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IL PROGRAMMA DEI VERDI DI QUARTU S.E.




Premessa: pensare globalmente, agire localmente

Cosa vuol dire "fare politica in un altro modo" oggi? Come dare concretezza e valore al bellissimo slogan dei verdi francesi "e se il verde fosse il colore del XXI° secolo" o a quello dei belgi "l'Europa al di sopra del mercato"? Come riqualificare la sinistra, che dall'Italia alla Spagna alla Germania pare in panne di idee e di capacità di mobilitazione, presa come è dalle contingenze della gestione quotidiana del potere e da meschine beghe interne? Il punto di partenza, evidentemente, è la constatazione che ciò che manca oggi alla sinistra è la capacità di fare un sano confronto di idee, la libertà di esplorare nuove frontiere oltre gli schieramenti tradizionali, di trovare le ragioni di una battaglia politica vera. Il futuro della democrazia nel tempo della globalizzazione è da questo punto di vista una sfida appassionante e tutt'altro che astratta per la "nuova sinistra verde": oggi la dimensione del dibattito e della politica è ancora quasi esclusivamente locale e questo è un problema serio regolarmente sottovalutato: il potere vero ormai sta da un'altra parte. Per lo più negli uffici di cristallo delle multinazionali, a Bruxelles, in qualche capitale, in qualche ministero… Molte forze della sinistra e del centro tradizionale si pongono gli stessi interrogativi ma in genere trascurandone la dimensione "sovranazionale": il futuro sostenibile, la lotta contro l'esclusione, il rinnovamento del modello sociale europeo, il governo della globalizzazione. Dopo le crisi della mucca pazza e della diossina, perfino temi quasi esclusivamente "verdi" come la sicurezza alimentare o il principio di precauzione sono entrate nel vocabolario comune. Le risposte sono ancora frammentarie, si discutono fra esperti in forum e seminari, ma non sono ancora diventate del tutto "politica", capace cioè di avere un impatto reale e soprattutto locale sul corso delle cose. Se Haider ha conquistato il 27% dei voti in Austria, se Aznar ha stravinto in Spagna, conquistando in un paese con il DNA a sinistra la maggioranza assoluta dei voti, se Berlusconi ed una destra cinica e parolaia si dipinge come salvatore della patria, se non passa giorno, con 11 governi socialisti in Europa e 5 a partecipazione verde, senza che una multinazionale annunci licenziamenti e ristrutturazioni, nonostante strabilianti utili per gli azionisti, se a Strasburgo il Parlamento europeo, dopo mucche e polli pazzi, continua a discutere, grazie all'inedia di molti governi, incluso il nostro, di produrre cioccolato anche senza cacao e con materie geneticamente modificate, la responsabilità è anche e soprattutto della sinistra. Di una certa sinistra che è tentata da logiche mercantili e da un richiamo che viene da lontano, quello che in qualche maniera vorrebbe rinstaurare lo status quo ed il potere di pochi su tutto e tutti . Occorre scuotere la cosiddetta "sinistra plurale" da un torpore che è silenzio delle idee, mancanza di visione, cinismo, opportunismo, incapacità di andare al di là di principi astratti, siano essi un pacifismo urlato e vuoto ai tempi di Milosevic o la difesa a oltranza di uno Stato sociale sempre più "insostenibile" e pertanto incapace di impedire esclusioni e ingiustizie. Questo è pertanto un invito a confrontarsi apertamente con una realtà in movimento "ambivalente", in cui da un lato "il contesto nazionale delle solidarietà" viene eroso, domina "la cultura neoliberale", le istituzioni diventano sempre più "tecnocratiche" e "globalizzanti", ma in cui dall'altro si stanno creando "nuove forme di mobilitazione sociale", e "uno spazio pubblico mondiale" di cui Seattle è stato solo l'inizio. Inventare una democrazia globale, un "egalitarismo" che parte dalla libertà di scelta dell'individuo, senza barriere ideologiche, ma rimanendo ancorati ai principi di sempre. Questa è la sfida, da rilevare urgentemente e con entusiasmo "creatore" perché ancora una volta dobbiamo fare valere la massima che ha sempre distinto l'arcipelago eco-pacifista: "pensare globalmente ed agire localmente".

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Il quadro di riferimento

Ai primi di dicembre a Seattle, Bill Clinton è riuscito a coniugare l'appuntamento della WTO con una inaspettata apertura ai sindacalisti, gli ambientalisti ed i Paesi in via di sviluppo. Clinton ha così dovuto prendere atto, sulla scia della protesta e della rivendicazione popolare, dei limiti del WTO e suggerire le possibili correzioni. In precedenza, nel dibattito sviluppatosi al summit della Terza via di Firenze, è apparso chiaro che dopo avere risposto per anni all'innovazione senza regole della destra con le regole senza innovazione, occorre oggi approdare ad una innovazione con le regole quale imprescindibile risposta alla crescente domanda di libertà, uguaglianza e solidarietà. A Seattle era in discussione il modello di sviluppo basato sulla crescita quantitativa illimitata: l'intrecciarsi dei problemi della modernità chiede però alla politica di avere un preciso ruolo di indirizzo, di proporre un orizzonte non subordinato alla tecnica e all'economia dinanzi alla globalizzazione che avanza. Più chiaramente di così il secondo millennio non si poteva concludere: è l'apoteosi della dimensione economica-finanziaria, dove spesso la tecnologia da espediente è divenuta virtù, dove tutte le altre dimensioni sono spesso subordinate. Ambiente, salute, culture e colture, necessitanti di regole per essere rispettati, rischiano di essere cancellati sul tavolo dei negoziati per la liberalizzazione del commercio mondiale. Certo, un futuro sostenibile passa anche per l'economia ed il mercato, ma altrettanto certamente per una modificazione dei consumi e dei costumi. Solo la politica nella sua autonomia e nobiltà può quindi dare alla dimensione ambientale, a quella culturale, a quella della salute, a quella esistenziale, pari dignità con la dimensione economica. Ci vuole insomma una nuova stagione politica che pensi e si faccia carico tanto consapevolmente quanto responsabilmente del futuro dei nostri figli, delle nostre città e campagne, del nostro unico pianeta. Una politica che sulle proposte di futuro possa anche dividersi, suscitando emozioni e partecipazione. E se le radici di Economia, la "gestione della dimora", ed Ecologia, lo "studio della dimora", sono comuni, è anche vero che rischiano sempre più di non incontrarsi per un malinteso intendere lo sviluppo, che rischia di vedere le economie e terre più deboli asservite e dipendenti da una nuova e modernissima colonizzazione. Ed è per questo che ci ritroviamo tra quelli che pensano che le politiche economiche debbano innazittutto assicurare la corretta allocazione delle risorse ambientali. Mercati senza regole saranno sempre deleteri per l'ambiente ed insostenibili a livello sociale, dato che per definizione i beni pubblici ambientali non entrano negli scambi di mercato. E se i mercati potranno dirsi equi solo se saranno assicurate a tutti uguali condizioni di partecipazione, quello che invece non possono fare è stabilire la capacità ricettiva dell'ecosistema terrestre, determinare bisogni e limiti di sazietà, definire diritti. I mercati senza regole generano precarietà, questa è un male sociale, genera incertezza, emarginazione, non incentiva corretti investimenti e gestione delle risorse naturali, non incentiva consumi eco-compatibili. Resta essenziale per la libertà di iniziativa individuale che realmente ogni singolo individuo possa agire con le stesse chances degli altri, all'interno delle indispensabili regole di cui abbiamo già detto. Tutto questo conduce, in termini globali e nazionali, ad obiettivi di equità sociale e difesa dei diritti sociali ed economici, all'estensione dei beni primari/qualitativi al maggiore numero di persone, quindi alla massimizzazione del benessere sociale. Benessere sociale che include consumo, ambiente, divertimento, conoscenza, relazionalità.

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E' bene interrogarsi

Molti di noi, per le storie pur diverse che hanno alle spalle, sono da iscriversi tra le persone che hanno tentato o tentano di fare qualcosa per migliorare lo stato delle cose. Molti di noi si sentono votati a cambiare il mondo in meglio ed alcuni, probabilmente, in questo sforzo hanno sviluppato inconsapevolmente, in modi sempre più elaborati ed astuti, un atteggiamento salvifico che però non assicura risposte complessive. La storia italica ha dimostrato come i movimenti che in qualche modo hanno tentato di ricostruire una armonia tra gli uomini e il resto della natura sono stati spesso minati dalla tentazione di costituirsi in un proprio nuovo "sistema", di trasformarsi cioè in ecologismo proprio perché era forte la domanda di trovare una chiave, una strada che aiutasse a riaggiustare lo stato delle cose. Di fronte ad una forte domanda di riequilibrio che per lo più è arrivata dalle società dell'Est, di fronte infine anche ad una domanda crescente dal Sud, che reclama giustizia in varie forme, i verdi si trovano a chiedersi come sviluppare una linea di azione, di intervento, di politica, di economia, di cultura, di civiltà che possa fornire delle risposte globali. Per rendere governabile la crisi ecologica, per rimandare il pagamento dei conti che abbiamo in sospeso con la natura, spesso si fa ricorso a nuova tecnologia ed a un ulteriore perfezionamento tecnico che però ci rende ulteriormente dipendenti. Siamo quindi chiamati a scelte di progresso, che abbiano il coraggio di non limitare ai soli indici di crescita e di progresso la valutazione di un miglioramento del benessere generale. In realtà un buon bilancio pubblico oggi dovrebbe essere giudicato non sulla base dei soldi in più che riesce ad investire, ma sui danni in meno che concretamente si riesce a dimostrare d'aver provocato. Dobbiamo evitare il ricorso a motivazioni e politiche ecologiste essenzialmente allarmistiche. Sono atteggiamenti che alla lunga non pagano . Sono poche, infatti, le persone che dinanzi ad un allarme smettono per tempo le loro cattive abitudini, perché la paura non è una motivazione che alla lunga tenga. E la paura inoltre non appartiene all'atto della generosità, ma semmai ad un atteggiamento salvifico che spesso induce comportamenti o scelte assai egoiste, di autodifesa. L'allarmismo, però, può essere un utile campanello d'allarme a condizione di non rischiare di guardare all'ambiente come una dispensa che deve essere amministrata con cura perché deve durare a lungo, e quindi, ritagliandone fettine piccine piccine alimentare politiche di razionamento sociale, di amministrazione oculata della scarsità che difficilmente possono portarci ad un cambiamento forte di cultura e di atteggiamento verso la vita sociale e personale. Siamo dunque appena agli inizi, anche se fortunatamente si cominciano a vedere alcune spinte motivazionali che devono trovare la giusta attenzione da parte nostra. La principale, che sta assumendo un peso via via maggiore, risiede nella cosiddetta "sorgente etica" che può essere alimentata a sua volta da molte correnti. Per alcuni si caratterizza maggiormente in senso religioso, quasi mistico, per altri, invece, in senso umanistico. Di sicuro, però, una scelta etica non può accettare un atteggiamento predatorio non solo nei confronti dei prossimi, ma anche dei posteri. Oggi la ricerca di etica è molto forte e questo è già un buon segno. C'è poi sicuramente anche una seconda fonte di motivazioni, una sorgente che per ora è poco esplorata, ed è quella del disporre di una maggiore autonomia, del saper ricercare la varietà e valorizzare le proprie risorse, della capacità di sviluppare molte e diverse forme di relazione e di adattamento al mondo, rispetto a quelle a senso unico e predeterminate che ci disegnano le vie finora seguite dal cosiddetto mercato. Abbiamo assistito in questi tempi ad un'acuta crisi non solo dell'ambiente, ma anche delle idee e delle ideologie che eufemisticamente possiamo definire "interventiste" nei confronti della natura. Abbiamo assistito all'emergere da molte parti di critiche e riflessioni molto profonde rispetto alla pretesa di rifare il mondo, di cambiarlo, e così pure rispetto alla pretesa di poter in qualche modo trovare delle soluzioni, comprendere gli obiettivi che si ritengono giusti ed importanti, e quindi realizzarli con la sola forza soggettiva della volontà, dell'organizzazione e dell'innovazione. Oggi l'unica forza pressoché incontrastata che pare in grado di proporsi per cambiare il mondo, sembra essere il mercato con la sua dinamica incontrollata. Alcuni hanno esaltato il mercato come se volessero sostenere che, se il mercato è tutto da ristrutturare, sappia almeno che al momento giusto deve ricordarsi di noi, perché anche noi stiamo dalla sua parte e tutto sommato preferiamo salire sul suo carro piuttosto che ritrovarci sotto le ruote. È quindi possibile che si lasci l'interventismo solo agli Stati, agli eserciti, alla Borsa, ai commercianti di petrolio, alle multinazionali, ecc ? Alcune idee, noi crediamo, sono diventate senso comune. Dobbiamo chiederci allora quale sia il fine, insomma, che cosa vogliamo raggiungere. Ci sono essenzialmente due tipi di risposte: quella di pochi, che sono appagati di vedere felici gli altri, perché hanno un desiderio di bene universale che li porta spesso a sacrificare se stessi per vedere contenti gli altri (e che dobbiamo coltivare ed incrementare con equilibrio) e quella della gente comune che cerca il proprio bene, il proprio piccolo bene, per sé, per la famiglia. Ebbene la scommessa che ci deve vedere impegnati è quella di dimostrare che il sacrificio e la rinuncia ad un modello di sviluppo e crescita del tipo usa e getta non è soltanto una prospettiva che appartiene alla razionalità di pochi, ma è anche valida per la razionalità comune. Quando nella razionalità comune c'è il desiderio di bene per i figli e quando si comprende che il nostro agire di oggi compromette il futuro dei miei figli, allora il sacrificio e la rinuncia a questo modello di consumo e spesso di rapina comincia ad avere un senso anche per la razionalità comune. É un concetto questo che dobbiamo avere il coraggio di sviluppare, dimostrando quanto sia fondato nella realtà quotidiana.

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L
a nostra sfida alla globalizzazione


Appare sempre più chiara a tutti l'importanza di una politica ambientale che si sviluppi nelle direzioni del risanamento, del recupero, della tutela e della valorizzazione di una risorsa che la coscienza e consapevolezza collettiva giudicano poi, in fin dei conti, di primaria importanza. Non si tratta di concepire l'ambiente nei termini di un patrimonio assolutamente indisponibile, ma di valutare, con attenzione e lungimiranza, l'impatto che su esso producono le trasformazioni operate dall'uomo, allo scopo di evitarne la dilapidazione, il degrado, l'inquinamento. In questo senso le decisioni non devono essere affidate a logiche meramente mercantili, ma piuttosto tenere conto delle ricadute sull'ambiente nel breve e lungo periodo. Basterebbe praticare, tanto per cominciare, la cosiddetta riallocazione di risorse, che significa non certo aumentare il carico fiscale sulla gente, ma bensì operare sull'accorta destinazione delle spese, sulla loro produttività, sulla qualità dei procedimenti amministrativi. Insomma, si tratta di aprire una seria discussione su come spendere al meglio ed in maniera compatibile i soldi che ci sono, senza aumentarli, adottando la cosiddetta least cost planning, la pianificazione a minimo costo, secondo la quale, tanto per fare un esempio, è meglio sostituire gli elettrodomestici tecnologicamente obsoleti piuttosto che costruire una nuova, dispendiosa ed inquinante centrale elettrica. E non è più possibile, oggi, contrapporre le ragioni della salute e dell'ambiente a quelle del lavoro e della produzione. Infatti, l'ambiente deve essere considerato un bene in sé, giacché la sua difesa garantisce una maggiore tutela della salute dell'uomo e, quindi, una migliore qualità della vita. A questo proposito il nuovo tema dello sviluppo sostenibile, ratificato a Rio de Janeiro nel 1992, rappresenta per noi VERDI la sfida epocale, insieme alla questione ambientale e della salute, alla ridefinizione delle attività umane. La questione dell'occupazione nella nostra Isola, di un nuovo ed equilibrato modello di sviluppo, della crescita sociale assume, come sappiamo, carattere di vera e propria emergenza. Occorre quindi mettere all'ordine del giorno nuove attività economiche che si pongano in armonia con la natura. Oggi, è chiaro a tutti che non bastano più l'aumento della produttività o la realizzazione di grandi opere pubbliche per garantire nuova occupazione e nemmeno per assicurare il potere d'acquisito dei salari rispetto all'inflazione. Cosa che tra l'altro non tiene spesso di conto le conseguenze che si producono sul piano ambientale e della qualità della vita. Occorre quindi cogliere la grande opportunità della sfida della qualità dei processi e dei prodotti per permettere alle nostre imprese e alla nostra economia di reggere la concorrenza . In questo un buon alleato può essere identificato nell'innovazione e nella tecnologia che, se per alcuni aspetti riducono l'occupazione, per altri pongono le condizioni per quella modifica strutturale che ci può fare parlare di dematerializzazione delle produzioni. I prodotti incorporano meno materia prima ed energia, più informazioni e intelligenza. In questo senso tutti parlano di globalizzazione e flessibilità, tutti sospettano che il lavoro, così come oggi è stato inteso, sia finito o stia finendo. In realtà la nostra capacità deve saper distinguere e privilegiare l'innovazione e la tecnologia, che in molteplici settori rappresentano fonte di nuove professioni, di nuova, qualificata e duratura occupazione. L'innovazione che dobbiamo perseguire è quella che cambia anche la tecnica del lavoro e la modifica in gran parte in meglio, che riduce la quota di fatica compresa nel lavoro, che limita il consumo di energie, ma che soprattutto impegna direttamente l'intelligenza, la fantasia e l'estro. Insomma, deve essere sviluppato maggiormente quello che in termini marxiani si definisce lavoro concreto, in altre parole lavoro che mette capo ad una produzione personalizzata. Questo deve portarci ad una più attenta e attuale politica della formazione professionale, cominciando dalle strategie scolastiche, per governare la riconversione del lavoro e dell'impresa, rispetto alle direttrici e scelte finora praticate. Pensiamo solo al fenomeno internet, al settore della produzione di energie alternative, del risparmio energetico, del restauro urbano, cioè ad un cantiere diverso da quello che, con cazzuola e cemento, fa metri cubi e case nuove: recuperare e restaurare significa un cantiere tecnologicamente più avanzato che è in grado di dare più lavoro e richiedere nuova professionalità. In questo senso l'innovazione e la tecnologia possono disegnare una economia sociale di mercato che vede soprattutto nel terzo settore, quello cosiddetto NO-PROFIT, ove tra l'altro si ritrovano le ragioni fondanti dei movimenti cooperativi che mettevano insieme lavoro e solidarietà, uno dei terreni più fertili e ricettivi. In questo settore, infatti, la cura dell'organizzazione del lavoro è utilizzata per valorizzare il prodotto, inteso come produzione di beni e/o servizi, la cui utilità ed utilizzo siano legati ad aspetti qualitativi, in gran parte immateriali e ad elevato valore aggiunto "autarchico" (moda, design, prodotti agroalimentari tipici, musei, turismo, parchi, agriturismo, musica, teatro, cinema, editoria, multimedialità, cura, assistenza, socialità, educazione, etc.) In sintesi, con uno slogan, si può sostenere che bisogna incorporare nei prodotti e nei servizi il benessere sociale e la qualità della vita, tendere, se è possibile, ad un processo produttivo autosufficiente ed in grado di autoalimentarsi. E' questa la condizione per sviluppare il concetto di libertà in vera e propria autonomia. Secondo la straordinaria interpretazione che dava Paul Goodman, uno degli anarchici più espressivi del ventesimo secolo, il principio cardine dell'anarchia non è la libertà, ma piuttosto l'autonomia, la capacità di assumersi un compito e di portarlo avanti a modo proprio. Mentre la libertà è uno stimolo potente al cambiamento sociale, l'autonomia non lo è. Infatti, sosteneva Goodman, le persone autonome sanno difendersi con tenacia e mezzi meno irruenti, andando comunque avanti per la propria strada. Il dramma degli oppressi è che, se d'un tratto conquistano la libertà, non sanno spesso cosa farne. Infatti, non essendo abituati all'autonomia, non sanno cosa significhi e prima che lo imparino si ritrovano con nuovi dirigenti che non hanno fretta di dare le dimissioni.

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Le linee dello sviluppo in Sardegna


L'ambiente rappresenta per la nostra Isola una delle principali direttrici su cui instradare finalmente uno sviluppo che sappia cogliere la sfida della globalizzazione, innestando elementi di innovazione e progresso. L'indicatore principale che dobbiamo però assicurare e rispettare deve essere in primo luogo quello della eco-sostenibilità, dell'autonomia e della partecipazione. Le linee per un sano, equo, solidale e consapevole sviluppo, su questa direttrice, dovranno assicurare essenzialmente il rispetto dei seguenti principi: 1) Essere coscienti del limite delle risorse, soprattutto di quelle non rinnovabili; 2) Intendere lo sviluppo non come mera categoria economica, in altre parole non guardare alla sola entità produttiva ed al reddito pro-capite, ma bensì rapportare lo stesso ad altri indicatori, quali ad esempio la qualità della vita e dell'ecosistema, quella dei servizi e dei rapporti umani; 3) Sapere riscoprire la capacità del coinvolgimento sociale, senza escludere da questo processo gruppi sociali, entità organizzate, parti del territorio, avendo modo di promuovere una partecipazione dal basso nei processi produttivi e nelle scelte di sviluppo, adottando una seria e costruttiva politica di decentramento e riallocazione delle risorse, privilegiando i settori NO PROFIT; 4) Riconoscere la differenza e la diversità come elementi fondanti per uno sviluppo sostenibile 5) Incrementare la flessibilità che si lega ai temi ambientali senza per questo fare sì che si trasformi in precariato; 6) Ampliare sempre più il ricorso allo strumento della Valutazione di Impatto Ambientale prima di assumere decisioni che possano vincolare e limitare lo sviluppo futuro del territorio e la sua vocazione naturale. In definitiva questo progetto deve prevedere processi produttivi che utilizzino prevalentemente risorse locali, che presentino caratteristiche tecnologicamente innovative e compatibili con l'ambiente (tecniche biologiche, sistemi di depurazione, recupero e riciclaggio, risparmio idrico ed energetico, etc), che mirino, per quanto possibile, all'autosufficienza. I campi di intervento possono essere diversi, dal recupero e risanamento dei centri urbani, all'assetto del territorio e alla difesa dell'ambiente, alla ricerca scientifica e formazione professionale. Pensiamo solo a quali spazi si potrebbero aprire con una politica della "manutenzione" dell'esistente, da realizzarsi attraverso un catasto telematico delle opere pubbliche che consenta di disporre di tutti gli elementi necessari per effettuare una seria programmazione della manutenzione e non ricorrere ad interventi straordinari e urgenti con costi sempre più esorbitanti. Una manutenzione globale del territorio e difesa del suolo che comprendano la prevenzione di catastrofi naturali, danni al patrimonio culturale, rischi ambientali e rischi funzionali nelle aree urbane La razionalizzazione e riduzione dei consumi energetici, la promozione delle fonti energetiche rinnovabili, una diversa politica dei rifiuti, che privilegi il recupero e riciclaggio dei rifiuti, dei trasporti e della mobilità, più attenta ed in senso pubblicistico, gli interventi di disinquinamento e quelli legati al controllo dell'aria, la riconversione ecologica dell'agricoltura, passando quindi ad una produzione di qualità, meno intensiva e meno inquinante, il rilancio di un turismo nuovo, legato alla fruizione delle aree protette e all'utilizzazione di strutture di tipo agrituristico, la tutela e valorizzazione del comparto agroalimentare, sempre in senso qualitativo, la promozione dei beni artistici, architettonici e storici, questi in definitiva gli ulteriori ambiti in cui poter esercitare la programmazione e avviare i processi decisionali per uno sviluppo sostenibile, senza demonizzare il coinvolgimento di capitali privati e garantendo forme di partecipazione dei cittadini. Non solo nel senso della trasparenza e della democrazia, ma anche interessandoli in forme di azionariato popolare. Per non dimenticare, riconoscendo gli errori del passato e la logica assistenziale che finora ha alimentato la coscienza di molti, le potenzialità che il comparto zootecnico, quello della pesca e dell'acquacoltura, floro-vivaistico, quello delle erbe spontanee, officinali ed aromatiche ed il settore forestale possono assicurare, anche come elemento di sviluppo e ripopolamento delle zone interne. Su queste basi è possibile utilizzare, selezionandole, innovazioni tecnologiche utili ed attuare nuove alleanze sociali tra mondo del lavoro, dell'industria, cittadini responsabili, mondo della scienza e della cultura. Su queste basi si deve costruire un nuovo modello di sviluppo ed i VERDI devono trovare la forza di candidarsi a guidarlo.

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I Verdi per Quartu Sant'Elena

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