Affidamento bi-familiare:
implicazioni psicologiche

di
Maria Assunta Occulto


 

 



Il Punto su ...
Mala tempora currunt
La perizia ieri e oggi

Editoriale
di Liusella de Cataldo


Parere dell'Esperto
"A proposito della riforma della legge sull'adozione:
quale funzione è riservata ai tribunali per i minorenni?"
di Gustavo Sergio

Recensioni
Proposte di criminologia
applicata 2000
di Carlo Serra
Giufrrè Editore - Milano 2000 a cura di Barbara Giambra

Dall'Estero
Sopravvivere alle cause del trauma:
prevalenza di segni silenti di abuso sessuale in soggetti che da adulti rievocavano ricordi di abuso sessuale nell'infanzia.
di E. Musso e P. Nardi

Notizie dalla Associazione

Convegni e Seminari
Siracusa: 8-9-10 novembre 2001

Affidamento bi-familiare:
implicazioni psicologiche
di M. A. Occulto

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Le due famiglie: l’analisi psicologica degli altri due poli del triangolo che connota il problema dell’affidamento può essere svolta in modo speculare, considerando una famiglia, quella d’origine, come interfaccia dell’altra, quella affidataria e viceversa.
Indubbiamente, l’esperienza di esclusione come anche quella di inclusione di un membro in una famiglia, fa parte di un gioco, che può oscillare tra fasi di squilibrio e tendenza a ristabilire un nuovo equilibrio.
Infatti, una famiglia in difficoltà, come può essere quella d’origine, è una famiglia che sta vivendo, per diversissime ragioni di ordine economico, culturale, psicologico o sociale, uno stato di grande confusione: allontanare un membro in questo caso deve far parte di un progetto che miri alla risoluzione di tali difficoltà per ristabilire, con il rientro del soggetto temporaneamente "espulso", l’integrità dell’intero nucleo familiare (Cirillo, 1986).
Queste difficoltà, più o meno consce nei membri della famiglia, si scontrano con tutta una serie di vissuti che l’allontanamento provoca.

I genitori possono vivere questa esperienza, infatti, in modo molto traumatico:

- come senso di fallimento in quanto genitori;

- come senso di colpa per dover espungere da sé una parte di sé;

- come competizione che ne deriva nei rapporti con i genitori affidatari;

- come paura di perdere il proprio figlio;

- come senso di impotenza a ristabilire l’equilibrio al proprio interno familiare, quanto più, ad esempio, l’affidamento risulti prolungato nel tempo e quanto più esso sia vissuto come imposto dalla natura giuridica del provvedimento.

La chiave sistemica di lettura dell’intreccio relazionale tra questi vissuti della famiglia d’origine e quelli che analizzeremo per la famiglia affidataria è la necessaria e fondamentale collaborazione tra le due famiglie, senza la quale è da interrogarsi circa la validità di un istituto esso stesso a rischio, nel senso di accrescere le difficoltà, le resistenze e la conflittualità tra i soggetti in gioco.
Se è vero che una famiglia affidataria offre la propria disponibilità nell’aiutare un minore e la sua famiglia a ritrovare l’equilibrio relazionale ed esistenziale, è tuttavia importante valutare quale sia il vero vissuto che sottende ad un messaggio di solidarietà sociale.
Anche questa famiglia evidentemente sta vivendo un momento particolare della propria esistenza, nel senso che comunque esprime un bisogno di cambiamento o un bisogno di ristabilire, essa pure, al proprio interno, un equilibrio in qualche modo scosso da vicende particolari, vuoi di "assenza" significativa, vuoi di aspettative magiche di una maggiore completezza del nucleo (Cirillo, op.cit.).
Infatti, una coppia, una famiglia che faccia richiesta di affido può anche vivere la nuova esperienza:

- come bisogno di rimpiazzare un figlio morto o andato via;

- come bisogno di una maternità e paternità irrealizzate;

- come tentativo di riattivare una relazione di coppia fallita o divenuta statica, caratterizzata da indifferenza, incomunicabilità, distanza affettiva o dissidi profondi;

- come desiderio di realizzare un "ideale" di figlio.

L’ambivalenza è un atteggiamento che spesso può accompagnare l’esperienza di famiglie affidatarie soprattutto quando, pur sostenute da grande volontà e disponibilità a prendersi in carico non soltanto il minore, ma anche a lavorare con i servizi sociali per aiutare la famiglia del minore a ritrovare il proprio equilibrio, si trovano a vivere travagli e difficoltà di fronte alle rivendicazioni delle famiglie d’origine. Oppure quando sperimentano un vissuto che le mette a confronto con un soggetto la cui storia di vita non trova aderenza, risonanza o accoglienza piene ed incondizionate.
Di qui il rischio di atteggiamenti simmetrici tra i due nuclei e quindi il rischio di fare del minore affidato nuovamente un capro espiatorio, come soggetto triangolato in questa competizione che non può che rivolgersi a danno dell’anello più debole.
Qual è la chiave di volta che riconosca e garantisca, da un lato, la potestà legittima dei genitori naturali a decidere delle scelte fondamentali per la vita del proprio figlio e, dall’altro, la potestà dei genitori affidatari che nel quotidiano cercano di realizzare le condizioni di crescita umana, sociale e psicologica del soggetto loro affidato?
Per tutto quanto sopra considerato in modo critico e per riconoscere le condizioni di sicurezza affettiva e psicologica che un affidamento deve realizzare per rispondere alle attese della legge in questione, sembra indispensabile una qualificata preparazione e competenza dei servizi sociali. Questi devono farsi garanti di questo processo di relazione triadica e sistemica, capace di assicurare processi di comunicazione circolare e di rapporti integrati tra le due famiglie e convergenti unitariamente verso il proprio fine educativo, umano e sociale che è il minore come immagine aggregante dell’intero sistema che la legge ha inteso creare.
Allora è possibile riassumere alcuni parametri funzionali di un affidamento che voglia realizzare le aspettative sociali ad esso affidate con un lavoro di rete che preveda:

- un progetto chiaro, ben definito con tutti i soggetti coinvolti , pianificato in obiettivi e sottoobiettivi;

- un’indicazione altrettanto chiara sulla temporaneità dell’allontanamento al fine di evitare falsi affidi o "adozioni camuffate";

- una informazione, formazione e selezione accurata relative a nuclei familiari che fanno richiesta di affidamento;

- un lavoro di informazione e sensibilizzazione in materia di affidamento sul territorio;

- una verifica cadenzata del progetto con famiglia di origine, famiglia affidataria e servizio sociale;

- un organico e sistematico lavoro di sostegno alle famiglie d’origine basato su incontri periodici e motivati ad eliminare il falso binomio famiglia buona - famiglia cattiva, eliminando lo stereotipo, molto diffuso, di una famiglia affidataria detentrice di "verità educative";

- una adeguata preparazione delle famiglie d’origine e del bambino all’affidamento;

- una rete di sostegno alle famiglie affidatarie anche attraverso incontri periodici con più famiglie affidatarie per un confronto ed un’analisi congiunta di vissuti ed esperienze;

- un lavoro di sostegno alle famiglie d’origine che continui anche ad affidamento concluso per assicurare la riappropriazione di proprie capacità relazionali ed educative;

- prevedere incontri anche ad affido concluso tra famiglia affidataria e famiglia d’origine in modo da confermare e restituire il significato giusto a tale esperienza che ha coinvolto tutti sul piano emotivo-affettivo per un fine comune: l’interesse del minore. Ciò aiuterebbe tutti i protagonisti a non vivere chi prima chi dopo con ansia e lacerazione la separazione.

Una programmazione intelligente e qualificante, come risulta dal rispetto dei criteri sopra indicati, non può che favorire, a mio parere, la responsabilizzazione di tutti, ciascuno per il proprio rispettivo ruolo, circa l’impegno individuale e collettivo rispetto ad un obiettivo umanamente e socialmente condiviso: la tutela dell’ infanzia.