" Lungo i sentieri della follia"

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Colloquio con il professor Ricardo Landeira[1]

L.: "Buongiorno" Mi piacerebbe che potessimo lavorare sulle vostre domande. Voi domanderete, la signora tradurrà e io poi vi risponderò.

 

T.: Io penserei di tradurre solo quello che non riuscite a capire. Appena mi sembrerà che non capiate, tradurrò.

 

L.: Io aspetto già le vostre domande perché così si comincia direttamente il dialogo.

[Pausa imbarazzante senza nessuna domanda]

 

T.: Botta e risposta!

 

L.: Chiedete tutto quello che vi interessa.

[Nuova pausa]

 

L.: Forse è meglio che faccia una piccola presentazione di me stesso. Mi sono formato prima a livello universitario come psicologo e poi come psicanalista, in particolare di indirizzo lacaniano. Per molti anni ho avuto una cattedra di psicoanalisi presso l'Università di Montevideo. In seguito ho diretto un ospedale pubblico, lavorando per un periodo direttamente con gli infermi mentali sempre a Montevideo. Ho lasciato comunque entrambe queste attività per passare alla produzione e all'insegnamento diretto della psicanalisi più che altro a livello internazionale. Questo è il mio lavoro attuale. Questo è più o meno il mio percorso, in poche parole.

Il rapporto tra la psicanalisi e la follia è quello che ci sta unendo in questo momento e che sta focalizzandola nostra attenzione. Allora andiamo ad incominciare.

 

D.: Chi è che cosa fa esattamente uno psicanalista?

 

L: Uno psicanalisti lavora con una persona che soffre. La richiesta di aiuto parte sempre dalla persona che soffre. A differenza di quanto avviene in medicina o nelle altre maniera di trattare la sofferenza, noi psicanalisti trattiamo le sofferenze, i sintomi, tutto ciò che funziona male nel soggetto. Gli psicanalisti si occupano di tutte queste cose in rapporto alla causa che le provoca. Per questo diciamo che la cura in psicanalisi dovrà essere la conseguenza del lavoro con l'inconscio. Noi, a differenza della clinica medica, non cerchiamo di ottenere una remissione rapida del sintomo e neanche però facciamo in modo da non curarlo: lavoriamo con la parola e con la mente del soggetto, finché il sintomo sparisce da solo. Quando noi si fa così, la suggestione e la forza del rapporto interpersonale fanno sì che il sintomo sparisca e si ripresenti in un altro modo. Rispondendo dunque alla ragazza che ha fatto la domanda, compito dello psicanalista è cercare di curare la sofferenza del soggetto attraverso quello che ci giunge tramite le parole del soggetto stesso. Non c'è mezzo di comunicazione più potente e più efficace tra due persone della parola.

 

D. Che cos'è esattamente la pazzia?

 

L.: La pazzia non è solo una cosa: noi possiamo certo dire indicativamente "la pazzia", ma essa si presenta in molti modi, in molte forme. La pazzia per esempio può manifestarsi in quella che noi chiamiamo una personalità nevrotica, per esempio nell'isteria. Sapete che cos'è l'isteria? Ne avete ancora sentito parlare? E' una delle forme della personalità. La follia poi può presentarsi ancora sotto forma di psicosi, di cui sono un esempio quelli che vediamo negli ospedali psichiatrici. Una gran parte di queste persone sono psicotici. La follia dunque si manifesta in molti modi: può mostrarsi attraverso il delirio, le allucinazioni, gli scatti di collera [?], i deliri ossessivi...Si tratta insomma di una molteplicità di manifestazioni della pazzia. Normalmente la follia è ciò che sfugge, che si sottrae [con espressione?] alla maniera razionale e normale di pensare.

 

D.: Quali sono le cause della pazzia?

 

L.: Dividerei le cause della pazzia in due parti: una è la personalità del soggetto, che funzionerà in modo tale da realizzare lo stesso modo di manifestazione della follia; poi, se parliamo di occasione, essa è un'altra cosa, è ciò che scatena in quel momento la follia [...] Per capire meglio, possiamo dire che delirare non è da tutti: solo un certo tipo di persone ha una struttura predisposta a delirare; altra cosa poi è ciò che in un preciso momento può scatenare il delirio [...] Le cause dunque si collocano su un doppio livello: ci sono cause strutturali e cause scatenanti [...]

T. Potrei fare io una domanda?  Quali sono le cause strutturali o costituenti, se me ne può dire qualcuna?

 

L.: Ogni struttura dell'essere umano si è costituita in un determinato momento della vita, generalmente nell'infanzia: questo determina che una persona possa essere o nevrotico o psicotico o perverso. Come potete capire, non parlo di una persona normale: in psicanalisi non si parla di normalità. Ciò che in psicanalisi definiamo normale è quello che si riscontra nelle nevrosi. Il momento in cui si costituisce la struttura nevrotica o perversa o psicotica è un momento che si può definire primario, un momento a partire dal quale tutto ciò che poi ci succede  [?] nella nostra vita è determinato da queste cause costituenti e le cause costituenti sono alla base di ciò che noi chiamiamo la relazione o rapporto edipico. Sapete cos'è un rapporto edipico?

 

T.: Sarebbe interessante che chi ha capito cos'è un rapporto edipico provasse a spiegarlo. Soprattutto sbagliando: sbagliando s'impara.

 

Intervento: [riferisce ciò che ricorda del mito di Edipo]...la crescita psicologica di una persona è in stretto rapporto con la relazione che si è avuta nell'infanzia con i genitori...

 

L. Sì, è vero ciò che dice. La relazione con i genitori è primaria e determinerà la nostra costituzione; il nostro posto nella vita, quello di ognuno di noi, sarà determinato prima della nascita, da quello che i nostri genitori hanno desiderato per noi, da ciò che essi hanno immaginato o detestato. Nel mio Paese, molte volte, si tende a giustificare il problema di un bambino dicendo che "è stato un bambino non desiderato". E pare che questo sia sufficiente per spiegare e capire tutto. Anche ammettendo, però, che possano esserci bambini "non desiderati", non è possibile che non esista, per ognuno di noi, un posto nella mente dei nostri genitori.

Anche se fosse un posto di morte, di rifiuto, o di accettazione, possiamo essere un bambino meraviglioso o un bambino terribile, ma sempre c'è per noi un "posto". Quando, tante volte, arrivano dei genitori che mi portano un bambino che abbia qualche problema, dicono inizialmente: "E' arrivato di sorpresa, non pensavamo di averlo, non l'abbiamo cercato…". E con ciò pretendono di discolparsi di ciò che inconsciamente hanno pensato di quel bambino. Allora tutti nasciamo in relazione a questo "marchio dell'altro": se volete che vi dia un segno chiaro di ciò, uno di questi marchi, uno dei più importanti, è il nome di noi tutti. Chiamarci come ci chiamiamo (io mi chiamo Ricardo) è una marca, un marchio: questo nome me l'hanno dato i genitori. E' il nome dato dai genitori, quello che loro volevano: e lo stesso è per tutti voi. Voi dopo ve ne siete appropriati. Questi nomi stanno ad indicare qualcosa che loro desiderano: quello che vogliono che noi siamo, qualche famigliare, il rapporto con loro, qualcosa di innominabile… Ma quando noi ci identifichiamo con questo nome,  a partire da lì, senza bisogno di altre parole, inconsciamente cominciamo a identificarci con quello che c'era nella testa dei nostri genitori. Questi sono autentici marchi, e non solo con i nomi propri: c'è quello che "fa il matto", chi è "bello", chi è lo "stupido", quello che è "svelto", quello che è "raffinato"…Questa situazione, che comincia già prima della nascita, poi si sviluppa nei comportamenti assunti verso il bambino: le coccole, il divieto di giocare, il lasciarlo da solo, il portarlo con sé in luoghi diversi…

 

D.: Se le cose stanno così, da che cosa dipendono le differenze tra fratelli? Perché un bambino è maggiormente influenzato dai genitori rispetto al fratello, e perché in lui è più forte il complesso di Edipo?

 

L.: Abbiamo parlato di una base: questa è la base della struttura di ciascuno. A partire da quella, ognuno di noi, ogni bambino, reagisce e ricreerà nell'altro i genitori, i fratelli, i nonni… Questo tipo di relazione dipende dal "luogo" che ci è stato assegnato dai genitori. Molti genitori dicono: "Guardi, li ho allevati allo steso modo, ma questo è diventato pazzo! Eppure noi li abbiamo allevati allo stesso modo, ci siamo comportati in modo imparziale, abbiamo fornito a tutti le stesse possibilità…Non capiamo perché succede, ma questo è diverso, è stupido, ha dei problemi…". C'è una verità, nella psicanalisi, a cui si arriva dopo parecchio tempo: ognuno dei genitori è differente per ognuno dei figli, e ha sentito cose differenti nella fase primaria e di conseguenza ha avuto un rapporto differente con i figli. Perciò ogni figlio non condivide mai gli stessi genitori con i suoi fratelli. Per questo, quando si sente parlare tra fratelli dei loro genitori, si avverte che per ognuno di loro i genitori sono differenti. L'esperienza di ciascuno rientra nell'ordine del particolare: anche quando ci sono elementi in comune con i nostri fratelli, la differenza radicale consiste in quelle "marche" proprie di ciascuno di noi. Il destino di ognuno sarà determinato da quello che noi poi faremo con queste "marche". I marchi sono determinanti, ma non vuol dire che il nostro destino sia appiattito. Sta a noi operare qualcosa di differente con quei marchi. Insomma, per concludere la risposta, direi che l'edipo si gioca in relazione ai genitori, in un corpo a corpo, tutti i giorni, nei benefici, negli affetti, negli amori… Ho risposto alla tua domanda?

 

D.: Secondo lei le malattie psichiche non dipendono, quindi, da un fattore organico e non possono essere interpretate come “disfunzioni cerebrali”?

 

L.: Dirò qualcosa che molti psicanalisti non condividono. Per me, tutti i fenomeni nell'essere umano sono automatici. E' impossibile separare lo psichico e l'organico: ci sono momenti in cui la [?] va avanti grazie alla causalità psichica, altre volte, come ora, si va avanti con le infrastrutture organiche. Il fatto che noi troviamo determinati elementi organici che possono esserci nella schizofrenia, nella depressione ecc. non vuol dire che essi non possano essersi generati su base psichica. Quando uno piange una lacrima, che è un elemento semplice, elementare, risultano così complessi i fenomeni psichici e somatici coinvolti che possiamo prendere questo come esempio di come la sofferenza mentale abbia sempre una componente chimica, elettrica, neuronale, organica…[2]




[1] Il colloquio si è svolto in classe il 13 novembre 2000; abbiamo indicato con la sigla L. il professor Landeira, con T. la dottoressa Alba Cicognani Toller che ha funto da traduttrice, con D. gli interventi di alcuni di noi.

[2] A questo punto purtroppo, per motivi tecnici di registrazione, non è più possibile decifrare il contenuto del colloquio. Ce ne scusiamo con i lettori e con i diretti interessati.

 

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