Il
Punto su ...
Mala
tempora currunt
La
perizia ieri e oggi
Editoriale
di Liusella
de Cataldo
Parere dell'Esperto
"A
proposito della riforma della legge sull'adozione:
quale
funzione è riservata ai tribunali per i minorenni?"
di Gustavo Sergio
Recensioni
Proposte
di criminologia
applicata
2000
di Carlo Serra
Giufrrè
Editore - Milano 2000 a cura di Barbara Giambra
Dall'Estero
Sopravvivere
alle cause del trauma:
prevalenza
di segni silenti di abuso sessuale in soggetti che da adulti rievocavano
ricordi di abuso sessuale nell'infanzia.
di E. Musso
e P. Nardi
Notizie
dalla Associazione
Convegni
e Seminari
Siracusa: 8-9-10 novembre 2001
Affidamento
bi-familiare:
implicazioni
psicologiche
di M. A. Occulto
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La procedura penale rielaborata da Carlo V nel 1532 per
i territori imperiali accorda importanti margini di azione al ruolo degli
esperti nelle indagini più tecniche e nella raccolta delle prove.
All’interno della bibliografia lombrosiana non mancano
i rinvii al ruolo che gli estensori delle perizie medico-legali vengono
a rivestire all’interno della dinamica processuale. Si tratta per lo più
di rilievi ai modi in cui i pareri tecnici vengono recepiti: alla crescita
del numero delle perizie d’ufficio e di parte, schierate per l’accusa e
per la difesa ("ad immagine e vantaggio del curialismo dominante"); alla
selezione dei periti non secondo criteri di capacità e di competenza
("non i più dotti o i più onesti ma i più compiacenti
od i più facondi"), anche in ragione della modesta remunerazione
per le relazioni disposte d’ufficio. Lombroso, per superare questa inadeguatezza,
si richiama sul piano ideale alla funzione dei periti in conformità
alla "antica sapienza romana" di giudizio più che di testimonianza;
e dal lato operativo, propone di istituire un unico perito (o un unico
collegio peritale) oppure di dar vita ad un "supremo tribunale peritale"
con il compito di uniformare i pareri tecnici in quegli aspetti che risultano
più contraddittori.
Murri (4)
vede con lucidità il pericolo dell’accumularsi
di perizie, diversamente impostate se non discordanti, che non consentono
ai magistrati di "scoprire ciò che c’è di arbitrario nelle
affermazioni dei periti". Anche allora, Il problema della perizia era quello
dell’accordo, o del disaccordo, tra due diverse metodologie professionali
e disciplinari.
Questo telegrafico excursus storico (il tema meriterebbe
uno studio approfondito) mi permette forse di trarre una conclusione per
certi versi imbarazzante: in tanti secoli di elaborazione dottrinaria e
giurisprudenziale, la sensazione che si ricava dall’esame di queste lontane
fonti, è quella di esser rimasti al punto di partenza.
E’ evidente che gli antichi giuristi avevano già
individuato i punti deboli e i pericoli legati all’immissione nel circuito
giurisdizionale di saperi diversi da quello del diritto e cioè:
dubbia competenza dell’esperto; sua parzialità;
ricorso a tecniche e metodologie non verificate; pericolo della confusione
di ruoli; uso del sapere del perito per fini diversi da quelli di giustizia.
Sono tutti temi di grandissima attualità per i
quali non si intravede neppure la soluzione fino a quando il potere giurisdizionale
non sottoporrà il contributo che il perito gli propone ad un rigoroso
controllo di qualità. Nessuno pretende che il giudice sia più
preparato ad esempio dello psicologo. Il giudice pero’ può e deve
pretendere, tanto per fare un esempio, che lo psicologo gli fornisca le
credenziali delle metodologie, delle tecniche e degli strumenti di cui
si serve. Per ‘fornire le credenziali’ intendo, semplicemente, come si
richiede per qualsiasi contributo scientifico, che lo psicologo sia in
grado di dichiarare i coefficienti di errore degli strumenti che ha adoperato.
In altri termini, deve servirsi di strumenti che siano stati falsificati,
cioè di strumenti per i quali siano state individuati i tassi di
errore che contengono. Sempre per fare un esempio, la ricerca statunitense
ha dimostrato che certi dati raccolti dai ‘clinici’ nel campo dell’abuso
sessuale di minore hanno un coefficiente di errore che li rende inutilizzabili.
Infatti i segnali che i clinici avevano considerato - a torto - come indicatori
di abuso sessuale, misurati sul totale della popolazione dei minori non
abusati, sono risultati presenti anche in questo campione a livelli significativi
rispetto a quelli riscontrati per i minori abusati. Lo stesso è
accaduto per le indagini mediche sui genitali dei bambini le cui alterazioni,
ritenute specifiche all’abuso sessuale, sono invece risultate distribuite
in modo quasi uniforme anche nella popolazione dei minori non abusati.
E l’elenco di queste ‘sviste’ che hanno portato a gravissimi errori giudiziari
potrebbe continuare.
E’ un fatto, e il caso giudiziario da cui ho preso le
mosse lo dimostra, che anche oggi non mancano dubbi sulla effettiva competenza
di chi si affianca al giudice come portatore di un sapere specifico e di
specifiche competenze che dovrebbe aggiungere ai requisiti propri del giudice
- prudenza e coscienza - un ulteriore specifico contributo cioè
la peritia.
Ricordo, e non devo andare troppo indietro nel tempo,
le prime grandi battaglie combattute per dare dignità e riconoscimento
all’interno delle scienze penali al sapere psicologico. L’epica battaglia
è stata formalmente vinta e la psicologia ha fatto il suo ingresso
nel processo, civile e penale, tra le resistenze e i sospetti di chi la
continuava a vedere come un corpo estraneo e tutto sommato inutile. Oggi,
da disciplina ausiliaria, (veniva definita ‘inferma ancilla’), la psicologia
non solo è entrata nel sistema di giustizia, ma ha assunto un ruolo
imprevisto e preoccupante per certi segnali che fanno pensare ad una rottura
di argini, ad una pericolosa strumentalizzazione di ruoli e competenze.
Infatti, se da un lato si innalza sempre di più
il livello di allarme per contributi non sempre scientificamente attendibili
e spesso fuorvianti, dall’altro, il sapere dell’esperto, riproponendo il
copione dei tempi andati, viene surrettiziamente utilizzato dal giudice
per giustificare provvedimenti, come quello - che oggi a ragione preoccupa
- delle terapie coatte, che il giudice, senza il contributo dell’esperto,
non potrebbe proporre. Ritorniamo ai tempi di Bicètre! Magistrati,
avvocati e psicologi sono o dovrebbero essere ugualmente interessati a
vigilare: i giuristi per evitare che il tanto auspicato ingresso del sapere
psicologico non diventi un pericolo per la ricerca della verità
processuale, gli psicologi, per tutelare la dignità della loro professione
che rischia di accollarsi, come per il passato, lavori di bassa manovalanza
e di dubbia eticità.
Se il diritto guarda con interesse alla psicologia è
perché spera che il suo contributo possa accrescere il livello di
affidabilità del sistema giustizia. Secondo le linee guida dello
psicologo forense elaborate dalla "Division 41 of the American Psychological
Association and the American Board of Forensic Psychology" lo psicologo
"che mette a disposizione del sistema giudiziario la propria competenza
...è tenuto a fornire prestazioni corrispondenti al livello massimo
dello standard della sua professione". Contributi modesti impoveriscono
la funzione giurisdisdizionale.
Mutatis mutandis è quello che a suo tempo aveva
già detto Altavilla che nel capitolo VII del suo trattato dedicato
"al perito e l’interprete" contiene un prezioso distinguo tra testimonianza
e perizia. La testimonianza "è un fatto visto attraverso un temperamento"
la perizia "è un fatto chiarito da una tecnica e da un uomo: una
tecnica che deve essere sperimentata, ed un uomo che sia provato, cosi’
da essere per definizione detto ‘perito’. |