ANTICO COMUNE DI VISSO - USI CIVICI, STORIA E NATURA GIURIDICA

  dalle ricerche e dalle pubblicazioni del Dr Felice Venanzoni (1902-1967)



LE TERRE COMUNALI E COLLETTIVE NELLA MONTAGNA MACERATESE

 

L'evoluzione della proprietà nelle terre del Comprensorio di Bonifica Montana in esame ha seguito lo sviluppo storico e giuridico delle proprietà nelle Marche e nell'Umbria e particolarmente di quella dell'antico Ducato di Spoleto del quale tutte le terre hanno fatto parte. In esse si affermò e si evolse l'organizzazione della proprietà instaurata dai Longobardi prima e dai Franchi poi, le cui forme si conservarono a lungo, specie nella zona montana a causa della sua particolare povertà economica basata unicamente sull'agricoltura, sull'allevamento del bestiame (ovino in particolare) e sulle modeste industrie connesse. La formazione dei Comuni non apportò sostanziali modificazioni nella situazione giuridica delle terre perché a lungo andare i Comuni si sostituirono e vennero in possesso dei diritti particolari riservati ai feudatari mediante atti di acquisto, di cessione, di transazione e di sottomissione che si trascinarono sin oltre la prima metà del secolo XIII. Le lotte fra il Papato e l'Impero dettero a questa opera di sostituzione dei Comuni ai feudatari, una serie di alternative, particolarmente nei Comuni rurali. Prevalevano le forze dell'Impero e noi vediamo nei Comuni della nostra zona i feudatari abbandonare la cerchia delle mura cittadine, contestare le vecchie transazioni ed i vecchi patti, riprendere possesso degli antichi privilegi, il più delle volte a mano armata (il che rendeva difficile la vita delle popolazioni), particolarmente di quelle rurali. Prevalevano le armi della Chiesa e dei suoi sostenitori ed allora i signorotti tornavano a sottomettersi, a cedere di nuovo i loro privilegi alle popolazioni: i loro figli tornavano ad abitare entro la cerchia delle mura cittadine, i loro castelli venivano o diroccati o presidiati da milizie fedeli al Comune. Seguiva poi il periodo di assestamento politico amministrativo dopo che la Chiesa era riuscita a far riconoscere la propria autorità sulle terre di sua pertinenza ed i Comuni intraprendevano la riorganizzazione anche amministrativa del contado e la terra veniva divisa in quartieri, contrade, guaite ecc. Si perfezionavano gli Statuti gia esistenti e che originariamente non furono a1tro che un elenco di liberta concesse al popolo per il suo vivere civile.

Come vedremo meglio in seguito, l'insicurezza dei tempi limitava lo sviluppo dell'agricoltura alle zone strettamente adiacenti alle mura cittadine o a quelle dei castelli rimasti appunto per la difesa delle popolazioni e delle coltivazioni. La maggior parte del territorio del Contado era occupato da pascoli e boschi e non si aveva agricoltura vera e propria se non nelle terre facilmente difendibili. Man mano che la sicurezza cresceva la coltivazione si estendeva anche alle zone più lontane, sia pure con carattere di discontinuità, e si allargava la proprietà privata ai danni delle terre comunali, ecc1esiastiche e signorili e lentamente i Comuni urbani, dove esistevano, oppure i Comuni rurali maggiori conquistarono ed assorbirono i Comuni rurali minori con i quali venivano in contatto o in contrasto. Con le Signorie tale forma di assorbimento dei comuni minori divenne definitiva.

            Nelle Terre del Comprensorio in esame le Signorie segnarono l'inizio di un'importante trasformazione agricola effettuatasi col benestare della Chiesa che frattanto di tanto in tanto cercava di rendere sempre più efficiente il proprio dominio sui Signori affermatisi nei suoi Stati: i Varano a Camerino, gli Smeducci a San Severino, gli Ottoni a Matelica, i Cima a Cingoli ecc. Poi verso la meta del 1500 la Chiesa riuscì ad eliminare i Signori dal suo Stato riprendendone il dominio diretto. Ma una volta eliminati i Signori, i diritti delle popolazioni ebbero un altro nemico: la Camera Apostolica che rivendicò a se i diritti dei Signori spodestati e le terre relative giungendo anche alla loro vendita a privati, per modo che gli usi di pascolo, legnatico e semina (per parlare dei maggiori e più estesi) sia pure con limitazioni ed intralci sempre più grossi rimasero unica fonte di sostentamento delle popolazioni rurali, particolarmente nelle zone montane che erano anche le più povere.

Si ripeteva cosi quanto era avvenuto in precedenza sotto i feudatari ed il Comune, perché questi, nel loro stesso interesse, avevano dovuto lasciare un minimo di indipendenza alle popolazioni attraverso il riconoscimento, sia pure condizionato, di alcuni usi. E sono proprio questi riconoscimenti codificatisi nei secoli attraverso gli Statuti che condussero all'affermazione della proprietà collettiva attuale.

Nelle Terre del comprensorio, la proprietà privata ha la stragrande maggioranza; ma esiste un notevole residuo di proprietà comuni che si concreta nelle proprietà Comunali e delle Comunanze ed esistono ancora vaste zone di terre private soggette agli usi delle popolazioni. Ma a guardarle bene, nella loro origine, quelle terre che oggi figurano come proprietà Comunali sono nelle maggior parte terre che i Comuni amministrano per conto di antiche Comunità diventate ora frazioni, o terre collettive tornate sotto l'amministrazione comunale perché le antiche Università finirono per essere volontariamente o involontariamente assorbite dal Comune moderno, sorto come e noto in Italia, dopo la Rivoluzione e l'occupazione Francese.

            Nelle Terre della parte montana del comprensorio l'alternarsi dei diversi domini non condusse a profonde trasformazioni nella situazione della proprietà. Però va osservato che l'evoluzione della proprietà privata fu lentissima ed anche dopo il 1000 erano ancora estesissime le terre feudali stante il permanere del Ducato di Spoleto con i molteplici feudatari grandi e piccoli. Dopo che i Comuni si furono affermati e consolidati l'evoluzione delle forme di proprietà fu ancora lenta perché impedita dalle condizioni di instabilità politica conseguente le feroci lotte fra Comune e Comune e fra Signore e Signore, Poi tornata una certa tranquillità l'incremento della popolazione condusse all'affermarsi del diritto di cesare e seminare con il conseguente incremento della proprietà privata favorita anche per motivi fiscali. I capitoli e gli Statuti di Comuni rurali approvati e confermati dal vari dominatori stanno appunto a dimostrare l'evoluzione continua oltre che della consuetudine politica anche dell'economia locale. E' notevole rilevare come fosse cura dei Comuni in esame e particolarmente per quelli montani, aver confermato il jus pascendi e la facoltà di trarre grano e sale dalle terre della Marca in esecuzione di gabella. Ad incrementare le terre private contribuì anche il disfacimento della proprietà eccleslastica attraverso le vendite ed i contratti enfiteutici.

Molti Comuni del nostro Comprensorio rivendicano un'origine romana, ma mentre per alcuni troviamo indicazioni certe, per altri invece non si rinvengono prove atte a confortare la loro qualità di colonia o municipio romano- Certo è che trattasi nella maggior parte di centri abitati di origine anteriore a quella romana, ma di essi soltanto Camerino. Matelica. San Severino e Cingoli sono nominati in lapidi o in autori dell'epoca romana. Non c'è alcun dubbio che le terre tutte del comprensorio sotto i Romani si inquadrarono nelle diverse qualità che erano a base dell'organizzazione territoriale dei Municipi e delle Colonie che lentamente si sovrapposero e si fusero con le preesistenti organizzazioni economiche degli Umbri e dei Piceni.

Per quanto riguarda la situazione delle terre Comunali e collettive noi possiamo dividere le terre tutte del Comprensorio in due grandi settori: quello montano disposto intorno alle alte Valli del Nera, del Chienti e del Potenza e dei loro principali affluenti in quella parte e quello della collina preappenninica che comprende il rimanente.

Nel primo settore, quello montano, osserviamo la prevalenza della superficie delle terre comunali e collettive su quelle private perché nella maggior parte si tratta di terre pascolive e boschive: i seminativi, meno quelli di fondo valle, sono relativamente recenti perché rimontano a poco dopo il 1600, quando cioè approfittando della tranquillità relativa succeduta ai torbidi e convulsi avvenimenti dei Comuni e delle Signorie si cominciò ad estendere l'agricoltura con la messa a coltura di terre nuove provenienti dal disboscamento o dal far ranco, estrinsecazione dell'uso civico di cesare premessa necessaria per l'uso civico di semina. In questo settore notiamo anche la dislocazione dei centri abitati maggiori nel punto di incrocio di più valli (ad es. Visso, Pioraco, Pievetorina, Fiastra, Pievebovigliana, Muccia).

Nel secondo settore invece la proprietà privata prevale, il progresso agricolo è più rapido, le zone silvo pascolive sono molto limitate rispetto a quelle seminative. I centri abitati maggiori sono per lo più dislocati su alture dominanti, in posizione più strategica che economica; la qualità ed il rendimento delle terre è migliore ed insieme all'agricoltura che è sempre la fonte principale di reddito delle popolazioni si affianca qualche modesta attività industriale nella forma prevalentemente artigiana (Camerino, Matelica, Sarnano, S. Ginesio, Belforte, Serra Petrona, Cingoli, Apiro).

Caratteristica comune a tutte le terre del comprensorio è che esse per lunghi anni subirono l'influenza di Camerino, il centro abitato più importante, sede di Vescovo e di Duca, dominante le Valli del Chienti e del Potenza e quindi le vie principali di comunicazione della Marca con il Lazio e l'Umbria e parte del restante Piceno.

   

SOTTO I ROMANI

          All'epoca dell'Impero Romano le terre del nostro Comprensorio, già abitate parte dagli Umbri e parte dai Piceni furono comprese in due distinte Regio. Nell'ordinamento di Augusto il bacino dell’Alto Nera fece parte della VI Regio, mentre i bacini del Potenza. Chienti e Musone fecero parte della V Regio e quindi le terre si classificarono o come terre pubbliche, comuni o private. E doveva ancor più di oggi trattarsi di terre boschive e terre utilizzabili solo per il pascolo, con terre private coltivate ridotte a poca cosa, se come e noto 60 anni dopo la morte dell'imperatore Costantino, per lo stato deplorevole in cui erano ridotte le campagne del Piceno, del Sannio e del Bruttio, si dovettero condonare gli arretrati dei tributi fondiari. E al tempo dell'imperatore Onorio dopo l'invasione e la devastazione dei Visigoti, che fra l'altro distrussero molti centri abitati del nostro Comprensorio, si dovettero ridurre ad 1/5 i tributi del Piceno, della Tuscia, del Sannio, del Bruttio e della Lucania, e cinque anni dopo dovettero ancora diminuirsi i tributi del Piceno e della Tuscia. Le terre del comprensorio si trovavano, infatti, dislocate lungo le vie percorse a preferenza dagli invasori e quindi la loro economia fu più volte duramente provata e noi pensiamo che l'organizzazione romana dovette disintegrarsi, più rapidamente che altrove, frantumandosi in gruppi che cercavano di risolvere da soli il problema di sopravvivere e di ricostruire.

Attorno ai pochi e ricchi potenti si stringevano non solo i loro dipendenti diretti ma anche i liberi coltivatori riuniti nei loro villaggi (Vici) di cui i grandi assumevano il patrocinio. Cosi fu possibile un'integrazione fra i centri maggiori sopravvissuti o scampati alla distruzione e le campagne, sia pure fra mille difficoltà.

Durante la guerra fra Greci ed Ostrogoti la situazione non migliorò perché i combattimenti furono accompagnati ovunque da rappresaglie e saccheggi: altre terre coltivate o utilizzate dovettero rimanere incolte od abbandonate e di conseguenza cominciò a generalizzarsi la concentrazione delle terre nelle mani di pochi perché malgrado tutto continuava il peso fiscale aggravato dalle taglie dei contendenti. Tutto questo, malgrado la moratoria di cinque anni concessa dall'Imperatore Giustiniano, rappresentò la rovina dei piccoli e medi proprietari che preferirono abbandonare le loro terre, o cederle ad un vicino potente, trasformandosi in coloni o fittavoli. I maggiori proprietari riuscivano meglio a sottrarsi al peso delle imposte e delle contribuzioni, sia per la loro posizione politica, sia per i loro privilegi: comunque era molto difficile che pagassero le imposte per le terre abbandonate dal vicino entrate nella loro sfera di diretta utilizzazione-

 

SOTTO I LONGOBARDI

 

Con l'invasione Longobarda, il Piceno, 1'Umbria e l’Abruzzo furono sottoposti dagli invasori ad una organizzazione quasi del tutto immune da ogni reminiscenza di quella romana: perché i Longobardi scesero in Italia come nemici dell’impero romano e come tali si mantengono dopo la conquista. Oltre che dalla guerra la loro attività e costituita dalla caccia e dall'allevamento del bestiame e particolarmente di quegli animali che meglio si adattano alla vita dei boschi e dei pascoli Di qui una contrazione molto sensibile delle terre coltivate, sia per le gravi devastazioni conseguenti l'invasione sia per il nuovo indirizzo introdotto nelle condizioni delle popolazioni originarie delle zone conquistate.

Camerino fu indubbiamente una delle prime città del Piceno occupate dai Longobardi che gia nel 570 o 571 avevano costituito il Ducato di Spoleto, inoltrandosi poi verso l'alta valle del Nera, via di penetrazione naturale verso il Piceno. E non mancarono certamente di inoltrarsi da Spoleto sino a Plestia e poi per il passo di Colfiorito e Serravalle nella conca di Camerino. Questa città situata tra Roma e le principali città rimaste ai Bizantini (Ancona - Rimini - Ravenna), dominante la Via Flaminia per cui si effettuavano le comunicazioni fra Ravenna e Roma, fu certamente uno dei primi obbiettivi dei Longobardi per mantenere le posizioni occupate e per ulteriori conquiste. Quindi le terre montane dei nostro Comprensorio furono soggette in pieno all'organizzazione longobarda della proprietà perché in esse esistevano in abbondanza le condizioni naturali favorevoli per l'attività economica dei Longobardi, e perché Camerino fu considerato ben presto il secondo centro del Ducato di Spoleto e la sua importanza riconosciuta da speciali privilegi. Ricordiamo che i Duchi di Spoleto furono anche detti Duchi di Camerino e talvolta si parla nelle carte dell'epoca come di due ducati distinti benché uniti insieme (ambo spoletani ducatus) uno da una parte ed uno dall'altra dell’Appennino, e talvolta troviamo in essi due soggetti differenti uno dei quali residenti a Camerino. E questo il caso di Gerardo duca di Camerino secondo il registro di Farfa nell'820 distinto dal contemporaneo Duca di Spoleto. Vinigisio. (789-822); di Archideo e Gerardo (826 e 824) Duchi di Camerino secondo i documenti Farfensi e parimenti un terzo Gerardo e Duca di Camerino nell'834. Quindi l'organizzazione Longobarda dovette irraggiarsi potentemente da Camerino sulle terre vicine.

Come sia stata trattata la popolazione nelle terre conquistate dai Longobardi non si sa con certezza. Sull'argomento si conoscono sino ad ora, soltanto due passi di Paolo Diacono, che sono tutt'altro che chiari. Comunque e indubitato che le terre del Demanio Imperiale e poi Regio e dei grossi proprietari passarono nelle mani del Re e dei Duchi Longobardi e dei loro più potenti alleati e compagni. E anche molto probabile che gli umili lavoratori e i piccoli proprietari coltivatori abbiano mantenuto la loro precedente condizione con l'impegno di pagare un tributo in natura ai nuovi padroni.Il lavoro dei campi probabilmente rimase alle popolazioni indigene senza variazioni nella situazione giuridica.

Però Camerino, oltre che seconda metropoli del Ducato di Spoleto era anche una sede Vescovile che, in conseguenza delle distruzioni operate dall'invasione, andava sempre più allargandosi man mano che scomparivano le altre Diocesi vicine esistenti nel sec. V come Settempeda. Urbisaglia e Cingoli prima, e, nel sec. X. Matelica con Attidio. Tufico e Sentino.Tale Diocesi copriva cosi quasi l'intera superficie del Comprensorio in esame escluso sole le terre dell'alta Valle del Nera appartenenti alla Diocesi Spoletana e una piccola parte appartenenti alle Diocesi Nucerina e Folignate. Quindi le terre di proprietà della Chiesa in generale, e dei Vescovi e monasteri in particolare, assumono una posizione sociale perché nel periodo più duro della guerra fra Longobardi e Bizantini molti componenti della più ricca nobiltà furono indotti a trovare rifugio e protezione nelle file della Chiesa donando ad essa o accomedando le loro terre.

Va ricordato che nella zona operavano inoltre i Monaci Benedettini con le relative Chiese irraggiatisi dalla Valle Castoriana (Abbazia di S Eutizio). In ciascuno di tali centri, stato esso Monastero o Convento principale o minore, è operante un centro economico e amministrativo con le sue terre e i suoi coloni, dove i monaci stessi con un certo numero di servi procedono alla bonifica ed aprono nuove terre alla coltivazione. Nelle terre del Comprensorio devastate dall'invasione e dalle guerre, la penetrazione monastica estende e riporta la coltivazione, ma malgrado tutto la maggior parte di esse è sempre coperta da boschi e da pascoli. I Monasteri di S. Lorenzo in Doliolo, di S. Maria in Valfocina, di S. Maria del Rio Sacro, di S. Salvatore di Acquapagana, quello di Val di Castro e dell'Eremita, per citare solo i maggiori della zona, sono i centri vivaci dell'espansione agricola religiosa con conseguente aumento delle terre di proprietà dei Conventi stessi a seguito anche di una nutrita corrente di donazioni da parte di privati piccoli e grandi.

 La conversione dei Longobardi al Cristianesimo se non portò alla normalizzazione della situazione ne attenuò almeno i contrasti più acuti. L'editto di Rotari dimostra che gli uomini liberi (arimanni) limitano generalmente la loro attività alla guerra ed alla caccia. La terra di cui sono proprietari è lavorata dalle popolazioni dipendenti e le terre della grande proprietà si dividevano in due parti: sala o sundrio e massariccio, corrispondenti grosso modo alla pars dominica le ville romane e le terre tributarie assegnate a coloni e massari.

La sala o sundrio e costituita però in massima parte da boschi. I poderi coltivati costituivano il massariccio che poteva essere anche molto esteso dal momento che nell'Editto Rotari e considerato il caso del Massaro che poteva avere sotto di se altri servi. Il carattere violento della conquista Longobarda accompagnato dallo stabilimento di nuova popolazione impedì effetti decisivi e duraturi sulle popolazioni indigene dei ceti più bassi. Anche dove presero stabile dimora le “fare” longobarde esse non si sostituirono alla popolazione locale nella coltivazione della fornitura della terra perché si limitarono ad assicurarsi dei viveri e degli alloggi, obbligando i proprietari, quando c'erano, e più spesso i coloni, a destinare a tale scopo una parte dei frutti delle terre (1/3) e delle loro abitazioni.

Dalle lettere di San Gregorio non risulta che nelle terre della Chiesa non occupate dai Longobardi fossero avvenute grandi variazioni nell'ordinamento delle proprietà maggiori. Esso era quasi quello del demanio imperiale con la differenza che le terre assegnate ad enfiteusi, liberi fittavoli, coloni e servi casati avevano preso il sopravvento sulle terre coltivate per conto del proprietario. In quelle occupate non risulta invece verso la fine del VI secolo la divisione fra le terre coltivate a spese e profitto del proprietario (terre dominiche) e quelle tributarie assegnate a coloni e servi.

Quindi non ci fu dapprima un gran mutamento nell'ordinamento della proprietà e tanto meno dall'invasione Longobarda sorsero i cosidetti usi civici di pascolo, legnatico, semina, ecc, in dipendenza della istituzione della proprietà collettiva: i diritti delle popolazioni sopravvissero soltanto su quelle parti del territorio che non si prestavano ad intensa coltivazione, come praterie e pascoli montani, selve ecc.

Gli studiosi sono dell'opinione che la venuta dei Germani in Italia abbia lasciato sussistere nell'alto Medio Evo, una parte dei diritti delle popolazioni sui pascoli e boschi: ma in ogni caso avvenne certamente un cambiamento nel titolo giuridico per cui le popolazioni originarie esercitavano il diritto di condurre le loro mandrie in quei pascoli. E ciò perché i Municipi Romani erano scomparsi e i loro beni erano passati in proprietà della Corte Regia oppure del Demanio Ducale. Ed anche i beni delle Chiese avevano subita una sorte identica.  Quindi se i proprietari di bestiame vollero continuare a pascolare i loro armenti o a tagliar legna negli antichi pascoli e boschi municipali o ecclesiastici dovettero domandarne la concessione all'amministrazione Regia o Ducale.

Per le terre del nostro Comprensorio non possiamo indicare la documentazione di una situazione del genere: ma l'attuale sopravvivenza di terre comunali, collettive ed in minor misura ecclesiastiche nonché l'esistenza degli usi di semina, legnatico, pascolo ecc, lo comprovano indirettamente. Ecco quindi i compascua vicinali sorgere da una concessione Regia, come appare da un documento dell'824 nel quale agli abitanti di Fiessa, località del basso Bolognese, ai quali l’Abbazia di Nonantola contestava il diritto di pascolo e pesca, opposero al rappresentante dell'Abbadia che tali diritti erano stati loro concessi da un diploma di Liutprando Re dei Longobardi.

Quando più tardi gran parte dei diritti Regi passerà ai signori feudali, saranno costoro a concedere ai loro sudditi diritti di pascolo e legnatico su terre pubbliche venute in loro possesso, Altrettanto faranno i grandi proprietari di terre, specie ecclesiastici, che concederanno ai loro dipendenti di pascolare, tagliar legna, seminare nei vastissimi terreni incolti e nelle selve di loro proprietà. Talvolta queste concessioni non facevano che riconoscere stati di fatto più antichi e talvolta rispondevano ad imprescindibili necessità di vita delle popolazioni che le disposizioni del tempo fissavano stabilmente alla terra; talvolta erano invece concessioni per attrarre popolazioni in zone che si volevano mettere a coltura.

 

 

 

SOTTO I FRANCHI

 

Nel 774 la caduta della dinastia Longobarda e l'avvento dei Carolingi non portò modificazioni profonde nell'ordinamento della proprietà anche perché le province seguitarono per oltre un trentennio ad essere rette dai Duchi ed officiali Longobardi. Soltanto nell'801 cominciò la sostituzione dei Conti Franchi ai Duchi Longobardi.

I Franchi dovettero, infatti, risolvere il problema di assicurare il loro dominio senza trasferimento di popolazione franca e senza grandi stanziamenti di truppe. Estesero, quindi in Italia il sistema beneficiario o feudale per cui le terre confiscate alla Corona Longobarda e ai grandi del suo seguito furono assegnate in godimento, vitalizio prima, e più tardi in proprietà ai Conti ed agli alti funzionari della dinastia Carolingia, nonché ai numerosi monasteri. Inizia cosi il feudalesimo imperniato sul beneficio, cioè concessione di una parte delle terre Regie contro un giuramento di fedeltà (omaggio), per cui i beneficiati si impegnano a restare suoi dipendenti (vassalli o homines). Il sistema dà vita ad una serie di sub concessioni per cui il beneficato principale si circonda di un gruppo di vassalli ai quali assegna, temporaneamente o a vita, una parte delle terre ottenute. I benefici concessi direttamente dal Sovrano divennero ereditari col Capitolare di Kiersy (877) per modo che i feudatari si trasformarono in piccoli sovrani.Si formarono cosi le grosse proprietà dei signori laici ed ecclesiastici dove permane immutata la divisione delle terre tributarie (massariccio) e le terre dominiche (sundrio o saliche), in larga parte costituite da pascoli e foreste e per il resto coltivate in misura modesta con il lavoro dei servi o con le prestazioni d'opera dei coloni che debbono censi o sono obbligati a prestazioni di lavoro ad arbitrio del signore. Sorgono cosi i diversi castelli per la difesa dei villaggi e dei casali o delle case sparse per la campagna e soprattutto per la difesa delle coltivazioni, ed è nel castello principale (quello abitato dal Signore) che si concentrano gli interessi delle zone che vi gravitano anche se costituite da Villaggi. Il castello è il più delle volte un centro politico, militare e giurisdizionale che finisce per avere un'azione predominante sull'economia della zona e finisce per estendere tale azione anche su piccoli proprietari gia indipendenti costretti a divenire abitanti del castello.

Tutto ciò è possibile perché al Signore feudale, laico o ecclesiastico, il sistema delle immunità consente, entro tutto il territorio datogli in feudo, poteri militari, giurisdizionali e fiscali per modo che egli esige per contratto o per consuetudine censi in natura o in danaro, regalie, dazi, pedaggi, prestazioni d'opera per restauri e guardie delle mura del castello. Di qui anche l'imposizione della fida di pascolo della quale troviamo ancora traccia nei Comuni attuali dell’Alto Nera e del Fiastra, nonché nei diversi Enti Collettivi che sussistono nei limiti del nostro Comprensorio ed in altre zone montane vicine.

La tassa fida o affidatura era il compenso richiesto al proprietario del bestiame perché questo potesse pascolare nelle terre del feudo, o meglio in alcune terre del feudatario. Tale diritto e relativa imposizione passò poi ai Comuni e la sua natura lo fa molto frequentemente classificare come regalia cioè come diritto spettante al Principe, ratione imperii. In epoca anteriore ai Comuni la fida era pretesa anche per il bestiame che pascolava nel territorio degli uomini liberi oltre che per quello che pascolava nelle terre di diretta proprietà del feudatario destinate al pascolo. A proposito di pascolo dobbiamo pensare che anche nell'età Longobarda e Carolingia la pastorizia fosse molto estesa, facilitata dalla abbondanza di terre diventate incolte a causa dell'invasione: ma dati i tempi la transumanza o l'alpeggio dovevano necessariamente avvenire nell'ambito della regione perché era troppo rischioso far fare al bestiame lunghi tragitti; del resto nelle zone del comprensorio i boschi ed i pascoli occupavano ancora vastissime estensioni cominciando nelle immediate vicinanze dei centri maggiori che, come Cingoli, San Severino ed altri ne risultavano spesso circondati.

Nelle terre del Comprensorio troviamo poche tracce del Dominio Longobardo e Franco.  In un documento farfense Visso figura nel Gastaldato del Ponte (747) e nel diploma con cui Eudone, Vescovo di Camerino stabilisce nel 944 di costruire in San Severino la Chiesa di S. Maria, si parla della Gastaldia Settempedana. Nel medesimo diploma c'è la firma di uno scabino cioè uno di quei giudici scelti fra gli uomini liberi che nell'ordinamento Carolingio assistevano nei giudizi i Conti o i Marchesi.

Come è noto i Longobardi divisero le terre da loro occupate in Gastaldati. Nella zona del nostro Comprensorio troviamo elencati i seguenti, riportati nei monumenti Farfensi e Fermani, nell'Umbria Transappennina e nel Piceno: Camerino, Settempeda, Castelpetroso, Fermo, Olmo, Clenti, Noce, Valle San Giuliano, S. Claudio, San Elpidio, Spaziarno, Truento ed Ascoli. Nell'Umbria Cisappennina: Terni, Nocera. Ponte e Tiferno.

I Franchi divisero il territorio occupato in Contee e Marche, intendendosi per Marca un comitatus di confine sia marittimo che terrestre. La voce Marca che ha origine tedesca compare tra noi nel 788 negli Annali Fuldensi. ed importanti nella nostra zona furono le Marche di Camerino. di Fermo. di Ancona o Warneria. che insieme ad altre dettero il nome di Marche alla nostra Regione.

Prima che il feudo divenisse ereditario la concessione doveva rinnovarsi ogni volta che cambiava il Re o il feudatario maggiore: se la concessione non veniva rinnovata il feudo tornava al concedente che ne disponeva a suo beneplacito.

A seguito della donazione di Carlomagno nel 773 il Ducato di Spoleto e quello di Camerino erano passati sotto la soggezione della Chiesa e le terre che ne facevano parte seguirono poi le sorti dei Re d'Italia cioè Guido, Berengario e di Ugo di Provenza.

Da una lettera di S. Pier Damiano sembra che la Marca di Camerino verso il 1050 fosse occupata dal Marchese Bonifacio di Toscana, padre della Contessa Matilde e nel 1070 sembra che il Ducato di Spoleto e la Marca di Camerino passassero alla Contessa Matilde e a suo marito Goffredo il Gobbo e quindi con tutta probabilità Camerino ed il suo territorio fu compreso nella donazione che nel 1077 la Contessa Matilde fece di tutti i suoi beni alla Chiesa Nel periodo successivo cominciano le contese fra i Pontefici, che rivendicavano le terre in forza della donazione suddetta. e gli Imperatori che le riguardavano invece come feudi propri. Camerino ed il suo territorio fece cosi parte della Marca di Ancona o Guarnieri quando i Marchesi Guarnieri estesero la loro signoria sino al Ducato di Spoleto.

 

 NEL PERIODO FEUDALE

 

Nel secolo X s'iniziano però mutamenti profondi nella situazione della proprietà terriera e delle popolazioni che su essa vivevano. I documenti dell'epoca denunciano la scomparsa di quei servi che lavoravano esclusivamente le terre del feudatario e che vivevano negli edifici centrali dei Castelli a carico del signore stesso. Molti dei lavoratori servi erano trasformati in servi casati, ma malgrado ciò il signore, sia esso laico o ecclesiastico, si trova in difficoltà per la coltivazione delle terre in gestione diretta per la scarsità sempre crescente della mano d'opera. Di qui. i frequenti contratti di livello, stipulati dal proprietario col diretto coltivatore con l'impegno di provvedere alle migliorie di una parte del terreno concesso: di qui i frequentissimi contratti di affittanza vitalizia o a tre generazioni. di precaria, di permuta con i quali i proprietari non coltivano più la terra ma la fanno coltivare. Sono frequentissime le cessioni ad un Monastero o ad una Chiesa di appezzamenti di terra con il pagamento di una somma di danaro contro concessione temporanea, al massimo di tre generazioni di estensioni di terre superiori a quelle cedute e pagamento di un censo irrisorio.

Si inizia cosi un ampliamento della proprietà privata perché in effetto tali contratti costituivano alienazioni larvate di terre inalienabili o considerate tali, come quelle delle Chiese e dei Monasteri. Contratti numerosissimi fatti da Abati e da Vescovi per superare le difficoltà di valorizzazione delle loro terre riservate sino allora alla conduzione diretta e per evitare la diminuzione e la scomparsa delle cospicue rendite derivanti sino allora dalla proprietà terriera.

Abbiamo elementi sufficienti per concludere che la colonizzazione degli altipiani e delle Valli montane del nostro Comprensorio fu fatta sotto lo stimolo dei Religiosi che vi impiantarono nei primi secoli floride e numerose comunità. Lo dimostrano le numerose chiesette soggette alle Abbazie Benedettine, sparse in tutto il territorio, che nei secoli oscuri accentrarono nelle loro mani il potere religioso e politico attraverso Vescovi ed Abati. e quello economico attraverso il costante ampia mento dei loro beni immobili acquisti, lasciti e donazioni. Dagli antichi documenti di fondazione di Chiese e Conventi (sec. X) si rileva come alle stesse fosse annesso sempre un beneficio costituito da terreni. Le donazioni riguardavano non solo terre come rilevarsi dalla formula usata « Principes enim jura in populis, vectigallia, tributa, aliaque permulta Regalie nomine comprehensa, privatae. personae predia. aedes, silvas, pascua. montes, mummos et alia hujusmodi Ecclesia munifice donabant pro remissione peccatorum suorum, vel parentem vel consanguineorum ».

Però il primo ampliamento della proprietà privata dovette avvenire nelle terre feudali perché furono i feudatari i primi a sentire la contrazione delle rendite derivanti dall'impossibilita di assicurare la coltivazione delle terre signorili con i vecchi sistemi. Si iniziò cosi 11 movimento che dopo 1000 doveva condurre alla formazione dei Comuni rurali ma che però fu preceduto dalla disgregazione delle terre signorili dell'epoca feudale e seguito dalla disgregazione delle terre ecclesiastiche come vedremo.

Di fronte alle crescenti difficoltà economiche i feudatari inasprirono le loro pretese di prestazioni, ma ad essi si contrapposero le masse dei coltivatori indipendenti in dipendenza dei contratti stipulati, e particolarmente di quei lavoratori che associati riescono quasi sempre ad ottenere dal Signore laico o dal Vescovo “capitoli” o pattuizioni che regolano i loro rapporti con l'antico Signore, sino allora affidati alla consuetudine che i potenti riuscivano sempre a modificare a loro vantaggio. La stipulazione di nuovi capitoli era facilitata dalle condizioni di maggior sicurezza derivanti dalla cessata minaccia di invasioni e dalle frequenti concessioni di terre a gruppi di famiglie perché venissero a popolare un castello e le terre annesse. Assistiamo cosi al dissolvimento delle grandi proprietà. specialmente di quelle ecclesiastiche, per l'alienazione delle terre dominicali che costituirono un secondo importante nucleo di proprietà privata interessanti le terre migliori o quelle ottenute dal dissodamento o dal disboscamento, Si creano anche   concessionari intermedi che si frappongono fra il Signore ed il coltivatore dipendente e che avevano vivo interesse ad aumentare le proprie rendite con esazioni arbitrarie di ogni genere.

Dalla situazione di concessionari pro tempore a quella di liberi proprietari il passo e breve e fu facilitato dal fatto che i Signori avevano abbandonato i propri Castelli per vivere nelle Città o nei centri maggiori.

A tutto questo su strato eeonomico-sociale si aggiunse la politica imperiale tendente ad abbassare il potere dei grandi feudatari e dei Vescovi aumentando quello dei feudatari minori sub concessionari. Corrado II con la Constitutio Feudis del 1037

estese l'ereditarietà anche ai feudi minori sub concessi, trasformando così i Valvassori in proprietari liberi salvo sempre il vincolo formale che li legava al Sovrano. D'altra parte i lavoratori rustici accentuano la loro azione con fughe, trasferimenti, associazioni per sostituire con nuovi patti contrattuali, per lo più collettivi, le vecchie consuetudini soggette all'arbitrio dei nuovi proprietari.

La maggiore sicurezza valorizza sempre più i rapporti fra il contando e la Città o i centri abitati maggiori e si inizia una economia di scambio sempre più esteso anche se contrastata fra il mercato cittadino o castellano dove ha sede l'artigianato locale e le poche piccole industrie ed il mercato rurale. Ogni castello importante diventa un piccolo centro commerciale dove fanno capo gli agricoltori per il collocamento dei loro prodotti. da scambiare con quelli dell'artigianato nelle aere e nei mercati.  Si formano cosi intorno al Castello agglomerati di popolazioni il cui scopo era quello di non ricadere sotto il dominio del feudatario che sebbene stabilito in altri luoghi o in città conservava ancora la sua corte, il suo castello e la giurisdizione nel contado. Talvolta il trasferimento del signore nella Città o nei centri più importanti, nel nostro caso Camerino, Visso. San Severino, Matelica, Tolentino. San Ginesio, Fabriano non era volontario, specie quando si trattava di piccoli e medi signori feudali: era coattivo perché essi rimanevano soccombenti o erano stanchi di lottare contro i loro ex dipendenti associati che, spesso con l'aiuto del Vescovo, erano riusciti ad ottenere una larga partecipazione nell'amministrazione del centro abitato. Tale trasferimento comportava la costruzione di una casa e l'impegno di porre gli uomini propri sotto l'autorità dei nuovi magistrati e molti vassalli del Signore o del Contado si trasferiscono addirittura in questi nuovi centri senza condizione alcuna. Molti di essi conserveranno le antiche proprietà terriere nel contado dove vivono ma parte dell'anno e spesso riescono a mantenere ancora per qualche tempo alcuni privilegi e regalie. Tutto ciò comporta una concentrazione di popolazione nei centri abitati e nelle città: nei castelli più importanti compaiono i borghi, talvolta contigui, talvolta staccati dalla cerchia delle mure castellane e cittadine. La campagna circostante si trasforma nel senso che viene intensamente coltivata ed i coltivatori escono la mattina dal centro abitato per andare a lavorare la terra e rientrano la sera.

Sorge cosi il Comune e nei primi tempi della vita comunale nelle città, quando la popolazione è scarsa e mercanti, ecclesiastici, medi proprietari e lavoratori liberi, costituiti in libere associazioni, hanno cominciato a nominare i propri magistrati “i Consoli”, che hanno assunto la rappresentanza degli interessi del centro abitato e la sua amministrazione, non è ancora cessata la influenza dei grossi feudatari del contado e particolarmente di quelli più lontani.

 

 

NEL PERIODO COMUNALE

 

Naturalmente il fenomeno della formazione dei Comuni non si presenta con la stessa intensità ed ampiezza nelle varie zone: ma è indubitato che esso si estese, sia pure lentamente, anche alle zone più povere e più lontane delle nostre Valli punteggiate da piccoli centri abitati sorti intorno alla chiesetta o al castello, sia in fondo valle che in vicinanza dei pascoli estivi. In questi centri il feudalismo sia esso laico o ecclesiastico si mantenne più a lungo e il sorgere della forma comunale fu certamente più tranquillo, pur dando luogo ai soliti vivaci contrasti. Che questi comuni rurali delle nostre Valli sorgessero intorno alle antiche Pievi o si distribuissero secondo la dislocazione delle Parrocchie non ha importanza per il nostro studio. Affermatosi il Comune nelle Città, cominciò la lotta contro i Signori del Contado: lotta che conduce dopo le precedenti alienazioni e frazionamento delle terre signorili alla scomparsa totale di questo tipo di proprietà che venne assorbita dal Comune vincitore o predominante. Ma per giungere a questo non fu sempre necessaria la lotta cruenta, e molte volte il feudatario cedette le sue terre e le sue regalie al Comune e mise a disposizione la sua rocca, i suoi uomini e spesso la sua opera retribuita o no quale magistrato cittadino o comunale. Spesso il feudatario sottomesso era il Podestà del Comune, quando ai Consoli si sostituirono i Priori.Il fenomeno e generale anche nella nostra zona. A Camerino, a Visso, a Matelica, a San Severino, a Tolentino a San Ginesio, a Sarnano, dopo la costituzione e l'affermazione del Comune non esiste una netta differenziazione tra l'economia feudale e l'economia comunale nuova, prevalentemente di scambio. Continua la lotta senza esclusione di colpi fra i grandi proprietari di terre che non vogliono rinunciare alle loro immunità, alle loro partecipazioni alle entrate fiscali, ai diritti sui propri uomini entrati a far parte del Comune e su tutti gli altri che dedicatisi ormai ad un'arte o ad un mestiere si sono staccati dalla corte padronale e non vogliono essere sottoposti ancora agli antichi obblighi di servizi e prestazioni.

            Nei castelli lontani dalle Città la situazione non e diversa. I coltivatori si ribellano contro gli obblighi di prestazioni di opere o di servizi loro imposti perché sono spinti dalla necessità e dal desiderio di aumentare la produzione della terra di cui hanno il godimento per procurarsi con lo scambio i manufatti necessari. Queste ribellioni, questi contrasti, sono risolti, sia pure temporaneamente dalla stipulazione di nuovi patti che costituiscono il primo nucleo degli Statuti dei Comuni rurali: patti che regolano i rapporti fra proprietari, ormai lontani e coltivatori- Al contratto di colonia perpetua dell'epoca feudale, si sostituisce in misura sempre maggiore quello di colonia parziaria da cui. nell'Italia Centrale, deriverà il contratto di mezzadria.

            Nello stesso tempo procede alacremente l'opera di messa a coltura di nuove terre provenienti da disboscamento e dissodamento, dalla bonifica delle Valli o degli altipiani, dalla regolarizzazione del corso dei fiumi. L'agricoltura comincia a svilupparsi e ad intensificarsi su superfici più o meno estese a seconda dell'altitudine ed i Castelli lontani dalle Città si trasformano a loro volta in Comuni minori, retti da magistrati propri, con terre collettive e private ben delineate, spesso nei confini dell'antico feudo che era esistito sino a pochi anni prima.

Nel nostro Comprensorio questo fenomeno fu di ampia portata perché abbiamo una numerosa serie di Castelli più o meno grandi ed una serie numerosissima di piccoli centri abitati che si trasformarono in piccole Comunità indipendenti con personalità propria e proprio territorio Alcune di queste Comunità divennero Comuni veri e propri nella epoca Napoleonica. altre invece sono diventate frazioni di Comuni maggiori e quel territorio che in antico formò la giurisdizione della antica Comunità, oggi ridotto dalle vendite a privati, dalle trasformazioni e diciamolo pure dalle usurpazioni. costituisce il patrimonio di quegli Enti Collettivi che prendono il nome di Comunanze.

Alla lotta che nell'800 e nel 900 i grandi feudatari avevano condotta contro i minori e che fu causa dell'assorbimento di questi ultimi, si sostituì dopo il 1000 la lotta dei Comuni contro i feudatari. ed una volta debe11ati quest'ultimi, le mire dei Comuni maggiori si rivolsero contro le Comunità minori sparse nella zona, che il Comune maggiore ritenne essere riservata alla sua influenza. o nella quale aveva costituito centri di influenza con acquisti o protezione di nuclei abitati.

Noi pensiamo. ma non ne abbiamo la prova documentata, che nella parte montana del nostro territorio le piccole Comunità Rurali. cercassero di opporsi all'azione di conquista delle Comunità maggiori mediante atti federativi che riunivano in un solo complesso Comunità geograficamente vicine e con interessi comuni e territorio confinante. Noi pensiamo che nelle nostre Valli montane abbiano avuto vita, prima del 1200, formazioni federative come quelle della Val di Fiemme, della Val Camonica, della Val Sugana, della Val Gandino (Bergamo), del Frignano, della Valle del Lamine, della Val di Taro ecc. dislocate nelle Valli Alpine ed in quelle dell'Appennino Settentrionale, la cui organizzazione e pervenuta sino ai giorni nostri. Pensiamo cioè che si siano costituite unità territoriali sub regionali non caratterizzate dalla presenza di una Città; cioè Universitas Vallis costituita dall'unione di tutte le Ville circostanti sotto la guida di un capoluogo. Questo ordinamento federativo era provocato dalla mancanza di un grosso centro murato molto popolato. per cui la federazione dei Vici, attorno ad un Capoluogo - Castrum - che si pone come la sede degli organi amministrativi e giurisdizionali.

Come ben dice il Santini nella federazione di Valle “il capoluogo può variare da luogo a luogo e da tempo a tempo e può addirittura mancare”.  Ciò differisce dalla Civitas, centro di un territorium che assume la condizione di sua dipendenza e pertinenza rendendo possibile il sorgere di un Comune strettamente limitato alla cerchia murata cittadina che estenderà poi nel contado con il conseguente differente status giurispubblicistico tra cives e abitanti del contado.

Negli ordinamenti federativi si rintraccia un territorium tradizionale, tuttavia mancando la schiacciante prevalenza di un centro abitato, i singoli villaggi del distretto e tutti gli abitanti della Valle sono posti su di un piano di perfetta parità di diritti e doveri. Il distretto tradizionale non è concepito come una dipendenza o pertinenza del Capoluogo. ma come la sede di tutte le Ville della Valle e del gruppo sociale valligiano ivi residente.

            Alcuni di questi ordinamenti federativi in certi momenti hanno poteri di autonomia economica ed anche politica e sono in condIzione di formulare le proprie leggi e di governarsi con i propri Consoli anche se l'alto dominio rimane ad altri.

Queste Comunità interessanti un'intera Valle, già nell'alto Medio Evo costituivano altrettanti Enti territoriali con propria organizzazione amministrativa: veri e propri Comuni, quantunque con autonomia solo amministrativa che da loro il modo di conservare in piena età Comunale terre e boschi comuni a tutti gli abitanti della Valle. Naturalmente l’autonomia è posseduta da tali federazioni solo in certi casi e per un certo periodo ed e continuamente soggetta all'assalto dei Comuni cittadini vicini e, sebbene accanitamente difesa, spesso e perduta e talvolta, poi, riconquistata. Talvolta non è il Comune che riesce ad impadronirsi dell'autonomia della Federazione di Valle. ma è il Signore; a sviluppo comunale ormai compiuto. per modo che in precedenza tali ordinamenti federativi altro non sono che ordinamenti comunali autonomi del contado.

In assenza dei documenti (specie anteriori al 1300) la nostra attenzione si è portata sulle Valli dell'Alto Nera. dell'Alto Chienti. dell'alto Potenza e del Fiastrone.

Qui si verificano alcuni fatti particolari comuni a tutte le Valli. come la mancanza di un centro abitato che da il nome alla Valle che invece prende a preferenza il nome da un fiume.

Nell'alto Nera ad esempio l'attuale Comune di Ussita non ha un centro abitato di tale nome, come non lo aveva in passato, Anzi nelle prime carte dell'Archivio di Ussita si parla di “Universitatis Vallis Uxite” e tale denominazione permane per molti secoli- Nell'Alta Valle del Nera il nome di Castel S. Angelo compare soltanto nei primi del 1300: in precedenza tutta la zona era qualificata con il nome di contrada Montanea. 1 Villaggi attuali di Aschio. Cupi costituivano la contrada Pagese (forse dall'antico Pagus) tradotto poi in Paesi e dopo il 1500 in contrada Macereto. Nell'attuale Comune di Montecavallo, già Monsanpolo, non esiste parimenti centro abitato di tale nome. Nella Valle del Fiastrone, Acquacanina è ora un Comune composto di tante piccole Ville nessuna delle quali porta tale nome e parimenti era in antico. Lo stesso avviene per Bolognola, per Fiordimonte, per Fiuminata. Nell'attuale Comune di Serravalle l'antica Comunità di Percanestro era parimenti composta di piccole Ville con nomi diversi. e la Vallata lungo la quale giacevano si chiamò per molti secoli Valle Verde. Altrettanto dicasi per la Valle di San Martino nei dintorni di Camerino e per la Valle di San Clemente nell'attuale Comune di Apiro.

Tutte queste zone sono disseminate di numerosi Villaggi ora frazioni, in antico piccole Comunità o Castelli. Il che fa pensare ad organismi federativi tra i vari villaggi che poi hanno preso per denominazione distintiva quella di un fiume, di un monte, o da un santuario come avvenne per la Val S. Angelo in territorio di Pievetorina.

Inoltre queste zone sono tutte vicine ad un antico centro romano che poteva anche essere il centro di un antico pagus e forse il nome rievoca la denominazione del pagus sia pure variato più o meno leggermente col volgere dei secoli. Come antichi centri Romani nella zona in esame abbiamo Norcia o forse Nocria per il Vissano, Plestia per la zona di Serravalle, Pioraco per quella di Fiuminata. poi Camerino e Cingoli per le altre località citate.

Da quanto possiamo dedurre dagli Statuti giunti sino a noi notiamo un'organizzazione uniforme della proprietà e delle disposizioni tendenti a salvaguardare la libera disponibilità del pascolo e del bosco nonché del prodotto dei seminativi; l'eguaglianza delle contrade per la partecipazione al Consiglio Generale e nel numero dei Consoli o dei Priori a seconda dell'epoca. Comunque l'organizzazione federativa doveva essere una caratteristica della Valle Ussitana perché in essa la costruzione del castello e ordinata soltanto nel 1380 dai Varano che avevano vasti interessi nei pascoli della zona. E parimenti federativa dovette essere l'organizzazione della Valle attualmente detta di Castel S. Angelo in quanto in essa sussiste ancora la suddivisione delle terre comuni per modo che ogni gruppo di frazioni (per solito due a due) ha il suo territorio corrispondente a quello antico e vengono rievocate così le antiche “partes”, assegnate di tempo in tempo nei comuni federati. E dell'organizzazione comunale la prova evidente è l'esistenza dei Massari che curavano l'amministrazione e la conservazione dei diritti di uso nelle terre Comuni. L'esistenza poi nella Valle di Ussita e di Castel S. Angelo di un Consiglio generale locale conferma ancora l'organizzazione federativa delle stesse.

Col progredire dei tempi troviamo nelle zone ad organizzazione federativa la cosi detta costituzione a raggiera con il centro politico amministrativo in mezzo e Ville più o meno numerose intorno: centro che finisce poi per dominare completamente l'organizzazione federativa delle singole Valli o con la forza o con la persuasione, perché è nel centro fissato ormai stabilmente in un punto. che si accentra la parte economica principale della zona, con l'accentramento nel castello dei mercati, dei prodotti e delle famiglie maggiorenti richiamatevi dalla maggiore sicurezza, dalle maggiori comodità e dalla possibilità di un più rapido arricchimento attraverso la conquista del potere politico o delle cariche comunali.

Come dicemmo noi non possiamo provare con documenti l'esistenza di organismi federativi nel territorio del Comprensorio intorno al 1000. Ma sono molti i centri delle nostre Valli che presentano le caratteristiche degli ordinamenti federativi in parola, cioè Ville numerose, centro romano vicino e talvolta esistenza di una “plebs” come elemento di transizione fra il “pagus” romano e il Comune rurale dell'Alto Medio Evo.

Come e quando queste federazioni di Comuni abbiano perduta la loro autonomia politica non ci è dato di saperlo perché mancano i documenti che possano illustrare tale trapasso repentino o progressivo che fosse stato: ma di esso troviamo qualche traccia negli Statuti, per quanto quelli pervenuti sino a noi siano già la risultanza o della fusione o dell'incorporazione dell'antica organizzazione federale con quella Comunale.

Particolare considerazione merita la posizione di Camerino dove l'esistenza di federazioni di Valle troverebbe una certa giustificazione nelle cosi dette “Terre Raccomandate” cioè terre quasi autonome che si governano con magistrati e Statuti propri. Tali terre raccomandate erano: S. Anatolia (ora comune di Esanatoglia) di cui conosciamo lo Statuto più antico del l324; Sefro (di cui abbiamo lo Statuto del 1423), Serrapetrona (con lo Statuto del 1400), Camporotondo (con lo Statuto del 1373), poggio Sorifa (oggi frazione di Fiuminata).  Dignano, Rocchetta. Percanestro ed Elci (attualmente frazioni del Comune di Serravalle del Chienti). Di queste nove località ci sono pervenuti gli Statuti di sei soltanto la cui esistenza è indice che le stesse, pur essendo sottoposte alla giurisdizione di Camerino, di fatto provvedevano alla amministrazione delle proprie terre ed alle nomine dei propri magistrati secondo le norme Statutarie. Poi col tempo le terre raccomandate si ridussero a quattro e nel 1502 erano soltanto: Sefro, S. Anatolia, Serrapetrona e Camporotondo e tali rimasero sino al XVII come risulta da una relazione del Cardinale Casanata sulle condizioni dello Stato di Camerino; e la loro autonomia andò scemando di anno in anno. Comunque ci sembra che la questione dell'esistenza delle Federazioni di Valle nelle terre del Comprensorio voglia essere approfondita sia pure in altra sede.

Sia nel caso in cui il Comune assorbiva un feudatario del contado o che assoggettava un Comune rurale, si aveva un allargamento della giurisdizione territoriale, un incremento delle regalie, un ingrandimento delle terre Comunali gia di proprietà. del feudatario o del comune minore.

A queste lotte per cosi dire locali se ne sovrappongono altre di maggior mole fra la Chiesa e l'Impero.  Però mentre la Chiesa attraverso i Vescovi aveva favorito ed appoggiato la formazione dei Comuni, specie di quelli cittadini, per fiaccare la potenza dei feudatari, questi avevano trovato nell'Impero il loro principale sostenitore per il mantenimento della loro potenza e dei loro privilegi. Nei comuni maggiori del comprensorio (Camerino, Matelica, Fabriano, San Severino, Cingoli, Visso) assistiamo ad un'alterna vicenda di progressi e regressi delle istituzioni popolari a seconda che gli Imperiali (Ghibellini) avevano la peggio o la meglio sulle forze e sui sostenitori della Chiesa (Guelfi).

Ma nell’antica Marca di Camerino assistiamo ad un altro fenomeno: al formarsi cioè di tante piccole Comunità rurali. Esaminando tali Comunità. da una parte le troviamo costituite da piccole borgate disseminate o nelle Valli o appollaiate su colline e montagne, difese talvolta da mura o da semplici fossi, talvolta fortificate e munite di un piccolo Castello; talvolta troviamo invece aggregati più vasti stretti intorno ad una rocca signorile, abituale dimora del feudatario del luogo, mentre nelle Comunità del primo tipo, anche quando sono munite di castello, esso non e mai 1a dimora abituale del feudatario, ma serve sempre di rifugio alle popolazioni in caso di attacco del nemico ed e spesso costruito per concessione o mandato del feudatario lontano. Anche in queste Comunità del contado si ebbe, da principio, una timida affermazione di fronte ai signori delle campagne, ed il primo atto di vita collettiva. con cui si manifestarono le nuove energie, è costantemente un patto che riconosce la signoria dell’antico padrone, che continua ad accordare 1a sua protezione, perché costrettovi, a1 nascente organismo del Comune, ricevendone in cambio un giuramento di fedeltà.

            Nelle Ville del primo tipo, praticamente aperte, lontane dai castelli abitati dai feudatari. 1a popolazione rustica è omogenea e vive ed utilizza le terre secondo l'antica consuetudine. Anche con l'evolversi dei tempi e con il migliorare delle sue condizioni economiche, la popolazione è quasi sempre costituita da una classe sociale unica avente per base attività rurale. E tale si mantiene anche quando il Comune cittadino ne arresta il corso e 1a possibile trasformazione sottoponendo agli interessi dell'attività cittadina ogni ramo di attività del contado.

            Queste Comunità, a somiglianza di quanto avvenne altrove, ottennero concessioni di terre da parte di Monasteri, Abbazie e Signori: ma é la collettività che si obbliga in solido e che resta garante per ciascuno dei suoi componenti. Ma una collettività che diventa concessionaria di beni dà godersi in comune crea 1a necessità di costituire un Ente con amministratori e capi propri che sono la rappresentanza della collettività. Talvolta le concessioni a titolo di livello o di precaria sono a favore di poche persone che in seguito crescono di numero e d'importanza sino a darsi uno Statuto ed a regolare con opportune norme il lavoro dei campi e l'uso dei pascoli e boschi comuni. E le norme che regolano queste associazioni di rustici (Capitoli o Statuti) si presentano talvolta come strumento stipulato fra i singoli associati per regolare le loro relazioni economiche e quelle con l'Università intesa come ente morale e non solo come riunione pura e semplice di persone interessate all'atto. In queste università la forma della rappresentanza non può assumere che il carattere di un organo assai semplice, creato unicamente per regolare i rapporti della vita quotidiana e senza alcun indirizzo politico, ma soltanto economico. Talvolta due o più di queste Comunità si fondono amministrativamente e spesso politicamente in una sola le cui forme di governo rimangono presso che inalterate. Talvolta sono Ville appartenenti già ad un solo signore che, povere di risorse proprie, allo scopo di conservare a lungo l'indipendenza ed i vantaggi economici conquistati, si prestano scambievole appoggio, fondono le loro energie e creano un Ente adatto a rappresentarle, armonizzando le tendenze delle singole collettività. In questi casi il potere rimane accentrato nel Consiglio Generale a cui prendono parte i Consiglieri nominati dalle singole collettività. Molti degli attuali Comuni del comprensorio, sono stati in antico costituiti dall'unione di due o più universitates che oggi costituiscono quelle Comunità o Comunanze che hanno tutt'ora un resto di vita propria indipendente da quella del Comune. E poiché, ora come allora, l'unico ramo della vita pubblica che poteva svolgersi in certo qual modo indipendentemente dall'intervento e dall'autorità del Comune centrale era l'amministrazione delle terre che formavano l'elemento indispensabile alla vita, noi troviamo ancora oggi regolamentazioni dell'uso delle terre rimaste comuni che sono quelle di secoli addietro malgrado il progresso dei tempi e delle idee.

Quelle Vi11e, che formarono le prime Università di Uomini e che ora sono per lo più frazioni del Comune moderno, hanno conservato nei libri delle deliberazioni dei loro massari o nei loro statuti giunti sino a noi. la storia della loro, semplice vita economica. E sia pure con la approvazione del Consiglio Generale del centro, dopo che i locali consigli dei massari locali avevano fatto le necessarie proposte, noi troviamo regolati direttamente l'uso del pascolo e del bosco, tutelati i prati ed i foraggi, severamente puniti i danni, disciplinati i raccolti e le operazioni agricole della semina e mantenersi inalterate nei secoli alcune magistrature locali (massari, saltari, gualdari ecc.) istituite appunto perché rispondenti a sentite necessita della tutela dell’economia locale. Sono questi i Caste11i e le Ville che lungo il 1200 Camerino acquistò o conquistò nel suo Contado come del resto fecero Visso, Sanseverino, Fabriano, Tolentino, San Ginesio e Sarnano, circa nella stessa epoca o poco più tardi.

Noi pensiamo che a creare questa situazione abbia contribuito il fatto che nel Comprensorio si ebbe la dominazione della Chiesa attraverso i Vescovi che incoraggiarono le libere associazioni di rustici per controbattere la potenza dei feudatari e degli Ordini religiosi. E non bisogna dimenticare, per la zona montana, la particolare situazione delle risorse locali che costringevano la popolazione ad una unica attività principale, cioè l'allevamento del bestiame. più che all'agricoltura vera e propria.

Comunque. per tornare ai nostri Comuni, non abbiamo tracce precise di quando sorsero le Istituzioni Comunali.

Da un documento citato dal Turchi appare che nel 1198 Camerino aveva cinque Consoli che in quell'epoca stipularono un patto di alleanza con i Consoli di Montecchio (Treia). Per San Severino i Consoli si trovano nominati in un documento del 1177; per Matelica nel 1165; per Tolentino nel 1198. per Visso nel 1249. Con questo non vogliamo dire che in tale epoca ebbe inizio la vita comunale: vogliamo soltanto indicare che quelle sono le date in cui si rintraccia la prima notizia documentata dell'esistenza di tali magistrati che fanno supporre 11 Comune gia costituito e funzionante anche se non nella forma più classica dell'epoca successiva.

Abbiamo gia accennato che affermatisi i Comuni, il loro principale scopo fu quello di estendere il loro dominio e la loro giurisdizione con conseguente espansione della loro zona di influenza politica ed economica.  Su questa strada essi incontrarono dapprima i feudatari che, benché stabiliti in Città o entro le mura comunali, erano sempre in possesso delle terre lontane ed erano sempre pronti ad impadronirsi dell'amministrazione del Comune. Poi urtarono contro i Comuni e le Comunità minori costituite intorno ai castelli lontani o di feudatari che non si erano inurbati.  Però dobbiamo dedurre che verso la meta del sec. XIII il numero dei centri del comprensorio che hanno raggiunta una autonomia comunale quasi completa è già molto alto, per quanto i loro confini territoriali rimanessero entro un raggio molto ristretto.

Il territorio del Comune, infatti, anche dopo la sottomissione del contado o distretto, non era molto esteso e difficilmente superava i 15-20 chilometri fuori dalla cinta delle mura per i Comuni maggiori. Al di fuori del territorio comunale si entrava in territorio straniero, il più delle volte nemico, e lo stato normale dei rapporti fra i Comuni confinanti del nostro Comprensorio, fino ai primi del 1500 era di ost11ita aperta o latente, Eccettuati alcuni periodi (normalmente per accedere alle fiere o ai grandi mercati) era pericoloso avventurarsi fuori dei confini del Comune di origine. I confini poi per un certo tempo furono fluidi, nel senso che ogni comune cercava di crearsi una zona d'influenza nelle zone di confine di un altro, sia accordando la propria protezione a Villaggi o a personalità eminenti del posto, sia creando una zona d'interessi per i propri abitanti di confine con l'assegnazione di terre che si trovavano nel territorio dell'altro, in conseguenza di un acquisto o di una pretesa.

L'assorbimento dei Comuni minori e delle piccole Comunità del contado o distretto da parte del Comune maggiore avvenne o mediante conquista o mediante atto di sottomissione o di dedizione e talvolta mediante atto di acquisto dei diritti che i vecchi feudatari, ormai stabiliti nella cerchia delle mura cittadine, vantavano ancora su terre lontane e su Comunità rurali del distretto.

Successivamente, quando il Comune si è ormai affermato ed ha raggiunto un'importanza territoriale notevole, interviene fatalmente un riordinamento generale delle istituzioni alle quali partecipano anche i nuovi o ultimi componenti del territorio comunale. Questo riordinamento riguarda non soltanto le istituzioni. ma anche la parte amministrativa e l'uso delle terre.

Questi riordinamenti interni furono originati dalle necessita finanziarie dei Comuni, grossi o piccoli che fossero. Nel nostro Comprensorio troviamo messi in atto due sistemi.  Con uno si lasciarono alle Comunità assorbite o conquistate i propri ordinamenti interni riguardanti anche l'uso delle terre e le imposte relative (Camerino). Con l'altro invece si addivenne ad una ripartizione del territorio di ciascun Comune in contrade, con zone di uso corrispondenti al territorio delle antiche comunità e Castelli, con amministrazioni affidate a magistrature locali sotto la sorveglianza del Centro che si riservava esclusivamente alcuni territori in uso diretto, per utilizzarne i proventi per le sue spese (Visso). E ciò perché la questione finanziaria cominciava a diventare importante e pressante. Difatti nello Stato Pontificio, del quale facevano parte i Comuni del nostro Comprensorio, dopo il 1000 e specie dopo il sorgere dei Comuni, l'autonomia finanziaria di questi é limitata dalla Sovranità della Curia Romana: ma dopo la caduta degli Svevi, in tutte le città grandi e piccole si manifesta uno squilibrio, spesso notevole. fra le risorse della popolazione e le richieste del Sovrano per le molteplici spese varie non escluse le guerre.

Nella prima fase del sorgere dei Comuni, quando i cittadini sono quelli che volontariamente o obbligatoriamente assicurano la difesa della Terra e del Contado e contribuiscono direttamente alla estensione ed affermazione del Comune, le spese sono relativamente modeste. Ma quando le guerre aumentarono in estensione e durata le milizie Comunali debbono essere usate insieme alle mercenarie per rinforzare quelle del Pontefice, o contro di esse. le spese aumentarono rapidamente mentre le devastazioni conseguenti alle guerre stesse impoverivano il territorio e quindi la possibilità di entrate. Di qui i prestiti obbligatori dei Comuni per tali spese o per pagare le ammende e le taglie, e la necessità dl creare un sistema di entrate ordinarie e straordinarie. E nei Comuni del nostro comprensorio lo stato di agitazione permane più o meno intenso sino ai primi del 1500.

Nel sistema finanziario escogitato le entrate dl carattere patrimoniale non sono cosi importanti come lo furono per le grandi Signorie feudali o per il fisco Regio. Normalmente il Comune, quando sorge, può disporre della proprietà su terre e pascoli e boschi sui quali i cittadini godono dei diritti dl uso, terre strappate o acquistate dal feudatario in molte delle quali permangono ancora alcuni diritti che il feudatario si é riservato con la cessione. Ma non ha invece terre dalle quali possa ricavare una rendita certa e costante e quindi fonti ordinarie del suo reddito non sono altro che la tassa sul fuochi o fumanti e l'estimo sulla proprietà coltivata ed allibrata. Ma quando il Comune, a seguito dl atti di conquista o di dedizione o di Comuni minori o di feudatari, riesce a formarsi una vasta proprietà terriera, ecco sorgere sulle terre boschive e pascolive la fida di pascolo in quanto il Comune, in luogo del Sovrano o del feudatario, acquista o avoca a se il jus pascendi su tutto il territorio Comunale o su determinate parti di esso, destina le terre delle quali è entrato in possesso. o che si è riservato nel nuovo assettamento dato al contado, all'affitto utilizzando le rendite relative Per fronteggiare le sue spese e possibilmente pareggiare il suo bilancio.

 Le terre comunali verso il 1300 possono essere divise, nel nostro Comprensorio, in due grandi categorie e cioè: quelle riservate al Comune che ne dispone nel mondo più opportuno per ricavarne redditi che vanno a fronteggiare le spese comuni e quelle riservate ai cittadini che vi esercitano i diritti di uso (pascolo, semina e legnatico) gratuitamente o contro pagamento un corrispettivo.

Dai documenti delle varie epoche possiamo rilevare anche la natura delle terre che costituivano la giurisdizione dei Comuni del Comprensorio ed la loro coltivazione.

Eudo, Vescovo di Camerino, nel 944 cede all'erigenda chiesa di San Severino. il beneficio che tiene nella gastaldia sub tepidano (Settempedana) ipsa terra et vinea juxta ipsu fiume de Potentia et ipsu campu et ipse rote juxtra ipsu castello qui fui de doti Sacti Moroti et aliu campu et ipsa colonia de casale qui fui ioh, calvi et gabiani cum casis, terris. vineis, cannetis, olivetis, pratis, pascuis, pomis, arboribus fructiferus vel infructiteris culto vel inculto.

E nel 1015 Attonis Comitis et Bertae Comitissae donano a favore del Monastero di S. Angelo infra Ostia (Esanatoglia) "terra culta et vinea et silva interadunata et extra dunata" nonché "casamentum quod tenet Gisofertem nostrum cum casis et terris et vineis et arboribus" e confermano e concedono  "omnia nostra decima pro tempore nostre dominicationis de omnibus fructibus nostre dominicate rebus et de cunctis animalibus et cum silvis. campis. pratis. pascuis aquis aquimolis...".

Nel 1094 Ugo. Vescovo di Camerino dona all'Abate del Monastero di San Mariano (S- Severino) terram, vineam. arbores. Nel 1117 concedit a Garnerio Duca e Marchese terre atque Silvarum nel monte Sancti Genesii.

Nel 1119 Laurentius Vescovo di Camerino cedit jure emphiteutico a Warnerio Marchioni ftgli et figlie sino alla terza generazione il Castellum Sancti Severini et elus curtem integriter in integrum cum omnibus que ad ipsum Castellum et ad eius curtem pertinere videntur.

Nel 1122 Tramundus. vescovo di Camerino dona al cenobio di S. Mariano un molinum et ipsam Terram cum pomis et arboribus suis.

Nel 1156 Bonfili de Raino dona alla Chiesa di S. Angelo infra Ostia terris, vineis et arboribus

Nel 1171 Acceptabilis vescovo di Camerino dona al Cenobio di S. Michele Arcangelo totam curiam que attinet ipsi Eremo cum terris. vineis, et silvis etc. et obsequium quod est debitum de Domo et Filiis qui in Dolio habitant.

Nel 1177 Federico I Imperatore dona alla Chiesa di S. Severino il predio di Cefano.

Nel 1180 Marcavellus figlio di Albertino Comite dona al Monastero di S, Angeli infra Ostia medietatem plebis S. Anatolie.

Nel 1186 Accettatus vescovo di Camerino cede in enfiteusi a Reinaldi Petri e suoi eredi sino alla terza generazione “totum quod habetis et tenetis in Curte Collis lucis et in curte balvignani scilicet Mansum Albrici et partem castellare collis lucis et vineam”.

Nel 1192 Celestino III Papa concede al Monastero Riguli Sacri (del Rio Sacro) “privilegio Capellam S. Maria de Merigu cum possessionibus et pertinentiis suis, nonché i privilegi con i possessi e pertinenze della Cappella di S. Angelo de Campicino, di S. Croce di Cupi (Visso), di S. Angelo di S. Ginesio, di S. Lucia di Recanati, di S. Jacobi de Macerata, Tre mansos in Villa Bolonie e tre mansos in Castro Aqua Canine campum de Campicino cum pertinentiis suis, mansum de Lamandine, mansum de Petro Actum cum pertinentiis suis, possessiones omnes terrarum que sunt in Montibus Prete late, Collemundi, Vallis de Sibla, Fani montanari et Plage de Vicciole cum silvis et pertinentiis suis. Sane novalium nostrorum que propriis manibus, aut seunptibus colitis, sive de nutrimentis animalium vestrorum nullus a vobis decimas exigere, vel extorquere presumat”.

Nel Privilegio di Papa Innocenzo III del 1198 pro Monastero S. Angeli infra Ostia è detto “et jus quod habetis in aliis Ecclesiis ejusdem loci cum omnibus pertinentiis supradictarum Ecclesiarum in Episcupati Nucerine, Camerinense et Auximano terras, silvas, vinea qual ibis habetis sene novalium vestrorum quos propris manibus aut seunptibus colitis, sive de nutrimentis animalium vestrorum nullus a vobis omnino decimas. vel primitias exigere presumat”.

E nel Privilegio dello stesso Pontefice Innocenzo III del 1199 pro Cenobio S. Mariani (benedettino) “nullus vobis decimas exigere vel extorquere praesumat sulle possessiones sane novalium vestrorum”.

Nel 1218 Atto, vescovo di Camerino costruisce la Chiesa e l'Ospedale di Buraci con  “absolvo ab omni datio et obsequia et ab omni honere seu gravamine”.

Nello stesso anno 1218 nel Privilegio che lo stesso Attonis Vescovo di Camerino concede al Plebano Vasculo de Plebis Bovelliani si parla di “possessiones omnes terras, vineas molendina, silvas, homines cum eorum Terrimentis et servitisi, quae facere consueverunt,  aquas et cursus aquarum, rotas, prata,  pascua et culta omnia, et inculta infra istos Sguaitas et istos homines, et mansos terrimenta omnia eorum cum omnibus servitiis ea usantiis, videtur, mansum quem tenent filii Petricanis etc. (seguono elencati 19 mansum).

Nell'atto del 12 Marzo 1226 concernente l'Aggregati Militum dominantium in Casavolla in cives Pyranos, et ejusden Castri venditio Comuni Castri Pyri, si rileva che diversi uomini di Casavolla (località ai confini fra San Severino ed Apiro) nominarono “Albertum Petruitii sindico, yconomum, procuratorem et actorem Communitatis et Universitatis hominum Castri Pyri e nel proseguo dell'atto si legge: submittimus nos nostraque bona omnia in curte et sub curte et sinaita et Jurisdictione Universitatis et Communitatis Castri Pyri in perpetuum. ef facimus nos perpetuos Castellanos et habitatore per nos et per nos heredes et successores dicti Castri Pyri cum omnibus... ", e più oltre "Item ... debeant Jurare Consuli vel Consulibus dicti Castri Pyri oerum preceptis obbedire Capitiula seu Statuta tenere que nunc sunt vel erunt per tempus in Communantia Castri Pyri”. E più avanti: “Item concedimus tibi dicti Alberto Sindico recipienti nomine dicti Universitatis et Communitatis Castri Pyri, et ipsi communitatis et Universitati liberam licentiam devastandi et destruendi Castrum Casavole muros et omnia et singula hedificia infra Castrum et extra Castrum Casavolle posita”. Dopo l'impegno di non ricostruire i Castello di Casavolla seguono i compensi pattuiti in terreni e danaro per ogni singolo capo famiglia ceduto. e vi figurano terre viniate. vinia cum terra et arboribus, terre campestri a curia Pyri.

Nel 1257 Guillelmus vendit Castrum Alifurni Communi  S. Severini e precisamente: Castro et Podio Alifurni et Jurisdictione ipsius Castri et hominum ipsius Castri et pertinen  ad ipsum Castrum.

Dall'esame di questi documenti risulta evidente che ancora nella prima metà del 1200 erano d'uso comune termini ed istituzioni del precedente periodo longobardo e franco (gastaldia, curtem, mansum) e vediamo dall'atto del 1226 nel Catello di Pyri (Apiro) si parla già di Capitula o Statuta esistenti precedentemente all'atto stipulato con gli Uomini del Castello di Casavolla riuniti in associazione denominata Comunitatis et Universitatis.

Da tali documenti risultano anche le diverse specie di terre oggetto delle donazioni contenute nei diversi atti citati. Abbiamo vineas cioè vigne, pascoli, boschi, selve, acque, molini, ampi arborati e nudi, oliveti, canneti ecc.  E vediamo comparire anche in tali atti homines cum terimentis et servitiis quae facere consueverunt. nonché usantiis e parimenti troviamo che Universitatis et Comunitatis oltre che a Casavolla esistevano anche in Castry Pyri.

Tutto questo indica un periodo di intensa sia pure non completamente ultimata, trasformazione delle vecchie istituzioni longobarde e franche in quelle comunali a causa delle idee nuove determinate dalla continua valorizzazione del fattore lavoro nell'economia comunale.

L'indicazione delle terre oggetto dei contratti sopra indicati denuncia l'esistenza di terre private (possessioni), di poderi coltivati da coloni (mansi), di terre collettive (pascuis et silvae), di terre comuni (comunalia), di terre dissodate (novalia), di diritti a prestazioni (obsequia). Quindi possiamo concludere che anche dopo il 1000 e dopo la costituzione dei Comuni, siano stati essi urbani o rurali, la proprietà collettiva era in vigore ancora nella zona del nostro comprensorio, in misura più estesa di quella privata nelle zone montane, in misura minore nelle zone di collina e di fondo valle in vicinanza dei centri abitati.

Abbiamo accennato in precedenza che alla lotta dei Comuni contro i feudatari lontani e vicini al centro cittadino seguirono le lotte fra i Comuni per l'allargamento del loro predominio e della loro giurisdizione sulle terre del Contado. E dicemmo anche che nel nostro Comprensorio come altrove, dopo costituiti i Comuni maggiori, non esistevano grandi centri abitati, ma la campagna circostante alle Città, le Valli montane ed i ricchi altipiani erano disseminati da tanti piccoli Villaggi con castello e territorio proprio su cui gli abitanti esercitando. come in antico. i comuni diritti di pascolo, semina e legnatico. Con la costituzione delle associazioni e col sorgere delle Universitas pian piano sorge anche il predominio di uno di questi Villaggi sui circostanti: predominio dovuto sia alla sua particolare situazione geografica, sia all'intraprendenza della sua popolazione, sia per la fertilità delle sue terre o alla abbondanza dei suoi pascoli. E poiché una tale posizione preminente esercita una forza di attrazione, i villaggi deboli finiscono per rinunciare alla propria indipendenza e farsi tributari di quelli maggiori.

Poi intervenne l'azione dei Comuni maggiori per la conquista del Contado o distretto e dei Comuni minori e delle piccole Associazioni o università costituite dai piccoli Villaggi di cui abbiamo parlato.

Basta leggere le notizie storiche dei Comuni maggiori del nostro comprensorio (Camerino, S. Severino, Tolentino, Matelica, Visso, S. Ginesio, ecc.) per trovare sino a tutta la prima meta del sec. XIV continui acquisti o sottomissioni di Castelli e degli uomini che li abitavano. I documenti esistenti negli Archivi di tali Comuni dimostrano come le numerose Ville esistenti nel loro territorio venissero successivamente aggregate al Centro principale con atti di vendita o di dedizione. In tali atti non si parla soltanto di persone ma anche di beni (vedi a tale riguardo l'atto di dedizione di Casavolla a Pyro nel 1226 o di Gualdo a Visso del 1249); non si scambiano soltanto promesse di farsi e di ricevere cittadini e castellani di quel Comune o di assoggettarsi a tutti gli obblighi dipendenti dal diritto di cittadinanza acquisito. ma si concede al Comune in perpetuo, per se ed eredi il dominio delle proprie terre- Il corrispettivo che il Comune maggiore versa ai capi famiglia della Villa o del Comune minore. o al feudatario che su di essi vantava ancora diritti, non deve indurre in errore e far credere che si tratti di una vera e propria alienazione di beni. Dl fatti, il corrispettivo talvolta manca e quasi sempre non e in relazione alla cessione ed in ogni caso non è da pensare che i cedenti volessero volontariamente o potessero privarsi di ogni mezzo di sostentamento in quanto le terre sulle quali esercitavano gli usi di pascolo, legnatico e semina, erano necessario complemento alle loro modeste economie private rappresentate dalle possessioni, E. da ritenere invece che in quei casi il Comune ricevente assumesse soltanto l'alto dominio e la protezione dei beni e che il dominio economico e l'uso rimanessero agli antichi possessori. Ciò è tanto vero che è facile constatare come anche dopo la cessione dei loro beni la coltura delle terre ed i diritti di pascere e di legnare sono rimasti a quegli stessi Uomini che l'avevano ceduti e che continuano ad esercitarli nell'antico loro territorio secondo le precedenti consuetudini.

Talvolta all'atto di dedizione segue espressamente o tacitamente la riconcessone del dominio utile. da parte del Comune accomandatario, ai Villaggi ormai entrati sotto la sua giurisdizione ed il suo dominio. Ne si può parlare in ogni caso di proprietà dell'Ente amministrativo, perché da una parte il Villaggio non era più amministrativamente autonomo e, dall'altra, 11 Comune, da cui ormai dipendeva. non poteva metter mano nel dominio utile del primo neppure per estendere 11 godimento a nuovi partecipanti. i quali assumevano la figura di forestieri. cioè di non residenti. Cosi gli usi o i diritti  degli abitanti delle Ville rimasero veri diritti collettivi. Si ebbero cosi due casi. O i nuovi abitatori venivano ammessi a godere dei diritti chiamati civici perché strettamente connessi alla condizione di cittadini. o ne vennero esclusi. Nel primo caso si ebbero le Università di Uomini che dettero poi origine alle odierne Comunanze; nel secondo alle Partecipanze alle quali gli estranei non possono accedere.

Nei Comuni montani del nostro Comprensorio si ebbe in antico soltanto il primo caso che diede luogo a numerose Università di Uomini. ed il diritto della collettività si affermò non soltanto con determinati rapporti di potestà vincolanti il singolo, ma anche con limitazioni dirette dell'uso delle terre. Il diritto di uso del proprietario su campi e prati era esclusivo finché questi soggiacevano all'aratro o alla falce, cioè i campi erano seminatl ed i prati non ancora falciati: in tutto il resto del territorio sussisteva il diritto collettivo. Ma una volta raccolto il fieno e mietuto il grano, prati e campi rimanevano di nuovo comuni restando aperti al pascolo, sia che esso si esercitasse nelle stoppie o nel maggese o nei prati dopo la falciatura. Di conseguenza il condominio della Comunità sui prati e sui campi dei particolari, fuori dei tradizionali e ben delimitati ristretti delle vigne e degli orti, comportava una sua intromissione nell'uso del medesimi, nel senso che interveniva il vincolo ad una data rotazione delle culture per cereali, erano stabilite le terre per i pascoli estivi ed invernali, era ordinato il tempo delle semine, della raccolta. del ricovero dei prodotti nel castello o nella fortezza e l'epoca della vendemmia. Quindi noi assistiamo al permanere del diritto collettivo in quelle parti di territorio in cui possesso, proprietà e godimento rimasero comuni, Non solo. ma possiamo dire, che con alcune modificazioni neppure troppo sostanziali, tale stato di fatto e rimasto ancora oggi nella parte montana del bacino dell'Alto Nera, dove per ragioni inerenti alla sua costituzione economica non operarono che molto superficialmente le diversi leggi intese a rimuovere questo stato di cose.

Nell'epoca moderna si volle vedere in questa maniera dl uso delle terre il risultato dl servitù reciproche stabilite per il migliore uso delle terre private e comuni spezzettate e molto frammischiate con conseguenti diritti della Comunità sulle cose dei singoli: invece essa altro non era che la quota rimasta comune delle antiche proprietà collettive quando alla collettività si attribuiva la facoltà di disporre del territorio comune. e quindi le forme di uso erano limitate dalle deliberazioni della sua maggioranza  (Consiglio dei Massari prima e Consiglio Generale poi) e non dall'assenso dei singoli particolari. Ne abbiamo la riprova nella facoltà del Consiglio generale di stabilire e modificare le zone da sottrarsi al pascolo comune, bandite per bovi aratori o per altre ragioni. In seguito tale concetto si attenuò, attribuendosi al singolo un diritto di veto e di poter contrastare qualunque deliberazione che venisse a ledere il suo diritto di uso.

Fino a che il territorio era esuberante i bisogni del singoli potevano trovare illimitata soddisfazione: ma in seguito, per l'aumento della popolazione e la messa a coltura di un'estensione sempre maggiore di terre o l'incremento notevole dell'allevamento del bestiame, specie ovino, il Consiglio generale introdusse limitazioni dirette ed indirette dei diritti di uso delle terre, limitazioni che vanno dal divieto di fare uscire alcuni prodotti dal territorio Comunale solo dopo aver soddisfatto alle esigenze di consumo dei suoi abitanti, oppure dal divieto di vendere a forestieri, alla limitazione dei diritti di uso ristretti nei limiti dei propri bisogni.

Abbiamo anche visto che dopo l'affermazione dei Comuni e la sottomissione o la conquista di tutto il Contado o distretto in alcuni centri il Capoluogo aveva riservato per se importanti estensioni di terre pascolive e boschive, utilizzati normalmente con l'affitto del pascolo o con la vendita del taglio legnoso, i cui proventi andavano ad impinguare le casse comunali, a sgravio quindi di tutti i contribuenti in quanto venivano adoperati per fronteggiare le spese comuni. E' un esempio questo di limitazione degli usi perché queste importanti superfici sino alla fine del 1700 ed in alcuni casi anche dopo furono sottratte all'uso delle popolazioni e considerate come beni patrimoniali del Comune. E ciò perché nel frattempo il Comune si era affermato come persona giuridica indipendente dalla somma dei suoi componenti, e quindi titolare di tutti i diritti collettivi, col conseguente attribuirsi con le buone o con le cattive della proprietà collettiva che fece servire ai suoi scopi, sia destinandola in parte all'uso pubblico, contro pagamento di un corrispettivo, sia destinandola agli usi civici senza corrispettivo. Ecco perché in alcuni comuni della zona montana troviamo la preoccupazione di farsi riconoscere dal Sovrano, chiunque esso fosse, la titolarietà dello jus pascendi su tutto il territorio soggetto alla giurisdizione: jus pascendi di cui in altri Comuni in epoche successive si impadronì il Signore, e dopo la caduta di questi, la Camera Apostolica. che ne fecero fonte di reddito, sia facendo utilizzare a terzi le terre soggette, sia gravandone le popolazioni che. sino allora ne erano state esenti. Era stata quindi modificata la destinazione del territorio comune e variate le condizioni per l'utilizzo da parte ella sua popolazione.

La conquista del contado da parte dei Centri maggiori non procedette simultaneamente nei diversi Comuni. Camerino che oltre ad essere il centro abitato più importante di una vasta zona era anche Sede Vescovile, cercò e riuscì a far coincidere i confini della sua giurisdizione politica ed economica con quelli della giurisdizione religiosa.

Nel 1240 il Cardinale Sinibaldo Fieschi, rettore della Mara, concede al Podestà ed al Popolo di Camerino la cognizione della cause civili e criminali, l'esazione degli affitti e dative, approva gli acquisti di Castelli e Ville già avvenuti e descrive il Distretto con i luoghi soggetti al centro. Dice l'atto relativo:

“Qui districtus est talis: Castrum Serravallis cum suiis pertinentiis, Murcia, Fregorium, Prefolium et Villa S. Angeli de Prefolio, Anticum, Caprilia, Vallis Corracinij, Frontillum, Roccha Maij, Collaltum, Sentinum, Corvenanum, Colpolinum, Balvellum, Colmedium, Flengni, Fiastra, Aquacanina, Boloniola, Castrum S. Maroti, Rocca Uguictionis, Vallis gee, Flugum, Campulargum, Stactum, Borgianum, Borgianellum Belforte, Serra Filiorum Petroni, Villa Arie cum tota Curia, et hominibus erarumdem, et jurisdictionem quam Curia habet in ipsis Castro Serre, Villa Arie et hominibus, vobis pro Comuni concedimus. Revocantis omnia privilegia et jura que aliquis habint, vel habet a Curia de ipsis, et specialiter Balignanus Ysacci vel antecessores sui. Item Caldarola, Cessapalumbum, Moricum, Montealtum Vestignanum, Faverium, Ancagianum, Galli,  Roccha Filiorum tornaguerre,  Ville ultra potentiam versus Mathelicam, Fiuminati, Sefre, Avolla, Cristatum, Sorti, Copongna et alia Castra et Ville infra Comitatum Camerinum dicti Civitati pertinentia quoquemodo. Et specialiter Castrum S. Anatolia, et Castrum Petini, cum suis pertinentiis et hominibus,..”

Il territorio si ampliò negli anni successivi perché nel 1252 il consiglio Generale di Camerino. adunato nella Chiesa di S. Angelo, delega il sindaco Scagno a comprare da Monaldesco metà del castello, torre, girone, edificio, borgo, poggio, uomini e giurisdizione di Appennino e suo distretto, atto che fu perfezionato il 14 Marzo dello stesso anno. Nell'aprile del 1257 in Rota presso Caspriano (località dell'attuale Comune di Pievetorina), Raniero ed Ugolino anche a nome di Boncontunzio figlio di Ugolino Buonconte vendono e cedono a Carsidonio Bonvicino, Sindaco di Camerino, il poggio ove fu il Castello di Giove, il borgo e le fosse di detto Castello, gli Uomini di Giovi. Pievetorina e di Gaspriano per 6000 libbre di Bolognini di Ravenna e Ancona. L'8 Gennaio del 1259 Magalotto Magalotti di Fiastra vende a Migliorato Talenti, sindaco di Camerino, metà del Castello di Appennino, il Castello di Macereto, il Castello del Poggio che dicesi Serra, il Castello di Fiastra. col poggio, girone, edifici, torre e borgo per 6100 libbre di bolognini di Ravenna ed Ancona.

Nel 1261 Monaldesco Monaldeschi cede a Gentile da Varano, capitano di Camerino, il Castello di Colpollina e Corvenano. Il 9 Luglio 1264 gli Uomini di Percanestro ed Elci (Ylicis) col consenso di Ranieri di Ugolino, si danno al Comune di Camerino e promettono di pagare ogni anno 26 danari per fuoco ed un cero nelle feste dell'Assunta e S. Venanzo, far guerra, pace a volontà del Comune e suoi Podestà sotto pena di 1000 marche d'argento. Nel Giugno del 1265 gli Uomini della Rocca, Rocchetta di Grancignano, col consenso di Ugolini Ugolino, e Giunta di Berardo, sindico degli Uomini di Rocchetta, promette a Petriolo del Castellano,  sindico di Camerino di darsi al Comune di Camerino, di pagare 26 danari annui per ogni fuoco e un cero nelle feste dell'Assunta e di S. Venanzio, di far pace e guerra ecc.

Il 12 Maggio del 1266 Fessaluto e Rodolfuccio anche a nome delle sorelle Bainina e Marsibilia vendono ad Ugolini Cittadini,  sindaco di Camerino tutte le terre del Colle di S. Maria a Cessapalombo per 100 libbre di Ravennati e Anconetani  e Gentile da Varano podestà di Camerino e lo stesso sindaco Ugolini le concedono agli uomini di Cessapalombo che promettono di ritenerle per Camerino e di costruirvi un Castello.

Il 14 Febbraio del 1272 Crescenzio Migliorati, sindaco di S. Severino cede a Camerino la Villa d'Aria e la Pieve ed il Castello di Crispiero, Fanula o Guardia, Torricella e S. Elena.

Nel 1276, il 29 Ottobre in castro S. Genesio. Pietro e Rosso di Gualtieri vendono ai Sindaci di Camerino  San Ginesio e Monte Milone,  il Castello e la giurisdizione di Urbisaglia promettendo di ritenerlo in seguito a loro nome e fare guerra e pace a seconda dei loro ordini. Ricevono in cambio 200 Marche d’argento e presenteranno ogni anno un palio a Camerino (per S. Venanzo) e a S. Ginesio.

Il 9 Dicembre 1282 Giacomo e Bolgaruccio dei Bolgarelli vendono al Sindaco di Camerino Raniero Talenti i loro uomini e vassalli di Fiuminata in piena giurisdizione per 2300 libre di danari Ravennati e Anconetani. Il 20 Agosto 1288 Francesco di Bartolo di Somaregia.vende a Giacomo Angeloni, sindaco di Camerino, ogni ragione ed azione sulla montagna di Buseto con le sue selve, pascoli e fiumi per 50 libre di Bolognini di Ancona e Ravenna.

Quanto precede è la documentazione di quanto da noi affermato circa l'espansione territoriale dei centri abitati maggiori e del modo con cui essa veniva attuata.

Altrettanto potremmo segnalare per Visso il quale nel 1249 riceve come comunali e castellani gli Uomini di Gualdo e nel 1255 compra a mezzo del Sindaco Paladino, da Tiboldo di Farolfo e da sua madre Imperia, tutti i diritti sul castello di Pietralata e su Nocria, Gualdo, Aschio, Macereto e Vallinfante per il prezzo di 500 libbre Ravennate e anconetane e viginti modiolos bone terre in monte et viginti modiolos in plano, vineis et canipinis et duos alios modiolos terre in senaitis vinearum de Vissi et unum casalinum a Pontelato nonché il compenso per la carica di Potestati che doveva ricoprire per tre anni.

Lo stesso accade per Tolentino che nel 1198 acquistò il Castello d'Aiano con tutte gli Uomini e con tutte le terre da Bonifazio e Pietro del Sig. Paganello e consenziente Attone, Vescovo di Camerino; nel 1199 Marteo e Forte di Ossone cedono Villa Maina al Comune di Tolentino; il 30 Aprile 1206 Gentile Grimaldo da Petino danno e concedono il Castello di Petino, con gli uomini i e le possidenze che gli appartengono al Comune di Tolentino e nel 1210 è lo stesso Tolentino che riceve la dedizione degli abitanti del Castel di Piega tramite Gualtiero fig1io di Guarniero. Nel 1204 è la volta del castello di Colmurano, nel 1218 di que11oi di Monte Nereto e di Carpignano; nel 1227 del Castello di Virgigno, nel 1290 di una parte del Castello di Urbisaglia che si aggiunge a quella che si era sottomessa già nel 1199 e che verrà. completata nel 1303 con la cessione delle parti acquistate come si è visto da Camerino e da San Ginesio.

E cosi si potrebbe continuare per San Severino, Cingoli, Matelica, San Ginesio ecc.

Va notato che la tecnica per ottenere la dedizione o la vendita era sempre la solita: la protezione o l'acquisto fatto dal Comune di una parte del castello, dei diritti, degli Uomini e della giurisdizione, della Villa e talvolta dall'esempio di Camerino risulta che il Comune acquista prima i diritti del feudatario e talvolta invece sottopone alla sua giurisdizione le popolazioni per costringere il feudatario a vendere la sua parte o il suo Castello o le sue terre.

Ma non soltanto i maggiori centri abitanti estendevano il loro dominio territoriale sul contado: anche i privati cercavano di estendere la loro proprietà terriera in quanto essere forte proprietario terriero voleva significare una posizione sociale più elevata e possibilista di ricoprire cariche pubbliche importanti. E’ attraverso il potenziamento della loro situazione economica e l'estendersi della loro proprietà terriera o importanza commerciale che alcune Famiglie riescono a preparare il terreno per la conquista del Comune e la sua trasformazione in Signoria.

Le terre comprese nei comuni del Comune possono quindi distinguersi secondo un concetto moderno in:

·        Beni assegnati sin dal suo sorgere al Comune come Ente, o che lo stesso si riservò all'atto della sua affermazione definitiva sui minori comuni e sulle terre delle Ville del Contado: corrispondono alla categoria che attualmente chiamiamo beni patrimoniali.

·        Beni che dovevano servire agli abitanti per l'esercizio promiscuo degli usi di semina. pascolo e legnatico, sia pure regolati dalle disposizioni del Comune o dalle antiche consuetudini raccolte nei Capitoli o Statuti,  ripartiti secondo le antiche giurisdizioni delle Ville e riservati alle singole popolazioni delle Ville stesse: corrispondono alla categoria dei beni demaniali.

·        Beni appartenenti a privati cittadini provenienti da precedenti beni allodiali o resi tale mediante cessione in vendita da parte del Comune o dell'antica Villa. Alcuni di questi erano liberi se compresi nella zona dei ristretti o coltivati a vigna, orti, canepine; gli altri invece al di fuori dei ristretti erano soggetti agli usi di pascolo delle popolazioni non appena asportato il primo prodotto: sono gli attuali beni privati liberi o soggetti agli usi.

 

Alcuni autori sostengono che non si possono dividere i beni dell'antico Comune in patrimoniali e demaniali in quanto il Consiglio generale, con le sue riformanze, poteva mutarne la destinazione dei beni stessi a seconda delle necessita e quindi praticamente tutti i beni del Comune avevano la stessa natura. Ma a noi sembra che una tale divisione sia neccessaria per permetterci di inquadrare con concetti moderni i beni in esame.

Poco dopo l'affermazione definitiva degli ordinamenti Comunali e la conqUista del Contado, la proprietà pubblica si presenta come fusa e riunita e viene considerata ad un tempo come appartenente tanto al Comune quanto ai singoli. E' frequente nelle carte e negli Statuti la dizione: Bona Comuni et Popoli Terra... che indica quanto abbiamo detto sopra. La proprietà pubblica è per lo più dislocata sugli altipiani, sulle montagne: quella privata, per ragioni pratiche e per la difesa del raccolto trovasi riunita a fondo valle, in vicinanza dei centri abitati e, dove esistevano, entro le prime due senaite, e dove queste non esistevano, ad immediato contatto con il circuito delle mura castellane sino al limite estremo della vecchia curtis, cioè era dislocata infra curtis e si estendeva per un raggio più o meno esteso a secondo della potenza o della guarnigione del castello posto a difesa della zona e a rifugio delle popolazioni e dei prodotti in caso di emergenza. Dati i tempi difficili dell'età Comunale nella zona del nostro comprensorio, quando le guerre, le cavalcate, le rappresaglie erano all'ordine del giorno, la vita economica di una qualsiasi Villa non era concepibile senza un immediato punto di difesa e di ricovero vicino a quelle che venivano considerate come le fonti principali delle risorse per sopravvivere. Quindi mentre in un primo tempo dell'età Comunale ed anche delle Signorie, quando la Città riuscì ad affermare il suo dominio ed allargare la sua giurisdizione, impose spesso alle popolazioni aggregate la distruzione dei luoghi fortificati e castelli: castelli che più tardi furono costretti a ricostruire o a costruirne dei nuovi per le esigenze della difesa.

Le terre private in un primo tempo limitate ed aggruppate, andarono man mano estendendosi: ma molte di esse, specie le più lontane portavano con loro gli usi alle quali erano sottoposte quando erano terre pubbliche. Perché lentamente, per una ragione o per l'altra, le terre della collettività si trasformavano in terre private, man mano che con il cessare delle guerre e con la maggiore tranquillità s’incrementò l'agricoltura. Le popolazioni che avvalendosi del diritto di semina o di dissodare estendevano la coltivazione, sia pure saltuaria per non danneggiare il pascolo, sulle terre pubbliche, finivano per entrarne in possesso definitivo e le trasferivano ai loro eredi. A questa ragione erano da aggiungere le locazioni a lunga scadenza comportanti migliorie o riduzione a coltura o addirittura di bonifica: locazioni che in definitiva equivalevano ad una forma di possesso molto vicina alla proprietà, tanto che il locatario metteva in catasto, o allibrava sotto il proprio nome la terra affidata alle sue cure, sia pure nei primi tempi con la riserva contenuta nelle parole “habet de bonis comunis”. Verso il 1400, e più ancora nei primi del 1500, tale pseudo proprietà poteva divenire facilmente definitiva perché il Comune, per necessità finanziarie o per altri motivi, specie nelle zone di pianura e di media collina, ritenne opportuno o utile liberarsene mediante donazione e più spesso per vendita.

Negli Stati Pontifici il comodo ma troppo semplicistico sistema di ricavare danaro dalla vendita degli immobili pubblici era talmente diffuso ed entrato a far parte della consuetudine che verso la fine del 1500, i Papi rientrati nel diretto dominio della Marca, sentirono la necessità di mettervi riparo. Sisto V con la Bolla del 16 Ottobre 1586 ordinò che nessuna Comunità soggetta alla Chiesa Romana, avesse potuto, sotto pena di nullità, alienare comunque i propri beni immobili, anche per cause giustissime, urgentissime e necessarissime senza espressa autorizzazione del Papa o della Camera Apostolica, o concederli in locazione o affitto per una durata superiore ai 10 anni. Con la Bolla del 15 Agosto 1592 papa Clemente VIII ribadisce il concetto della Bolla citata di Sisto V e stabilisce anche norme uniformi per l'amministrazione dei beni dei Comuni confermando le disposizioni dei suoi predecessori e degli Statuti.

Gli Statuti sono l'elemento essenziale per conoscere la natura giuridica delle terre e l'organizzazione comunale. In origine essi non furono che un patto giurato con solennità feudale: si chiamarono Carta o Capitoli e per quanto riguarda l'uso delle terre ed i rapporti tra Signore e popolo essi trassero norma dalle consuetudini antiche. Anzi dapprincipio furono convertite in patto scritto consuetudini precedenti con le varianti conseguenti all'associazione dei rustici e del popolo Erano proprio le consuetudini ed i patti inerenti all'uso delle terre quelle che richiesero sin da principio l'accertamento definitivo della loro portata per evitare che il capriccio e la violenza dei Signori potessero spostare i limiti della dipendenza e delle prestazioni da corrispondere da parte della popolazione. La forma scritta aiutava la resistenza ed impediva la sopraffazione e di questa redazione scritta delle consuetudini nelle terre del nostro comprensorio noi troviamo tracce sin dal sec. XIII..

Tali consuetudini speciali, inerenti le terre, erano da principio indipendenti dai Capitoli o Statuti: poi man mano tale indipendenza si attenuò al punto che se ne richiese l'inserimento negli Statuti e quindi l'approvazione delle autorità Comunali che gli dava forza dl legge.

Il potere di fare gli Statuti non era però ristretto ai Comuni che avevano una certa giurisdizione territoriale o che erano Sede di Vescovo o luoghi fortificati: legiferavano su svariati argomenti Città, castelli, Ville aperte, borghi importanti, consorzi naturali, cola famiglia (quelle principali naturalmente) o artificiali come quelli fondati sul condominio. Però la materia degli Statuti aveva un limite rappresentato dall'immoralità, dagli interessi della Chiesa e sopratutto nel principio che l'inferiore non potesse contraddire la legge del superiore. Quindi lo Statuto, nelle terre della Chiesa, non poteva andare contro le sue leggi, ma solo disporre, completare, specificare, farne più rigorosa l'applicazione e le disposizioni. L'autorità superiore aveva quindi il diritto di ordinare l'inserzione delle proprie norme fra gli Statuti dei Comuni che le erano soggetti, e quello del Superiore era salvato dal diritto di approvare e modificare lo Statuto dell'ente soggetto e tale diritto era indiscusso rispetto ai Regni, al Principati ed alle Signorie. Nello Stato Pontificio poi era necessaria l'approvazione del Papa o del suo Legato perché lo Statuto potesse avere vigore.

Particolare interesse rivestono nel nostro Comprensorio gli Statuti curtensi, i Massarii o dominicali che non hanno riferimento ad alcun potere pubblico, ma semplicemente ad un potere privato derivante dal diritto di proprietà sulle cose e sulle persone. Sono questi i Capitula la cui efficacia non proviene dalla giurisdizione, ma semplicemente dal dominio, e che dovevano essere osservati dai loro destinatari per il vincolo personale che li legava al concedente direttamente o indirettamente in base alle condizioni gravanti le terre da lui ottenute: tali Statuti si occupavano soltanto di determinare le modalità relative alla concessione ed all'assunzione delle terre, alla cessione di queste, ai diritti ed ai pesi che gravano sugli investiti. Tale tipo di statuto, che più tardi formò il nucleo per le disposizioni per l'uso delle terre comuni, si è raramente mantenuto genuino, perché in esso si insinuarono elementi e disposizioni giurisdizionali e con la libertà di organizzazione dei liberi, determinata dall'evolversi dei tempi e delle idee, al dominio si sostituì la regola del districtum e della iurisdictio e il Comune avocò a se il diritto di fare statuti, giustificandola con una concessione da parte del Sovrano o dell'Autorità Superiore.

Però c'è anche qualche autore che sostiene che, anche senza licenza o ratifica dell'autorità Superiore, i Comuni potessero emanare Statuti concernenti la semplice amministrazione delle cose e beni spettanti alle Comunità, come quelli riguardanti pascoli e boschi, con interessi di altra natura riguardanti “privatum interesse ipsarum communitatum”. Tale diritto, dove si verificò, era un riflesso del diritto di proprietà vantato dalla Comunità.

Fra gli elementi costitutivi degli Statuti furono i “brevi“ cioè documenti contenenti giuramenti, disposizioni e modalità di funzionamento dei vari organi e uffici comunali e relativi ufficiali, e dalle disposizioni di organizzazioni pre-comunali come i consorzi intervicinos, che regolavano su base contrattuale il risarcimento dei danni rurali o proteggevano la proprietà attraverso la determinazione di pene per i danneggiatori. Questi Consorzi inter-vicinos chiamati anche favole o fawle, del periodo Comunale, si riconnettono certamente a quelle del periodo Longobardo ed hanno la stessa struttura e contenuto delle Regoli, lodi, wadiae e parabole, che incontriamo in altre parti d'Italia. Tutte avevano lo scopo di determinare le culture, e di disciplinare diritti e doveri dei compartecipanti o degli utenti delle terre che soggiacevano a tale disciplina. Talvolta il consorzio che era alla base della Favola acquistò tanta importanza da assorgere a Comune ed allora accadde che il breve relativo si tramutasse nel breve del Comune.

Nelle terre del Comprensorio, come altrove, troviamo due specie di Statuti: quelli urbani riferentisi alle Città e quelli rurali riguardanti i centri del Contado. Tale diversità non è data solo dal fatto che il Contado ebbe forme di vita e di organizzazione più semplice della Città, ma deriva dalla differenza di oneri e di limitazioni personali che separa il distretto dalla città. Inoltre la differenza ha anche ragioni economiche perché l'economia del distretto si basò sull'agricoltura e sulla pastorizia, mentre quella della Città si basò sui mercati e su eventuali industrie, Di qui la diversità che dette luogo ad una diversa organizzazione sociale e quindi a norme diverse per regolarne i rapporti. Un caso particolare e rappresentato dai Castelli, i quali pur essendo di regola nel distretto, ebbero caratteri propri perché data l’originaria loro destinazione militare erano distinti dalle Ville ed avvicinati di più alle Città. Quindi gli Statuti dei Castelli formavano una specie a se, e da principio furono sempre il risultato di concessioni perché tali erano le autorizzazioni a costruirli dati dal Principe ai Marchesi, ai Conti o addirittura alle popolazioni. Ma quando i Comuni, come abbiamo visto, si fecero essi stessi costruttori di Castelli, subentrarono ai doveri da essi derivanti e si ebbero quindi veri e propri Statuti Comunali.

Gli Statuti rurali sono quelli che particolarmente ci interessano perché essi sono destinati a regolare l'organizzazione ed i rapporti interni delle popolazioni sulla base degli interessi comuni e specialmente di quelli derivanti dall’esistenza ed uso di terre comuni e quindi sono diversi da quelli della favolae, della regolae o della convenientiae che hanno portata minore.

Con la Regola, infatti, si disciplinavano determinati beni soggetti agli usi collettivi che potevano o no coincidere con i vicinalia se i consorti erano tutti Vicini, ma potevano anche esser cosa diversa se il Consorzio era più ristretto della vicinia.

Nelle Marche non troviamo tracce di Regole: troviamo invece abbondanti tracce degli Statuti, specie rurali. Dei Brevi rimane una sola notizia, come vedremo, nel territorio del Comune di Fiastra.  Però gli Statuti che rimangono non sono che revisioni di Statuti anteriori dei quali si ricostruisce l'esistenza attraverso deliberazioni Consiliari. Quelli che interessano le terre del Comprensorio sono:

- Cingoli - presenta una serie di Statuti del 1307 - 1325 - 1364 già in 4 libri, del 1438, del 1443, del 1509 in l0 libri perché Cingoli ha conservate le revisioni periodiche delle disposizioni statutarie.

- Fabriano - ha conservato solo lo Statuto del 1436, ma si può risalire sino al 1282 per trovare notizia di uno Statuto che era stato certamente formato prima di tale anno.

- Matelica - ha importanti frammenti dello Statuto del 1358 e conserva per intero la riforma del 1508. Dal suo dipese lo Statuto di S. Anatolia che conosciamo nelle stesure del 1324 - 1344 e del 1562.

- San Severino - conserva lo Statuto del 1427 e la riforma del secolo XVI in due libri.

- Sarnano - ha uno Statuto del 1529 in 5 libri.

- Tolentino - ha uno Statuto in 6 libri che le aggiunte dal 1436 in poi dimostrano la sua precedente formazione.

- Colmurano - ha conservato lo Stato del 1487 – Urbisaglia quello del secolo XV. Belforte quello dei 1567 in 6 libri; S. Ginesio quello del 1471 e quello del 1582.

- Camerino - presenta solo una redazione Statutaria del 1560 in due libri - Fiastra ha lo Statuto dei 1436 e quello del 1523 – Caldarola quello dei 1434 – Camporotondo uno Statuto del sec. XV - Monte San Polo (l'attuale Montecavallo) uno Statuto del 1576 – A Bolognola lo Statuto pervenutoci e del 1654 - quello di Gagliole dei 1612 - quello di Acquacanina del sec. XVII - quello di Fiordimonte del 1641 - quelli di Appennino del 1549 e del 1599 - quello di Torricchio del 1600 - quello di Serrapetrona in 5 libri e del 1400 - quello di Sefro del 1423 - quello di Visso del 1461 che e poi un aggiornamento di altro Statuto del 1375 - Nocera Umbra ha uno Statuto del 1371.

Come si vede nell’elenco che precede sono indicati Statuti di Città, di Castelli e di Ville. Gli Statuti non erano soli a regolare la vita dei Comuni.  Quando la Chiesa riprese il suo predominio Nelia Marca di Camerino e il Cardinale Albornoz ridusse città e villaggi alla soggezione della Santa Sede, entrarono in vigore anche le così dette Costituzioni Egidiane contenute nel Liber Costitutionum Curiae Generalis Marchiae Anconitanae, cioè un registro ufficiale contenente le bolle Pontificie e le deliberazioni pubblicate nei Parlamenti provinciali delle Marche, secondo gli esemplari autentici conservati presso le curie stesse e regolanti la nomina dei pubblici Ufficiali e magistrati, il procedimento per le cause civili e penali, le norme amministrative ecc.

Naturalmente quelle dell'Albornoz non erano le più antiche costituzioni in vigore nelle Marche: infatti, ne troviamo altre che risalgono al 1289, come troviamo aggiunte successive approvate da Sisto 1V nel 1474 e nel 1538 da Paolo II che le dichiarò in vigore per tutto lo Stato Pontificio nel 1544. Di fatto, le Costituzioni Egidiane, insieme agli Statuti locali rimasero teoricamente in vigore, sia pure con ulteriori aggiunte e modificazioni, sino alla caduta dello Stato Pontificio e cessarono di avere efficacia soltanto nella breve parentesi dell'occupazione Francese degli Stati della Chiesa. Gli Statuti poi rimasero in vigore sino al 1849 quando con la notificazione Pontificia del 31-12 dello stesso anno fu dichiarato decaduto il potere di tali Statuti locali.

            Per quanto gli Statuti giunti in nostro possesso si riferiscono a periodi diversi della vita dei Comuni e delle Ville rispettive, e per quanto i predetti Statuti riguardano Comuni e Ville nelle quali lo sviluppo dell'economia agricola fu diverso e quindi diverso lo sviluppo della proprietà privata, pure noi troviamo alcune analogie fra le disposizioni di diversi Statuti riguardanti la proprietà nei Comuni sopra indicati facenti tutti parte del nostro Comprensorio.

Per quanto riguarda i diritti e gli obblighi nascenti dalla Comunione delle terre e precisamente per l'uso dei pascoli Comuni e di altri beni Comunali negli Statuti di Camerino del 1564 vengono stabilite norme alla rub. 96 del libro II ed alla rub. 31 del Libro IV nonché alla 56 del Libro II ed alla 36 del Libro V mentre in quello di Visso del 1461 bisogna esaminare la rub. 53 del Libro III e la rub, 11 del Libro II. In quello di Tolentino tali disposizioni si hanno alla rub. 14 del Libro V ed alle rub. 33 - 48 del Libro II. E in quello di San Ginesio tali argomenti sono regolati dalle rub. 56 del Libro IV e 9 del Libro VI.

Il condominio e la comproprietà sono regolate dallo Statuto di Camerino alle rub. 16 e 17 del Libro IV e 57 e 58 del Libro II; in quello di San Ginesio alla Rub. 16 del Libro Terzo; in quello di Visso non figurano disposizioni a tale titolo e quindi dobbiamo presumere che tali istituti non esistessero.

Le obbligazioni nascenti dal rapporto di vicinanza sono regolate dallo Statuto di Camerino alla rub. 90 del Libro II: in quello di Visso alla rub. 13 del Libro II.

Le azioni a tutela della proprietà contro il furto, i danni dati, confini, proprietà Chiuse ed aperte sono regolate come segue: nello Statuto di Camerino alle rub. 125 e 159 dei Libro III e 7 - 38 e 52 del Libro IV; nello Statuto dl Visso alle rub. 14 - 18 e 56 del Libro III; in quello di San Ginesio alle rub. 10 - 66 e 89 del Libro IV.

Dall'esame di due Statuti di territori in zona montana del nostro Comprensorio, cioè quello di Visso e quello di Esanatoglia, si rileva un'analogia di disposizioni tendenti a regolare gli usi di pascoli e boschi comuni. Altrettanto accade nello Statuto di Cingoli, Comune che traeva la sua principale fonte dl reddito delle Selve comunali dalle quali era circondato e nelle quali regolava rigidamente gli usi di pascolo e legnatico delle popolazioni. Negli Statuti di Esanatoglia e di Visso, per quanto compilati in epoche diverse (1324 e 1461 rispettivamente) si parla di montibus et pascuis comunis ed è parimenti sancito il divieto di condurre al pascolo bestiame ovino in tali proprietà comuni senza licenza dei rispettivi Consigli Generali: divieto che si estende alla facoltà di far ranco (disboscare), far carbone e cave di pietra nel monti e selve Comuni e senza particolare autorizzazione dei Consigli è assolutamente proibito tagliare nelle Selve guardate dal Comune e nei pascoli ad esso riservati. Ed è parimenti comune la procedura da seguire per la vendita del prodotti e del pascolo nei prati riservati al Comune e sottratti all'uso delle popolazioni nel periodo estivo.

Negli Stati della Chiesa, dopo la caduta delle Signorie, nel nostro caso dei Da Varano (Camerino), Smeducci (San Severino), Attoni (Matelica) ed il ritorno di tutte le terre soggette alla loro Signoria sotto il dominio diretto della Chiesa, si verificò lentamente un accentramento del poteri amministrativi e giurisdizionali di controllo nelle mani di organismi centrali, che ridussero progressivamente le autonomie delle amministrazioni comunali locali, pur mantenendo in vigore, come abbiamo detto, le disposizioni degli Statuti dei singoli centri. Tale diminuzione d'autonomia si verificò principalmente nei sec. XVI e XVII e venne accompagnata da un inasprimento della tassazione con la quale lo Stato Pontificio provvedeva a reperire le rendite o i mezzi necessari per la gestione e la difesa del suo patrimonio temporale. Come ben dice il Lodolini “la tassazione del Comune nello Stato Pontificio aveva un aspetto caratteristico: lo Stato, infatti, affidava ai Comuni l’esazione delle imposte a lui destinate. In altre parole anziché tassare i singoli cittadini, venivano tassate le comunità (in proporzione al numero degli abitanti o secondo criteri diversi), le quali provvedevano poi a ripartire l'onere tra i propri comunisti”. Questi oneri si aggiungevano a quelli destinati a coprire le spese proprie dei Comuni e quindi la distinzione fra “tasse camerali”, destinate alla Rev. Camera Apostolica, cioè alle finanze statali, e tasse comunitative” destinate ai Comuni.

Le imposte camerali variavano (quasi sempre in aumento) a seconda delle necessità dello Stato e ad esse si aggiungevano imposizioni di carattere straordinario per spese militari e di polizia. Gravi oneri finanziari vennero imposti ai Comuni per far fronte alle spese inerenti alle diverse guerre in cui lo Stato Pontificio si trovò coinvolto nei secoli XV XVI. XVII, XVIII e nei primi del XIX quando si dovettero raccogliere fondi per pagare le indennità di guerra reclamate da Napoleone I. I Comuni per conto loro non avevano altri proventi all'infuori di quelli provenienti dalle vendite dei pascoli e boschi loro riservati, dall'esazione del jus pascendi sul bestiame stazionario e nomade, dalla tassa sui fuochi (attuale imposta di famiglia) e dai proventi per l'affitto del forno, della pizzicheria, della folietta, della cenciaria e di altri dazi o gabelle. A questi si aggiungeva la tassazione della proprietà fondiaria realizzata a mezzo dei catasti le cui prime tracce si trovano alla fine del sec XIII e riguardano catasti descrittivi la cui unica notizia fiscalmente importante era la tassa allibrata. I veri catasti cominciarono nel sec. XVII quando a cura della Congregazione del Buon Governo fu ordinato il Catasto Innocenziano perché ordinato da Innocenzo XI nel 1681. Segui poi il Catasto Piano cosi detto dal nome di Pio VI che si iniziò nel 1777 e fu terminato verso il 1783. Le iscrizioni non venivano fatte secondo misurazioni e classificazioni dei terreni, ma secondo le assegne che venivano date dai rispettivi proprietari. Soltanto durante il periodo Napoleonico si iniziarono rilevamenti in base a misurazioni effettuate da tecnici incaricati e tale sistema fu adottato anche dopo la restaurazione con la istituzione e compilazione del Catasto detto Gregoriano in vigore nella nostra zona sino al 1943.

 

 

SOTTO LE SIGNORIE

 

Quando i Comuni si trasformarono in Signorie i Signori si impadronirono anche di molte terre comunali, specie di quelle suscettibili di notevoli redditi perché sfruttabili con poca fatica in quanto destinate al pascolo. I da Varano in modo particolare assicuratisi il dominio politico e militare di Camerino e del suo territorio divennero proprietari dei migliori pascoli del Contado, parte dei quali destinarono per i numerosissimi greggi di loro proprietà mentre il rimanente veniva ceduta a terzi contro pagamento di fitti o di diritti di pascolo.  Per fronteggiare le spese comunali si dovette ricorrere o alla vendita delle terre o a contrarre prestiti o ad inasprire le imposte, Ma tale situazione si accentuò quando cessate le Signorie e tornata la zona sotto il dominio diretto della Chiesa si dovettero fronteggiare le numerose e poderose richieste di contribuzioni straordinarie richieste dallo Stato, e che non sempre la Comunità riusciva a ripartire sui magri redditi dei suoi amministrati, o meglio di una parte dei suoi amministrati, perché i privilegiati ed i privilegiatissimi (cioè gli esenti dalle tasse camerali e comunitative) erano molti.

Di qui un progressivo indebitamento che poneva in situazione critica la finanza di alcuni Comuni, specie di quelli sprovvisti di risorse particolari ma costretti a contare sulle sole rendite dei pascoli e dei boschi, come quelli della zona montana.

 

 

SOTTO IL DOMINIO DIRETTO DELLA CHIESA

 

            Ma i beni dei Comuni non erano più quelli dell'epoca Comunale perché, caduti i Signori e ritornato il diretto dominio della Chiesa, le terre ed i diritti sulle terre dei quali i Signori erano venuti in possesso o per acquisto o per usurpazione, non ritornarono ai Comuni e per essi alle popolazioni dei Castelli e Ville: ma furono acquisiti dalla Camera Apostolica che li sfruttava a suo vantaggio. Le popolazioni protestarono ed i Fapi dovettero intervenire: ma la Camera Apostolica seguitò a percepire le rendite come un tempo le aveva percepite il Signore. La situazione si aggravò alla fine del sec. XVIII perché il 10 Maggio del 1798 nello Stato Pontificio al vecchio ordinamento Comunale subentrò quello francese che abolì ogni diritto di feudo o di giurisdizione. E lo Stato Pontificio doveva pagare ai Francesi la cospicua indennità di 15 milioni e mezzo in danaro effettivo o in verghe d'oro e di argento. Di qui altri prestiti forzosi pari alla sesta parte della possidenza in beni stabili e capitali pecuniari, con la sola eccezione dei patrimoni sacri e le congrue dei vescovi e dei parroci (Breve Apostolico del 6 Agosto 1797), ed aumenti di tutte le imposte.

Però i prestiti forzosi non dettero il gettito desiderato e con Moto Proprio del 25-XI-1797 si ingiunse al Clero secolare e regolare di Roma e della Stato, comprese le Confraternite, le cappellanie laicali e opere pie di qualsiasi genere, di vendere la quinta parte di tutti i fondi rustici non esclusi i terreni comunitativi dati dalle Comuni e dalla Rev. Camera Apostolica in enfiteusi non perpetua da oltre 50 anni.

 

 

SOTTO I FRANCESI E LA RESTAURAZIONE PONTIFICIA

 

 

Il 20 Febbraio 1798 Papa Pio VI si trasferì da Roma e vennero estese a tutto lo Stato Pontificio le leggi della Repubblica Francese. Il 30 Marzo dello stesso anno 1798 venne decretata la riunione di tutti i beni e debiti delle Comuni alla Cassa Nazionale dichiarandosi, con l'art. 32 della Legge del 30 Marzo 1798, che la Repubblica si sarebbe caricata delle loro obbligazioni e, fino a che un nuovo sistema d'imposte non avesse dato i fondi necessari alle spese municipali, questi sarebbero stati presi sopra quelli della grande Cassa.

Il 31 Gennaio 1800 si pubblicò la legge generale regolante il restaurato Governo Provvisorio, legge che abolisce quelle emanate dal Governo Repubblicano con eccezione di quelle riguardanti la moneta, e dispone il ritorno in vigore di tutte le leggi Pontificie, le consuetudini, gli Statuti locali ed ogni altra disposizione operante prima della Repubblica. Con l'art. 8 di tale legge ciascun territorio Comunale e Provinciale venne ripristinato nella sua antica estensione e giurisdizione, e con l'art. 24 tutte le Comunità dovevano rientrare in possesso dei beni non ancora venduti. Ciò perché appena concretatasi l'occupazione Francese si iniziarono le vendite dei terreni e di altri beni appartenenti alle congregazioni religiose ed ai Comuni.Le diverse Università e Castelli esistenti nel Camerinese, dove costituivano il Comune di Camerino, vennero costituite in nuove unità Comunali organizzate secondo le disposizioni francesi; vennero m diritto se non di fatto aboliti gli usi sulle terre private e tutti gli altri diritti che avessero un lontano odore di feudalità.

Con la restaurazione del Governo Pontificio tutto tornò quasi come prima : diciamo quasi perché nella vita sociale ed economica agivano anche inavvertitamente i principi che avevano condotto alla rivoluzione francese ed alla nuova concezione economica moderna.

Con Moto Proprio 14 Luglio 1803 tutti i beni Comunali (eccetto i molini ed i palazzi occorrenti alla residenza della magistratura o destinati ad uso pubblico) vennero in massa affidati alla Congregazione del Buon Governo, affinché mediante regolare amministrazione ed opportune vendite si procedesse ai pagamento degli annui frutti ed all'ammortamento dei capitale dei debiti contratti dalle Comunità. Il tutto accompagnato dalla promessa di ripartire proporzionalmente fra gli antichi proprietari quello che sarebbe avanzato. Ma pochi anni dopo tornano i Francesi ed il 17 Maggio 1809 viene pubblicato il Decreto che divide in Dipartimenti i residui Stati Pontifici dopo l'occupazione di Ancona. Però sin dall'11 Maggio 1808 le Province Marchigiane dell'ex Stato Pontificio erano state aggregate al Regno Italico e formarono poi tre Dipartimenti (Metauro, Musone e Tronto) sotto le Prefetture di Macerata, Ancona e Fermo. Tali dipartimenti si aggiunsero a quelli del Tevere e del Trasimeno nei quali furono comprese le province dell'Umbria. Le terre del nostro Comprensorio fecero dunque parte dei dipartimenti del Trasimeno (Visso) e del Tronto (Camerino ecc.). Cessarono naturalmente di aver vigore gli Statuti e gli antichi Privilegi e si tornò alla precedente suddivisione in nuovi Comuni del Comune di Camerino.

Con decreto n. 205 del 10 Settembre 1808, si dovettero notificare alla Prefettura Dipartimentale lo stato ed il valore dei beni incamerati con il Moto Proprio pontificio del 19 Marzo 1801; indicare quelli venduti e quelli rimasti inalienati dopo il Moto Proprio del 14 Luglio del 1803 e produrre lo stato nominativo dei debiti.

Con la legge di finanza dell'11 Marzo 1810 i creditori furono obbligati a presentare domanda documentata alla Direzione Generale del Debito Pubblico, che entro il 1° Gennaio del 1811 doveva promuovere tutto quanto era necessario per pronunciarsi definitivamente su ciascuna domanda, onde dare al richiedente, per la totalità del suo credito una certificazione equivalente da utilizzarsi unicamente nello acquisto di beni rustici ed edifici posti in vendita nei tre dipartimenti suddetti.

Poi intervenne ancora la Restaurazione, e, con Moto Proprio del 6 Luglio 1816 di Pio VII, veniva data regolare sistemazione alla parte amministrativa dei Comuni. Però lo Stato Pontificio succedette al Monte Napoleonico al quale erano stati applicati i beni stabili di ogni comune, i quali rimasero quindi privi delle rendite provenienti dai beni rustici. Ma come è noto poiché la vendita dei beni incamerati dal Governo Pontificio andava per le lunghe e le rendite che si ricavavano da tali beni erano insufficienti a coprire le spese di amministrazione, si retrocedettero i beni stessi agli antichi proprietari, cioè alle Comunità ed alle ville, sotto forma di enfiteusi perpetue gravate da tenuissimo canone (12 Aprile 1826). Furono rivedute le circoscrizione dei Comuni e molti di essi furono trasformati in appodiati di Comuni, maggiori per modo che vennero a perdere l'autonomia acquistata sotto la dominazione Francese: autonomia che sarà la fonte prima di successive agitazioni e contrasti fra frazioni (in cui si trasformeranno gli appodiati) e capoluogo comunale sino alla formazione in epoca recente di Comuni autonomi che ricalcarono la giurisdizione territoriale di quelli dell'epoca Francese.

Con i provvedimenti citati le migliori terre comunali erano state vendute ed erano passate nella sfera privata: grandi estensioni pascolive e boschive erano state acquistate da benestanti locali e forestieri, spesso ricoprenti cariche importanti nell'amministrazione Pontificia, o di spiccata importanza politica, Molte volte questi acquirenti rivendettero tali terre a privati. (razionando quindi le grandi estensioni acquistate.Ma poiché la vendita, sia da parte della Camera Apostolica o della Congregazione del Buon Governo, era stata sempre fatta con riserva dei diritti che le popolazioni potevano vantare o esercitare su tali beni, si costituirono, specie con la successiva rivendita importanti comprensori di terre private gravati da diritti di uso a favore delle popolazioni. Tutto questo comportò, come era logico, un notevole assottigliamento delle proprietà Comunali e Collettive, non solo dal punto di vista quantitativo ma anche da quello qualitativo perché le terre vendute furono le migliori, mentre, salvo eccezioni rimasero invendute le peggiori.

Conseguenza immediata dell'invasione francese fu l'introduzione del Municipio o del Comune moderno, cioè concepito secondo criteri diversi da quelli praticati sino a prima dall'invasione. Il Ducato di Camerino si spezzettò allora in numerosi Comuni (11) indipendenti ed autonomi il cui territorio coincideva con la giurisdizione degli antichi Castelli.Altrettanto avvenne a Visso che si divise in tre Comuni diversi (Visso, Pieve e Castel S. Angelo), mentre terre che in precedenza si erano già sottratte alla giurisdizione Camerinese dell'epoca dei Varano costituivano nuove unità amministrative autonome.

Per il nostro studio fu importante il Decreto Imperiale del 1801 con il quale furono aboliti tutti i diritti feudali o quelli che potevano considerarsi direttamente o indirettamente derivati da essi. Fra questi i cosi detti jus pascendi ed i diritti di uso civico sulle proprietà private, e ciò in armonia al concetto di libertà della terra. Però come è logico pensare, per quanto le disposizioni Francesi introducessero nelle popolazioni e nelle forme delle istituzioni civili ed economiche i nuovi principi che avevano dato origine alla Rivoluzione, di fatto non fu possibile, per la brevità dell'occupazione, una radicale, profonda trasformazione degli istituti e delle consuetudini concernenti l'uso delle terre pubbliche e collettive. Perché se da una parte era vero che le disposizioni Francesi tendevano ad introdurre nell'uso delle terre comunali e co11ettive quei principi di libertà applicati nei rapporti tra le diverse classi di popolazioni, dall'altra non fu possibile trasformare di colpo una secolare organizzazione economica intesa a facilitare, nelle zone montane, un'attività preminente come la pastorizia e le industrie strettamente ad essa connesse, come quella dei panni lana. Quindi di fatto permangono le vecchie forme organizzative della proprietà e di godimento delle terre, tanto è vero che nelle parti montane (antico Comune Visso) è documentato che malgrado l’abolizione dei diritti feudali e dei dazi, si dovette continuare ad applicare, con il beneplacito delle autorità Francesi, la gabella "pro pascuo" o “fida di pascolo”, che costituiva il reddito principale di quel Comune e che consentiva l'esercizio del pascolo su terre private non recinte e fuori dei tradizionali ristretti, non appena ne fosse stato asportato il prodotto principale.

Per l'antico Comune di Camerino, la sua configurazione agraria aveva subito incessanti e notevoli trasformazioni a partire dalla seconda metà del 1600. Gran parte delle colline oggi intensamente coltivate sin quasi alla metà del 1800 erano incolte e ricoperte da cespuglieti e da boschi: in linea generale erano coltivate e fertili solo il fondo valle e le brevi pianure, nonché le zone immediatamente vicine alle città e castelli. In una relazione del 1650 il Governatore di Camerino informava che la “maggior parte del territorio è montuoso, ma tra l'uno e l'altro monte si dilatano brevi si, ma amene pianure dalle quali si raccoglie abbondantemente (benché non a sufficienza per il mantenimento dei suoi popoli) ciò che al vitto umano si desidera". Invece abbondavano i pascoli, specialmente quelli montani, particolarmente abbondanti nel periodo estivo che davano origine ad un'importante e fiorente pastorizia alla quale si collegava una fiorente arte della lana, che costituiva, con la cartaria di Pioraco, la fonte maggiore di ricchezza e di guadagno. I Da Varano stessi ed altre principali Famiglie avevano numerose masserie che l’estate alpeggiavano nei pascoli alti del Vissano, di Monte San Polo, di Fiastra, di Fiuminata, di Esanatoglia e di Serravalle e l'inverno scendevano nelle pianure della Marca.  Questa transumanza fra il Monte ed il Piano della regione Marchigiana era cosa normale sino alla istituzione della Dogana dei pascoli nell'Agro Romano, tanto è vero che nell'archivio di Macerata esiste una deliberazione consigliare del 1434 con la quale ad un pastore di Ussita si accordavano in fitto pascoli posti nel contado di Macerata e precisamente nella IV senaita. E che non si potesse fare altrimenti è giustificato dalla difficoltà di spostamento d'importanti masse di bestiame in epoche non sempre tranquille e attraverso territori che talvolta erano nemici. Quindi il bestiame ovino del Ducato di Camerino e del Vissano e degli altri Comuni indipendenti de11'epoca doveva svernare nelle terre basse della Marca, dove fra l’altro, era grande l'influenza dei Da Varano e dove esistevano poi colleganza di interessi non solo politici ma anche economici, conseguenza di un'accorta loro politica economica.

La costituzione della Dogana dei Pascoli del 1535 coincise anche con un periodo di tranquillità e di riorganizzazione amministrativa ed economica degli Stati della Chiesa e assicurò i pascoli invernali al bestiame ovino della parte montana del nostro comprensorio che attraverso la Valle del Nera, il Piano di Colfiorito e Nocera Umbra scendeva nell'autunno a svernare nell'Agro Romano.

Tutto ciò condusse ad uno sviluppo notevolissimo della pastorizia con la conseguente cristallizzazione di tutte le disposizioni concernenti l’uso dei pascoli comuni e collettivi ed atte a favorire l'incremento di tale attività, anche a danno dell'agricoltura. Anzi ci fu un periodo in cui i Consigli Generali dei Comuni dovevano intervenire per assicurare il pascolo sufficiente ai bovi da lavoro riservando loro zone esclusive di pascolo e a limitare l'introduzione del bestiame ovino (specie forestiero) perché quello locale non trovava più alimento sufficiente neppure nel periodo estivo.

Ma poiché tutti i Comuni montani e quelli del contado di Camerino dislocati nelle zone più lontane e più alte erano costretti ad importare grano dalla Marca, come le attestano le continue esenzioni dei Pontefici dalle relative gabelle, accadeva che nel periodo che va dal 1500 al 1800 ad ogni carestia (ed erano frequenti e ricorrenti) veniva aumentata la superficie coltivata a cereali, e riprendeva novello vigore il diritto di semina attraverso i disboscamenti e la messa a coltura di terre nuove che rimanendo poi per lo più allo stato di seminativi abbandonati, costituirono in seguito una massa importante di pascoli. L'importazione di grano dalla Marca bassa a quella alta era tanto importante che circa l'80% delle licenze concesse per tratta di grasce in esenzione di gabella riguardavano il rifornimento di cereali della Marca di Camerino. E va segnalato in modo particolare, come l'antico comune di Visso, che praticamente faceva parte della Diocesi di Spoleto ed aveva con questa Città le sue relazioni amministrative e politiche più importanti, di fatto ha sempre importato grano in esenzione di gabella dalla Marca, come lo attestano i documenti esistenti nel suo archivio.

In questo periodo abbiamo quindi un lento, ma costante sviluppo delle terre coltivate, sia che la coltivazione si estendesse su terre private o su terre diventate tali in conseguenza dell'applicazione del diritto di semina, che col tempo finiva per trasferire nella sfera privata terre che erano in origine comunali.

Verso la seconda metà del 1800 incominciò nel nostro comprensorio l'epoca di grossi disboscamenti per la messa a cultura delle terre. Nell'antico Comune di Camerino, il disboscamento fu particolarmente intenso, e cambiò la fisionomia del vecchio Ducato trasformandolo da importatore in esportatore di grano. Il disboscamento però investì non solo le zone che dopo disboscate potevano essere adibite permanentemente a coltura, ma anche quelle, dove le terre residuate dovevano poco dopo essere abbandonate o ridursi a magro pascolo.

Ma le trasformazioni non erano soltanto quelle accennate. Sin dalla fine del 1700, sotto l'influenza delle nuove teorie filosofiche, e i movimenti di libertà, si erano profondamente modificati alcuni concetti antichi, e fra questi anche quelli riguardanti la proprietà ed i diritti ad essa connessi, sia delle popolazioni che dei privati.

 

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