IL
PROGRAMMA DEI VERDI DI QUARTU S.E.
Premessa: pensare globalmente, agire localmente
Cosa vuol dire "fare
politica in un altro modo" oggi? Come dare concretezza e valore al bellissimo
slogan dei verdi francesi "e se il verde fosse il colore del XXI° secolo"
o a quello dei belgi "l'Europa al di sopra del mercato"? Come riqualificare
la sinistra, che dall'Italia alla Spagna alla Germania pare in panne
di idee e di capacità di mobilitazione, presa come è dalle contingenze
della gestione quotidiana del potere e da meschine beghe interne? Il
punto di partenza, evidentemente, è la constatazione che ciò che manca
oggi alla sinistra è la capacità di fare un sano confronto di idee,
la libertà di esplorare nuove frontiere oltre gli schieramenti tradizionali,
di trovare le ragioni di una battaglia politica vera. Il futuro della
democrazia nel tempo della globalizzazione è da questo punto di vista
una sfida appassionante e tutt'altro che astratta per la "nuova sinistra
verde": oggi la dimensione del dibattito e della politica è ancora quasi
esclusivamente locale e questo è un problema serio regolarmente sottovalutato:
il potere vero ormai sta da un'altra parte. Per lo più negli uffici
di cristallo delle multinazionali, a Bruxelles, in qualche capitale,
in qualche ministero… Molte forze della sinistra e del centro tradizionale
si pongono gli stessi interrogativi ma in genere trascurandone la dimensione
"sovranazionale": il futuro sostenibile, la lotta contro l'esclusione,
il rinnovamento del modello sociale europeo, il governo della globalizzazione.
Dopo le crisi della mucca pazza e della diossina, perfino temi quasi
esclusivamente "verdi" come la sicurezza alimentare o il principio di
precauzione sono entrate nel vocabolario comune. Le risposte sono ancora
frammentarie, si discutono fra esperti in forum e seminari, ma non sono
ancora diventate del tutto "politica", capace cioè di avere un impatto
reale e soprattutto locale sul corso delle cose. Se Haider ha conquistato
il 27% dei voti in Austria, se Aznar ha stravinto in Spagna, conquistando
in un paese con il DNA a sinistra la maggioranza assoluta dei voti,
se Berlusconi ed una destra cinica e parolaia si dipinge come salvatore
della patria, se non passa giorno, con 11 governi socialisti in Europa
e 5 a partecipazione verde, senza che una multinazionale annunci licenziamenti
e ristrutturazioni, nonostante strabilianti utili per gli azionisti,
se a Strasburgo il Parlamento europeo, dopo mucche e polli pazzi, continua
a discutere, grazie all'inedia di molti governi, incluso il nostro,
di produrre cioccolato anche senza cacao e con materie geneticamente
modificate, la responsabilità è anche e soprattutto della sinistra.
Di una certa sinistra che è tentata da logiche mercantili e da un richiamo
che viene da lontano, quello che in qualche maniera vorrebbe rinstaurare
lo status quo ed il potere di pochi su tutto e tutti . Occorre scuotere
la cosiddetta "sinistra plurale" da un torpore che è silenzio delle
idee, mancanza di visione, cinismo, opportunismo, incapacità di andare
al di là di principi astratti, siano essi un pacifismo urlato e vuoto
ai tempi di Milosevic o la difesa a oltranza di uno Stato sociale sempre
più "insostenibile" e pertanto incapace di impedire esclusioni e ingiustizie.
Questo è pertanto un invito a confrontarsi apertamente con una realtà
in movimento "ambivalente", in cui da un lato "il contesto nazionale
delle solidarietà" viene eroso, domina "la cultura neoliberale", le
istituzioni diventano sempre più "tecnocratiche" e "globalizzanti",
ma in cui dall'altro si stanno creando "nuove forme di mobilitazione
sociale", e "uno spazio pubblico mondiale" di cui Seattle è stato solo
l'inizio. Inventare una democrazia globale, un "egalitarismo" che parte
dalla libertà di scelta dell'individuo, senza barriere ideologiche,
ma rimanendo ancorati ai principi di sempre. Questa è la sfida, da rilevare
urgentemente e con entusiasmo "creatore" perché ancora una volta dobbiamo
fare valere la massima che ha sempre distinto l'arcipelago eco-pacifista:
"pensare globalmente ed agire localmente".
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Il
quadro di riferimento
Ai primi di dicembre a Seattle, Bill
Clinton è riuscito a coniugare l'appuntamento della WTO con una inaspettata
apertura ai sindacalisti, gli ambientalisti ed i Paesi in via di sviluppo.
Clinton ha così dovuto prendere atto, sulla scia della protesta e della
rivendicazione popolare, dei limiti del WTO e suggerire le possibili
correzioni. In precedenza, nel dibattito sviluppatosi al summit della
Terza via di Firenze, è apparso chiaro che dopo avere risposto per anni
all'innovazione senza regole della destra con le regole senza innovazione,
occorre oggi approdare ad una innovazione con le regole quale imprescindibile
risposta alla crescente domanda di libertà, uguaglianza e solidarietà.
A Seattle era in discussione il modello di sviluppo basato sulla crescita
quantitativa illimitata: l'intrecciarsi dei problemi della modernità
chiede però alla politica di avere un preciso ruolo di indirizzo, di
proporre un orizzonte non subordinato alla tecnica e all'economia dinanzi
alla globalizzazione che avanza. Più chiaramente di così il secondo
millennio non si poteva concludere: è l'apoteosi della dimensione economica-finanziaria,
dove spesso la tecnologia da espediente è divenuta virtù, dove tutte
le altre dimensioni sono spesso subordinate. Ambiente, salute, culture
e colture, necessitanti di regole per essere rispettati, rischiano di
essere cancellati sul tavolo dei negoziati per la liberalizzazione del
commercio mondiale. Certo, un futuro sostenibile passa anche per l'economia
ed il mercato, ma altrettanto certamente per una modificazione dei consumi
e dei costumi. Solo la politica nella sua autonomia e nobiltà può quindi
dare alla dimensione ambientale, a quella culturale, a quella della
salute, a quella esistenziale, pari dignità con la dimensione economica.
Ci vuole insomma una nuova stagione politica che pensi e si faccia carico
tanto consapevolmente quanto responsabilmente del futuro dei nostri
figli, delle nostre città e campagne, del nostro unico pianeta. Una
politica che sulle proposte di futuro possa anche dividersi, suscitando
emozioni e partecipazione. E se le radici di Economia, la "gestione
della dimora", ed Ecologia, lo "studio della dimora", sono comuni, è
anche vero che rischiano sempre più di non incontrarsi per un malinteso
intendere lo sviluppo, che rischia di vedere le economie e terre più
deboli asservite e dipendenti da una nuova e modernissima colonizzazione.
Ed è per questo che ci ritroviamo tra quelli che pensano che le politiche
economiche debbano innazittutto assicurare la corretta allocazione delle
risorse ambientali. Mercati senza regole saranno sempre deleteri per
l'ambiente ed insostenibili a livello sociale, dato che per definizione
i beni pubblici ambientali non entrano negli scambi di mercato. E se
i mercati potranno dirsi equi solo se saranno assicurate a tutti uguali
condizioni di partecipazione, quello che invece non possono fare è stabilire
la capacità ricettiva dell'ecosistema terrestre, determinare bisogni
e limiti di sazietà, definire diritti. I mercati senza regole generano
precarietà, questa è un male sociale, genera incertezza, emarginazione,
non incentiva corretti investimenti e gestione delle risorse naturali,
non incentiva consumi eco-compatibili. Resta essenziale per la libertà
di iniziativa individuale che realmente ogni singolo individuo possa
agire con le stesse chances degli altri, all'interno delle indispensabili
regole di cui abbiamo già detto. Tutto questo conduce, in termini globali
e nazionali, ad obiettivi di equità sociale e difesa dei diritti sociali
ed economici, all'estensione dei beni primari/qualitativi al maggiore
numero di persone, quindi alla massimizzazione del benessere sociale.
Benessere sociale che include consumo, ambiente, divertimento, conoscenza,
relazionalità.
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E' bene interrogarsi
Molti
di noi, per le storie pur diverse che hanno alle spalle, sono da iscriversi
tra le persone che hanno tentato o tentano di fare qualcosa per migliorare
lo stato delle cose. Molti di noi si sentono votati a cambiare il mondo
in meglio ed alcuni, probabilmente, in questo sforzo hanno sviluppato
inconsapevolmente, in modi sempre più elaborati ed astuti, un atteggiamento
salvifico che però non assicura risposte complessive. La storia italica
ha dimostrato come i movimenti che in qualche modo hanno tentato di
ricostruire una armonia tra gli uomini e il resto della natura sono
stati spesso minati dalla tentazione di costituirsi in un proprio nuovo
"sistema", di trasformarsi cioè in ecologismo proprio perché era forte
la domanda di trovare una chiave, una strada che aiutasse a riaggiustare
lo stato delle cose. Di fronte ad una forte domanda di riequilibrio
che per lo più è arrivata dalle società dell'Est, di fronte infine anche
ad una domanda crescente dal Sud, che reclama giustizia in varie forme,
i verdi si trovano a chiedersi come sviluppare una linea di azione,
di intervento, di politica, di economia, di cultura, di civiltà che
possa fornire delle risposte globali. Per rendere governabile la crisi
ecologica, per rimandare il pagamento dei conti che abbiamo in sospeso
con la natura, spesso si fa ricorso a nuova tecnologia ed a un ulteriore
perfezionamento tecnico che però ci rende ulteriormente dipendenti.
Siamo quindi chiamati a scelte di progresso, che abbiano il coraggio
di non limitare ai soli indici di crescita e di progresso la valutazione
di un miglioramento del benessere generale. In realtà un buon bilancio
pubblico oggi dovrebbe essere giudicato non sulla base dei soldi in
più che riesce ad investire, ma sui danni in meno che concretamente
si riesce a dimostrare d'aver provocato. Dobbiamo evitare il ricorso
a motivazioni e politiche ecologiste essenzialmente allarmistiche. Sono
atteggiamenti che alla lunga non pagano . Sono poche, infatti, le persone
che dinanzi ad un allarme smettono per tempo le loro cattive abitudini,
perché la paura non è una motivazione che alla lunga tenga. E la paura
inoltre non appartiene all'atto della generosità, ma semmai ad un atteggiamento
salvifico che spesso induce comportamenti o scelte assai egoiste, di
autodifesa. L'allarmismo, però, può essere un utile campanello d'allarme
a condizione di non rischiare di guardare all'ambiente come una dispensa
che deve essere amministrata con cura perché deve durare a lungo, e
quindi, ritagliandone fettine piccine piccine alimentare politiche di
razionamento sociale, di amministrazione oculata della scarsità che
difficilmente possono portarci ad un cambiamento forte di cultura e
di atteggiamento verso la vita sociale e personale. Siamo dunque appena
agli inizi, anche se fortunatamente si cominciano a vedere alcune spinte
motivazionali che devono trovare la giusta attenzione da parte nostra.
La principale, che sta assumendo un peso via via maggiore, risiede nella
cosiddetta "sorgente etica" che può essere alimentata a sua volta da
molte correnti. Per alcuni si caratterizza maggiormente in senso religioso,
quasi mistico, per altri, invece, in senso umanistico. Di sicuro, però,
una scelta etica non può accettare un atteggiamento predatorio non solo
nei confronti dei prossimi, ma anche dei posteri. Oggi la ricerca di
etica è molto forte e questo è già un buon segno. C'è poi sicuramente
anche una seconda fonte di motivazioni, una sorgente che per ora è poco
esplorata, ed è quella del disporre di una maggiore autonomia, del saper
ricercare la varietà e valorizzare le proprie risorse, della capacità
di sviluppare molte e diverse forme di relazione e di adattamento al
mondo, rispetto a quelle a senso unico e predeterminate che ci disegnano
le vie finora seguite dal cosiddetto mercato. Abbiamo assistito in questi
tempi ad un'acuta crisi non solo dell'ambiente, ma anche delle idee
e delle ideologie che eufemisticamente possiamo definire "interventiste"
nei confronti della natura. Abbiamo assistito all'emergere da molte
parti di critiche e riflessioni molto profonde rispetto alla pretesa
di rifare il mondo, di cambiarlo, e così pure rispetto alla pretesa
di poter in qualche modo trovare delle soluzioni, comprendere gli obiettivi
che si ritengono giusti ed importanti, e quindi realizzarli con la sola
forza soggettiva della volontà, dell'organizzazione e dell'innovazione.
Oggi l'unica forza pressoché incontrastata che pare in grado di proporsi
per cambiare il mondo, sembra essere il mercato con la sua dinamica
incontrollata. Alcuni hanno esaltato il mercato come se volessero sostenere
che, se il mercato è tutto da ristrutturare, sappia almeno che al momento
giusto deve ricordarsi di noi, perché anche noi stiamo dalla sua parte
e tutto sommato preferiamo salire sul suo carro piuttosto che ritrovarci
sotto le ruote. È quindi possibile che si lasci l'interventismo solo
agli Stati, agli eserciti, alla Borsa, ai commercianti di petrolio,
alle multinazionali, ecc ? Alcune idee, noi crediamo, sono diventate
senso comune. Dobbiamo chiederci allora quale sia il fine, insomma,
che cosa vogliamo raggiungere. Ci sono essenzialmente due tipi di risposte:
quella di pochi, che sono appagati di vedere felici gli altri, perché
hanno un desiderio di bene universale che li porta spesso a sacrificare
se stessi per vedere contenti gli altri (e che dobbiamo coltivare ed
incrementare con equilibrio) e quella della gente comune che cerca il
proprio bene, il proprio piccolo bene, per sé, per la famiglia. Ebbene
la scommessa che ci deve vedere impegnati è quella di dimostrare che
il sacrificio e la rinuncia ad un modello di sviluppo e crescita del
tipo usa e getta non è soltanto una prospettiva che appartiene alla
razionalità di pochi, ma è anche valida per la razionalità comune. Quando
nella razionalità comune c'è il desiderio di bene per i figli e quando
si comprende che il nostro agire di oggi compromette il futuro dei miei
figli, allora il sacrificio e la rinuncia a questo modello di consumo
e spesso di rapina comincia ad avere un senso anche per la razionalità
comune. É un concetto questo che dobbiamo avere il coraggio di sviluppare,
dimostrando quanto sia fondato nella realtà quotidiana.
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La nostra sfida alla globalizzazione
Appare sempre più chiara a tutti l'importanza di una politica ambientale
che si sviluppi nelle direzioni del risanamento, del recupero, della
tutela e della valorizzazione di una risorsa che la coscienza e consapevolezza
collettiva giudicano poi, in fin dei conti, di primaria importanza.
Non si tratta di concepire l'ambiente nei termini di un patrimonio assolutamente
indisponibile, ma di valutare, con attenzione e lungimiranza, l'impatto
che su esso producono le trasformazioni operate dall'uomo, allo scopo
di evitarne la dilapidazione, il degrado, l'inquinamento. In questo
senso le decisioni non devono essere affidate a logiche meramente mercantili,
ma piuttosto tenere conto delle ricadute sull'ambiente nel breve e lungo
periodo. Basterebbe praticare, tanto per cominciare, la cosiddetta riallocazione
di risorse, che significa non certo aumentare il carico fiscale sulla
gente, ma bensì operare sull'accorta destinazione delle spese, sulla
loro produttività, sulla qualità dei procedimenti amministrativi. Insomma,
si tratta di aprire una seria discussione su come spendere al meglio
ed in maniera compatibile i soldi che ci sono, senza aumentarli, adottando
la cosiddetta least cost planning, la pianificazione a minimo costo,
secondo la quale, tanto per fare un esempio, è meglio sostituire gli
elettrodomestici tecnologicamente obsoleti piuttosto che costruire una
nuova, dispendiosa ed inquinante centrale elettrica. E non è più possibile,
oggi, contrapporre le ragioni della salute e dell'ambiente a quelle
del lavoro e della produzione. Infatti, l'ambiente deve essere considerato
un bene in sé, giacché la sua difesa garantisce una maggiore tutela
della salute dell'uomo e, quindi, una migliore qualità della vita. A
questo proposito il nuovo tema dello sviluppo sostenibile, ratificato
a Rio de Janeiro nel 1992, rappresenta per noi VERDI la sfida epocale,
insieme alla questione ambientale e della salute, alla ridefinizione
delle attività umane. La questione dell'occupazione nella nostra Isola,
di un nuovo ed equilibrato modello di sviluppo, della crescita sociale
assume, come sappiamo, carattere di vera e propria emergenza. Occorre
quindi mettere all'ordine del giorno nuove attività economiche che si
pongano in armonia con la natura. Oggi, è chiaro a tutti che non bastano
più l'aumento della produttività o la realizzazione di grandi opere
pubbliche per garantire nuova occupazione e nemmeno per assicurare il
potere d'acquisito dei salari rispetto all'inflazione. Cosa che tra
l'altro non tiene spesso di conto le conseguenze che si producono sul
piano ambientale e della qualità della vita. Occorre quindi cogliere
la grande opportunità della sfida della qualità dei processi e dei prodotti
per permettere alle nostre imprese e alla nostra economia di reggere
la concorrenza . In questo un buon alleato può essere identificato nell'innovazione
e nella tecnologia che, se per alcuni aspetti riducono l'occupazione,
per altri pongono le condizioni per quella modifica strutturale che
ci può fare parlare di dematerializzazione delle produzioni. I prodotti
incorporano meno materia prima ed energia, più informazioni e intelligenza.
In questo senso tutti parlano di globalizzazione e flessibilità, tutti
sospettano che il lavoro, così come oggi è stato inteso, sia finito
o stia finendo. In realtà la nostra capacità deve saper distinguere
e privilegiare l'innovazione e la tecnologia, che in molteplici settori
rappresentano fonte di nuove professioni, di nuova, qualificata e duratura
occupazione. L'innovazione che dobbiamo perseguire è quella che cambia
anche la tecnica del lavoro e la modifica in gran parte in meglio, che
riduce la quota di fatica compresa nel lavoro, che limita il consumo
di energie, ma che soprattutto impegna direttamente l'intelligenza,
la fantasia e l'estro. Insomma, deve essere sviluppato maggiormente
quello che in termini marxiani si definisce lavoro concreto, in altre
parole lavoro che mette capo ad una produzione personalizzata. Questo
deve portarci ad una più attenta e attuale politica della formazione
professionale, cominciando dalle strategie scolastiche, per governare
la riconversione del lavoro e dell'impresa, rispetto alle direttrici
e scelte finora praticate. Pensiamo solo al fenomeno internet, al settore
della produzione di energie alternative, del risparmio energetico, del
restauro urbano, cioè ad un cantiere diverso da quello che, con cazzuola
e cemento, fa metri cubi e case nuove: recuperare e restaurare significa
un cantiere tecnologicamente più avanzato che è in grado di dare più
lavoro e richiedere nuova professionalità. In questo senso l'innovazione
e la tecnologia possono disegnare una economia sociale di mercato che
vede soprattutto nel terzo settore, quello cosiddetto NO-PROFIT, ove
tra l'altro si ritrovano le ragioni fondanti dei movimenti cooperativi
che mettevano insieme lavoro e solidarietà, uno dei terreni più fertili
e ricettivi. In questo settore, infatti, la cura dell'organizzazione
del lavoro è utilizzata per valorizzare il prodotto, inteso come produzione
di beni e/o servizi, la cui utilità ed utilizzo siano legati ad aspetti
qualitativi, in gran parte immateriali e ad elevato valore aggiunto
"autarchico" (moda, design, prodotti agroalimentari tipici, musei, turismo,
parchi, agriturismo, musica, teatro, cinema, editoria, multimedialità,
cura, assistenza, socialità, educazione, etc.) In sintesi, con uno slogan,
si può sostenere che bisogna incorporare nei prodotti e nei servizi
il benessere sociale e la qualità della vita, tendere, se è possibile,
ad un processo produttivo autosufficiente ed in grado di autoalimentarsi.
E' questa la condizione per sviluppare il concetto di libertà in vera
e propria autonomia. Secondo la straordinaria interpretazione che dava
Paul Goodman, uno degli anarchici più espressivi del ventesimo secolo,
il principio cardine dell'anarchia non è la libertà, ma piuttosto l'autonomia,
la capacità di assumersi un compito e di portarlo avanti a modo proprio.
Mentre la libertà è uno stimolo potente al cambiamento sociale, l'autonomia
non lo è. Infatti, sosteneva Goodman, le persone autonome sanno difendersi
con tenacia e mezzi meno irruenti, andando comunque avanti per la propria
strada. Il dramma degli oppressi è che, se d'un tratto conquistano la
libertà, non sanno spesso cosa farne. Infatti, non essendo abituati
all'autonomia, non sanno cosa significhi e prima che lo imparino si
ritrovano con nuovi dirigenti che non hanno fretta di dare le dimissioni.
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Le linee dello sviluppo in Sardegna
L'ambiente rappresenta per la nostra Isola una delle principali direttrici
su cui instradare finalmente uno sviluppo che sappia cogliere la sfida
della globalizzazione, innestando elementi di innovazione e progresso.
L'indicatore principale che dobbiamo però assicurare e rispettare deve
essere in primo luogo quello della eco-sostenibilità, dell'autonomia
e della partecipazione. Le linee per un sano, equo, solidale e consapevole
sviluppo, su questa direttrice, dovranno assicurare essenzialmente il
rispetto dei seguenti principi: 1) Essere coscienti del limite delle
risorse, soprattutto di quelle non rinnovabili; 2) Intendere lo sviluppo
non come mera categoria economica, in altre parole non guardare alla
sola entità produttiva ed al reddito pro-capite, ma bensì rapportare
lo stesso ad altri indicatori, quali ad esempio la qualità della vita
e dell'ecosistema, quella dei servizi e dei rapporti umani; 3) Sapere
riscoprire la capacità del coinvolgimento sociale, senza escludere da
questo processo gruppi sociali, entità organizzate, parti del territorio,
avendo modo di promuovere una partecipazione dal basso nei processi
produttivi e nelle scelte di sviluppo, adottando una seria e costruttiva
politica di decentramento e riallocazione delle risorse, privilegiando
i settori NO PROFIT; 4) Riconoscere la differenza e la diversità come
elementi fondanti per uno sviluppo sostenibile 5) Incrementare la flessibilità
che si lega ai temi ambientali senza per questo fare sì che si trasformi
in precariato; 6) Ampliare sempre più il ricorso allo strumento della
Valutazione di Impatto Ambientale prima di assumere decisioni che possano
vincolare e limitare lo sviluppo futuro del territorio e la sua vocazione
naturale. In definitiva questo progetto deve prevedere processi produttivi
che utilizzino prevalentemente risorse locali, che presentino caratteristiche
tecnologicamente innovative e compatibili con l'ambiente (tecniche biologiche,
sistemi di depurazione, recupero e riciclaggio, risparmio idrico ed
energetico, etc), che mirino, per quanto possibile, all'autosufficienza.
I campi di intervento possono essere diversi, dal recupero e risanamento
dei centri urbani, all'assetto del territorio e alla difesa dell'ambiente,
alla ricerca scientifica e formazione professionale. Pensiamo solo a
quali spazi si potrebbero aprire con una politica della "manutenzione"
dell'esistente, da realizzarsi attraverso un catasto telematico delle
opere pubbliche che consenta di disporre di tutti gli elementi necessari
per effettuare una seria programmazione della manutenzione e non ricorrere
ad interventi straordinari e urgenti con costi sempre più esorbitanti.
Una manutenzione globale del territorio e difesa del suolo che comprendano
la prevenzione di catastrofi naturali, danni al patrimonio culturale,
rischi ambientali e rischi funzionali nelle aree urbane La razionalizzazione
e riduzione dei consumi energetici, la promozione delle fonti energetiche
rinnovabili, una diversa politica dei rifiuti, che privilegi il recupero
e riciclaggio dei rifiuti, dei trasporti e della mobilità, più attenta
ed in senso pubblicistico, gli interventi di disinquinamento e quelli
legati al controllo dell'aria, la riconversione ecologica dell'agricoltura,
passando quindi ad una produzione di qualità, meno intensiva e meno
inquinante, il rilancio di un turismo nuovo, legato alla fruizione delle
aree protette e all'utilizzazione di strutture di tipo agrituristico,
la tutela e valorizzazione del comparto agroalimentare, sempre in senso
qualitativo, la promozione dei beni artistici, architettonici e storici,
questi in definitiva gli ulteriori ambiti in cui poter esercitare la
programmazione e avviare i processi decisionali per uno sviluppo sostenibile,
senza demonizzare il coinvolgimento di capitali privati e garantendo
forme di partecipazione dei cittadini. Non solo nel senso della trasparenza
e della democrazia, ma anche interessandoli in forme di azionariato
popolare. Per non dimenticare, riconoscendo gli errori del passato e
la logica assistenziale che finora ha alimentato la coscienza di molti,
le potenzialità che il comparto zootecnico, quello della pesca e dell'acquacoltura,
floro-vivaistico, quello delle erbe spontanee, officinali ed aromatiche
ed il settore forestale possono assicurare, anche come elemento di sviluppo
e ripopolamento delle zone interne. Su queste basi è possibile utilizzare,
selezionandole, innovazioni tecnologiche utili ed attuare nuove alleanze
sociali tra mondo del lavoro, dell'industria, cittadini responsabili,
mondo della scienza e della cultura. Su queste basi si deve costruire
un nuovo modello di sviluppo ed i VERDI devono trovare la forza di candidarsi
a guidarlo.
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I Verdi per Quartu Sant'Elena
Testo
in costruzione...