" Lungo i sentieri della follia"

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Conviene a tutti tener rinchiusi i pazzi (atto II)

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L’OPERA E IL TESTO

Siamo nel secondo atto dell’Enrico IV di Pirandello. Congedati Donna Matilde e il medico, travestito da Pier Damiani, che vorrebbero farlo rinsavire, il protagonista esplode nella sua rabbia. Rivela così di aver simulato, per anni, la follia. Assistono alla scena i quattro giovani incaricati di fingersi con lui i consiglieri segreti dell’imperatore: Landolfo, Arialdo, Ordulfo e l’ultimo arrivato, Bertoldo (i cui nomi reali sono Lolo, Franco, Momo, Fino). La loro reazione oscilla fra stupore e spavento: Enrico aggredisce infatti le loro facili certezze sul senso della realtà. I pazzi, egli argomenta, dicono cose tanto scomode e in modo tanto inquietante, che è meglio tenerli rinchiusi. Ma a far davvero impazzire è la consapevolezza che non esiste alcuna verità e che non è mai possibile conoscere gli altri.

 

da L. Pirandello, Enrico IV, Biblioteca Economica Newton, Milano 1999

 

 

Enrico IV Buffoni![1] Buffoni! Buffoni! - Un pianoforte di colori! Appena la toccavo: bianca, rossa, gialla, verde...[2] E quell’altro là: Pietro Damiani. - Ah! Ah! Perfetto! Azzeccato! - S’è spaventato di ricomparirmi davanti!

Dirà questo con gaja prorompente frenesia, movendo di qua, di là i passi, gli occhi, finché all’improvviso non vede Bertoldo,[3] più che sbalordito, impaurito del repentino cambiamento. Gli si arresta davanti e additandolo ai tre compagni anch’essi come smarriti nello sbalordimento:

Ma guardatemi quest’imbecille qua, ora, che sta a mirarmi a bocca aperta...

Lo scrolla per le spalle.

Non capisci? Non vedi come li paro,[4] come li concio, come me li faccio comparire davanti, buffoni spaventati! E si spaventano solo di questo, oh: che stracci loro addosso la maschera buffa e li scopra travestiti; come se non li avessi costretti io stesso a mascherarsi, per questo mio gusto qua, di fare il pazzo!

Landolfo Arialdo Ordulfo (sconvolti, trasecolati,[5] guardandosi tra loro). Come! Che dice? Ma dunque?

Enrico IV (si volta subito alle loro esclamazioni e grida, imperioso): Basta! Finiamola! Mi sono seccato!

Poi subito, come se, a ripensarci, non se ne possa dar pace, e non sappia crederci:

Perdio, l’impudenza di presentarsi qua, a me, ora - col suo ganzo accanto...[6] - E avevano l’aria di prestarsi per compassione, per non fare infuriare un poverino già fuori del mondo, fuori del tempo, fuori della vita! - Eh, altrimenti quello là,[7] ma figuratevi se l’avrebbe subita una simile sopraffazione! - Loro sì, tutti i giorni, ogni momento, pretendono che gli altri siano come ti vogliono loro; ma non è mica una sopraffazione, questa![8] - Che! Che! - È il loro modo di pensare, il loro modo di vedere, di sentire: ciascuno ha il suo! Avete anche voi il vostro, eh? Certo! Ma che può essere il vostro? Quello della mandra![9] Misero, labile, incerto... E quelli ne approfittano, vi fanno subire e accettare il loro, per modo che voi sentiate e vediate come loro! O almeno, si illudono! Perché poi, che riescono a imporre? Parole! parole che ciascuno intende e ripete a suo modo. Eh, ma si formano pure così le così dette opinioni correnti! E guai a chi un bel giorno si trovi bollato da una di queste parole che tutti ripetono! Per esempio: «pazzo!» - Per esempio, che, so? - «imbecille!» - Ma dite un po’, si può star quieti a pensare che c’è uno che si affanna a persuadere agli altri che voi siete come vi vede lui, a fissarvi nella stima degli altri secondo il giudizio che ha fatto di voi? - «Pazzo», «pazzo»! - Non dico ora che lo faccio[10] per ischerzo! Prima, prima che battessi la testa cadendo da cavallo...[11]

S’arresta d’un tratto, notando i quattro che si agitano, più che mai sgomenti e sbalorditi.

Vi guardate negli occhi?

Rifà smorfiosamente i segni del loro stupore.

Ah! Eh! Che rivelazione? - Sono o non sono? - Eh, via, sì, sono pazzo!

Si fa terribile.

Ma allora, perdio, inginocchiatevi! inginocchiatevi!

Li forza a inginocchiarsi tutti a uno a uno:

Vi ordino di inginocchiarvi tutti davanti a me - così! E toccate tre volte la terra con la fronte! Giù! Tutti, davanti ai pazzi, si deve stare così!

Alla vista dei quattro inginocchiati si sente subito svaporare la feroce gajezza, e se ne sdegna.

Su, via, pecore, alzatevi! - M’avete obbedito? Potevate mettermi la camicia di forza... - Schiacciare uno col peso d’una parola? Ma è niente! Che è? Una mosca!

[...]

Si para davanti a Bertoldo, ormai istupidito.

Non capisci proprio nulla, tu, eh? - Come ti chiami?

Bertoldo Io?... Eh... Bertoldo...

Enrico IV Ma che Bertoldo, sciocco! Qua a quattr’occhi: come ti chiami?

Bertoldo Ve... veramente mi... mi chiamo Fino...

Enrico IV (a un atto di richiamo e di ammonimento degli altri tre, appena accennato, voltandosi subito per farli tacere). Fino?

Bertoldo Fino Pagliuca, sissignore.

Enrico IV (volgendosi di nuovo agli altri). Ma se vi ho sentito chiamare tra voi, tante volte!

A Landolfo

Tu ti chiami Lolo?

Landolfo Sissignore...

Poi con uno scatto di gioja:

Oh Dio... Ma allora?

Enrico IV (subito, brusco). Che cosa?

Landolfo (d’un tratto smorendo).[12] No... dico...

Enrico IV Non sono più pazzo? Ma no. Non mi vedete? - Scherziamo alle spalle di chi ci crede.

Ad Arialdo

So che tu ti chiami Franco...

A Ordulfo

E tu, aspetta...

Ordulfo Momo!

Enrico IV Ecco, Momo! Che bella cosa, eh?

Landolfo (c.s).[13] Ma dunque... oh Dio...

Enrico IV (c.s) Che? Niente! Facciamoci tra noi una bella, lunga, grande risata...

E ride.

Ah, ah, ah, ah, ah, ah!

Landolfo Arialdo Ordulfo (guardandosi tra loro, incerti, smarriti, tra la gioja e lo sgomento). È guarito? Ma sarà vero? Com’è?

Enrico IV Zitti! Zitti!

A Bertoldo:

Tu non ridi? Sei ancora offeso? Ma no! Non dicevo mica a te, sai? - Conviene a tutti, capisci? conviene a tutti far credere pazzi certuni, per avere la scusa di tenerli chiusi. Sai perché? Perché non si resiste a sentirli parlare. Che dico io di quelli là che se ne sono andati? Che una è una baldracca, l’altro un sudicio libertino, l’altro un impostore...[14] Non è vero! Nessuno può crederlo! - Ma tutti stanno ad ascoltarmi, spaventati. Ecco, vorrei sapere perché, se non è vero. - Non si può mica credere a quel che dicono i pazzi! - Eppure, si stanno ad ascoltare così, con gli occhi sbarrati dallo spavento. - Perché? - Dimmi, dimmi tu, perché? Sono calmo, vedi?

Bertoldo Ma perché... forse, credono che...

Enrico IV No, caro... no, caro... Guardami bene negli occhi... - Non dico che sia vero, stai tranquillo! - Niente è vero! - Ma guardami negli occhi!

Bertoldo Sì, ecco, ebbene?

Enrico IV Ma lo vedi? lo vedi? Tu stesso! Lo hai anche tu, ora, lo spavento negli occhi! - Perché ti sto sembrando pazzo! - Ecco la prova! Ecco la prova!

E ride.

Landolfo (a nome degli altri, facendosi coraggio, esasperato). Ma che prova?

Enrico IV Codesto vostro sgomento, perché ora, di nuovo, vi sto sembrando pazzo! - Eppure, perdio, lo sapete! Mi credete; lo avete creduto fino ad ora che sono pazzo! - È vero o no?

Li guarda un po’, li vede atterriti.

Ma lo vedete ? Lo sentite che può diventare anche terrore, codesto sgomento, come per qualche cosa che vi faccia mancare il terreno sotto i piedi e vi tolga l’aria da respirare? Per forza, signori miei! Perché trovarsi davanti a un pazzo sapete che significa? trovarsi davanti a uno che vi scrolla dalle fondamenta tutto quanto avete costruito in voi, attorno a voi, la logica, la logica di tutte le vostre costruzioni! - Eh! che volete? Costruiscono senza logica, beati loro, i pazzi! O con una loro logica che vola come una piuma! Volubili! Volubili! Oggi così e domani chi sa come! - Voi vi tenete forte, ed essi non si tengono più. Volubili! Volubili! - Voi dite: «questo non può essere!» - e per loro può essere tutto. - Ma voi dite che non è vero. E perché? - Perché non par vero a te, a te, a te,

indica tre di loro,

e centomila altri. Eh, cari miei! Bisognerebbe vedere poi che cosa invece par vero a questi centomila altri che non sono detti pazzi, e che spettacolo danno dei loro accordi, fiori di logica! Io so che a me, bambino, appariva vera la luna nel pozzo. E quante cose mi parevano vere! E credevo a tutte quelle che mi dicevano gli altri, ed ero beato! Perché guai, guai se non vi tenete più forte a ciò che vi par vero oggi, a ciò che vi parrà vero domani, anche se sia l’opposto di ciò che vi pareva vero jeri! Guai se vi affondaste come me a considerare questa cosa orribile, che fa veramente impazzire: che se siete accanto a un altro, e gli guardate gli occhi - come io guardavo un giorno certi occhi - potete figurarvi come un mendico davanti a una porta in cui non potrà mai entrare: chi vi entra, non sarete mai voi, col vostro mondo dentro, come lo vedete e lo toccate; ma uno ignoto a voi, come quell’altro nel suo mondo impenetrabile vi vede e vi tocca...

Pausa lungamente tenuta. L’ombra, nella sala, comincia ad addensarsi, accrescendo quel senso di smarrimento e di più profonda costernazione da cui quei quattro mascherati sono compresi e sempre più allontanati dal grande Mascherato,[15] rimasto assorto a contemplare una spaventosa miseria che non è di lui solo, ma di tutti.

 

Un’interpretazione

Nella prima parte del brano, Enrico ha un atteggiamento ambiguo e terribile: prima si dichiara sano di mente, poi di nuovo folle, costringendo con furia i suoi consiglieri a inginocchiarsi di fronte a lui. Il suo atteggiamento è di assoluta superiorità, giacché ha saputo ingannare e manovrare tutti. Coloro che hanno creduto alla sua pazzia sono dei poveri «buffoni» e, forse, i veri pazzi. La follia compare qui come un privilegio: davanti ai pazzi bisogna chinare il capo, perché essi hanno compreso la realtà ben più dei cosiddetti sani.

La seconda parte del brano si sofferma appunto sulla natura di questo privilegio. Il folle demolisce le credenze dei sani, facendosi beffe della logica. In realtà, fra le certezze comuni e quelle dei matti non c’è una differenza di sostanza: il relativismo di Pirandello è qui radicale, e trasforma la pazzia in una forma di conoscenza e di esperienza superiore. Per la sua indifferenza alla logica e la sua volubilità, essa sembra diventare la libertà più grande e più vicina alla vita intesa come un flusso che non può essere ingabbiato da nessuna convenzione. La reclusione dei folli è solo un mezzo elaborato dalla società per difendersi dalla destabilizzazione. L’unica verità è che non esiste verità e che nulla è conoscibile: e questa verità, che non può essere sopportata da nessuno, «fa veramente impazzire».

Al tema della follia come verità pericolosa e rifiutata si affianca il tema della follia come recitazione. A recitare non è solo Enrico IV, ma tutti: donna Matilde che si finge Matilde di Canossa, il medico che si finge Pier Damiani, i quattro giovani che si fingono consiglieri imperiali. Ma paradossalmente il presunto folle è anche il regista della messinscena: colui che dall’alto, per suo gusto e con piena consapevolezza, induce gli altri a una buffonata. I sani sono vittime del presunto malato: e per di più, mentre si credono scaltri e coscienti, si rivelano beffati e ignari. La follia come recitazione e commedia degli inganni diventa un’allegoria della vita sociale. Il suo potere di smascherare e distruggere appare dunque terribile, sia nella filosofia della conoscenza, sia nella critica della nostra condizione storica ed esistenziale.


[1] I Buffoni!: Enrico IV inveisce contro Matilde, Belcredi e lo psichiatra che si sono finti Matilde di Canossa, l’abate Ugo di Cluny e il monaco Piero Damiani.

[2] Appena... verde...: tutti si adeguavano a ogni sollecitazione di Enrico.

[3] Bertoldo: è l’ultimo arrivato, e il più sconcertato.

[4] paro: vesto, combino.

[5] trasecolati: stupefatti.

[6] Perdio... accanto...: allude a Matilde e a Tito Belcredi, suo amante (ganzo).

[7] quello là: il poverino, cioè lo stesso Enrico IV.

[8] Loro sì... questa!: è il tema, caro a Pirandello, della forma che soffoca la vita.

[9] Quello della mandra: quello volgare della gente comune.

[10] lo faccio: faccio il pazzo.

[11] battessi... cavallo...: durante la festa in cui era mascherato da Enrico IV.

[12] smorendo: smarrendosi.

[13] (c.s): (come sopra); cioè con lo stesso atteggiamento indicato nella didascalia di sopra (d’un tratto smorendo).

[14] Che una... impostore...: rispettivamente Matilde, Tito Belcredi e lo psichiatra.

[15] grande Mascherato: Enrico IV.

 

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