" Lungo i sentieri della follia"

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Arte

Jean Louis Gericault 

(1791-1824)[1]

 

Alto, severo, con gli occhi di una bellezza singolare, sognatori, dolci, profondi, da orientale; bello, snello, piacevole in compagnia, capace di sedurre al primo incontro uomini e donne e consapevole di tale potere…questo “baciato dagli dei” è Gericault, genio del XIX secolo, pittore sia delle tensioni sociali che personali vissute nella sua breve vita.

Jean Louis Andrè Teodore Gericault nasce a Rouen il 26 settembre 1791.

Dopo il trasferimento a Parigi nel 1796 e la perdita precoce della madre nel 1808, approfittando dell’indulgenza della nonna materna e del padre, facoltoso avvocato, decide di abbandonare gli studi a 17 anni, al termine della classe di retorica, per darsi alla vita del dandy, frequentare il mondo che ama, tenere una scuderia con alcuni cavalli, sua grande passione e fonte ispiratrice.

Gericault vive in perfetto accordo con l’ambiente a cui appartiene e ciò gli consente di trascorrere la giovinezza serenamente. La medesima tenacia che la sua famiglia normanna aveva dedicato agli affari, egli la trasferisce semplicemente nella sua arte.

Entra nello studio di Carle Vernet e, nel 1810, lascia questa bottega per entrare in quella del famoso Pierre Guerin, allievo di David. Il maestro lo esalta riconoscendogli “la stoffa di tre o quattro pittori”, ma dall’altro lato gli rimprovera quel gusto per la “materia densa e grassa”, tanto da soprannominarlo “il cuoco di Rubens” per la passione del giovane per il pittore fiammingo, oltre che per gli antichi (da Raffaello a Tiziano a Caravaggio), di cui approfondisce lo studio.

Nello stesso anno Gericault inizia la turbolenta, tormentata e sofferta storia d’amore con la zia Alexandrine Modeste, giovane moglie dell’attempato zio. Il carattere illegittimo della relazione, e la violenza e i tormenti segreti di quell’amore, minano il suo coraggio e anche la sua salute stessa.

Intanto, grazie al padre, riesce a evitare il servizio militare e può frequentare la Scuola delle Belle Arti e, nel 1812, espone al Salon l’ Ufficiale dei Cavalleggeri , ottenendo un successo non indifferente. La sua nuova tecnica pittorica produce una forte impressione nello spettatore per l’estrema novità del tocco, capace di conferire un senso di indomita energia, di ardente novità, di eroismo, e di restituire il fascino dell’entusiasmo appassionato e incondizionato dell’intera nazione francese per la fulminea, strabiliante avventura napoleonica.

Del 1814 sono le due tele, in mostra al Salon, Esercitazione a fuoco nella piana di Granlle e Corazziere ferito che lascia il campo di battaglia, che rappresentano il sentimento opposto: l’esaltazione per le ardite imprese napoleoniche si è spenta, l’abdicazione dell’imperatore ha gelato gli entusiasmi e stroncato le speranze e gli amori di tutti, che, feriti e dolenti, si sono rassegnati alla sconfitta.

Dopo un breve rientro a Parigi e dopo essersi arruolato nel 1816 nei moschettieri di Luigi XVIII, Gericault decide di partire per l’Italia, spinto dal desiderio di sottrarsi allo scandalo scoppiato in famiglia per la sua relazione con la zia e anche per la sua perenne inquietudine.

Visita Firenze, Napoli, Paestum e Roma, dove lavora incessantemente a un grandioso progetto, purtroppo mai realizzato: il dipinto sulla Corsa dei Barbari a Roma, manifestazione che colpisce profondamente la sua fantasia durante il soggiorno romano.

Nell’autunno del 1817 Gericault è di nuovo a Parigi e, oltre a sperimentare la tecnica della litografia, affronta il tema de La Zattera della Medusa, il suo grande capolavoro.

La fonte d’ispirazione dell’opera è un discusso e scottante fatto di cronaca del 1816: dopo il naufragio della fregata Medusa, vicino alle coste del Senegal, 140 naufraghi vengono ammassati su una zattera, crudelmente attaccata anche dagli altri passeggeri in salvo sulle scialuppe, che cercavano di tagliarne le corde. Fra quegli uomini disperati, resi folli dalla fame e dalla sete, si verificarono episodi di violenza e di cannibalismo, e quando un mercantile li portò in salvo i superstiti erano solo cinque.

Gericault inizia uno studio approfondito sull’episodio: contatta alcuni dei sopravvissuti e decide di recarsi in ospedale per studiare, con accesa curiosità, tutti i gradi dello sfinimento fisico e le tracce impresse sul corpo dal dolore, dall’agonia, dal terrore della morte e dalla morte stessa attraverso i cadaveri. La realizzazione del grandioso dipinto assorbe tutto il suo tempo, tanto che si dice si facesse rasare i suoi bei capelli biondi che era solito arricciare con cura prima di ogni distrazione mondana.

Il dipinto rappresenta lo squassato relitto con a bordo tutti i naufraghi, accalcati nella parte più sicura, un ristretto spazio quadrangolare con un vertice che sta nel bordo inferiore della tela. In balia delle onde minacciose e cupe, sotto il cielo plumbeo, gli uomini si toccano, si abbracciano, si sorreggono, formando una composizione piramidale, come fanno le funi legate all’albero a cui è appesa una vela di fortuna. In cima alla piramide umana c’è un negro che sventola un panno bianco e rosso.

In primo piano sono ben delineati dei cadaveri, testimonianze della lunga sofferenza patita: in basso a destra dell’enorme dipinto, particolare è il corpo riverso e senza vita, coperto da un lenzuolo bianco che ricorda quello funebre degli antichi; inoltre, a sinistra, si nota un giovane morto, nudo, che è trattenuto da un vecchio con manto rosso che, con il volto nobile e pensoso, ricorda un eroe omerico. In quella posizione, con le braccia allargate, la testa reclinata, gli occhi serrati e le labbra socchiuse, il giovane rappresenta la perfezione di un dio dormiente della classicità.

In secondo piano, tutti i superstiti scrutano l’orizzonte e allungano le braccia verso la nave della salvezza in cerca d’aiuto e soccorso.

Tutti i corpi sono modellati come statue e la luce conferisce loro anche la solidità. Ma, nonostante la ricerca formale e i richiami ad elementi classici siano ancora presenti nell’opera di Gericault, la perfezione formale classica è superata dalla nuova sensibilità romantica, che in questo grandioso quadro preannuncia addirittura il realismo.

Il dipinto viene esposto nel luglio del 1819 e colpisce soprattutto per la sua atmosfera altamente drammatica e nella coralità della sofferenza umana, ma l’accoglienza dei contemporanei non è certo favorevole, tanto che Ingres lo definisce “quadro da sala anatomica”.

La critica stroncante fa sì che il pittore francese, oppresso dalla malinconia, si convinca che La Zattera della Medusasia un insuccesso sferzante. L’inquieto pittore viene tranquillizzato però dal suo viaggio in terra inglese, dove lui e il suo capolavoro vengono accolti come degli eroi.

In Inghilterra Gericault entra in contatto con un ambiente culturale che stimola la sua sensibilità e creatività, traendo spunti dalla conoscenza di artisti come Constable. Oltre alle splendide litografie di paesaggi inglesi, di questo periodo è anche la famosa tela Il derby di Epsom, dove l’avvenimento sportivo, giocoso e piacevole, è caratterizzato da una forte carica di drammaticità. Sotto il cielo minaccioso non si disputa una gara tra uomini e cavalli, ma qualcosa di più universale: la lotta dell’uomo contro il tempo, contro se stesso e la natura. La contrapposizione tra la forza ragionata dell’uomo e l’istintiva, primordiale, scatenata vitalità del cavallo è del resto il tema che il pittore tratterà in maniera ossessiva, quasi morbosa per tutta la vita.

Tele come questa e La Zattera della Medusa hanno portato la critica a discutere a lungo se Gericault debba essere considerato un neoclassico, un romantico o un realista.

Gericault può essere considerato un perfetto romantico, quasi ispirato dagli scritti di Byron, Schiller e Foscolo, tutti “maudits”, tutti in lotta con se stessi e il proprio tempo, protesi in una affannosa e impossibile ricerca, in un dialogo continuo con il pericolo e con le proprie ossessioni. Inoltre nella sua pittura prevalgono le forme classiche ed equilibrate, nonostante il suo spirito inquieto sia tormentato da un’ansia divorante.

Gericault può essere visto anche come l’annunciatore del realismo: infatti indaga gli aspetti della natura in modo quasi analitico, scientifico. L’artista si documenta con uno studio quasi clinico su ciò che deve rappresentare, cercando di avvicinarsi il più possibile alla cruda realtà oggettiva.

Gericault è neoclassico quando esalta la bellezza immobile e statuaria, riprendendo le forme scultoree e nitide, le masse muscolari ben evidenziate, la possanza fisica del “maestro ideale” David e l’amatissimo Michelangelo. La bellezza diventa riparo ideale dalle brutture della vita: Gericault sembra riprodurre in pittura le Grazie del Foscolo. Però, poche volte Gericault riesce a seguire pienamente la corrente neoclassica, non riuscendo a contenere in regole tanto rigide il suo spirito moderno ed irrequieto, quasi malato del male di vivere, nè a conciliare il movimento con il culto della forma pura e della linea plastica.

Tutto questo emerge dalle sue opere dove la vita è perenne movimento, una corrente inesauribile di energia, presente nella natura e negli uomini, in lotta costante contro il tempo che tutto corrompe. Gericault è ossessionato da questa corruzione, tanto da studiarla morbosamente, spiando con occhio clinico e con scrupolosa attenzione i malati negli ospedali, i pazzi, devastati dalle proprie ossessioni, ed infine il disfarsi della materia umana negli obitori.

Per Gericault la vita è un’alternanza e contraddizione tra la bellezza, l’energia e il movimento, espressi dalla vitalità sfrenata dei cavalli o dalla forza muscolare dei giovani eroi, e la miseria, il degrado e la putrefazione, rappresentati dai sofferenti, i malati, i disprezzati, i pazzi e anche i condannati a morte. Della sua straordinaria sensibilità hanno dato testimonianza anche i suoi amici più intimi scrivendo: “bisognava proprio che avesse una capacità di attrazione straordinaria, se ancora oggi quelli che l’hanno conosciuto ne parlano con le lacrime agli occhi: era un uomo che affascinava. Ci si chiede da dove venisse questo dono di piacere... è molto semplice: sapeva amare. Ho avuto un bello scavare nella sua vita: non vi ho trovato la più piccola traccia di egoismo o di gelosia...era un grande talento, con un grande cuore, con una natura profondamente nobile e buona.”

Proprio questo suo sentire è una delle cause che, nell’ultimo periodo della sua vita, lo porta a dipingere la famosa  serie degli Alienati che dona all’amico alienista Georget, uno dei fondatori della moderna psichiatria, che cura il pittore francese per le sue ricorrenti crisi depressive.

La critica è divisa sia sulla datazione delle opere sia sulla loro destinazione. Per quanto riguarda la collocazione cronologica, gli studiosi moderni sono propensi a ritenere che le dieci tele siano state eseguite dopo il viaggio in Inghilterra a causa dei molti contatti che si possono riscontrare con lo stile artistico d’oltremanica. Invece regna ancora la più grande incertezza sullo scopo dell’intera opera: è forse materiale didattico per le lezioni di Georget? Sono illustrazioni per il suo trattato? Decorazioni per uno studio medico? Frutto di un’indagine svolta per interesse personale o magari un compito datogli a scopo terapeutico?

Al contrario, purtroppo è certo che cinque dei capolavori sono stati perduti. Infatti Georget ha regalato i dipinti a due dei suoi allievi e uno di questi ha fatto perdere le tracce delle opere, trasferendole in Bretagna.

Ciascuno dei cinque ritratti rimasti raffigura un’ossessione: la monomania del comando militare, incarnata da un uomo con gli occhi fissi e l’atteggiamento fiero, che si è attaccata al collo una medaglia da procacciatore d’affari e che ha cucito dei fili rossi sul berretto da poliziotto; oppure la Monomania del rapimento di bambini con quell’uomo pensoso che si sforza di attirare in casa sua i ragazzini che incontra per strada credendosene il padre, o la Monomania del furto.

Gericault ritrae anche la  Monomane dell’invidia, un’anziana dallo sguardo fisso e dall’inquietante espressione, che ben esprime l’irrefrenabile desiderio di possedere ciò che non si ha; il pittore sembra ispirato dalla descrizione scientifica di Georget della fisionomia di una alienata con la monomania dell’invidia: “la circolazione sanguigna diventa più attiva, la pressione arteriosa sale, le arterie della testa battono forte, gli occhi brillano e sono iniettati di sangue”.

Inoltre è famosissima la rappresentazione della monomania del gioco nei panni di una vecchia dalla faccia rintronata e sogghignante, così tragica e orribile da venir soprannominata La Iena. La vecchia viene rappresentata nella sua solitudine e nella sua dignità, con gli occhi incavati e le palpebre arrossate, con la fronte solcata da profonde rughe e i capelli corti che fuoriescono dalla cuffia scomposta, con lo sguardo perso nel vuoto a rincorrere il pensiero fisso che l’ha estraniata dalla vita reale. I ritratti di malati mentali sono opere singolari e inquietanti, nelle quali Gericault indaga il mondo della follia con crudo realismo e volontà sistematica, dedicandovisi con determinazione e passione. Spinto dalla sua eccezionale sensibilità, l’artista non può non interrogarsi a fondo sugli alienati mentali, come sugli schiavi neri e sui prigionieri dell’Inquisizione spagnola, che considera esseri che pagano lo scotto delle rapide e violente trasformazioni della società moderna e del progresso, vittime che l’umanità sacrifica ai suoi stessi idoli: la ricchezza, la competizione, il successo.

Le particolari opere sulle monomanie non sono tanto tele “scientifiche”, ma più che altro testimonianze tangibili della grande umanità dell’artista che medita sull’infelicità e sulla solitudine umana, e che non considera più i pazzi come uomini posseduti dal demonio, ma esseri schiacciati dalla società per la loro profonda sensibilità.

Gericault sembra accettare pienamente la definizione di monomania data da Pinet, pioniere della psichiatria moderna: “la monomania abbraccia tutte le misteriose monomanie della sensibilità, tutti i fenomeni dell’intelletto umano, tutti gli effetti della perversione delle nostre tendenze, tutti gli smarrimenti delle nostre passioni. [...] Questa malattia è quindi il rapporto diretto di frequenza con lo sviluppo della facoltà intellettuale. [...] La monomania è essenzialmente la malattia della sensibilità. [...] Il delirio dei monomani è esclusivo, fisso e permanente come le idee degli uomini appassionati”.

Il lavoro di Gericault risulta essere una tragica galleria di ritratti di altissima qualità pittorica, di straordinaria maestria tecnica e profondità di significato: quei volti, quegli occhi così fissamente perduti nella propria ossessione, quella disperata solitudine, sono un vivissimo atto d’accusa morale, politica e sociale.

L’ultimo anno della sua breve vita è segnato dall’aggravarsi della sua malattia, anche a causa di una caduta da cavallo che lo costringe definitivamente a letto, ma nonostante ciò continua a lavorare.

“Se gli ostacoli e le difficoltà scoraggiano un uomo mediocre, al contrario, al genio sono necessari, e quasi lo alimentano; lo maturano e lo esaltano: sarebbe rimasto freddo in una strada facile . Tutto ciò che si oppone al cammino dominante del genio, lo irrita e gli procura quella febbre di esaltazione che lo travolge e domina tutto, e produce i capolavori.”

Purtroppo la morte resta anche per Gericault l’unico ostacolo insormontabile e spezza la grande corsa di un genio verso la meta tanto desiderata. Il giovane artista appena trentaduenne si spegne il 26 gennaio 1824, dopo aver lasciato tutti i suoi lavori al padre.

“Se avessi fatto anche soltanto cinque quadri, ma non ho fatto niente.” Eppure per quel niente e per il suo spirito sensibile, moderno ed irrequieto, è già considerato dai contemporanei, come Delacroix, un caposcuola il cui sentire artistico ha modificato l’intero universo della pittura francese: “è perché Gericault è morto che la scuola francese non ha più un capo e tutto procede in modo caotico, e ciascuno pensa per sè, credendo di liberare la propria individualità e scivolando in luoghi comuni nella composizione, nell’esecuzione e nell’interpretazione.” 

Baciato dagli dei, sensibile, affascinante, di incredibile talento: Gericault non sembra meritare di essere annoverato fra i grandi artisti pazzi che hanno espresso il loro malessere attraverso capolavori eterni e magnifici. Eppure, ripercorrendo la sua breve, ma intensa vita, si ritrovano molti fattori indispensabili per giungere allo stadio “genio - follia”.

 ·                    Perdita della madre in tenera età;

·                    Vive la scuola come un’imposizione opprimente, tanto che a soli 17 anni decide di abbandonarla;

·                    E’ una persona molto narcisista, che cerca di costruirsi un’immagine esemplare e affascinante e forse per questo non riesce a sopportare le dure critiche;

·                    La sua attività creativa si discosta totalmente dalle correnti tradizionali;

·                    Manifesta la sua inquietudine e la sua instabilità attraverso i continui viaggi, che rappresentano quasi sempre una via di fuga dagli ostacoli inevitabili della vita.

·                    Anche se di animo sensibile e amabile, non riesce a costruire un rapporto sereno e felice con l’altro sesso ed è attirato dalle storie travolgenti, passionali, ma soprattutto impossibili e tormentate, tanto da mettere in serio pericolo la sua salute mentale.

 Forse proprio questa sua particolare condizione di “genio folle” lo ha portato a dipingere in modo così realistico e toccante la serie degli alienati o il magnifico quadro “La zattera della Medusa”. Purtroppo la morte lo strappò alla vita prematuramente quando, forse, non aveva ancora espresso appieno il suo grande genio e non aveva rappresentato compiutamente le sottili inclinazioni del suo animo.



[1] A cura di Valentina Paterno.

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