizio secolo, comunque, restano limitate alla sola zona d'ingresso: nel 1714, la volta sopra l'altare "è affatto scrostata" e quando, nel 1728, monsignor Rovero la visita per la prima volta, le condizioni della chiesa di San Vito sono tanto peggiorate ch'essa nuovamente "merita d'esser sospesa". A causa della forte umidità di cui soffre l'intera muratura, ma soprattutto quella absidale, numerose e profonde fratture rendono pericolante l'intero edificio. Il rapporto dell'ispezione episcopale si sofferma brevemente anche sulle immagini sacre presenti nella chiesa, ma la descrizione che ne fa, piuttosto che offrire chiarimenti in proposito, confonde ancor più le idee. Il relatore riferisce infatti di una raffigurazione centrale della Vergine col Bambino in braccio, di una di San Vito "a cornu Evangelij", cioè dalla parte sinistra per chi guarda verso l'altare, e di quella di Sant'Antonio Abate "a cornu Epistolae", cioè dalla parte opposta. Ora, pur trascurando il fatto che la descrizione parla di "quadri" e non di pitture murali e che l'immagine di Maria in trono non può dirsi esattamente "in mezzo", si potrebbe leggere in queste parole un riferimento alle due figure di santi affrescate ai piedi della Crocifissione, ma senza riuscire a spiegare l'assenza di una qualsiasi allusione all'intera scena del Calvario. Insomma, neppure in questo caso la relazione pastorale aiuta la ricostruzione delle vicende storiche relative alla decorazione interna della chiesa di San Vito. In ogni caso, la decisione di cessare l'uso della piccola chiesa è da intendersi come assolutamente temporanea, "attesa la disposizione, che si sente aver questo popolo, di farla quanto prima ristorare, e ridorre in buon stato".
Nonostante simili assicurazioni di buona volontà, la chiesa di San Vito deve aspettare più di trent'anni prima che si sia finalmente in grado di provvedervi: il 19 settembre 1762, infatti, il consiglio comunale di Morsasco si riunisce col preciso intento di occuparsi della sua "ristorazione". Gli atti dei Convocati, questa volta, offrono preziose indicazioni sul tipo e sul costo dell'intervento e il documento in questione è talmente ricco di informazioni da meritare un'attenta disamina. È questo uno dei rarissimi brani particolarmente utili per poter ricostruire la storia materiale della chiesa di San Vito, ed uno dei più chiari: poiché sono state stanziate 50 lire genovesi per lavori di consolidamento delle murature interne, il sindaco propone alla congregazione comunale di approfittare delle momentanee disponibilità economiche per provvedere, una volta per tutte, alla ristrutturazione completa dell'edificio.
Si è già detto della venerazione che la popolazione di Morsasco ha sempre nutrito nei confronti dell'antica chiesa campestre e dei continui inviti, da parte delle autorità ecclesiastiche, affinché essa fosse finalmente provvista di una copertura decorosa; a questo punto, dato che il primo stanziamento è sicuramente insufficiente, si decide di attingere al cosiddetto "Fondo d'urgenti", salvo parere contrario da parte dell'Intendenza di Acqui. Il preventivo di spesa per l'intero lavoro assomma a 165,10 lire, ad esclusione delle 40 lire necessarie ad acquistare una partita di duemila mattoni e gli occorrenti sacchi di calcina.
Il dettaglio della spesa allegato al suddetto "ordinato di Conseglio" comprende anche "100 coppi per ristorare il tetto" e due chiavi di ferro per assicurare la volta, che verrà realizzata, secondo quanto convenuto, a crociera e "con sue fascie, e lezene con capitelli".

In seguito alla messa in opera della volta, si procederà finalmente alla risistemazione del tetto e al consolidamento delle cortine murarie interne, nelle quali saranno anche aperte "due finestre controposte a quelle, che vi sono di consimile qualità, altezza, e larghezza".
È difficile dire quale delle due pareti laterali sia stata interessata dall'intervento dato che entrambe mostrano chiaramente le tamponature di precedenti finestre, leggermente più basse di quelle attuali. Per quanto riguarda la parete di sud-est, essa era munita di una piccola porta, oggi murata, grazie alla quale si accedeva al cimitero esterno.

Questo, ancora nel 1728, si addossava in modo massiccio alla muratura, compromettendone la stabilità: si può ipotizzare che, a causa di questa debolezza strutturale, altre volte denunciata, il prospetto rivolto a mezzogiorno fosse privo di finestre, o che ne avesse solamente una. Per quanto riguarda la durata dell'intervento, nella bozza di capitolato d'appalto annessa al documento consigliare si prevede una spesa di 80 lire per "giornate di muradori, ed assistenti": è una cifra notevole, che fa pensare ad un periodo lungo almeno tre settimane (la paga giornaliera pro capite si aggirava attorno alle 2 lire).

Il documento in esame offre poi un ultimo spunto interessante, ma decisamente più problematico, a proposito delle varie fasi costruttive subite dalla chiesa, quando accenna all'"addrizzamento d'una muraglia esternamente da dove è stato levato il campanile". Di fatto, del campanile di San Vito non si trova traccia in nessun atto, né prima né dopo tale data. Anzi, in una relazione redatta dal parroco di Morsasco il 13 marzo 1786, è esplicitamente affermato che, a possedere il campanile, tra tutte le chiese del paese, sono la parrocchia, l'oratorio del Battista, e la chiesa di San Pasquale. Pressoché identico il dato proveniente dal rapporto parrocchiale del 1819: "la chiesa parrocchiale, la chiesa della confraternita di San Giovanni Battista, e la chiesa campestre di San Pasquale hanno il loro campanile alto sufficientemente ben coperto con scale di legno movibili incommode e proprie. Si noti che il campanile di San Pasquale consistendo solamente in due collonette fra le quali è posta una picola campana non ha scala".
Infine, a complicare ancor più le cose, bisogna aggiungere il fatto che, nonostante le accurate ricerche effettuate nel corso della presente indagine storica, non è stato possibile reperire un'importante mappa del 1798, appartenente al catasto napoleonico dell'alto Monferrato, già citata in passato ma inspiegabilmente scomparsa dall'archivio comunale di Morsasco. Secondo almeno due delle fonti bibliografiche consultate, infatti, la proiezione planimetrica del campanile riportata nella pianta topografica in questione costituirebbe l'unico terminus ad quem per datarne l'edificazione. Ora, poiché il documento del 1762 presenta un indizio di datazione precedente e sicuramente più attendibile, si può sorvolare su quelli forniti dalle relazioni parrocchiali, giustificando la contraddizione con l'ipotesi che, pur essendo provvista di campanile, la chiesa di San Vito era forse priva di campana.
La ristrutturazione e il consolidamento vengono probabilmente eseguiti a regola d'arte, poiché le condizioni generali dell'edificio non destano particolari preoccupazioni per tutto il corso del Settecento e, ancora nel 1819, sono definite "in buono stato". Addirittura, i problemi di umidità di cui la chiesa ha sempre sofferto sembrano fortemente ridimensionati. Si può pensare che tale miglioramento sia dovuto in parte alla maggior tranquillità politica di cui gode l'intero Monferrato sotto il governo dei Savoia, in parte alla buona amministrazione comunale, cui finalmente è stata affidata la manutenzione delle costruzioni sacre. Il municipio di Morsasco, infatti, destina periodicamente una data cifra per la riparazione della parrocchia e delle chiese minori, mentre la Fabbriceria si occupa esclusivamente delle spese di culto. Un esempio interessante della gestione pubblica della cappella di San Vito è rappresentato dall'intervento di manutenzione straordinaria eseguito nell'autunno del 1838, a proposito del quale è stata rintracciata un'abbondante documentazione d'archivio.

Il 1838 è un'annata meteorologica particolarmente infelice per il paese di Morsasco: alle "copiosissime nevi" invernali si aggiungono "le dirotte piogge quindi succedute nell'ora passata primavera, e li rabiosi venti che le succedetero" nel corso dell'estate. Il risultato di simili calamità naturali è che "il tetto di detta chiesa di San Vito, e del portico avanti la porta della medesima fu messo tutto sottosopra, facendo acqua da ogni parte, infranti li coppi e dirocate le chiappe nella massima parte che sopra esistevano". L'amministrazione cittadina decide d'intervenire urgentemente onde evitare possibilissimi crolli: alla perizia tecnica segue immediata la promulgazione di un'asta pubblica d'appalto che assegna il lavoro ad una maestranza locale. La risistemazione dell'intera copertura e della gronda, sia del tetto che del portico di San Vito, è effettuata nel giro due settimane ed il 10 dicembre 1838 il collaudatore locale dichiara che i lavori sono stati eseguiti "secondo l'arte".
È questo, probabilmente, uno degli ultimi grossi interventi edilizi gestiti dal comune, perché, a partire dagli anni Cinquanta del secolo, scoppia una vertenza tra l'amministrazione municipale e la Curia di Acqui Terme destinata ad essere risolta solo nel 1895. Il municipio di Morsasco tenta di impadronirsi formalmente della chiesa di San Vito (di cui è, effettivamente, l'unico responsabile), anche in virtù del fatto che il santo titolare è patrono della comunità: nel 1890, l'edificio è chiaramente definito di proprietà comunale, continuando ad essere privo di qualsiasi altra fonte di reddito. Nella zona di terreno circostante la fabbrica, un tempo adibita a sepolcreto, è stata sì ricavata una piccola vigna ed un piccolo "gerbido" da affittare, ma i proventi di tale coltivazione sono appena sufficienti a compensare il parroco dell'"obbligo" di celebrarvi la messa. D'altro canto, analoga sorte hanno subito le altre due chiese campestri di San Sebastiano e di San Pasquale. A partire dal 1888, poi, sempre il Comune ha inaugurato l'uso di organizzare un ballo pubblico in occasione della festa patronale: l'intero stato di fatto suscita tali lamentele da parte dei parroci, che lo definiscono più volte "un detestabile abuso", che il 30 ottobre 1895 l'amministrazione delle tre chiese campestri torna ad essere affidata completamente alla Fabbriceria.
Le ultime notizie d'archivio a proposito della chiesina risalgono a questo periodo, ma non forniscono informazioni utili per ricostruirne gli avvicendamenti storici: le varie relazioni parrocchiali non fanno che ripetere sterilmente i soliti dati sulla rendita del terreno incolto, testimoniando di una nuova epoca di abbandono dell'edificio, utilizzato solo in occasione dei festeggiamenti annuali. Un documento redatto dalla segreteria della fabbriceria parrocchiale il 7 maggio 1921 allude vagamente a dei "lavori di restauri e di abbellimento alla chiesa parrocchiale ed alle chiese campestri". L'indicazione è talmente imprecisa da meritare a malapena una menzione: nella migliore delle ipotesi, potrebbe trattarsi di una semplice intonacatura delle murature esterne. Paradossalmente, quanto più ci si avvicina ai tempi presenti, tanto più è difficile, se non impossibile, ricavare notizie: la chiesa di San Vito sembra caduta nel dimenticatoio, e le rare nozioni che si possono ottenere in merito sono confuse e inspiegabilmente prive di documentazione. Ad esempio, non è stato possibile rintracciare testimonianze fotografiche dello stato di conservazione, né informazioni più precise a proposito dell'intervento di restauro degli affreschi interni effettuato nel 1976. A tale riguardo, si può solo dire che il lavoro, commissionato al pittore alessadrino Piero Vignoli da parte della Soprintendenza ai Beni Librari del Piemonte, è consistito in una generica pulitura, consolidamento e fissaggio, oltre ad una massiccia integrazione pittorica delle lacune, senza che nessuno di tali interventi sia stato meglio specificato e definito. Ancora, nel 1978, vengono eseguiti dei "lavori di pulizia delle murature" e di "tinteggiatura dell'intonaco delle volte", nel corso dei quali sono "asportate numero 4 lesene costituite da mattoni pieni semicotti in avanzato stato di degrado". Di simile operazione non esiste alcuna testimonianza, per quanto i segni di tale estirpazione siano oggi ben visibili.
Al 1981 è datata una relazione sullo stato tecnico di conservazione della chiesa di San Vito, attestante un iniziale cedimento del portico e le lesioni del prospetto sud-est; per quanto riguarda il manto di copertura, esso appare già abbondantemente dissestato, soprattutto nella parte relativa all'emiciclo absidale. Gli intonaci di rivestimento esterni sono quasi totalmente distaccati, come dimostrato anche dal rilievo degli alzati allegato alla scheda.
Un sopralluogo compiuto il 3 maggio 2000 per conto della Soprintendenza per i beni artistici e storici di Torino segnala il precario stato di conservazione sia delle pitture murali (la cui leggibilità è per alcuni versi inficiata dalle integrazioni eseguite nel 1976), sia dell'intera zona absidale, invitando gli enti preposti alla gestione del manufatto a provvedere ad un urgente intervento di restauro conservativo, "o anche soltanto, in mancanza di meglio, di manutenzione straordinaria". Purtroppo, a seguito del terremoto che il 21 agosto 2000 ha colpito il territorio alessandrino, la chiesa campestre di San Vito ha riportato danni notevoli che, sommatisi ai significativi movimenti già verificatisi sulla struttura, ha indotto le autorità competenti a sollecitare nuovamente un intervento urgente di miglioramento sismico. Recentemente, l'edificio è stato definito "in condizioni di inagibilità ed in scadente stato di manutenzione" (Piano di interventi urgenti su edifici storico-monumentali ed artistici danneggiati dal sisma del 21/8/2000).
Al momento (autunno 2002-primavera 2003), la parte absidale della costruzione è interessata da un valido intervento di consolidamento strutturale e antisismico, su progetto degli architetti Caldini, De Iaco, Finocchiaro. I lavori hanno riguardato principalmente il ripristino della copertura absidale, il consolidamento del catino absidale all'estradosso, rinforzato tramite fasce in fibre organiche, utilizzate per collaborare staticamente con la struttura, aumentare la resistenza e contrastare eventuali cinematismi, il consolidamento delle lesioni presenti sulla muratura (interna ed esterna) tramite iniezioni di miscele leganti (questa operazione è stata anticipata dal preconsolidamento e messa in sicurezza delle pitture murali dell'emiciclo absidale, poste internamente in corrispondenza della muratura da consolidare) e la stilatura dei giunti per impedire l'ingresso delle acque meteoriche.


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 Ultimo Aggiornamento: 01/12/05.