" Lungo i sentieri della follia"

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Salvator Dalì (1904-1989)

Anche Dalì, autore spagnolo del nostro secolo, è spesso ricordato per la sua vita irregolare e anticonformista, condotta sempre agli estremi; è stato da molti critici definito un pazzo, da altri un genio frutto del suo tempo, da altri un uomo folle alla ricerca continua dell’eccesso.

Ma in lui si possono trovare la lucidità del razionale calcolatore, il genio di una fantasia sfrenata, gli atteggiamenti di un uomo a dir poco bizzarro e alcune delle caratteristiche che secondo molti psicologi porterebbero una persona cosiddetta “normale” allo stadio di genio-follia.

Salvador Dalì è nato due volte: il primo morì a due anni nell’agosto del 1903; il secondo venne alla luce nove mesi e dieci giorni dopo la morte del fratello.

Qualunque fosse stata la causa della morte del primogenito, infezione gastroenterica o conseguenza di uno dei colpi inferti dal padre durante le sue frequenti rabbie, il dolore dei genitori non si placò; essi non si ripresero mai dalla tragedia e parlavano costantemente del piccolo morto. Dando al loro nuovo figlio lo stesso nome del fratello, non solo contrastarono le superstizioni locali, ma si assicurarono anche che Dalì si trascinasse dietro per tutta la vita il colpevole fardello di aver rubato l’esistenza al fratello maggiore.

Quando il padre lo guardava, scrive Dalì, “[io] vedevo il mio doppio insieme a me: ero nei suoi occhi, ma dimezzato, un essere di troppo…per molto tempo ho avuto nel fianco una ferita sanguinante che il mio impassibile, insensibile padre, ignaro della mia sofferenza, continuava a riaprire con il suo impossibile amore per un bambino morto”.

La madre, considerata dal piccolo quasi una divinità, un idolo che gli perdonava anche il peggior capriccio, si comportava in maniera iperprotettiva nei suoi confronti.

Il periodo infantile fu per Dalì molto traumatico e lo segnò per tutta la vita, provocandogli paure nascoste e ossessioni.

A scuola fu un ribelle, sempre solo e senza amici; non si applicò mai rifiutando di imparare a leggere e a scrivere, tanto che nei verbali dei collegi che frequentò si parla di “pigrizia mentale”. Ma studiava con attenzione ossessiva ciò che gli interessava, il disegno, e già a dieci anni dipingeva veri e propri quadri, frequentando corsi specifici.

Dopo essere stato espulso da molte scuole e collegi per il suo comportamento da anarchico dandy che si considerava contro tutto, tranne la pittura, si iscrisse alla “Escuela Especial de pintura” a Madrid. Qui, ancora scosso per la morte della madre, avvenuta nel 1921, entrò nel mondo del divertimento dimostrando il suo disprezzo antiaccademico per le lezioni; conobbe e ammirò Federigo Garcia Lorca e Buñuel, insieme al quale stenderà la sceneggiatura di un paio di film surrealisti; studiò con attenzione Bosch.

Espulso dalla scuola, fuggì nel 1929 a Parigi. Nel 1924 i surrealisti si erano costituiti come gruppo a sé intorno a Breton con la pubblicazione del Manifesto; proprio in questo movimento Dalì si insediò aderendo in maniera sincera e totale: era talmente coinvolto dal significato letterario da dare ai suoi quadri che l’atto del dipingere appariva attività secondaria.; egli inventò addirittura una sua particolarissima tecnica di automatismo che definì metodo paranoico- critico. La paranoia, secondo la descrizione che ne dà l’artista stesso, è “ una malattia mentale cronica, la cui sintomatologia più caratteristica consiste nelle delusioni sistematiche, con o senza allucinazioni dei sensi. Le delusioni possono prendere forma di mania di persecuzione o di grandezza e di ambizione”. Dunque il metodo paranoico-critico consiste nell’interpretazione e nella restituzione, la più diretta e impersonale possibile, dei fenomeni deliranti.

Tra i vari esaurimenti nervosi, che si erano manifestati anche in età scolare, Dalì collaborò a Parigi a due film con Luis Buñuel (Un chien andalou, del 1929, e L’age d’or, del 1930) e conobbe Gala, una donna russa meno giovane di lui che fu per lui amante, madre, sorella, musa, manager e istigatrice al lavoro senza sosta per bramosia di denaro.

Lo scopo di Gala divenne quello di far recuperare al debole, timido e instabile Dalì degli anni ’30 la sua integrità, permettendogli di sprigionare tutta la potenza del suo genio, minacciato dal pericolo di una definitiva reclusione nel manicomio che si era costruito da sé; avrebbe, in altri termini, dato un senso alla sua vita.

Nell’estate 1930 la rottura con il padre (e ideologicamente con il passato) lo stordì, contribuendo insieme ai grossi problemi economici e alla creazione delle migliori tele del periodo surrealista.

La miseria divenne così grande da indurre Gala a rubare il cibo al mercato e la dipendenza di Dalì da lei arrivò a tal punto che il pittore firmava con i nomi di entrambi le tele, sempre più piccole e impregnate di tristezza.

Dopo pochi anni però, viste le frequenti esposizioni e mostre collettive surrealiste organizzate a Parigi, Barcellona e New York, la situazione economica di Dalì cominciò a migliorare, tanto che, sicuro per il suo crescente successo e condizionato dalla simpatia per Hitler, si staccò dal gruppo surrealista, tradizionalmente di sinistra.

Iniziò così una fase di grande successo personale e quindi di enormi disponibilità economiche, particolarmente gradite a Gala. Tuttavia il pittore cadde spesso in lunghi periodi di depressione, che si manifestarono nei suoi quadri attraverso un’eclatante stanchezza mentale: probabilmente era il prezzo, troppo alto da pagare, per l’onnipresente protezione di Gala.

Si sottopose anche a terapie psicoanalitiche (fra gli altri con Lacan), che egli considerava “eccellenti perché quando funzionano provi un nuovo straordinario gusto per la vita”.

Non vi è dubbio che Dalì abbia influenzato Lacan: Dalì per primo definì la paranoia un veicolo di creatività, e lo psichiatra cristallizzò le sue espressioni stilistiche in una tesi.

Quel che è certo, comunque, è che questi contatti, proseguiti poi per alcuni anni, convinsero Lacan che la paranoia era “il valore dell’immaginazione creativa nella psicosi e nel rapporto della psicosi col genio” e resero più consapevole Dalì del valore del passato nelle sue opere. Molti dei suoi dipinti indicano infatti un ritorno all’infanzia o all’adolescenza, in cerca di ispirazione: un’età tramontata con l’avvento di Gala, che cambiò definitivamente la sua vita. Ciò lascerebbe supporre che, fattasi meno ardua e coinvolgente la lotta per la sopravvivenza, il loro rapporto fosse diventato per Dalì una prigione, con Gala come carceriera.

L’artista dipendeva da lei in tutto, tranne che nel suo lavoro: Gala era madre e moglie, ma esigeva da lui una forte contropartita in termini di beni materiali. A questo punto della sua vita, il lavoro costituiva il principale legame fra loro, tanto da renderlo schiavo del denaro o “Avida Dollars”, anagramma del suo nome coniato da Breton a testimonianza della sua bramosia di denaro.

In seguito l’attività della donna fece pendere la bilancia in favore del benessere materiale più che di quello creativo; e forse l’artista era depresso perché prevedeva un destino cui non poteva in alcun modo sottrarsi.

Ma il suo successo cresceva e i suoi quadri venivano venduti a peso d’oro; Dalì venne accolto con entusiasmo e ammirazione dalla stampa e dall’alta società americana già nel 1934, quando fu costretto a fuggire a New York dalla Spagna a causa della guerra civile.

Una delle opere più significative di questo periodo, dominato dalla angoscia e dal terrore è Premonizione della guerra civile, noto anche come Costruzione molle con fagioli bolliti, dipinto nel 1936 a Parigi.

Si tratta di un'immagine terrificante: sulla pianura dell'Apordà giacciono corpi smembrati e i loro visceri, e dietro questa piramide di distruzione si scorge la figura del borghese universale, con il capo chino come se pregasse.

Dalì costruisce con schema geometrico un essere abominevole e spietato, allegoria della guerra; una delle sue mani stritola un seno e l'altra è a terra, scarnificata e deforme; un abbozzo di bacino è schiacciato tra i due piedi ossuti.

A terra è tutto un brulichio di strane concrezioni minerali, di ossa e di fave bollite. Ovunque è violenza e angoscia, paura e prevaricazione, proprio come durante una guerra: il dipinto rappresenta infatti la visione del conflitto bellico nell'inconscio del pittore, senza mediazioni; nella sua brutalità l'immagine suggerisce che nella nostra psiche il fantasma della violenza è peggiore della realtà che effettivamente appare.

In questo periodo, Dalì si spostò frequentemente a Londra, in Italia, a Parigi, in America per scampare alla guerra civile; alla produzione pittorica e letteraria si aggiunsero studi di gioielli, abiti e accessori che allargarono la sua popolarità e le sue conoscenze.

A partire dal 1940 si trasferì in America con Gala; in questi anni la timidezza aveva ceduto il passo ad una matura accettazione della sua esistenza, così come era andata conformandosi sotto la protezione dell’amante. Le sue opere, sia pittoriche che letterarie, erano apprezzate ed applaudite sia dai colleghi che dai mecenati.

Dalì cominciava ad essere consapevole del suo reale valore e disgraziatamente lo dava a vedere. Fu al centro di scandali a causa del suo atteggiamento sempre più bizzarro, sviluppato per proteggersi dal mondo che lo spaventava; come alla nascita, i Dalì erano due: uno appartenente al suo mondo di vivida, geniale e avvincente paranoia, in cui visse più della metà della vita; l’altro è l’accorto affarista, creato dalla moglie Gala.

In questo periodo statunitense si affacciò su di lui la minacciosa paura della morte, testimoniata in molti quadri come Resurrezione della carne, che lo fece approdare in una nuova fase pittorica dominata dal misticismo.

Dai numerosi contatti che Dalì ebbe con la psicoanalisi (tra cui anche l'incontro con Freud nel 1938), nacque nel pittore catalano l'idea dei cassetti; lui stesso affermò che dopo gli studi di Freud "il corpo umano è (…) pieno di cassetti segreti che solo la psicoanalisi è in grado di aprire".

Il dipinto Giraffa infuocata rappresenta in primo piano una figura femminile; la sua testa informe ricorda un teschio o forse un grumo di sangue, sangue che ricopre anche le mani scheletriche; il corpo, innaturalmente composto, viene sorretto da più stampelle e aste, ma ciò che più inquieta sono i cassetti, misteriosamente vuoti che si aprono in corrispondenza del seno e della gamba sinistra.

In un paesaggio desolato si notano a destra una donna, simile a quella in primo piano, con in mano un drappo rosso, e sempre a destra, ma più lontano, una giraffa infuocata, allegoria della distruzione.

 Le sue esigenze di liberare le abbondanti energie creative e di guadagnare tanto denaro, al fine di poter dipingere con calma e soddisfare le crescenti richieste di Gala, lo portarono ad allestire vetrine per famosi magazzini, a dipingere le scene per numerosi balletti, a escogitare le scene per il film Io ti salverò di Alfred Hitchcock, a collaborare con Disney.

Alla fine degli anni Quaranta Dalì e Gala tornarono in Spagna e il celebre pittore cominciò ad essere tormentato dal problema di come non apparire vecchio alla nuova generazione di pittori, per i quali il surrealismo era storia e l’espressionismo astratto il futuro.

Nel 1950 morì il padre e Dalì cominciò a dipingere soprattutto tele con tematiche classico-religiose e scientifiche, rappresentanti oggetti della fisica nucleare, atomi, DNA.

Negli anni Cinquanta il pittore fu straordinariamente attivo in tutti i campi, ma sempre più solo; le sue tele sono più grandi, però meno intense.

Dagli anni Settanta il suo rapporto con Gala cominciò lentamente a degenerare; colpito dal morbo di Parkinson, si ritrovò nel vortice oscuro della depressione, in un turbinio di paure che si intensificarono dopo la morte dell’amante avvenuta il 10 giugno 1982: anche lei aveva raggiunto il mondo dei “putrefactos”, termine coniato dal pittore per designare i morti, come il fratello Salvador, la madre, il padre.

Desideroso di mostrarsi ancora come il Dalì degli anni del successo, l’artista si riprese, ma nel corso del 1987 imboccò di nuovo la china discendente: nessuno veniva più a trovarlo e viveva in un perenne stato di dormiveglia.

Ricoverato in numerose cliniche per la fragilità della propria psiche, visse dolorosamente fino alla morte, avvenuta il 23 gennaio 1989 a Figueras, il paese natale.

Dalì: inconsapevolmente o volutamente folle?

La vita movimentata di Salvador Dalì si può riassumere in queste poche parole: bizzarria, eccessi, devianze, creatività.

I critici si mostrano oggi sempre più desiderosi di separare la personalità del pittore dalla sua arte, ma questo risulta particolarmente difficile, poiché lui ha trasformato la sua intera esistenza in un’opera d’arte, che permeava e nutriva contemporaneamente i suoi lavori.

Non è certo che le fantasie psichiche che hanno portato Dalì alla creazione di opere artistiche e letterarie siano realmente provenienti dall’inconscio, come per i geni affetti da nevrosi.

Lo stesso pittore ha affermato:" Tutte le mie eccentricità, tutte le dimostrazioni d’incoerenza, sono la tragica costante della mia vita. Voglio provare a me stesso che non sono il fratello morto, ma quello vivo. Come nel mito di Castore e Polluce, uccidendo mio fratello ho conquistato l’immortalità”. E’ inoltre risaputo che il suo principale scopo fu quello di costruirsi un’immagine bizzarra, quella di un vero e proprio genio folle, anche tramite il modo estroso di vestire, di comportarsi e di atteggiarsi in pubblico, il denaro speso in pubblicità e organizzazioni di feste chic, le autobiografie che sono assimilabili agli autoritratti dei pittori narcisisti.

Il suo personaggio divenne per lui così importante che negli ultimi decenni della sua vita si trasformò in un carcerato di se stesso, tanto da cadere in depressione quando la sorella Ana Maria, protagonista da giovane di una relazione incestuosa col fratello, pubblicò un libro su di lui non perfettamente in accordo con quanto dichiarato nelle autobiografie (La mia vita segreta e Visi celati, a proposito delle quali lui aveva dichiarato: “[questi libri] li ho scritti per fare di me stesso una star”).

Nonostante tutto ciò, in Dalì si possono riscontrare molti dei fattori che secondo i maggiori psicologi porterebbero un uomo ad essere diverso dal “normale”, non per volontà razionale, ma per la presenza nel suo pensiero di eccessive fantasie psichiche.

Questi elementi possono essere:

§           Alto quoziente intellettivo.

§           Alto quoziente emozionale dato da:

Trauma per la morte del fratello;

Autoritarismo del padre;

Lontananza psicologica della madre.

§           Volontà di libertà.

§           Narcisismo e costruzione del suo personaggio.

§           Rapporti frequenti ma instabili con individui di entrambi i sessi.

§           Relazione ossessiva con Gala.

 

Ci sono però atteggiamenti che non testimoniano la presenza in lui dello stato di genio-follia:

§           Grande autostima supportata dall’amante.

§           Non vive stati di depressione tali da poter essere definiti patologici.

§           Non ha idee suicide, ma anela fino agli ultimi giorni alla vita.

§           E’ consapevole della sua bizzarria nell’arte e anzi la ricerca con ostentazione.

§           Dipinge per comunicare qui e ora, non per garanzia di immortalità.

 Alla domanda “Dalì era un genio, un folle o entrambi?”, è giusto lasciare allo stesso autore l’ultima risposta:

“La differenza tra me e un pazzo è che il pazzo abita in una sorta di fantasia, in una camera diversa da quella reale. Se io stesso cammino in quella stanza, so dove sono; lascio la porta aperta. Un pazzo vero non può uscire: la porta è chiusa a chiave.”

 

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