" Lungo i sentieri della follia"

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Arte

Telemaco Signorini

(1835 - 1901)[1]

 Biografia

Telemaco Signorini nacque a Firenze nel 1835; all’inizio della sua vita si dedicò agli studi letterari, abbandonandoli poi nel 1852 per seguire le orme del padre, pittore ufficiale del Granduca di Toscana; il giovane figlio d’arte si spostò in numerose città italiane e straniere, tra le quali Venezia, dove conobbe numerosi artisti. Tornato a Firenze, Signorini venne escluso dalle maggiori associazioni artistiche con l’accusa di esagerare con il chiaroscuro; da quel momento (come racconterà in seguito in una lettera datata 1892) è da considerare la sua adesione al “movimento” dei macchiaioli, di cui sarà leader e teorico illustre con la collaborazione di Adriano Cecioni. Nel 1861 espose a Torino Il Ghetto di Venezia, opera dove il chiaroscuro prevale tanto che non si possono più notare le figure in modo distinto; nello stesso anno si recò a Parigi per ampliare la sua preparazione culturale. Nel 1862 venne premiato all’Esposizione Nazionale di Firenze per l’opera Un Episodio della Battaglia di Solferino; gli influssi francesi servirono molto in seguito, con l’adesione alla scuola di Piagentina. In questi anni Signorini si cimentò come critico veemente ed acceso sostenitore del predominio luce/colore a scapito della linea. Nel 1867 fondò con Diego Martelli Il Gazzettino delle Arti e del Disegno, che ebbe vita soltanto per un anno. Signorini si spostò a Roma, Napoli e Parigi, città dalla quale inviò diversi articoli da pubblicare sul Gazzettino di Cecioni. Tra i dipinti che si ricordano si possono citare L’Alzaia e Novembre. Tra il ’69 e il ’70 realizzò incisioni per libri specialistici. Nel 1883 gli fu offerto il lavoro di docente all’Accademia fiorentina, ma rifiutò. Più tardi si spostò in Liguria, a Parigi, a Londra, dichiarando morto lo stile della macchia e cercando una pittura fedele alla natura, secondo lo stile quattrocentesco. Fra i suoi articoli giornalistici si ricordano Le Novantanove Discussioni Artistiche. Morì a Firenze nel 1901.

 Stile generale 

Come traspare dalla biografia, Signorini deve molto alla città di Parigi come formazione ideologico/artistica: nel periodo parigino egli vede esaurirsi l’esperienza macchiaiola puramente realistica, dando spazio al romanticismo francese, regredendo di qualche anno. Bisogna dire che in Toscana si ha la persistenza, fino ed oltre al ’70, dello stile romantico tedesco con caratteristiche come la rigida interpretazione degli interni, tema in contrasto con i fervori dell’epoca. Nel Salon del 1861 numerosi artisti espongono le loro opere; uno tra questi è Daubigny, che con il suo stile ricco di pennellate ispira Signorini (che dipinge l’anno dopo Il greto dell’Arno). Dopo il 1870 in Francia si comincia a riprodurre la vita con una raffinata annotazione di ogni momento, il tutto in una cornice elitaria; ciò viene notato dai fiorentini, affascinati da questo stile. Signorini però ha la sua vera e propria svolta grazie a Stevens, un pittore amante dei dettagli inseriti in un contesto borghese; tutto questo servirà al pittore a risolvere alcuni suoi problemi di adattamento. Successivamente viene a contatto con la mondanità parigina, vista con i suoi occhi da provinciale, affrontata come un ritorno ad una nobiltà ecclesiale patrizia, seppur corrotta. Signorini non operò solo in Francia, ma anche in Inghilterra e in Scozia. Dopo aver dato prova di essere un riproduttore oggettivo di spazi esterni, si scopre anche la sua obiettività di cronista nello scrivere lettere autobiografiche dai suoi viaggi d’oltremanica. Dal suo viaggio possiamo individuare circa cinquanta tra dipinti e disegni, molti dei quali eseguiti in loco ed altri rifiniti od effettuati al suo ritorno. In questo periodo vengono ripresi e messi a nuovo i canoni della pittura macchiaiola; il soggetto viene reso con un realistico gioco di luci e tonalità. Il pittore si reca a Londra, ma poi decide di ritirarsi in una cittadina, Bath, dove opera con schizzi, appunti, disegni inerenti la quotidianità e l’inconsueto. Un esempio può essere dato dal quadro Veduta di Bath dal fiume; sul fiume si affaccia e si rispecchia il torrione di un castello, il tutto in una cornice di masse verdeggianti in riflesso.

La sala delle agitate al San Bonifazio in Firenze è una tela ad olio datata 1865 (misure: 66x59 cm). Attualmente è custodita alla Galleria d’Arte moderna di Ca’Pesaro a Venezia. L’opera è il frutto di una ricerca naturalistica secondo lo stile quattrocentesco; verso il 1862 Signorini aveva già dato per morta la pittura macchiaiola (“…Questa scoperta artistica [la sperimentazione della macchia] …morì senza onor di sepoltura…"). Con molta probabilità l’artista ha tenuto la tela nel suo studio per almeno cinque anni, probabilmente per paura di un pessimo impatto tra dipinto e pubblico. Il pittore si serve di una prospettiva spostata sul suo asse per dare maggior spazio alla narrazione; questa, come dice il titolo, è la stanza di un manicomio, il San Bonifazio in Firenze, dove sono rinchiuse donne malate di mente. Il quadro è un monocromo con sfumature di toni più caldi che riescono a definire il soggetto. Vi sono stati vari disegni preparatori: nel primo studio erano previste due figure in primo piano a destra, con lo scopo di chiudere l’opera. È da notare come la prospettiva venga seguita con dovizia di particolari, senza trascurare le ultime parti dell’ammattonato. Mentre la parte di sinistra del quadro è già ricca di elementi (le donne sedute), la parte destra può risultare vuota ed allora il pittore ispessisce la tramatura dell’impianto. La figura rannicchiata sotto il tavolo a destra ricorda una donna derelitta dipinta dal Botticelli; questa doveva servire per aumentare lo spazio in alto e per giustificare la presenza così ripetitiva del modulo del pavimento.

Non ci sono prove che il pittore sia stato veramente in questo manicomio femminile; probabilmente si è servito di una fotografia.

Signorini, pur non avendo mai sofferto egli stesso di disturbi mentali, è riconducibile all'aspetto della follia in quanto osservatore oggettivo di una drammatica realtà sociale.

 



[1] A cura di Marialuisa Refatti.

 

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